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Giornale
Italiano di
Cardiologia
Pratica
Italian
Journal of
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Cardiology
Periodico trimestrale
Anno 2, Numero 2
Giugno 2004
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Articoli da riviste: Cosin J, Gimeno V, Alegre S. Breto M, Perez-Gomez F. Reflex cardiovascular response to acute myocardial ischaemia. Cardiovasc Res 1984;
18:555-60
Capitoli di libro: Lown B. Cardiovascular collapse and sudden death. In: Braunwald E, ed. Heart disease. A textbook of cardiovascular medicine. Philadelphia, PA:
WB Saunders, 1980: 778-817.
Libri: Pujadas G. Coronary angiography. New York, NY: McGraw-Hill,1980:10.
Abstracts: Ferrari R, Nayler WG. The protective effect of nifedipine on ischaemic and reperfused heart muscle. (abstr) In: Abstracts of the International Congress
of Pharmacology. Tokyo, 1981: 265.
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ISBN 88-207-3709-4

Indice
Editoriale
Polypill: riepilogo e prospettive Pag. 4
E. Geraci
Forum virtuale su:
Una nuova proposta strategica per ridurre la patologia cardiovascolare
dell’80% Pag. 6
Lo Scompenso Cardiaco: la realtà italiana. Dati preliminari dello Studio R.I.C.A.
(Registro Insufficienza Cardiaca ANCE) Pag. 15
B. Dilaghi, F. Sofi, V. Romano, G.F. Gensini
Contrast echocardiography: basic principles, current clinical use
and future perspectives Pag. 21
A. Micari, S. Carerj, F. Arrigo, S. Coglitore, C. De Gregorio
Forum su: Aspetti medico-legali in cardiologia Pag. 27
M. Piccioni, M. Ceccarelli Morolli
Aspetti medico-legali in cardiologia: la metodologia valutativa Pag. 28
S. Castaldo, D. Cullia, M. Piccioni, A. Fiori
Aspetti medico-legali in cardiologia: le linee-guida. Responsabilità professionale
tra autonomia del paziente e medicina difensiva Pag. 33
A. Papa, S. Cocuzza, M. Piccioni
Aspetti medico-legali della terapia anticoagulante Pag. 41
G. Alecce, S. Principi, C. Meloni, S. Cocuzza, M. Piccioni
Valutazione diagnostica e medico-legale della nefropatia ipertensiva Pag. 48
A. Angiolini, L. Bottoni, C. De Collibus, N. de Trizio, B. Vergari
Il cardiologo e la fibrillazione atriale un anno dopo lo studio AFFIRM:
tra evidence-based Medicine e Psicanalisi Pag. 53
A. Finzi
Medicina dello sport e malattie cardiovascolari: ruolo dell’attività fisica
nella prevenzione e nella terapia delle malattie coronariche Pag. 59
R. Guglielmi, P. Bruzzese, M. Campaniello, D. Di Noia, O. Di Cillo
Classificatori “Support Vector Machine” per la diagnosi dell’Infarto Miocardico Acuto Pag. 63
B. Commisso, D. Conforti, A. Sciacqua, D. Costanzo, L. Marando
L’ipertensione dalla parte... del paziente. Intervista Pag. 69
G. Guida
RASSEGNA
Bibliografia ragionata Pag. 72
G. Spagnolo
Lettere al Direttore Pag. 76
Prossimi Congressi e Corsi Pag. 77
XIV Congresso Nazionale A.N.C.E. Pag. 79

4
Editoriale
Polypill: riepilogo e prospettive
Enrico Geraci
Consulente Scientifico per la Cardiologia, Ospedale “Cervello”, Palermo
La proposta di Nicholas Wald e Malcom Law (BMJ del 28.06.03)
Una Polypill - contenente aspirina 75 mg, acido folico 0.8 mg, una statina (atorvastatina 10 mg o simvastatina
40 mg) e tre anti-ipertensivi (ad esempio un ACE-inibitore, un diuretico tiazidico, un beta-bloccante) ciascuno a
dose dimezzata - da somministrare una volta al giorno a tutti i pazienti con vasculopatia accertata (cardiopatia
ischemica o malattia cerebrovascolare o arteriopatia periferica) o con diabete, e a tutti gli individui di 55 o più
anni anche se clinicamente sani. Non necessario misurare prima il livello dei quattro fattori di rischio costituenti
il bersaglio della Polypill (colesterolemia, pressione arteriosa, aggregazione piastrinica, omocisteinemia), né
monitorarli poi. Beneficio atteso: riduzione di oltre l’80% degli eventi cardiaci o cerebrali. Effetti collaterali possibili,
prevalentemente non gravi, nell’8-15% dei trattati (per gli intolleranti si possono prevedere composizioni
diverse della Polypill). Prevedibile grande compliance e vasta diffusione, anche per il basso costo dato che tutti i
componenti della Polypill sono o saranno a breve fuori brevetto. Necessari trial clinici controllati, per tollerabilità
e sicurezza e per l’efficacia (secondo Rodgers, nello stesso fascicolo del BMJ, in questo scenario sarebbe sufficiente
dimostrare l’efficacia su endpoint intermedi, come la pressione arteriosa e la colesterolemia).
Il Forum nel Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
Dei 30 partecipanti al Forum, la metà si sono dichiarati totalmente o prevalentemente sfavorevoli alla proposta
Polypill e un quarto prevalentemente a favore, mentre per i rimanenti intervenuti i pro e i contro si equivalgono.
Le principali critiche/obiezioni: con la Polypill viene ad essere disatteso il concetto di terapia “tagliata su
misura” per ciascun paziente; si rischia di mortificare il rapporto medico-paziente; viene distolta l’attenzione
dalla necessità di comportamenti corretti (rinuncia al fumo, dieta adeguata, attività fisica); i possibili benefici
della Polypill sarebbero sovrastimati; l’efficacia dell’acido folico non è sufficientemente provata; i pazienti dei trial
(sui cui risultati è basata la proposta di Wald e Law) sono solo in parte simili a quelli cui dovremmo somministrare
la Polypill; con tanti farmaci insieme si avrebbero troppe interazioni (per non parlare degli altri farmaci eventualmente
necessari per patologie concomitanti). Qualcuno considera la Polypill “un incubo”; c’è chi condivide
l’allarme per una “popularity based medicine” (alla CNN il 95 % degli intervistati ha dichiarato che prenderebbe
volentieri la Polypill) e chi parla di “americanata” (!). Gli interventi a favore del progetto Polypill riguardano
essenzialmente il merito di aver riproposto all’attenzione generale, in modo originale e provocatorio, il grande e
troppo trascurato problema della prevenzione cardiovascolare secondaria e soprattutto primaria, con particolare
enfasi da parte di qualcuno sul prevedibile grande beneficio nei Paesi in via di sviluppo, nei quali sta avvenendo
una enorme e incontrollata crescita dei principali fattori di rischio. C’è poi chi assimila i potenziali vantaggi della
Polypill a quelli delle vaccinazioni di massa. Alcuni partecipanti al Forum auspicano delle varianti nella formulazione
della Polypill, in modo da conservarne i vantaggi pratici salvaguardando al tempo stesso l’aspetto del
rapporto medico-paziente che concerne la personalizzazione della terapia.
L’originalità della Polypill non è assoluta
L’idea Polypill è certamente originale per alcuni aspetti - l’impiego indipendente dalla misurazione iniziale e dal
monitoraggio dei fattori di rischio e l’erogazione a tutti gli individui di 55 o più anni, anche apparentemente sani
- mentre l’assemblaggio di più farmaci in unica somministrazione non è nuovo, nei fatti o nelle proposte. Gianni
Tognoni ha citato nel suo intervento in questo Forum “l’esperienza della terapia anti-HIV, concentrata in un
unico preparato, che ha rivoluzionato la gestione del problema riducendo di ordini di grandezza (non di percentuali)
i costi e aumentando la compliance”. E per rimanere nell’ambito della prevenzione cardiovascolare: l’FDA
ha recentemente approvato preparati contenenti pravastatina e aspirina o atorvastatina e amlodipina, e Franco
Valagussa ha ricordato in questo Forum che nel 2002 Salym Yusuf, nel Lancet (vol. 360, pp 2-3), affermava che

impiegando insieme sistematicamente in prevenzione secondaria l’aspirina, un beta-bloccante, un ACE-inibitore
e una statina si potrebbe ridurre il rischio del 75 %. Nei primi mesi dell’anno in corso sono state presentate tre
diverse osservazioni/proposte di prevenzione secondaria cardiovascolare basate sull’associazione di più farmaci
(studi iniziati prima della pubblicazione dell’articolo di Wald e Law sulla Polypill):
– Il New Zealand Guidelines Group in ‘The Assessment and management of Cardiovascular Risk’: “Virtually all
ischemic stroke and transient ischemic attack survivors should be taking a low dose aspirin, a combination
of two blood pressure drugs and a statin” (www.nzgg.nz.org, accessed 02.05.04);
– H. Dalal e Coll (BMJ 2004; 328: 693-7): “Coprescribing of antiplatelet drugs, statins, converting enzyme
inhibitors, and beta-blockers should be considered in all patients after myocardial infarction”;
– D. Mukherjee e Coll (Circulation 2004; 109: 745-9): “Use of combination evidence-based medical therapies
was independently and strongly associated with lower 6-month mortality in patients with acute coronary
syndromes. Most of these therapies are generic and inexpensive today…”.
Le ultime sulla Polypill
Anthony Rodgers, autorevole epidemiologo clinico neozelandese favorevole alla Polypill, nella lettura tenuta nel
febbraio 2004 al meeting della International Society of Hypertension in San Paolo del Brasile (riassunta da Linda
Brooks per Medscape www.medscape.com/viewarticle/471864) ha affermato che “ritagliare su misura” questo
tipo di terapia non è molto importante per varie ragioni, tra le quali: parametri e soglie non hanno più molto
valore, perché il rischio della popolazione occidentale (o che si sta occidentalizzando) è comunque elevato; il
medico può usare meglio il suo tempo, ad esempio discutendo col paziente sullo stile di vita; il tailoring solitamente
comporta un sottotrattamento. Rodgers discute anche degli aspetti pratici del progetto Polypill: i trial
clinici (v. prima), gli incentivi commerciali (prodotto a basso margine di profitto ma ad alto volume di vendite), la
riluttanza dei governi a finanziare interventi a basso costo. E ritiene anche che un grosso ostacolo alla Polypill sia
di ordine filosofico: le malattie cardiovascolari sono viste come una causa di morte “naturale”, diversamente ad
esempio dai tumori, ed è molto diffusa la percezione che “i farmaci sono cattivi”. E conclude affermando che “the
Polypill is the most important therapy doctors can use to prevent cardiovascular diseases”.
La mia opinione
Vedo nel progetto Polypill più possibili benefici che potenziali pericoli. Nel mondo occidentale la personalizzazione
della terapia può esser egualmente perseguita con adeguate alternative di composizione, fermi restando i vantaggi
di praticità e semplicità della pillola unica. Sta al medico impedire che l’assunzione della Polypill distolga il
paziente dalla prevenzione non-farmacologica, dedicando a ciò anche il tempo risparmiato nell’istruirlo
dettagliatamente sull’assunzione di cinque o sei farmaci separatamente. Quanto alle interazioni multiple, con la
polifarmacoterapia siamo ormai addestrati a convivere. Infine, penso che l’impatto benefico maggiore si prospetti
per la prevenzione primaria nei Paesi in via di sviluppo, e mi stupisco delle troppo poche valutazioni in questo
senso sia nel Forum che nella letteratura internazionale.
5

6
Forum virtuale su:
Una nuova proposta strategica per ridurre la
patologia cardiovascolare dell’80%
Virtual forum:
A strategy to reduce cardiovascular disease by more
than 80%
Nel Giornale Italiano di Cardiologia Pratica/Italian Journal of Practice Cardiology,
edito in Dicembre 2003 sono state riportate le prime risposte che hanno fatto seguito
all’articolo di N.J. Wald e M.R. Law comparso alcuni mesi fa sul British Medical
Journal, articolo che ha suscitato tanto interesse e tanti contrastanti commenti.
In quel numero abbiamo riportato i pareri di alcuni esponenti della Cardiologia
Italiana con attività prevalente in ambito Universitario ed Ospedaliero. In questo
numero vi sono altre risposte ricevute da Colleghi interessati all’argomento indipendentemente
dalla loro collocazione professionale. Con la sintesi riportata
nell’Editoriale del Prof. Enrico Geraci si conclude, in atto, questo Forum Virtuale su
un argomento tanto controverso.
In the December 2003 issue of Giornale Italiano di Cardiologia Pratica/Italian Journal
of Practice Cardiology the first answers to N.J. Wald and M.R. Law’s article in the
British Medical Journal were published. This article has caused much interest as well
as contrasting comments. In that issue we quoted the opinions of some exponents of
Italian Cardiology having a prevalent activity in University circles and hospital services.
In this issue we are reporting further answers coming from Colleagues interested
to the subject, apart from their professional setting.
Sergio Coccheri
Professore Ordinario di Malattie Cardiovascolari (Angiologia), Università di Bologna
Via Massarenti, 9 40138 – Bologna
Tel. e Fax 051-6364668, e-mail: coccheri@med.unibo.it
Considerazioni metodologiche sulla “Polypill”
Sulla “Polypill” di Wald e Law, definita “in grado di prevenire l’80% degli eventi
cardiovascolari”, è difficile dire di più di quanti mi hanno preceduto su questo Giornale.
Cercherò allora di cambiare angolo visuale e di risalire alle radici lontane di
questa proposta.
Rivolgendo uno sguardo critico all’andamento (dovremmo forse dire alla “deriva”?)
che ha caratterizzato la sperimentazione clinica negli ultimi venti anni debbo
dire che il concepimento e la nascita della “Polypill” non mi hanno per nulla
meravigliato.
Si tratta infatti del risultato logico e naturale di una particolare concezione della
moderna trialistica, delle sue implicazioni aritmetiche, e in sostanza delle sue modalità
di applicazione alla pratica clinica (Coccheri 1992).
Nella 2 a metà del ‘900 prese corpo un fondamentale dibattito sull’essenza e l’uso
della statistica. Per alcuni (A. Wald 1950) la statistica è una metodologia atta a fornire
risultati pronti per essere applicati direttamente al processo della decisione,
per esempio terapeutica. Per altri (Fisher, citato da Leroy Folks 1981) essa invece è
una vera e propria scienza, capace di “formare un’opinione”, ma comunque un’opinione
critica, non traducibile meccanicamente in scelte operative. Fisher riteneva
anche che solo il pensiero umano (nel nostro caso il pensiero o lo “sguardo” clinico)
fosse capace di “interpretare” i dati forniti dalla statistica incorporandoli “in un
più vasto complesso di conoscenze non completamente formalizzabili e quantifi-

cabili”, quali quelle derivanti dall’esperienza, e da molte altre variabili essenziali
per il clinico (Weill 1971). Se così non fosse potremmo delegare le nostre decisioni
terapeutiche a un computer appositamente “caricato” con tutte le informazioni
provenienti dai trials e dalle metanalisi (Meinert 1989), abdicando così alla nostra
funzione clinica; ma, ritengo, con grave danno per i pazienti.
Purtroppo, negli ultimi venti anni ha decisamente prevalso la visione strumentale
e direttamente operativa della statistica. I risultati numerici dei trials vengono
presi “ad litteram” e applicati direttamente alla pratica clinica e all’economia sanitaria.
Si dimentica che i risultati aritmetici di un trial dovrebbero essere presi
come una espressione “modale” (per es. attività o non attività di un farmaco)
piuttosto che aritmetica (Toulmin 1975, Vineis 1990). Per questo non sono corretti
i confronti indiretti tra farmaci diversi studiati in trials diversi; né è giustificato
classificare un farmaco come più attivo di un altro in base al “Number Needed to
Treat”, se i due farmaci sono stati studiati in trials diversi.
In questo clima di uso direttamente operativo della quantificazione statistica, che
io vedo come un fatto decisamente anticulturale, nasce una “pallottola magica”,
un polifarmaco in cui la scelta (e il dosaggio) dei componenti è basata esclusivamente
sui risultati “aritmetici” di trials precedenti, presi “alla lettera”, applicati
meccanicamente e senza il vaglio critico della prova sul campo. Si arriva per esempio
ad affermare un ben poco dimostrato effetto di potenziamento tra i farmaci attivi
sui vari fattori di rischio, mentre in qualche caso i vantaggi potrebbero anche
parzialmente elidersi, per quanto ne sappiamo! Ancora, dopo anni di diffidenza
verso le associazioni precostituite di farmaci, e proprio quando la ricerca genetica
potrebbe cominciare a darci informazioni su chi sono i soggetti maggiormente
predisposti e quindi da sottoporre a più attenta profilassi, si prevede la
somministrazione indiscriminata della “pillola magica” a tutte le persone che abbiano
superato i 55 anni!
Peraltro, a questo siamo arrivati anche perchè l’impostazione sempre meno selettiva
dei grandi trials clinici ha portato certamente ad una maggiore generalizzabilità
dei loro risultati, ma ha anche modificato l’indicazione di molti farmaci, suggerendo
ad esempio che le statine funzionano anche in coloro che hanno un
colesterolo normale, gli anti-ipertensivi anche nei normotesi, l’acido folico anche
se l’omocisteina è bassa, e così via.
Le conseguenze di questa situazione? Da un lato una continua “rifondazione”
delle basi razionali delle varie terapie (le statine agiscono anche sugli endoteli, gli
anti-ipertensivi sono comunque cardioprotettivi ecc.) e dall’altro un continuo
riaggiustamento dei valori “normali” di colesterolo, pressione ecc., fino alla progressiva
abolizione di ogni “cut off” in nome del concetto di un rischio “continuo”
basato sulla ovvia considerazione della inesistenza di un “rischio zero”.
Un’ultima considerazione: gli Autori hanno una tale fede nei procedimenti matematici
da affermare che la Polypill non avrà bisogno di essere sperimentata sul campo
con trials di efficacia, ma solo con studi di tolleranza, fattibilità, ecc. I dati aritmetici
dei trials già compiuti sulle singole sostanze potrebbero quindi soppiantare le
sperimentazione diretta del polifarmaco! O si tratta piuttosto di un escamotage
per evitare il confronto con farmaci somministrati in maniera mirata e “su misura”,
e per non scontrarsi con l’opposizione, prevedibile, dell’industria farmaceutica?
Tutto ciò che ho detto, a una lettura disattenta potrebbe farmi passare per uno
che non crede nei trials clinici e nella medicina basata sull’evidenza. Non è così;
ritengo invece che i trials clinici randomizzati e controllati, e in talune situazioni
anche gli studi osservazionali ben impostati e condotti, siano ciò che abbiamo di
meglio per formarci una cultura, che poi ci permetterà di prendere le giuste decisioni
cliniche. Come la democrazia, anche i trials clinici non sono perfetti ma non
se ne può fare a meno. E non se ne deve abusare: l’estremismo statistico non può
annullare il nostro ruolo di “esseri pensanti responsabili e indipendenti”, una definizione
di Fisher che ben descrive le caratteristiche ideali di coloro che hanno
responsabilità cliniche.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
1. Coccheri S. Trials and meta-analyses of antiplatelet agents: from the computer to the bedside.
In “Thrombosis, an update” Scientific Press, Firenze 1992, 111-18
7

8
2. Vineis P. Modelli di rischio. Epidemiologia e causalità. Torino, Einaudi, 1990.
3. Toulmin S. Usi dell’argomentazione. Torino, Rosemberg e Sellier, 1975.
4. Leroy Folks J. Ideas of statistics. New York, J Wiley and Sons, 1981.
5. Wald A. Statistical decision functions. New York, J Wiley and sons, 1950.
6. Meinert C. Meta-analysis: science or religion? Controlled clin trials 1989; 10: 257S-283S.
7. Weil S. Sulla scienza. Torino, Borla, 1971.
Vittorio Panno
Cardiologo
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Tel.: 091-941387, e-mail: pannovit@tin.it
L’idea di Wald e Law di curare con una maxipillola (contenente ben sei molecole
farmaceutiche: a. folico, ac. salicilico, statina ed a dosaggio dimezzaro un diuretico
tiazidico, un BB, un ACE) tutte le persone con un precedente accidente CV o tutte
le persone over 55 anni in prevenzione primaria, a prima vista, sembrerebbe la
panacea di tutte le terapie.
Cosa di meglio di una polipyll che, con una sola assunzione al giorno, in base ai
loro studi di metanalisi ridurrebbe del 88% gli accidenti CV e del 80% gli infarti?
Sembra concretizzarsi una antica ambizione della medicina: risolvere in un solo
colpo buona parte (le malattie cardiovascolari) dei mali della popolazione.
Questa ipotesi affascinante cozza contro due diverse evidenze che noi cardiologi
del territorio sperimentiamo tutti i giorni: evidenze di tipo scientifico ed evidenze
di tipo gestionale legate al singolo paziente.
Dal punto di vista scientifico: 1) quali evidenze ci sono per l’acido folico? 2)Questa
stessa terapia non meriterebbe ulteriori studi di controllo condotti secondo le
regole rigide della ricerca scientifica?
E lo stile di vita? Non si rischia di sottovalutare e mettere in secondo piano tutti
quei FR ben noti e scientificamente provati (fumo, alimentazione, stress) che giocano
un ruolo certamente non secondario nella genesi delle malattie CV?
Per quanto riguarda invece l’aspetto quotidiano del nostro lavoro di cardiologi
pratici del territorio, gli studi EBM sono la base scientifica del nostro lavoro quotidiano,
ma il paziente, che noi ci ritroviamo di fronte dall’altro lato della scrivania,
è lui da solo il nostro universo statistico, ha una sua storia, un suo metabolismo,
un suo approccio psicologico alla propria malattia, una sua risposta personale alle
posologie dei farmaci, una compliance tutta sua alla malattia per cui la terapia
deve essere individualizzata sulla base della risposta unica ed irripetibile del paziente
che stiamo curando.
Pertanto in conclusione ritengo che questa affascinante ipotesi vada suffragata da
ulteriori e rigorosi studi scientifici e che soltanto quando la posologia dei vari
medicamenti che noi somministriamo al nostro singolo paziente corrisponde a
quelli della polipyll possiamo somministrarla migliorando certamente la compliance
del paziente, fattore indubbiamente non trascurabile.
La fotografia che si ottiene utilizzando una macchina fotografica con obiettivi
manuali è sicuramente migliore di quella scattata con una macchina fotografica
automatica!
Raffaele Maio
Cattedra di Medicina Interna Università degli Studi Magna Grecia di Catanzaro
Via T. Campanella 88100 – Catanzaro
Tel.: 0961712399 – Fax: 0961775564, e-mail: raf-maio@yahoo.it
Una nuova proposta strategica per ridurre la patologia
cardiovascolare dell’80%
La pubblicazione, nel giugno dello scorso anno, su British Medical Journal dell’articolo
di NJ Wald e MR Law dal titolo “A strategy to reduce cardiovascular disease

y more 80%” ha scatenato un effetto dirompente nell’ambiente cardiologico
mondiale come testimoniato, tra l’altro, dall’elevato numero di pubblicazioni al
riguardo apparse nei mesi successivi. I motivi di tale effetto sono, a mio avviso,
molteplici, e abbracciano diversi aspetti dell’ars medica. Infatti, se da un lato la
loro proposta rende soddisfazione alla, mai troppo sopita, illusione del medico di
poter fornire la panacea per le malattie dell’uomo, dall’altro gratifica il ricercatore
della buona qualità della propria ricerca. Alcune considerazioni devono, però, essere
fatte circa la reale possibilità di utilizzare una polipillola per la prevenzione
delle malattie cerebro-cardiovascolari. Gli Autori accompagnano la loro pubblicazione
con altri due lavori, molto ben strutturati, in cui effettuano una precisa e
dettagliata revisione della letteratura sugli effetti dei farmaci antiipertensivi (1) e
ipocolesterolemizzanti (2). Proprio dai risultati ottenuti da queste due metaanalisi
prende corpo l’ipotesi che un cocktail di farmaci a dosaggi ridotti, possa ridurre
notevolmente l’insorgenza di nuovi eventi cerebro-cardiovascolari minimizzando
i possibili effetti collaterali (8-16%). Inoltre, per giungere alle loro conclusioni, gli
Autori utilizzano sia i risultati delle metaanalisi che la metodologia della teleoanalisi
(3) che combina tra loro i dati ottenuti da differenti tipi di studi per dimostrare che
l’effetto di un intervento su un end-point intermedio è potenzialmente in grado di
predire l’effetto su un end-point hard come la morte, l’infarto o lo stroke. Se questa
metodologia trova un valido substrato statistico, bisogna, però ricordare due
cose: primo, la validità dei risultati delle metaanalisi non è uguale a quella dei trials
condotti in doppio cieco; secondo, gli studi clinici controllati sono ben lontani dal
rappresentare la popolazione generale e non sempre è possibile estendere completamente
i loro risultati ai pazienti ambulatoriali. Infatti, l’entità degli effetti registrati
in questi studi è legato strettamente all’elevata compliance raggiunta che
risulta essere molto distante da quella presente nel mondo reale. Analogamente,
la frequenza di effetti collaterali, tale da indurre la sospensione di una data terapia,
è significativamente più alta nella pratica clinica rispetto a quella riportata nei trials.
Inoltre, ipotizzare che l’utilizzo di alcune associazioni farmacologiche precostituite
riesca a raggiungere un dato effetto biologico senza che ciò sia stato provato da
studi clinici controllati, rappresenta un azzardo che il mondo cardiologico ha già
negativamente sperimentato al tempo del CAST. Un’altra considerazione da fare è
che il risultato di ogni tipo di intervento è strettamente collegato al rischio di base
della popolazione considerata e, pertanto, non è ragionevole ipotizzare una strategia
farmacologia di massa a prescindere dalla valutazione dei fattori di rischio ai
quali essa è esposta. Infatti, per esempio, somministrare associazioni di farmaci
ipotensivanti, il cui effetto stimato è pari a circa 10 mm Hg, senza considerare i
valori di pressione iniziale potrebbe comportare la comparsa di insufficienza renale
da ipoperfusione in pazienti con ipotensione preesistente. Questo ed altri esempi
rendono assolutamente poco etico pensare di somministrare, come proposto, una
terapia polifarmacologica a tutti coloro che abbiano superato i 55 anni di età indipendentemente
dal loro profilo di rischio. Ciò anche in considerazione del fatto
che la scarsa capacità dei singoli fattori di rischio (pressione arteriosa, colesterolemia,
e omocisteinemia) di individuare i soggetti che andranno incontro ad un evento
grave, addotta dagli Autori quale giustificazione alla loro proposta, riconosce oltre
ad importanti implicazioni etiche, anche delle imprecisioni metodologiche, come
quella dell’utilizzo della pressione arteriosa diastolica quale indicatore di rischio.
Infatti, è ormai ampiamente dimostrato il ruolo predominante della pressione
sistolica nel determinismo degli eventi cerebro-cardio-vascolari. In ultimo, non
bisogna dimenticare che tra tutti i fattori di rischio quello maggiormente presente
nei soggetti affetti da eventi coronarici acuti di entrambi i sessi, in tutti i paesi
europei, è l’obesità addominale (4). Questa, assolutamente ignorata da Wald e
Law nel loro lavoro, rende spiegazione di molti altri fattori di rischio quali, l’ipertensione
arteriosa, l’ipercolesterolemia, l’iperinsulinismo etc, e risente in maniera
importante di quelle semplici norme igienico dietetiche alle quali i due autori rinunciano
a priori. Questo tipo di approccio oltre ad ignorare colpevolmente la
capacità terapeutica della corretta alimentazione e della moderata e costante attività
fisica rappresenta una resa senza condizioni ad un tipo di modello di vita da
più parte considerato nefasto. Ciò nonostante, la provocazione di Wald e Law ha
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avuto l’indubbio vantaggio di sottolineare alcune importati questioni oggi sul tappeto
quali l’opportunità, riconosciuta dalle recenti linee guida americane ed europee
(5,6), di utilizzare le associazioni farmacologiche a dosaggio ridotto nel trattamento
dell’ipertensione arteriosa e la necessità di considerare i pazienti non in
base alla loro singola manifestazione clinica ma in rapporto al loro profilo globale
di rischio. Inoltre, rimarca la necessità di utilizzare in pazienti ad elevato rischio
cardiovascolare tutti quei farmaci, quali gli antiipertensivi, le statine e gli antiaggreganti
piastrinici che si sono dimostrati in grado di ridurre in maniera significativa
ed inequivocabile gli eventi cerebro-cardio-vascolari. Tutto questo quando gli
studi epidemiologici continuano a mostrare gli scarsi risultati ottenuti in campo di
controllo e trattamento dell’ipertensione arteriosa, e di aderenza alle indicazioni
per la prescrizione delle statine.
In conclusione, mi sembra opportuno, a prescindere da tutte le analisi statitische
e gli artifizi matematici, che ognuno di noi cardiologi, ma ancor prima medici, si
riappropri della propria “arte medica” e abbandoni prontamente tutte le illusioni
di onnipotenza che possono derivare dalla prescrizione di una pillola miracolosa.
BIBLIOGRAFIA
1. Law MR, Wald NJ, Morris K et al. Value of low dose combination treatment with blood pressure
lowering drugs: analysis of 354 randomised trials. BMJ 2003:326; 1427-31.
2. Law MR, Wald NJ. Quantifying effect of statin on low density lipoprotein cholesterol, ischeamic
heart disease, and stroke: systematic review and meta-analysis. BMJ 2003:326; 1423-27.
3. Wald NJ, Morris K. Teleonalysis: combining data from different types of study. BMJ 2003:327;
616-8.
4. EUROASPIRE II Study Group. Lifestyle and risk factor management and use of drug therapies in
coronary patients from 15 countries. Principal resultes EUROASPIRE II. Euro Heart Survey
Programme. Eur Heart J 2001:22; 554-72.
5. National High Blood Pressure Education Program Coordinating Committee, The Seventh Report
of the Joint National Committee on Prevention, Detection, Evaluation, and Treatment of High
Blood Pressure. The JNC 7 report. JAMA. 2003;289:3560-72.
6. Guidelines Committee. 2003 European Society of Hypertension–European Society of Cardiology
guidelines for the management of arterial hypertension. Journal of Hypertension 2003:21;
1011–53.
Guido F. Guida
Servizio di cardiologia D.S. 14, ASL 6, Palermo
Tel. 3487490793 - www.guidofguida.it, e-mail: gfguida@tin.it
L’articolo di N J Wald e M R Law pubblicato sul BMJ del giugno 2003 indubbiamente
possiede intuizioni ed osservazioni molto interessanti.
Gli autori, infatti, riuscirebbero, con una semplice ricetta nata dalle evidenze di questo
ultimo ventennio a ridurre drammaticamente (dell’80-88 %) nei soggetti con più
di 55 anni l’epidemia cardiovascolare con la quale il cardiologo si confronta quotidianamente.
Il tutto con una compressa che comprende 4 principi farmacologici.
Sembra l’uovo di colombo, una intuizione geniale per la semplicità della proposta.
Una compliance massima, un’efficacia incredibile!
L’Editore del BMJ accredita l’articolo tra i più importanti di questi ultimi 50 anni. Il
Newsweek dell’8 dicembre 2003, settimanale anglosassone di informazione e
cultura, lo ha incluso tra le dieci più importanti pubblicazioni mediche.
Il sottoscritto, cardiologo clinico e non epidemiologo, vorrebbe segnalare alcune
osservazioni a proposito della cosiddetta “polipillola”:
Quali potrebbero essere i migliori dosaggi da utilizzare nella combinazione proposta?
Non credo quelli proposti. Gli ultimi studi di prevenzione (Hope, Europa,
HPS, CHARM per citarne alcuni) ci presentano infatti dosi sempre crescenti che si
discostano da quelli della nostra pratica.
Ma se a sostegno della “polipillola” le ultime linee guida sull’ipertensione propongono
ufficialmente associazioni farmacologiche per massimizzare l’efficacia e
ridurre gli effetti collaterali nelle linee guida per lo scompenso cardiaco si racco-

manda la massima dose tollerabile dei principi utilizzati.
E comunque, la nostra attività clinica negli ultimi anni non è stata improntata alla
ricerca della cosiddetta self-tailored therapy? Alcuni cardiologi (forse a torto) non
vogliono utilizzare neanche associazioni precostituite classiche del commercio (tipo
ACE-inibitori e diuretici o betabloccanti e diuretici).
Ed ancora: perché limitarsi ai 4 principi farmacologici indicati e non includerne
altri come ad esempio gli acidi grassi omega 3 (GISSI prevenzione) o gli antiossidanti
(ancora per poco tempo ingiustamente non sottoposti al vaglio di studi ad hoc)?
Certo il lavoro di Wald e Law è statisticamente corretto frutto di meta-analisi, trial
randomizzati e studi coorte, ma sappiamo che la medicina non è pura matematica.
Tante volte 2 + 2 possono dare 3 o 5: l’attesa riduzione degli eventi cardiovascolari
del 61% o del 46% riducendo con le statine o gli antiipertensivi rispettivamente
il colesterolo e la pressione arteriosa non si è mai realizzata in alcun trial.
E poi, non esiste in alcun trial una compliance del 100% come in quello di Wald e
Law. Ed infine è tecnicamente possibile realizzare l’associazione dei farmaci contenuti
nella “polipillola”? Quali nuovi possibili effetti collaterali e nuove cause di
morte potrebbero sorgere? Ad esempio è nota una interazione negativa tra acido
acetilsalicilico ed ACE-inibitori.
Tutto questo per chiedersi volendo passare alla pratica: quanto costerebbe un
trial multicentrico randomizzato placebo controllo che dovrebbe valutare e confrontare
dosaggi diversi di 4 o più farmaci contemporaneamente con end point
quali morbilità e mortalità cardiovascolare?
Chi finanzierebbe un progetto del genere senza un chiaro ritorno?
In conclusione se l’articolo in via teorica mostra enormi benefici sulle malattie
cardiovascolari, nella pratica restano i problemi del quotidiano con la soggettività
della risposta farmacologica. L’idea di associazioni farmacologiche ampie (2-3
sostanze), memore del lavoro di Wald e Law, dovrebbe comunque essere più
perseguita.
Alla fine, però ricordiamoci che continueremmo sempre a colpire nel mucchio
come abbiamo fatto fino ad ora.
Per il futuro penso che più che continuare a “medicalizzare” la società la vera
rivoluzione dovrebbe essere quella di usare farmaci intelligenti e selettivi per popolazioni
e soggetti identificati a rischio. Cioè un uso razionale ed estensivo dei
nuovi test genetici e della farmacogenetica.
Alberto Galassi
Primario Emerito Osp. Cannizzaro, Via Macallè, 29 Catania
Tel. 095-7111133
Ho letto con molto interesse i commenti pubblicati sul Giornale Italiano di
Cardiologia Pratica da Te diretto, sulla Polipillola brevettata dagli epidemiologi NJ
Wald e MR Law, da impiegare nella prevenzione farmacologica cardio-vascolare
sia primaria che secondaria.
Condivido le perplessità espresse nei vari interventi, in particolare quanto sottolineato
in maniera recisa da Bruno Magnani, con ironia da Eligio Piccolo e da
Odoardo Visioli, con circostanziate motivazioni da Paolo Verdecchia.
Per rimanere nel concreto a me sembra che uno dei punti più cruciali del problema
sia il fatto che la Polipillola comprende determinati farmaci nella sua composizione.
Tali farmaci dei quali è più che ampiamente dimostrata l’efficacia, possono
tuttavia in certi casi singolarmente non essere consigliabili per un determinato paziente
ovvero essere a rischio per lo stesso. Tipico, quasi banale esempio, può essere
l’aspirina con riferimento a soggetti predisposti ad una diatesi emorragica.
Tale considerazione può farsi per ciascuno degli altri farmaci che costituiscono la
Polipillola, in quanto per ogni singolo farmaco vi potrebbero essere alcuni pazienti
per cui esso non è appropriato. Di conseguenza una percentuale non indifferente
di soggetti, potenziali fruitori della Polipillola, potrebbe non poterne fare uso.
Per converso non sono certo rari i soggetti, in tema di prevenzione primaria o
secondaria, che possono avvalersi di altri farmaci oltre a quelli previsti per la
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Polipillola. Tipico esempio potrebbero essere gli antidiabetici orali per una fascia
di soggetti specie della terza età.
Ecco perché alla luce di quanto detto credo si possa asserire che la concreta possibilità
di impiego, ovvero quella che chiamerei la dinamicità operativa della
Polipillola, appaia piuttosto ridotta.
Quanto sopra senza nulla togliere pro e contro le problematiche evidenziate da
chi ha affrontato il problema, sotto il profilo dei costi, dei brevetti, della confezione
della Polipillola e via dicendo. Le varie situazioni potenzialmente possibili in
cardiologia sono cosi numerose e talvolta strettamente dissimili da far dubitare
che la proposta della Polipillola possa presentare in concreto un toccasana.
Ecco perché a mio modesto avviso ritengo che i due studiosi Wald e Law, da
ritenersi ottimi epidemiologi, siano tutt’altro che sostenitori di una prioritaria concezione
clinica di ogni evenienza cardiologica!
La moderna epidemiologia ha fatto passi da gigante come la diagnostica strumentale,
peraltro quest’ultima sempre più diffusa, sempre più costosa e di di raro
inutile. Ritengo però che la vera cardiologia sia e rimanga cardiologia clinica.
Francesco Enia
Direttore UO Cardiologia II AO, Ospedale V. Cervello – Palermo
Via Liszt, 47 Palermo
Tel. 0916802694, e-mail: fenia@tin.it
Virtual forum: A strategy to reduce cardiovascular disease by
more than 80%.
La proposta di Wald e Law è indubbiamente interessante, ma va analizzata con
quella sufficiente freddezza di giudizio che immunizzi dai facili entusiasmi. Mi
limito a ricordare brevemente tre punti sui quali riflettere.
1. È opportuno non dimenticare che la “polipillola” è ancora un fatto virtuale e
non reale. Wald e Law hanno compiuto a tavolino un lavoro del tutto teorico.
Hanno considerato i dati della letteratura sulla probabilità di riduzione del rischio
di cardiopatia ischemica e stroke con l’uso di alcuni farmaci. Hanno quindi valutato
(teoricamente) cosa succederebbe se alcuni di questi farmaci (sei nella loro
analisi: una statina, un diuretico tiazidico, un beta-bloccante, un ACE-inibitore,
l’aspirina e l’acido folico) venissero presi insieme. A questa domanda si può rispondere
con quella che, nel calcolo delle probabilità, viene chiamata “la regola
della moltiplicazione”: moltiplicando la probabilità di un evento (riduzione del
rischio con un farmaco) per la probabilità di un altro evento indipendente (riduzione
del rischio con un altro farmaco) si ottiene la probabilità di quell’evento se
i farmaci fossero presi insieme.
Wald e Law hanno valutato il rischio relativo, che è il complemento degli eventi
prevenuti dal farmaco (cioè, se un farmaco previene il 61% di eventi, il complemento,
espressione del rischio residuo, sarà 100-61 = 39% o 0.39). Moltiplicando
i rischi relativi dei sei farmaci scelti, sono stati ottenuti i dati spettacolari segnalati.
Tutto questo però deve essere confermato da trial clinici randomizzati, come correttamente
ammettono gli stessi autori, anche se la notizia è stata riportata con
grande clamore dai mezzi di comunicazione (per esempio, il 95% degli intervistati
dalla CNN si è dichiarato disponibile a prendere la polipillola). In una lettera
Adam Jacobs si chiede sarcasticamente se la evidence-based medicine non corra il
rischio di diventare popularity based medicine (British Medical Journal, 2003;327;
3 ottobre).
Il trial clinico randomizzato è necessario per il salto dalla valutazione teorica alla
realtà. Solo in tal modo possiamo capire, per esempio, se eventuali (e auspicabili)
effetti positivi non vengano superati da imprevedibili effetti negativi delle varie
associazioni (che lo studio a tavolino non può prevedere in alcun modo).
2. Indubbiamente, la generalizzazione indotta dalla “polipillola” (tutto per tutti
dopo i 55 anni) indebolisce la peculiarità del rapporto medico-paziente che porta

a scelte personalizzate: quali fattori di rischio correggere? quale dosaggio dei
farmaci adoperare? quale farmaco evitare per gli effetti collaterali? Ovviamente,
in un auspicabile trial clinico randomizzato occorrerà confrontare queste due strategie:
la personalizzazione dell’approccio terapeutico-preventivo versus la
generalizzazione della “polipillola”. Occorrerà inoltre confrontare due popolazioni
che possono essere molto diverse: coloro che hanno fattori di rischio (che
costituiscono la maggior parte dei pazienti studiati nei trial e nelle metanalisi
valutate) e coloro che hanno raggiunto i 55 anni senza fattori di rischio.
3. Trascinati dall’entusiasmo, alcuni hanno proposto di associare altri farmaci,
sicché la “polipillola” rischia di diventare una “megapillola”; tra le varie proposte:
aggiungere un ansiolitico, aggiungere la metformina (vista la grande diffusione
del diabete mellito di tipo II, definito l’epidemia del XXI secolo). Si corre il rischio
di contribuire all’inarrestabile e per certi versi esasperante “medicalizzazione” della
vita quotidiana, che inizia sin dalla tenera età. Al bambino che studia e che ha
bisogno soltanto della serenità di un solido ambiente familiare, con interventi di
fiducia e responsabilizzazione, vengono somministrate, spesso con la complicità
del medico, “curette ricostituenti”; quel bambino impara una lezione che non
dimenticherà più: ogni problema ha la sua pillola che lo risolve.
Non sarebbe meglio orientare gli sforzi (a livello di programmazione politica sanitaria
e di singolo medico) per correggere errate abitudini di vita e di alimentazione,
con risultati probabilmente più efficaci delle terapie farmacologiche? Paradossalmente
la “polipillola” potrebbe ostacolare questo sforzo. Il detto inglese no
pain no gain potrebbe trasformarsi in un insidioso (e falso) no pain much gain
(perché devo fare questo sacrificio se poi c’è la “polipillola”?).
Franco D’Eredità
Cardiologo accreditato, ASL 6 Via Monti Iblei,45 90146 - Palermo
Tel.: 095518291 – Fax: 091626281, e-mail: francescoderedita@hotmail.com
In risposta al quesito sulla Polypill penso che inserire in una sola compressa tante
molecole per scopo preventivo non mi sembra corretto.
Secondo il mio parere si perde il concetto di finalità di prescrizione perché un
coacervo di farmaci non produce risultati mirati alle necessità del soggetto sia
perché aumenta e non fa discernere eventuali effetti collaterali negativi probabilmente
dovuti a sommatoria di conseguenze di singoli farmaci.
Chiaramente l’articolo che mi è stato sottoposto sembra essere una provocazione;
mi ricorda una frase detta da Fuster durante un convegno, in cui asseriva per
iperbole che il poter dare ad un paziente i farmaci della polypill azzerava la mortalità
in quanto sommando i benefici dei singoli farmaci (ASA, betabloccanti, aceinibitori,
statine…) non si moriva più!
In pratica tutto questo è un’americanata, e come tale deve essere vista!
Maria Strati
Cardiologo ambulatoriale, Via della Pedica,190- 00147- Grottaferrata (Roma)
Tel.: 06940175 - Fax: 069410307, e-mail: strati@tiscali.it
La Polypill? La Pillola della felicità? L’Elisir di lunga vita
(ovviamente in pillola)?.....
A dispetto di molti farmacologi che avranno fatto o faranno, a mio parere, un
balzo dalla loro poltrona e, in qualche caso, per gli Estinti, dai loro loculi,… la
formulazione e l’utilizzo di una compressa multiuso potrebbe essere un grande
traguardo terapeutico o, forse, sarebbe meglio dire, un obiettivo ambizioso da
perseguire in un futuro non troppo lontano; temo, però, che, almeno per il momento,
nonostante i risultati incoraggianti della sperimentazione svolta, si tratti di
una applicazione più teorico-speculativa che di ampio utilizzo nella pratica clinica.
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Personalmente vedrei l’idea applicabile su larga scala nell’ambito della prevenzione
piuttosto che del trattamento terapeutico: un cocktail di Acido acetilsalicilico,
vitamina E, (ma serve davvero?), Omega3, Statina e forse Inibitore dell’Angiotensina
II, preferibilmete di quelli ricchi di “pleiotropismo” ma rigorosamente privi di
effetto ipotensivo…, nei soggetti a rischio, potrebbe avere un razionale e, penso,
riscuotere discreti consensi e adesioni sia da parte dei medici che dei pazienti
(vedi capitolo della compliance…).
La situazione potrebbe complicarsi molto se estesa ai trattamenti farmacologici
veri e propri: come conciliare efficacia terapeutica, dosaggi, attività farmacologica,
farmacocinetica, ritmi circadiani, ipersensibilità, interazioni farmacologiche,
tollerabilità, compliance ed effetti collaterali?
Presumo che questi siano ancora problemi di non facile soluzione a meno che non
si inventino polypills differenziate con il rischio di ricadere nelle terapie tradizionali.
E poi, in confidenza, quanti di noi sarebbero disposti a rinunciare tanto facilmente
al fascino sottile e al magico piacere dell’onnipotenza e dell’alchimia?
Domenico Monizzi
Segretario regionale A.N.C.E. Calabria
ASL 5, Poliambulatorio, C.so Messina – Crotone
Via per Capocolonna s.n. – 88900 – Crotone
Tel.: 3283833821, e-mail: domenicomonizzi@tiscali.it
«Il medico eccellente previene le malattie,
Il medico mediocre cura le malattie incombenti,
Il medico scadente tratta le malattie completamente manifeste»
Neijin di Huang Di
(il Canone di Medicina Interna dell’Imperatore Giallo, 2695-2589 a. C.)
Fin dall’antichità, la prevenzione delle malattie ha avuto un ruolo fondamentale
in tutte le culture mondiali.
Per prevenire le patologie, definite dagli antichi Greci “disarmonie” (Scuola Italica
o Pitagorica, VI secolo a. C.), sono stati utilizzati nella storia tutti i mezzi disponibili
di tipo sia comportamentale che filosofico, religioso, farmacologico.
Le terribili malattie epidemiche, che ancora oggi mietono vittime soprattutto nel
terzo mondo, sono state controllate grazie alle vaccinazioni (chemioprofilassi),
eccellente metodo per prevenire tali patologie.
Non c’è alcun dubbio, che le nuove epidemie del terzo millennio sono le malattie
cardiovascolari ed il cancro, che determinano sempre di più vittime nel mondo
occidentale pari alle grandi epidemie del passato.
Bisogna, però, ammettere che nella pratica clinica quotidianamente constatiamo
il quasi fallimento delle “rinunce”, del sacrificio di tipo alimentare, comportamentale,
vuoi per motivi culturali, vuoi perché la gente ama trasgredire le regole
(è vero che tali interventi dovrebbero essere realizzati nell’età infantile, scolareprevenzione
primordiale).
I due epidemiologi inglesi N.J. Wald e M.R. Law hanno saputo interpretare con la
Polipyll (brevettata), le nuove tendenze dei popoli occidentali che spesso sono
resistenti ad interventi di tipo comportamentale (Euroaspire II, Lancet 2001) e
preferiscono la via chimica, farmacologica delle “pillole per tutte le stagioni”; la
pillola per dimagrire, per fare sesso, per essere felici ecc…
Tutto ciò ha determinato sgomento nella comunità clinica scientifica internazionale
e nel sottoscritto che è abituato a rendere più “umano”, “spirituale” il rapporto
medico-paziente ed a “cucire” l’abito farmacologico su ogni singolo soggetto.
In conclusione, la “simulazione” degli epidemiologi inglesi può suonare come
una provocazione: tuttavia, alla luce delle difficoltà oggettive in termini di prevenzione,
uno studio prospettico, controllato, sarebbe auspicabile per capire se è
l’epidemiologo o il clinico il medico eccellente dell’Imperatore Giallo.

Lo Scompenso Cardiaco: la realtà italiana.
Dati preliminari dello Studio R.I.C.A.
(Registro Insufficienza Cardiaca ANCE)
Heart failure: Italian reality – Preliminary data from
R.I.C.A. Study
B. Dilaghi*, F. Sofi*, V. Romano**, G.F. Gensini* on behalf of Ricercatori ANCE
Coordinatori: L. D’Andrea**, C. Fernandez**, A. Lotto*
Lo scompenso cardiaco è un problema sanitario tra i più rilevanti nei paesi industrializzati. L’incidenza e la prevalenza
dello scompenso cardiaco aumentano con l’età. Dopo i 65 anni l’incidenza è di 11/1000 uomini e 5/1000 donne per
anno, la prevalenza è 40/1000 uomini e 30/1000 donne (1-4). In Italia lo scompenso cardiaco ha un’incidenza molto
simile ai dati soprariportati ed è pari allo 0,1-0,2% con una prevalenza dello 0,3-2%. Tra i ricoveri ospedalieri lo
scompenso cardiaco è il DRG medico più frequente (5). In rapporto all’elevato impatto dello scompenso cardiaco sul
sistema sanitario sia in ambito ospedaliero che extraospedaliero è stato deciso di effettuare uno studio epidemiologico
longitudinale ed è stato disegnato lo studio RICA (Registro Insufficienza Cardiaca ANCE) che ha avuto come ricercatori
i soci dell’ANCE (Associazione Nazionale Cardiologi Extraospedalieri). Questo Registro italiano ha analizzato un ampio
campione di popolazione, di pazienti ambulatoriali con scompenso cardiaco, allo scopo di valutare la gestione generale,
la tolleranza allo sforzo, la qualità della vita e la terapia usata nel “mondo reale” dei pazienti con scompenso
cardiaco.
Heart failure is a very relevant health problem in Western countries. The incidence and the prevalence of heart failure
increase according to age. After 65 the incidence is 11/1000 men and 5/1000 women per year, and the prevalence is 40/
1000 men and 30/1000 women per year (1-4). In Italy the incidence of heart failure is 0.1-0.2% and its prevalence is 0.3-
2%; heart failure represents the first medical DRG (5). In this scenario a longitudinal epidemiological study called RICA
(Registro Insufficienza Cardiaca ANCE) has been designed. The involved investigators belong to ANCE (Associazione Nazionale
Cardiologi Extraospedalieri – National Outpatient Cardiologist Association). This registry analyzed a large sample of the
Italian population of patients with heart failure, with the aim to evaluate general management, stress tolerance, quality of
life and therapy of patients with heart failure in the “real world”.
(It J Practice Cardiol 2004; 2 : 15-20)
Key words: heart failure, theraphy and quality of life
© 2004 Corresponding author: Beatrice Dilaghi, Firenze – e-mail: beatrice.dilaghi@tin.it – Tel. 3334878658
* Dipartimento di Area critico-medico-chirurgica, Azienda Ospedaliera Universitaria, Careggi, Firenze
** Centro Studi ANCE
Premessa
Lo scompenso cardiaco è un problema
sanitario tra i più rilevanti nei paesi industrializzati.
L’incidenza e la prevalenza
dello scompenso cardiaco aumentano
con l’età. Sotto i 65 anni l’incidenza
è 1/1000 uomini per anno e 0,4/1000
donne per anno. Dopo i 65 anni l’incidenza
è di 11/1000 uomini per anno e
5/1000 donne per anno. Sotto i 65 anni
la prevalenza è 1/1000 uomini e 1/1000
donne; dopo i 65 anni la prevalenza è
40/1000 uomini e 30/1000 donne (1-
4). In Italia lo scompenso cardiaco ha
un’incidenza molto simile ai dati
soprariportati ed è pari allo 0,1-0,2%
(87.000 nuovi casi all’anno) con una
prevalenza dello 0,3-2% (circa 600.000
soggetti). Tra i ricoveri ospedalieri è il
primo DRG medico (5).
In rapporto all’elevata prevalenza e all’elevato
impatto dello scompenso cardiaco
sul sistema sanitario sia in ambito
ospedaliero e extraospedaliero è stato
deciso di effettuare uno studio
epidemiologico longitudinale ed è stato
disegnato lo studio RICA (Registro
Insufficienza Cardiaca ANCE) che ha
15

16
Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
avuto come ricercatori i soci dell’ANCE
(Associazione Nazionale Cardiologi
Extraospedalieri).
La cardiologia del territorio rappresenta,
probabilmente, il filtro obbligato tra
medicina di base e quella ospedaliera.
Poter conoscere in termini qualitativi e
quantitativi, attraverso il Registro,
ovverosia mediante l’analisi di un ampio
campione di popolazione, quale è
la situazione italiana in merito alle varie
fasi della insufficienza cardiaca, dalle
più precoci alle più gravi, può consentire
la migliore tipizzazione di questo
paziente, prevalentemente ambulatoriale,
ma che fa ricorso allo specialista.
Tutto ciò può rappresentare un
importante stimolo per i comportamenti
del cardiologo sia per l’azione
parallela alla ricerca quale elemento di
diffusione conoscitiva, sia per l’inevitabile
approfondimento sui provvedimenti
diagnostici e terapeutici che rappresentano
costante momento di riflessione
del medico e in questo caso del
ricercatore.
Metodi
Allo studio hanno collaborato i
cardiologi ANCE in veste di ricercatori,
disposti a registrare casi di insufficienza
cardiaca cronica (esistenza di segni
o sintomi di insufficienza cardiaca; evidenza
di disfunzione ventricolare sinistra;
terapia in atto), osservati sul territorio,
in sede ambulatoriale.
Ogni paziente arruolato nello studio è
stato sottoposto ad una prima visita
basale e poi a visite successive dopo 3
e 6 mesi. Per ogni visita il ricercatore
ha compilato una scheda paziente appositamente
predisposta, riportando i
seguenti dati:
• Dati anagrafici del paziente
• Dati relativi alla diagnosi di Insufficienza
cardiaca
• Esame obiettivo
• Valutazione della comorbilità
• Diagnostica strumentale: Elettrocardiogramma,
Ecocardiogramma
• Esami di laboratorio: Emocromo,
Glicemia, Azotemia, Creatininemia,
Uricemia, Sodio, Potassio, Colesterolo
totale e HDL, Trigliceridi, Esame
delle urine
• Valutazioni funzionali: Classe NYHA,
Scala di Yale (classificazione di
Feinstein), 6-Minute Walk Corridor
Test e il Test da sforzo in un sottogruppo
di pazienti.
• Valutazione della Qualità della vita:
Minnesota LHFQ
• Terapia: Descrizione della terapia
effettuata dal paziente prima della
visita e di quella prescritta dopo la
visita.
Analisi preliminare dei dati
Le schede-pazienti compilate sono state
verificate e inserite nel database in sede
centralizzata. L’analisi descrittiva è stata
effettuata relativamente ai dati della
visita basale e delle modificazioni a 3 e
a 6 mesi rispetto al basale. L’analisi statistica
è stata condotta tramite SPSS.
Al momento l’analisi si riferisce a 1047
pazienti presi in considerazione all’atto
della prima visita, di cui il 41,9%
maschi e il 58,1% femmine. Di questi,
quelli visitati dopo 3 mesi sono stati 756
di cui il 57,5% maschi e 42,5% femmine,
e dopo 6 mesi di cui 57,8% maschi
e 42,2% femmine.
Visita 1
ETÀ: L’età media dei soggetti al momento
della prima visita era 69,7 +
10 anni (range 24-95 anni) di cui il
55% aveva un’età maggiore o uguale
a 75 anni. Nelle femmine l’età
media era di 72,1 ± 9,3 (range 41-
95 anni) mentre nei maschi era di
67,7 ± 10,4 (range 24-92 anni).
OSPEDALIZZAZIONE: alla prima visita
il 64,7% era stato ospedalizzato per
scompenso cardiaco. Il numero medio
di ospedalizzazioni era 2,7±2,2
(1-20), e la durata totale media di
ospedalizzazione per paziente era
25,7±23,7 (1-200).
EZIOLOGIA: l’eziologia più frequente
dell’insufficienza cardiaca dei pazienti
arruolati era quella ipertensiva,
seguita da quella ischemica (vedi
tabella 1).
PRESSIONE ARTERIOSA: i pazienti al
momento della I visita che presentavano
una pressione maggiore o
uguale a 140/90 mmHg erano il
45,5% (vedi Tab. 2).

PAS: pressione arteriosa sistolica, PAD:
pressione arteriosa diastolica
INDICE DI MASSA CORPOREO (IMC):
alla prima visita il valore dell’indice
di massa corporeo era in media 26,7
± 3,9. Inoltre il 18% dei soggetti
aveva un IMC > 30.
PATOLOGIE ASSOCIATE: le patologie
più frequenti nei pazienti associati
erano il diabete e la cardiopatia
ischemica (Tab. 3).
SINTOMI/SEGNI: Fra i pazienti arruolati
i sintomi più frequenti erano la
dispnea da sforzo (88,3%), l’astenia
(61,7%) e il cardiopalmo (44,8%).
Fra i segni più frequenti sono stati
rilevati gli edemi (48,1%), i rantoli
polmonari basali (42,3%) e l’epatomegalia
(36,6%).
TOLLERANZA ALLO SFORZO: Per
quanto riguarda la classificazione di
Feinstein il punteggio medio era 6,2
± 2,6 con un range da 0 a 12. Il 6
Minute Walk Corridor Test è stato
eseguito nel 40,7% e la distanza
media percorsa era di 233±157 m,
con interruzione della prova di solito
per dolori muscolari e palpitazioni.
Il Walk corridor test è eseguito in
misura minore nelle classi NYHA più
gravi: infatti lo seguono il 29,6% dei
pazienti in classe NYHA I, il 41,2%
dei pazienti in classe NYHA II, il
36,1% dei pazienti in classe NYHA
III, solo il 19,4% dei pazienti in classe
NYHA IV.
Il test da sforzo è stato eseguito nel
13,6%.
QUALITÀ DELLA VITA: La qualità della
vita dei pazienti arruolati valutata
con un test specifico per lo
scompenso cardiaco ha mostrato
una qualità della vita compromessa,
con un punteggio medio di 44,5
± 24,5.
GRAVITÀ CLINICA: I pazienti erano per
il 5,2% in classe I NYHA, per il 42%
in classe II NYHA, per il 45,3% in
classe III NYHA, e per il 7,5% in classe
IV NYHA.
Abbiamo valutato la distribuzione
per classe NYHA di alcuni parametri
di solito correlati in letteratura con
la gravità clinica del paziente con
scompenso cardiaco rilevando che
questi variano in modo significativo
(p < 0,00001 nel test ANOVA
Bonferroni) (Tab. 4) con la classe
NYHA.
DTD: Vsin- diametro telediastolico del
ventricolo sinistro; FE – frazione di
eiezione; WCT – Walk Corridor test;
MLHFQ – Minnesota Living with
Heart Failure Questionnaire.
CONFRONTO FRA LE VISITE: per quanto
riguarda i valori di pressione arteriosa
si può notare un miglioramento
del controllo pressorio nel followup
dei pazienti dalla prima visita alla
seconda e terza visita (Tab. 5).
PAS: pressione arteriosa sistolica, PAD
pressione arteriosa diastolica
La percentuale dei pazienti fumatori si
è ridotta in modo significativo dall’arruolamento
alla II e III visita (dal 18,3
al 13,9%), così come l’abuso di alcol
dal 3,1% al 2,6%. La percentuale dei
pazienti sintomatici o con presenza di
Ischemica 364 (34,7%)
Valvolare 217 (20,7%)
Ipertensiva 610 (58,2%)
Diabetica 137 (13,1%)
Congenita 9 (0,8%)
Dilatativi 147 (1,4%)
Alcolica 7 (0,7%)
Altro 25 (2,4%)
PAS 140 < 160 mmHg 217 (20,7%)
PAS > 160 mmHg 509 (48,6%)
PAD < 80 mmHg 137 (13,1%)
PAD > 80 < 90 mmHg 9 (0.9%)
PAD > 90 mmHg 147 (14,0%)
B. Dilaghi et al.
Lo Scompenso Cardiaco
Tab. 1
Eziologia dello
scompenso cardiaco
nel campione arruolato
Tab. 2
Distribuzione per
pressione arteriosa dei
soggetti arruolati
17

18
Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
Tab. 3
Patologie associate
Patologie %
Diabete mellito 30,0
Dislipidemia 47,1
Anemia 9,1
Ipotiroidismo 4,8
Ipertiroidismo 2,9
Broncopneumopatie 26,4
Ipertensione arteriosa 59,5
Fibrillazione atriale 27,3
Cardiopatia ischemica 42,5
Pregresso infarto 31,6
Pregresso ictus 6,0
Arteriopatia periferica 11,7
Nefropatia 10,4
Epatopatia 5,5
Altro 8,2
Fumo 18,6
Alcol 3,1
Tab. 4
Distribuzione per
classe NYHA di alcuni
parametri
Tab. 5
Distribuzione dei valori
di pressione arteriosa
nel follow-up
Tab. 6
Frequenza dei sintomi
e segni di scompenso
cardiaco alle visite
segni clinici di scompenso cardiaco all’arruolamento
si riduceva nel followup
(Tab. 9), come indicato in modo
coerente dall’andamento dei diversi
elementi clinici soggettivi e oggettivi
raccolti.
La distribuzione nelle visite 1, 2 e 3 in
base alla classe NYHA si può vedere
nella tabella 7.
Confrontando la I con la II visita tramite
il test di ANOVA si può notare un miglioramento
della classe NYHA statisticamente
significativo (p< 0,0001), e
questo miglioramento è significativo
anche fra la I e la III visita (p< 0,0001).
Dato che i parametri che sono risultati
correlati con la classe NYHA nel nostro
campione erano la classe Feinstein, la
frazione di eiezione, il diametro telediastolico,
il test del cammino e la qualità
della vita, alcuni di questi parametri
sono stati analizzati in maggior dettaglio
relativamente al loro comportamento
nelle diverse visite dello studio.
Relativamente al test del cammino con-
frontando la I con la II visita tramite il
test di ANOVA si può notare un miglioramento
statisticamente significativo (p
< 0,0001). La distanza percorsa aumenta
alla III visita (p < 0,0001) (Tabella 8).
Nella classificazione di Feinstein il massimo
del punteggio corrisponde a un
paziente in pieno benessere, asintomatico.
Si può notare dalla tabella 5 come
passando dalla classe NYHA I alla classe
IV si ha un peggioramento significativo
del punteggio alla scala di
Feinstein. Al follow-up si può notare un
miglioramento significativo del punteggio
della scala di Feinstein (p < 0,05)
(Tab. 9).
La qualità della vita (punteggio MLHFQ
– Minnesota Living with Heart Failure
Questionnaire) dei pazienti arruolati ha,
come da tempo indicato dalla letteratura
un rapporto inverso significativo con
la classe NYHA. Lo studio RICA conferma
questo dato. Nel follow-up allo spostamento
generale della popolazione in
esame verso un miglior controllo dello
NYHA I NYHA II NYHA III NYHA IV
DTD Vsin 57,7 + 7,7 58,5 + 8,7 61,1 + 13 62,8 + 9,7
FE 45,7 + 10,9 44,4 + 10,1 38,7 + 9,8 32,6 + 11,4
WCT 262,5 + 183,1 250,8 + 212,1 139,4 + 3,7 104,8 + 13,1
Feinstein 10,6 + 1,6 7,6 + 1,6 5,1 + 1,8 2,3 + 1,7
MLHFQ 11,8 + 10,5 31,6 + 18,4 55,1 + 18,9 75,3 + 23
Pressione arteriosa I visita (%) II visita (%) III visita (%)
PAS > 140 mmHg 40,0 27,6 21,6
PAD > 80 mmHg 42,6 29,6 24,2
Sintomi/Segni I visita (%) II visita (%) III visita (%)
Dispnea per sforzi elevati 87,4 84,2 81,9
Dispnea a riposo 12,9 5,4 4,9
Angina 19,2 13,1 11,6
Astenia 59,9 50,8 44,4
Sincope 3,9 1,9 2,0
Cardiopalmo 45,5 29,9 26,7
Nicturia 39,7 34,1 29,0
Gonfiore 49,6 33,2 26,9
III tono 34,1 23,3 19,8
IV tono 19,8 16 14,8
Cianosi 7,2 4,1 4,0
Turgore giugulari 27,4 14,8 13,0
Epatomegalia 38,3 29,1 23,4
Edemi 50,1 30 23,3
Sibili e fischi 21,2 15,2 10,7
Rantoli basali polmonari 44,3 30,3 24,4
Rantoli diffusi 4,3 1,2 1,2

I visita (%) II visita (%) III visita (%)
NYHA I 4,7 7,4 11,8
NYHA II 42,2 61,7 62,1
NYHA III 44,9 26,1 22,4
NYHA IV 8,0 4,7 3,7
I visita (m) II visita (m) III visita (m)
NYHA I 262,5 + 183,1
NYHA II 250,8 + 212,1
NYHA III 138,4 + 100,1
NYHA IV 104,8 + 13,1
Totale 233,5 + 157,1 276,3 + 164,9 294,3 +177,4
I visita II visita III visita
NYHA I 10,6 + 1,6 10,6 + 1,5 10,5 + 1,7
NYHA II 7,6 + 1,6 7,4 + 1,6 7,5 + 1,6
NYHA III 5,1 + 1,8 4,8 + 1,8 5,1 + 2,8
NYHA IV 2,3 + 1,7 2,2 + 1,9 2,4 + 1,9
Totale media 6,1 + 2,6 6,7 + 2,5 7,2 + 1,9
Totale moda 6 6 9
scompenso cardiaco corrisponde un
miglioramento della qualità della vita
testimoniato da una riduzione del punteggio
al test MLHFQ (da 45,6 a 35,5),
con spostamento assai vistoso della
moda dei valori (Tab. 10).
TERAPIA: i farmaci più usati prima dell’arruolamento
erano gli ACE
inibitori e i diuretici. L’utilizzo degli
ACE inibitori è aumentato nella visita
2 e nella visita 3, così come gli
inibitori dell’angiotensina II, i
diuretici e i betabloccanti.
Conclusioni
Da questa analisi preliminare si può
concludere che l’eziologia più frequente
risulta quella ipertensiva. I pazienti
arruolati sono ad alto rischio cardiovascolare
presentando una elevata
comorbilità, dove si può rilevare oltre
all’ipertensione arteriosa e alla cardiopatia
ischemica, il diabete mellito, la
dislipidemia e l’obesità.
Questo studio epidemiologico multicentrico
fornisce una fotografia della
situazione attuale dello scompenso cardiaco
in Italia offrendo informazioni
non solo sull’eziologia, clinica e
patologie associate dei pazienti con
scompenso, ma anche sulla terapia che
quotidianamente viene somministrata
a questi pazienti, e sull’andamento nel
tempo di una condizione clinica ad alta
prevalenza e a prognosi sfavorevole
quale è lo scompenso cardiaco.
Da questa prima analisi dello studio
RICA si può notare come la frequenza
di elementi cruciali per lo scompenso
quali l’ipertensione arteriosa (p <
0,0001), il fumo e l’alcol si riducono
dalla prima alla terza visita. La gravità
delle condizioni cliniche dei pazienti del
campione analizzato nel follow-up si
riduce sia come classe NYHA sia come
punteggio alla classificazione di
Feinstein. La distanza di cammino percorsa
al test del cammino aumenta in
modo notevole (p < 0,0001) e la qualità
della vita subisce un miglioramento
assai rilevante (p < 0,0001).
I pazienti analizzati alla seconda e ter-
VISITA 1 VISITA 2 VISITA 3
NYHA I 11,8 + 10,5
NYHA II 31,6 + 18,4
NYHA III 38,7 + 9,8
NYHA IV 75,3 + 23
MEDIA + DS 45,6 + 24,6 39,3 + 22,3 35,5 + 22,8
MODA 66 21 21
B. Dilaghi et al.
Lo Scompenso Cardiaco
Tab. 7
Distribuzione in base
alla classe NYHA
Tab. 8
Distribuzione in base
alla classe NYHA del
test del cammino nelle
diverse visite
Tab. 9
Distribuzione in base
alla classe NYHA della
classificazione di
Feinstein
Tab. 10
Qualità della vita nei
pazienti arruolati
19

20
Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
Tab. 11
Terapia nelle diverse
visite
VISITA 1 (%) VISITA 2 (%) VISITA 3 (%)
ACE IN 64,4 68,6 65,4
Diuretici 71,7 83,0 78,7
AT II 14,4 31,9 34,3
Betabloccanti 24,0 42,4 42,1
Digitale 47,4 47,4 46,2
za sono meno sintomatici e hanno una
frequenza minore di segni obiettivi di
scompenso cardiaco.
Questi rappresentano solo alcuni risultati
derivanti da una prima analisi di
parte dei dati dello studio, dato che le
informazioni ricavabili da questo studio
sia come analisi della prima visita che
come confronto fra le diverse visite non
permettono di esaurirli nell’arco di poche
pagine. Rimandiamo ad altra sede
per analisi ulteriori dei dati dello studio
e per una loro interpretazione. Peraltro
già a questa prima valutazione appare
evidente il livello elevato di controllo clinico
da parte dei ricercatori ANCE, la
loro aderenza a quanto indicato dalle
linee guida e l’accurato controllo clinico-terapeutico
con tangibili evidenze di
appropriate variazioni delle strategie
terapeutiche nel corso dello studio.
BIBLIOGRAFIA
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hospitalization rates for heart failure in the
United States, 1973-1987: evidence for
increasing population prevalence. Arch
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stroke Statistical update. Dallas, American,
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5. Congestive heart failure in the United States:
a new epidemic. Data facts sheets. Bethesda,
Md: National Heart, Lung, and Blood
Institute, National Institutes of Health;
1996).
Coordinatori
L. D’Andrea (Napoli), C. Fernandez (Palermo),
A. Lotto (Milano)
Ricercatori
M. Ammirati (San Giuseppe Vesuviano)
P. Arricchiello (Napoli)
S. Assennato (Catania)
E. Barbagallo (Catania)
M. Biondo (Palermo)
R. Breglio (Napoli)
M. Brugnetta (Todi)
D. Caira (Leverano)
C. Calcullo (Agrigento)
D. Capobianco (Ponte)
B. Cappelli (Scandicci)
A.F. Carbonari (Gorizia)
G. Cerioli (Reggio Emilia)
A. Ciacciarelli (Bussolengo)
G. Cice (Napoli)
C. Cioppa (Napoli)
C. Cloro (Cosenza)
N.F. Costantino (Napoli)
G. De Benedittis (Lecce)
G. De Felice (Imperia)
S. De Garatè (Cesena)
G. Del Giglio (Verona)
F. D’Eredità (Palermo)
G. Fabiano (Roma)
C. Fabris (Mestre)
F. Fea (Milano)
S. Ferraro (Napoli)
S. Fiorato (Genova)
L. Fontana (Busca)
F. Forlani (Roma)
D. Gabrielli (Ancona)
C. Gatto (Crotone)
P. Gazzaniga (Crema)
C. Genovese (Palermo)
C. Graci (Pisa)
F. Guarnaccia (Frattamaggiore)
N. La Manna (Palermo)
M. Larcher (Rovereto)
M. Lenuzza (Firenze)
R. Longobardi (Castellammare di Stabia)
M. Lupi (Genova)
S. Madoi (Milano)
I. Malik (Feltre)
S. Messina (Canicattì)
A. Mingoia (Palermo)
S. Mininni (Firenze)
D. Monizzi (Crotone)
A. Nani (Milano)
V. Neri (Querceta)
N. Paglia (Napoli)
R. Palermo (Jesi)
V. Pallone (Trestina)
A. Parente (Caserta)
G. Parente (San Pietro in Casale)
T. Perri (Crotone)
P. Peruzzi (Vicenza)
C. Pica (Civitavecchia)
M. Piccoli (Roma)
G. Reforzo (Bordighera)
G. Riommi (Foligno)
G. Roganti (Modena)
M. Romano (Napoli)
C. Russi (San Severo)
G. Sbarbaro (Arcola)
R.L. Selvaggi (Lainate)
G. Selvaggio (Comiso)
G. Sicari (Tremestieri Etneo)
E. Squiccimarra (Bari)
A. Varlese (Agropoli)
G. Zagarella (Petrignano d’Assisi)
R. Zampino (Roma)

Contrast echocardiography: basic principles,
current clinical use and future perspectives
Ecocontrastografia: principi fisici, attuale impiego
clinico e prospettive future
A. Micari*, S. Carerj*, F. Arrigo*, S. Coglitore* e C. de Gregorio
L’Ecocontrastografia Miocardica è una metodica piuttosto recente usata per incrementare il segnale proveniente dal
pool ematico all’interno delle cavità cardiache e del microcircolo coronarico. La migliore visualizzazione del bordo
endocardico permette un’analisi piu accurata della cinetica ventricolare specialmente in pazienti con insufficiente
finestra acustica toracica. Il segnale derivante dai piccoli vasi, arteriole e capillari, consente la valutazione della perfusione
miocardica e la quantificazione del flusso.
Per quest’ultima innovazione metodologica l’ecocontrastografia va inserendosi progressivamente nell’iter diagnostico
della cardiopatia ischemica, consentendo la valutazione dell’area infartuale, l’avvenuta riperfusione o l’innefficacia
della rivascolarizzazione. In modo del tutto non invasivo consente, inoltre, di diagnosticare stenosi coronariche o
autonomamente o aumentando l’accuratezza di metodiche diagnostiche già largamente in uso come l’ecostress.
Nell’articolo vengono descritte le attuali applicazioni cliniche e le future aspettative sia in campo diagnostico che
terapeutico.
Contrast echocardiography is a rather recent technique used to enhance the blood flow signal in microvessels during
ultrasound imaging. In the present review, the authors deal with the methods currently applied in clinical practice and their
use in detecting ischaemic myocardial disease. Future perspectives together with new diagnostic and therapeutic goals are
also examined.
(It J Practice Cardiol 2004; 2 : 21-26)
Key words: Contrast Media, Coronary Artery Disease, Coronary Microcirculation, Echocardiography,
Ischemic Heart Disease
© 2004 ANCE Ricevuto il 20 febbraio 2004; accettato il 31 marzo 2004
Department of Medicine and Pharmacology. Cardiology Unit.
University Hospital of Messina (Italy).
*Temporarily granted at the Cardiovascular Imaging Center, University of Virginia (USA)
Corresponding author: Cesare de Gregorio
Unità Operativa di Cardiologia e Riabilitazione Cardiologica Azienda Ospedaliera Universitaria di Messina
Via Consolare Valeria, 98125 Messina (Italy) – Tel. e fax: 090 672133
e-mail: cesaredegregorio1@virgilio.it
It J Practice Cardiol is available at httpp://www.ancecardio.it
INTRODUCTION
Contrast echocardiography (CE) is a
technique used to enhance the blood
pool during ultrasound imaging. A lot
of specific needs encouraged the development
of methods that use new
contrast agents.
In fact, the endocardial delineation at
transtoracic echocardiography can be
inadequate and often not accurate in
the assessment of systolic function and
chamber’s volume measurement.
Being CE a non invasive and cost-effective
tool for evaluating tissue blood
flow in a lot of clinical conditions, it is
becoming a widely applicable method
even in out-hospital management of
patients with ischaemic heart disease
or failure.
In this review the basic principles of the
21

22
Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
methods along with current clinical
applications and future developments
are examined.
BASIC PRINCIPLES
a) Contrast Agents
Blood pool enhancement is obtained
by using microbubbles. These bubbles
are compressed during ultrasound
wave pressure peak and expanded during
pressure nadir wave. This non linear
oscillation produces a backscattered
signal that is suitable for the imaging
enhancement (1, 2).
Microbubbles are developed to satisfy
the requirements of ideal blood flow
tracer. First of all, they have to be
“hemodinamically inert” in order not
to modify the natural conditions of the
blood flow. Bubbles are “pure intra-vascular
tracers” mixing uniformly with
blood cells and having similar physical
behaviour (3).
In order to avoid plugging and go
through the smallest capillaries they
have to be smaller than 6 micron. Besides,
any interaction with endothelial
surface should also be avoided, so that
another characteristic of bubble’s shells
is a minimal electrostatic charge (4, 5).
Several generation of contrast bubbles
appeared over the last decade. The first
one, which was approved for the left
ventricular opacization (LVO) by the
Food and Drug Administration in USA,
was the Albunex. Bubbles’ shell was
obtained by sonicated albumin (6, 7)
and the gas inside was air. Although
the encapsulation of Albunex reduced
the nitrogen and oxygen outward diffusion,
the gas loss was so fast that produced
a significant volumetric reduction
anyway. The decreasing in size reduced
the backscatter enhancement,
which is normally related to the radius
of the bubbles (8, 9); for this reason
Albunex was abandoned and the bubble
structure modified.
Less soluble gases instead of air were
used afterwards and lipid shells produced
in order to minimize the gas loss
and to stabilize the bubble’s volume.
Main currently used agents are shown
in table I.
b) Methods
The physical basis of CE is to receive
signals from microbubbles rather than
from tissues. While tissues produce linear
ultrasound signal, microbubbles
produce non-linear signals (10). If both
transmitting and receiving signals are
identical (fundamental frequency
imaging) there is a little difference between
tissue and contrast.
If receiving frequency is twice (or more)
than transmitting (eg. in harmonic
imaging) a wide separation of the two
signals, leading to an optimal differentiation
between blood pool and tissue,
is provided (11, 12). The differentiation
between bubbles and tissue is greater
when receiving frequency is between
the second and the third harmonic (ultra-harmonic
imaging) that is able to
optimise the signal-to-tissue ratio (12).
Backscatter intensity depends on the
transducer power (13). Usually, the ultrasound
system power is measured as
“mechanical index” (MI) that is proportional
to the acoustic pressure. This latter
parameter can be set between a
very low power (< 0.1), which does not
induce bubbles destruction, to a very
high power (> 0.8), which causes bubbles
instability and explosion with subsequent
strong harmonic signals.
MAIN CLINICAL USE
1) Left Ventricular Opacization
Assessing the systolic function is a crucial
point in the diagnosis of cardiac
diseases. An endocardial border enhancement
is required to detect wall
motion abnormalities as well as to obtain
reliable ejection fraction assessment.
Although technological advances as
harmonic imaging have been implemented
to improve the endocardial
border detection, the method still appears
to be inadequate in such situation
as obesity, chest operation or deformity,
pulmonary obstructive diseases,
etc.
For these reasons, LVO is increasingly
used to enhance the visualisation of the
cardiac chambers, but it requires a
rather low MI (< 0.6). More accurate

Name shell gas inside available in Italy
Albunex Albumin Air D
Optison Albumin Octofluoropropane N
Definity Lipid/surfactant Perfluoropropane N
Sonazoid undisclosed Perfluorobutane N
Sonovue Lipid Sulphur hexafluoride Y
Levovist Lipid/galactose Air Y
Sonovist Cyanoacrylate Air N
Echovist Galactose matrix Air N
Quantison Albumin Air N
Imavist Surfactant Perfluorohexane/Air N
Bispheres Polymer/albumin Air N
Cavisomes Polymer/albumin Air N
Accusphere
Legends:
PLGA Polymer Perfluorocarbon N
D = dumped; Y= available; N = not available; PLGA = polyactide co-glycolide.
interpretation of wall motion asynergies
has been demonstrated when
comparing CE with MRI, radionuclide
angiography and TEE studies (14-16).
Stress-echo accuracy also increases with
microbubbles and a favourable cost/effectiveness
ratio in assessing the LV
function was proven (17, 18).
2) Myocardial perfusion
The resting blood volume in the whole
coronary circulation is about 12ml/
100g of LV myocardium (19). The volume
is distributed almost equally between
the arteriolar compartment (up
to 200 micron), the microcirculation
(from 200 micron arterioles to 200
micron venules) and the venous compartment.
Most of the volume in arterial
and venous compartment is epicardial
and just a little part moves into
myocardial wall. Majority of myocardial
blood volume (> 90%) is stored
into microvessels and namely in the
capillaries (19).
The use of microbubbles allows studying
the microcirculation integrity and
becomes of clinical concern when detecting
coronary artery disease (CAD).
In patients with acute coronary syndromes,
the necrotic (infarct) size is one
the most predictive prognostic determinants.
In view of its excellent spatial
resolution, CE can provide the precise
location of the necrotic area, as confirmed
by pathology (20, 21). The
necrotic area appears not to be contrasted
during the agent infusion, even
after inefficient reperfusion (22) (figure
1). Other critical information can be
provided by the quantification of the
risk area (22, 23), which is the region
of myocardium subtended by an occluded
coronary artery during acute
myocardial infarction (24).
This opportunity is remarkable when
deciding about thrombolytic therapy
in patients who have small risk area and
great hemorrhagic risk. On the contrary,
a large risk area encourages to
perform invasive procedures in patients
who have undergone medical treatment
unsuccessfully.
Since many patients with CAD have
abundant collaterals to ischaemic territories,
CE may distinguish between
territories replenishing at short or long
time interval. In the latter condition,
collateral revascularization in akinetic
but viable stunned areas can be hypothesized
(25).
Early reperfusion represents the goal
therapy in patients with acute myocardial
infarction. All the currently used
markers (ST-T segment resolution, angina
alleviation, accelerated ventricular
rhythm, ipokinetic arrhythmias,
rapid dismissing of Troponin) overall
considered were shown to have low
sensibility and specificity (26). Contrast
agents could improve their capability
in distinguishing between reperfused
and not reperfused patients directly at
bed side. Similarly, 3 to 5 days later an
acute infarction the presence of
microbubbles in akinetic segments
A. Micari et al.
Contrast echocardiography
Tab. 1
Contrast agents and
microbubbles
composition.
23

24
Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
Fig. 1
Contrast
echocardiography in a
patient with large
apical defect into the
left ventricle after
ineffective
thrombolysis for acute
myocardial infarction.
strongly indicates a microvascular integrity
and hence viable myocardium
(27).
In patients with chronic CAD the demonstration
of myocardial viability is of
clinical concern when establishing
whether LV dysfunction is related to
hypoperfusion or not. Currently,
dobutamine stress-echocardiography is
able to provide this information but,
when CE is performed together with
dobutamine, the test accuracy significantly
improves (28).
It is thought that, in presence of akinetic
segments, the lack of myocardial
perfusion at CE is associated with incomplete
functional recovery after
revascularization. On the contrary, the
presence of perfusion would indicate
there is microvascular integrity and thus
a chance of functional improvement after
revascularization (28).
Usually, the resting myocardial wall
motion may remain normal unless a
coronary artery stenosis overcomes the
limit of 80-85% (= flow limiting stenosis)
(29). In these conditions the use of
both stressors and microbubbles (echostress
with contrast agents) can improve
the clinical information obtained
from a single method only. In the presence
of significant stenosis during hyperaemia,
myocardial opacization will
decrease in the bed subtended the stenosis,
and will appear as a perfusion
defect on CE. The location and the size
of defect, either fixed or reversible, are
comparable to those detected at the
SPECT (30) with similar significance.
Moreover, the quantification of the flow
reserve (the ratio between flow velocity
during stress-vasodilatation and at
rest) can be carried out with specific
software updating CE images (31, 32).
To find a reduced flow reserve with
contrast opacization may be leading to
the presence of a coronary stenosis susceptible
of a positive surgical or
stenting resolution (31, 32).
FUTURE PERSPECTIVES
Site targeted imaging and therapy are
two of the most recent applications of
CE. Based on particular structure, rather
different form normal bubbles and
making them retained within abnormal
tissues, these bubbles express on their
surface such ligands to specific molecules
of either vascular endothelium
or tissues.
The best opportunity consists with the
likelihood of revealing inflammatory
processes by specific phosphatidil-serine
targeted bubbles that get a link on
the leukocytes’ surface and become
phagocytosed by them (33, 34). When
microbubbles are hit with ultrasound,
oscillation and signal generation still
occur and the backscatter signal is proportional
to the bubbles-leukocytes
number (34, 35).
Other site targeted bubbles have been
created using monoclonal antibodies
against specific ligands like ICAM-1 (36)
or P-selectin (37). Potential cardiovascular
applications of this technique include
assessment of the inflammatory
response in acute and chronic ischemic
disease, detection of cardiac transplantation
rejection, evaluation of plaque
instability, targeted therapy (especially
for cancer) and, last but not the least,
new-angiogenesis using bubbles binding
alpha-v integrins expressed at the
neo-vessels luminal surface (38).
Several therapeutic attempts have been
done to deliver genes and drugs within
a specific tissue. Bubbles are destroyed
by ultrasound in a specific site and explosions
themselves release drug or
genes straight tissues (39). These preliminary
studies were demonstrated to
be feasible but more effort is needed
to transfer them into the clinical daily
use.
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26
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Forum su:
Aspetti medico-legali in cardiologia
Medico-legal issues in Cardiology
Prof. Massimo Piccioni Prof. Maurizio Ceccarelli Morolli
Coordinatore Nazionale ANCE Presidente Associazione Italiana di
Gruppo di Studio di Cardiologia Forense Cardiologia Forense
È passato circa un anno da quando gli Organi dell’ANCE condivisero l’interesse per un nuovo campo di
studio nell’ambito cardiologico dedicato agli aspetti medico-legali e quindi alla necessità di porre attenzione
agli aspetti aventi valore giuridico insiti nella professione medica e quindi anche in quella dello specialista
cardiologo.
Infatti il cardiologo, così come qualsiasi altro medico, è tenuto a conoscere le normative che regolano le
comuni attività quotidiane quali il rilascio di certificazioni, l’invio delle denunce obbligatorie o facoltative, la
stesura di un referto, la corretta e completa compilazione della cartella clinica ed essere consapevole della
veste giuridica di volta in volta assunta.
Così è doveroso conoscere tutti i possibili rischi legati all'ampia diffusione di quelle procedure diagnostiche
e terapeutiche di cui è documentata una invasività intrinseca, come l’emodinamica, l’elettrofisiologia e
l’elettrostimolazione cardiaca e i test provocativi.
Il cardiologo può essere chiamato dal Magistrato come esperto di uno specifico settore sia in ambito penale
al fine di esporre la correlazione tra un comportamento antigiuridico ed un eventuale danno cardiovascolare
ad esso attribuito sia in ambito civile in sede di risarcimento o in sede di contenzioso in ambito assicurativo
sociale sia in ambito assicurativo privato come consulente o come arbitro per valutare il grado di invalidità
permanente residuato nell’assicurato.
Inoltre, possono assumere rilevanza medico-legale anche i giudizi in tema di idoneità sportiva e le
problematiche legate al doping.
Così il problema dell’informazione e del consenso ha assunto una rilevanza che supera i confini della
deontologia ed è diventato uno dei più frequenti motivi per denunce penali e citazioni in giudizio civile.
Purtroppo la pratica giudiziaria consente di individuare un numero crescente di casi caratterizzati dalla
frequente difficoltà da parte dei medici di documentare la loro opera di informazione e soprattutto la realtà
del consenso ottenuto in situazioni rese delicate dalle condizioni psicologiche di molti pazienti.
Il contesto che abbiamo di fronte ha visto crescere nuove esigenze scientifiche e nuove sensibilità ed ha
posto il cardiologo di fronte a nuovi scenari in cui le regole della condotta tecnica sono sempre di più
divenute oggetto di verifica normativa e giurisdizionale.
Il medico si trova spesso in situazioni di incertezza, alimentate da una complessiva assenza di regole certe
di comportamento, in quanto impegnato quotidianamente a coniugare e far coesistere contrapposte esigenze
(la cura della salute del paziente e il rispetto dei diritti di quest’ultimo), con i vincoli posti dal diritto
e dalla giurisprudenza e le imponderabili insidie che si celano dietro molti dei processi patologici che si
appresta ogni giorno a curare.
In questo ambito ha acquisito sempre più rilevanza il tema della responsabilità medica e conseguentemente
è emersa la necessità di approfondire gli aspetti deontologici e giuridici insiti nella professione medica,
che coinvolgono anche il cardiologo.
Risulta, quindi evidente il legame tra medicina legale e le altre branche specialistiche ed in questa sede con
la cardiologia; da questa esigenza nasce quindi un nuovo campo di studio costituito appunto dalla
“Cardiologia forense”.
In questo ha creduto il Presidente dell’ANCE, Prof. Francesco Perticone, come confermato anche dal Simposio
inserito nel programma del XIII Congresso Nazionale ANCE di Taormina sul tema “La responsabilità
professionale tra autonomia del paziente e Medicina difensiva” e a cui esprimiamo la nostra gratitudine.
Tale attenzione è confermata dalla presente pubblicazione sul Giornale Italiano di Cardiologia Pratica di
alcuni lavori scientifici riguardanti la “Cardiologia Forense”.
Esprimiamo il nostro più sincero ringraziamento al Prof. Carlo Fernandez per il costante interesse con cui
segue le tematiche in oggetto e che hanno trovato tanti anni fa, come antesignano il compianto Francesco
Richieri, che a tale impegno ha dedicato le sue migliori energie.
27

28
ASPETTI MEDICO-LEGALI IN CARDIOLOGIA
Aspetti medico-legali in Cardiologia:
la metodologia valutativa
Medico-legal issues in Cardiology: a methodological
approach
S. Castaldo*, D. Cullia° M. Piccioni**, A. Fiori***
La conoscenza di una corretta metodologia diagnostica è indispensabile al cardiologo clinico quando venga chiamato
a svolgere l’attività di perito o di consulente tecnico per l’accertamento di responsabilità professionali o di una condizione
di invalidità. In questo articolo viene rivolta l’attenzione in particolare all’uso degli esami strumentali cardiologici
per finalità medico-legali. In clinica e ancora più in medicina legale, gli esami strumentali devono essere richiesti in
base al principio della “utilità clinica”. Questo significa che un determinato accertamento deve fornire un “valore
aggiunto” ai fini diagnostici e/o valutativi rispetto al quadro delineato dai riscontri clinici e strumentali in nostro
possesso. La criteriologia valutativa medico-legale in tema di invalidità deve basarsi sul grado di compromissione
funzionale dell’apparato cardiovascolare quale risulta da parametri oggettivi. Vanno presi in considerazione solo i
risultati degli esami effettuati all’atto della visita (valutazione di tipo “trasversale”), ma anche gli esami e la storia
clinica riscontrabili e validabili attraverso lo studio della documentazione sanitaria allegata. Questi dati permettono di
verificare l’andamento nel tempo della patologia, in particolare gravità delle riacutizzazioni, durata delle fasi di benessere,
efficacia della terapia, impatto sulla qualità della vita, prognosi a breve e medio termine (“valutazione
longitudinale”).
In this paper we discuss the correct use of diagnostic test when cardiologists perform a medico-legal valuation about
malpractice and/or disability. In these circumstances, diagnostic rest are chhosen on the basis of their clinical utility, i.e. of
their “added value” to diagnosis or medico-legal valuation. Medico-legal criteria for disability grading are based on functional
impairment resulting from objective parameters, considering not only the results of diagnostic test at the time of the
medicolegal assessment (“trasversal valuation”) but also those tests or other documentary evidence to assess the natural
history of the disease and the efficacy of therapy (“longitudinal valuation”).
(It J Practice Cardiol 2004; 2 : 28-32)
Key words: medico-legal issues; noninvasive diagnostic test; forensic cardiology
* Coordinatore Sanitario Regionale INPS per la Campania- Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro Università
degli Studi di Napoli “Federico II”
° Dirigente Medico di I livello - Servizio di Fisiopatologia Cardiovascolare INPS - Sede Regionale per la Campania
** Coordinatore Sanitario Centrale INPS, Area Medicina Specialistica - Scuola di Specializzazione in Medicina Legale
Università Cattolica del Sacro Cuore – Roma
*** Professore Emerito di Medicina-Legale - Roma
Corresponding author: Stefano Castaldo
Via Medina 61 80133 - Napoli tel. 0817948177
e-mail: stefcast@libero.it
It J Practice Cardiol is available at http://www.ancecardio.it
Accade sempre più spesso che il cardiologo
clinico sia chiamato a svolgere
le funzioni di perito o di consulente
tecnico, per l’accertamento di responsabilità
professionali, oppure di una
condizione di invalidità, oppure, sempre
in tali ambiti, possono essergli richiesti
esami strumentali e/o una visita
specialistica. Sono allora essenziali la conoscenza
e l’applicazione di una cor-

etta metodologia diagnostica e
valutativa medico-legale. In tema di
responsabilità professionale, l’obiettivo
è quello di valutare la correttezza di un
determinato iter diagnostico e/o di un
intervento terapeutico, ovvero, in ambito
civilistico, l’esistenza e/o il grado
di invalidità previsto da una determinata
norma di legge. Operativamente,
per rispondere ai quesiti che gli vengono
posti, il cardiologo forense deve
valutare (e validare) gli accertamenti
strumentali già effettuati dal paziente,
correlarli ai reperti clinico anamnestici
ed eventualmente integrarli con ulteriori
accertamenti. Il tutto finalizzato ad
ottenere una diagnosi corretta e circostanziata,
che è il presupposto indispensabile
per una adeguata valutazione
medico-legale. Un problema che si
pone di frequente e su cui si incentra
questa relazione riguarda appunto la
richiesta degli esami strumentali e le
informazioni che da esse si possono
trarre in un ambito medico-legale.
Bisogna allora considerare:
A) Su quali basi gli esami strumentali
devono essere richiesti e
B) Quali informazioni possono fornire
e in che modo vanno impiegate
tenuto conto delle finalità medicolegali
dell’accertamento.
Su quali basi richiedere gli
esami strumentali?
Anzitutto, è ovvio che gli accertamenti
richiesti in un ambito medico-legale
debbono essere non invasivi e non pericolosi:
ad esempio, la richiesta di una
coronaroventricolografia per finalità
medico-legali è ingiustificata. Inoltre, in
clinica e ancora più in medicina legale,
gli esami strumentali devono essere richiesti
in base al principio della “utilità
clinica” (1). Questo significa che un
determinato accertamento deve fornire
un “valore aggiunto” ai fini diagnostici
e/o valutativi rispetto al quadro
delineato dai riscontri clinici e strumentali
in nostro possesso (1). Accertamenti
eseguiti “a tappeto” senza tenere conto
dei precedenti già acquisiti clinici e/
o strumentali, ispirati al principio dello
“screening” o del “case finding”, come
vedremo, non risolvono i dubbi del
medico valutatore (1). L’utilità clinica di
un test si basa su tre parametri, spesso
convergenti: I) conoscenze fisiopatologiche;
II) applicazione del teorema di
Bayes (sensibilità, specificità e valore
predittivo di un accertamento in rapporto
alla incidenza della patologia nella
popolazione esaminata); III) linee
guida diagnostico-valutative, indispensabili
per omogeneizzare l’approccio al
paziente.
I - Conoscenze fisiopatologiche
L’esempio più adeguato è il concetto di
“cascata ischemica” (2). In presenza di
una stenosi coronarica emodinamicamente
significativa, un aumento
del fabbisogno miocardico di ossigeno,
come avviene nello sforzo fisico, non
può essere compensato da un proporzionale
aumento di flusso coronarico.
Ne deriva, che, protraendosi lo sforzo,
di norma, si osserveranno in sequenza
questi epifenomeni: alterata perfusione
→ alterazioni metaboliche → disfunzione
diastolica → alterazione della cinesi
regionale → alterazioni ecgrafiche →
comparsa di sintomi (dolore anginoso
in particolare) (2).
Di conseguenza, le metodiche di
imaging (come la scintigrafia e l’ecocardiogramma
da sforzo) identificheranno
la comparsa di ischemia più precocemente
e a carichi lavorativi inferiori
rispetto all’ECG, in quanto il segnale
ECGrafico si modifica solo più tardivamente.
È stato infatti dimostrato che
una scintigrafia da sforzo negativa può
escludere la presenza di una significativa
ischemia da sforzo per una frequenza
cardiaca pari a solo il 65-70% di
quella massimale (3). Esse dunque sono
più sensibili dell’ECG.
II - Applicazione del teorema di Bayes
Prescindendo dal richiamo a formule
matematiche, la “lezione” fornita dal
teorema di Bayes si può ridurre a questo
semplice concetto: “Il valore di un
test nel predire la presenza di una data
affezione dipende dalla probabilità pretest
che quella data condizione sia presente
e dalla performance del test (misurata
come sensibilità, specificità e
valore predittivo) (4)”
S. Castaldo et al.
Aspetti medico-legali in Cardiologia:
la metodologia valutativa
29

30
Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
Ad esempio, nella diagnosi di cardiopatia
ischemica, occorre procedere in
due tappe:
1. L’anamnesi, l’esame obiettivo e gli
esami strumentali di base permetteranno
di calcolare la probabilità
pre-test di malattia coronarica
2. Successivamente, in base alla probabilità
pre-test, si individueranno
quali test provocativi di ischemia
impiegare sequenzialmente tenendo
conto di quanto un ulteriore
esame aumenti la probabilità di affermare
o escludere la presenza di
ischemia.
Dunque, in un soggetto di sesso femminile
di età compresa tra i 30 e i 39
anni, con precordialgie atipiche, la probabilità
pre-test di malattia coronarica
è inferiore al 5% (5). Un ECG da sforzo
positivo aumenta la probabilità di malattia
coronarica in misura non superiore
al 30%, mentre un test negativo
la esclude ragionevolmente. Quindi, di
fronte ad un test negativo,la procedura
diagnostica può chiudersi escludendo
la presenza di significativa cardiopatia
ischemica; mentre, in caso di test
positivo, occorrerà confermarne il risultato
con test di imaging (5) (6).
Se invece la probabilità pre-test di malattia
coronarica è intermedia, la
positività dell’ECG da sforzo o, a seconda
del contesto clinico, delle metodiche
di imaging, ha un elevato valore
diagnostico nell’affermare l’esistenza di
una malattia coronaria (6).
Viceversa, l’impiego indiscriminato di
un test diagnostico in una popolazione
non selezionata secondo una metodica
di screening, può dare luogo ad
un numero di “falsi positivi”, con successive
richieste di nuovi accertamenti
“di conferma”, nella migliore delle ipotesi
superflui, per cui il paziente vaga
da una clinica all’altra in cerca di conferme
e non risolve invece i propri dubbi
(un peregrinare per il quale è stato
coniato il termine di “sindrome di
Ulisse”) (7); quando addirittura non
accade che lo stesso paziente finirà per
credersi irrimediabilmente “malato”
(“la sindrome del vaso di Pandora” (8)).
III - Linee guida diagnostico-valutative
Le linee guida sono intese come “raccomandazioni
sviluppate sistematicamente
per assistere il medico e il paziente
quando è necessario prendere
decisioni circa le cure mediche
appropriate per circostanze cliniche
specifiche” (9). In un ambito diagnostico
e valutativo medico-legale, il riferimento
ai loro contenuti e l’apprezzamento
dei margini di discrezionalità
medica in rapporto al caso specifico
rappresentano importanti elementi per
l’omogeneizzazione dei giudizi dei periti
o consulenti.
Quali informazioni gli esami
strumentali possono fornire e
in che modo vanno impiegate
tenuto conto delle finalità
medico-legali
dell’accertamento?
È necessario, nel caso ci si trovi di fronte
al referto di un esame strumentale,
poter valutare la qualità tecnica dell’esame
stesso e le modalità di
refertazione (ad esempio, nel caso di
un ecocardiogramma, tipo di apparecchiatura,
qualità della documentazione
iconografica di supporto, parametri
di riferimento impiegati;conclusioni
diagnostiche che devono essere
congrue con sensibilità, specificità e
valore predittivo della metodica) (10).
Sul piano metodologico, è importante
sottolineare che a) vanno presi in considerazione
tutti gli accertamenti disponibili;
b) essi vanno integrati con le
risultanze dei riscontri clinicoanamnestici;
c) eventuali discordanze
tra i vari accertamenti strumentali e/o
con il quadro clinico anamnestico debbono
essere spiegate.
Ad esempio:
In un paziente, la scintigrafia miocardica
da sforzo evidenzia un’area di ipoperfusione
reversibile mentre la coronarografia
evidenzia “assenza di stenosi emodinamicamente
significative”. Questa apparente
contraddizione va adeguatamente
interpretata. Vi possono essere almeno
quattro possibili spiegazioni:
• Il reperto scintigrafico è attribuibile
ad artefatti o a disturbo della

conduzione intraventricolare (tipo
blocco di branca sinistro)
• La coronarografia con la “classica”
valutazione anatomica delle stenosi
espressa come riduzione percentuale
del diametro del vaso, non rappresenta
più il “gold standard”.
Come dimostrato da Lance Gould
(11) , stenosi coronariche sequenziali
ciascuna inferore al 50% oppure un
restringimento diffuso del vaso possono
produrre ischemia nei territori
distali. Inoltre, l’importanza emodinamica
di stenosi comprese tra il 40
e il 70% è dubbia e richiede il ricorso
oggi sempre più frequente, al
Doppler intracoronarico per il calcolo
della riserva frazionale di flusso
(FFR) o della riserva vasodilatatoria
coronarica (CVR)(12). Quindi, anche
un vaso esente da stenosi “anatomicamente”
significative alla coronarografia
può produrre ischemia
miocardica.
• In presenza di vasi epicardici normali,
possono essere presenti alterazioni
del microcircolo che danno luogo a
ischemia subendocardica, come è
stato riportato nella sindrome X (13).
• Ultima possibilità, la presenza di uno
spasmo coronarico da sforzo; oppure
di un’alterazione del tono coronarico,
che trasformi una stenosi da non
significativa in significativa (14).
Infine, accenneremo alla metodologia
valutativa in ambito medico-legale in
tema di invalidità pensionabile INPS (L.
222/84).
La criteriologia valutativa medico-legale
in tema di invalidità deve basarsi sul
grado di compromissione funzionale
dell’apparato cardiovascolare quale risulta
da parametri oggettivi (segni clinici,
riscontro anamnestico di ricoveri,
parametri ricavabili da accertamenti
strumentali). Inoltre, non vanno presi
in considerazione solo i risultati degli
esami effettuati all’atto della visita (valutazione
di tipo “trasversale”), ma anche
gli esami e la storia clinica
riscontrabili e validabili attraverso lo
studio della documentazione sanitaria
allegata. Questi dati permettono di
verificare l’andamento nel tempo della
patologia, in particolare gravità delle
riacutizzazioni, durata delle fasi di benessere,
efficacia della terapia, impatto
sulla qualità della vita, prognosi a
breve e medio termine (“valutazione
longitudinale”).
Ad esempio, la classificazione funzionale
NYHA si basa in ambito clinico sulla
sintomatologia soggettiva accusata dal
paziente. In un ambito medico legale,
invece, l’uso di una tale classificazione
deve fare riferimento a parametri oggettivi:
è possibile allora inquadrare un
paziente in una data classe funzionale
NYHA in base ai risultati di un test
ergometrico (15), allo studio della funzione
diastolica ventricolare sinistra al
Doppler (16) e ai dosaggi del peptide
natriuretico “B” (BNP) (17). Non adeguatamente
correlabile alle classi NYHA
è invece la frazione di eiezione del
ventricolo sinistro, che invece assume
un importante significato prognostico
(18).
È evidente che tale valutazione deve
poggiare su una diagnosi circostanziata
della patologia cardiovascolare e che
deve essere articolata e difficilmente
riconducibile in più o meno rigidi schemi
tabellari, soprattutto in quegli ambiti
(invalidità INPS) dove le tabellazioni
non sono comunque previste.
Da quanto detto emerge dunque come
la valenza e l’impiego a finalità medico
legali degli accertamenti cardiologici
abbia una metodologia applicativa propria,
diversa dall’ambito clinico, contrassegnato
da finalità terapeutiche e
di questo i cardiologi clinici che si impegnano
nella difficile attività di
“valutatori” debbono tenere adeguatamente
conto.
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187

ASPETTI MEDICO-LEGALI IN CARDIOLOGIA
Aspetti medico-legali in cardiologia:
le linee-guida. Responsabilità professionale
tra autonomia del paziente e medicina difensiva
Medico-legal aspects in cardiology: the guide-lines.
Professional responsibility between patient’s
autonomy and defensive medicine
A. Papa*, S. Cocuzza**, M. Piccioni***
Negli ultimi anni sono aumentate enormemente le Linee-guida, strumenti orientativi e non impositivi nella pratica
clinica.
Gli Autori analizzano il ruolo delle linee-guida nel contenzioso in caso di responsabilità professionale per malpractice
medica, alla ricerca di una criteriologia medico-legale che armonizzi gli aspetti forensi e clinici.
La Cardiologia Forense può essere la disciplina più valida per rispondere a questa esigenza unendo le competenze di
entrambi gli aspetti.
In the last years the guide-lines, orientiring’s instruments but not the imposition’s one, in the clinical practice have immensely
increased.
The Authors analyze the guide-line’s role in the case of professional responsibility for medical malpractice, to research a
standard that armonize the forensic and clinical parts.
The Forensic Cardiology can be the best discipline to answer this purpose, joining the both part’s expertises.
(It J Practice Cardiol 2004; 2 : 33-40)
Key words: professional responsibility, guide-lines, forensic cardiology
© 2004 ANC Ricevuto il 17 febbraio 2004; accettato il 31 marzo 2004
*Centro Medico-legale INPS – Bari
** Centro Medico-legale INPS – Enna
*** Coordinamento Medico-legale Generale INPS – ROMA
Corresponding author: Antonietta Papa
Sede Regionale Puglia INPS Ufficio Medico
Via Putignani 108- 70122 Bari 080 5410630 - cell. 320 6929175 - fax 080 5410582
e-mail: antonietta.papa@inps.it
It J Practice Cardiol is available at http://www.ancecardio.it
La Medicina Basata sull’Evidenza (1-2)
nasce dalla esigenza di un migliore utilizzo
della letteratura scientifica per l’aggiornamento
del medico; definita come
“uso coscienzioso e giudizioso delle
migliori evidenze della letteratura per
prendere decisioni circa la cura dei singoli
pazienti”, intende mettere a disposizione
del singolo medico uno strumento
metodologico valido, utilizzabile
nella pratica quotidiana.
Figlie di questa logica ed esigenza, le
lineee guida costituiscono uno strumento
sempre più diffuso nella pratica
clinica: emanate da Comitati Scientifici,
Società Internazionali, Task Forces,
si presentano per loro caratteristica
come uno strumento indicativo ed
orientativo, senza la rigidità del protocollo
clinico, ma con la validità di un
ampio e riconosciuto consenso (3-4-5).
Negli ultimi anni si è anzi assistito ad
33

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Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
Tab. 1
AA.VV., [19], [20],
[21], [22], [23].
un inarrestabile proliferare delle stesse
per ragioni facilmente individuabili:
• Il moltiplicarsi di trials clinici e la
sempre più numerosa pubblicazione
dei risultati di ricerche, rende disponibile
una grande quantità di
dati esperienziali, rendendo necessario
un “riordino” degli stessi e la
codificazione di comportamenti
clinici e terapeutici che consentano
al medico di utilizzare questa
enorme mole di dati in maniera
razionale, per un miglioramento
della qualità ed una omogeneizzazione
delle prestazioni.
• Le linee guida rispondono altresì
alla esigenza di conciliare un iter
diagnostico e terapeutico corretto
con esigenze di politica sanitaria ed
economica, nell’obiettivo di ottimizzare
i costi complessivi dell’assistenza.
• Il risultato di tale logica è quello di
praticare una medicina basata sul
consenso di più esperti, deputati a
loro volta ad una revisione delle
evidenze scientifiche disponibili.
Il medico, dunque, non è più solo nella
gestione del paziente, ma opera confortato
nelle sue decisioni dal supporto
di esperienze e dati tecnici che sarebbe
impossibile acquisire per il singolo.
La diffusione delle linee guida e la loro
applicazione consente, d’altronde, anche
al paziente di avere la certezza di
una condotta terapeutica codificata,
validata dalla esperienza di più Centri
di ricerca e cura.
È ben noto, d’altra parte, che lo strumento
delle linee guida presenta dei
limiti e delle pecche:
• Non sempre le linee guida sono il
risultato di una analisi completa ed
adeguata delle ricerche scientifiche,
spesso a causa del lungo protrarsi
dei trials clinici, che, proprio
in Cardiologia, hanno visto spesso
susseguirsi nel tempo più edizioni
della stessa ricerca.
• Esiste indubbiamente una interferenza
se non una ingerenza di ditte
produttrici di farmaci o mezzi
diagnostici le quali hanno spesso
un ruolo rilevante nel finanziamento
della ricerca.
• Le linee guida debbono infine confrontarsi
con un difficile impatto
nella pratica clinica quotidiana, per
cui le “raccomandazioni” degli
esperti possono risultare inapplicabili
nella realtà sociale, economica
e culturale del territorio: se la documentazione
che scaturisce dagli
studi controllati è lontana dalla realtà
di base, non ha senso prescrivere
comportamenti che risulterebbero
non correttamente testati.
Rapporto di causalità materiale: nesso che mette in relazione tra loro due fenomeni di cui uno è
causa e l’altro effetto, i cui elementi costituenti sono l’antecedenza, la necessità, la sufficienza.
Causalità unica: allorché un solo fenomeno è sufficiente a produrre l’effetto.
Causalità multipla o concausalità: allorché l’effetto è la risultante di più cause concorrenti.
Concausa: antecedente necessario ma non sufficiente a produrre l’effetto.
n.b.= il concorso di cause non esclude il nesso di causalità, a meno che non si tratti di causa
sopravvenuta ed esclusiva (art. 41 c.p.)
Condizione: stato antecedente necessario al prodursi dell’evento.
Occasione: circostanza favorevole non sufficiente non necessaria.
TEORIE DELLA CAUSALITÀ
Equivalenza: ogni antecedente senza il quale l’evento non si sarebbe prodotto assume valore di
causa.
Causalità adeguata: è causa solo l’antecedente idoneo al prodursi dell’evento.
Causalità efficiente: è causa l’antecedente che ha forza decisiva sul risultato.
Causalità prossima: è causa l’antecedente prossimo secondo un criterio cronologico.
La causalità secondo il Codice Penale
Art. 40: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento
dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione
o omissione”.
Ne consegue, oltre la rilevanza del nesso di causalità materiale la distinzione in:
reati commissivi
reati omissivi

Siffatte considerazioni hanno condotto
le Società Scientifiche ad interrogarsi
in merito alla validità delle linee, o
più in generale alla qualità della ricerca
scientifica, nella esigenza di riascoltarsi
e di rimodulare un comportamento
efficace e soprattutto onesto ed indipendente
(6-7-8).
Un aspetto essenziale della pratica clinica
è la corretta informazione sulle caratteristiche
e l’uso dei farmaci, per cui
è osservazione comune la necessità di
richiamarsi ad una ricerca indipendente,
tenendo nettamente distinta una
informazione trasparente e scientificamente
valida dalla promozione delle
industrie farmaceutiche e dalla strategia
di mercato; già 10 aa fa con il D.L.
541/92 si era voluto regolamentare la
pubblicità farmaceutica ed indirettamente
i rapporti fra le parti in causa:
oggi si sottoscrive un “Manifesto sui
principi etici dell’informazione sui farmaci”
in cui tra gli altri punti si sottolinea
la necessità che il medico utilizzi i
farmaci solo sulla base di una documentazione
ed evidenza scientifica senza
sottostare a pressioni di altra natura (9).
Si avverte, in questa logica l’esigenza
di indicatori di qualità sempre più sofisticati
che consentano di verificare il
raggiungimento degli obiettivi finali
quali, non solo (e non necessariamente)
la modifica del comportamento
terapeutico, ma anche la riduzione di
eventi patologici e dei costi conseguenti
all’applicazione del piano diagnostico-terapeutico
in rapporto ai benefici.
Andrebbe poi considerato l’impatto sul
paziente che vede modificata, si spera
in meglio, la sua qualità di vita in seguito
alla applicazione di una condotta
medica informata all’utilizzo delle linee
guida.
La persona del paziente costituisce per
l’appunto la chiave di volta delle nostre
riflessioni in ambito cardiologico
forense: ci si chiede se l’applicazione
di linee guida o in generale un comportamento
terapeutico basato sul consenso
della comunità scientifica e sulla
evidenza medica possa essere immune
da contestazioni e problematiche di
interesse giuridico, quali potrebbero
individuarsi non solo in ambito di responsabilità
professionale medica, ma
anche in caso di riconoscimento di
malattie professionali o causalità di servizio,
o, ancora, esposizioni ad agenti
tossici anche di uso terapeutico: è evidente
che proprio queste controversie
potranno essere oggetto dell’attenzione
del Giudice e, per incarico di questi,
del perito.
È doveroso chiedersi se, ed in quale
misura, le linee guida possano costituire
uno strumento idoneo a convalidare
l’operato del medico: è stato infatti
coniato il termine di “medicina difensiva”
per descrivere un certo tipo di
atteggiamento del medico in risposta al
proliferare di giudizi civili o penali e alle
spinte speculative dei mass-media; purtroppo
però, gli aspetti medico-legali e
le sfaccettature delle questioni forensi
sono molteplici, per cui è illusorio attendersi
che, nel corso di un giudizio, il
comportamento medico informato a
quanto suggerito da una linea guida
possa, in quanto tale, essere esente da
contestazioni e critiche. Va nettamente
rifiutato, d’altra parte l’uso delle linee
guida quale strumento impositivo burocratico
e centralista, in quanto limitativo
proprio di quella scelta consapevole
della libertà di curare, specifico diritto
deontologico del medico. (10)
Riteniamo, dunque, opportuno soffermarci,
tra le varie problematiche medico-legali
su quelle connesse all’ambito
della responsabilità professionale.
ASPETTI GIURISPRUDENZIALI E
MEDICO-LEGALI
La responsabilità legale a seguito di
danno richiede il verificarsi di una serie
di elementi specifici: a) il fatto materiale
ovvero il verificarsi del danno; b)
l’antigiuridicità della condotta; c) la
colpevolezza; d) la dimostrazione di un
nesso di causalità tra condotta erronea
ed antigiuridica ed evento dannoso.
Le formulazioni del concetto di
causalità materiale sono alla base delle
riflessioni in ambito forense riguardanti
la responsabilità del medico. (Le tabelle
1 e 2 riassumono alcuni concetti
chiave).
Alla luce del diritto vigente in Italia la
responsabilità professionale del medico
si inquadra nella triade concettuale
di imperizia, imprudenza e negligen-
A. Papa et al.
Aspetti medico-legali in cardiologia:
le linee-guida
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Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
Tab. 2
AA.VV., [19], [20],
[21], [22], [23].
za, mentre l’alto livello qualitativo raggiunto
dalle prestazioni sanitarie rende
in molti casi alquanto difficoltosa la
definizione di un comportamento di
malpractice medica, anche perché, a
nostro avviso, per la comprensione del
problema vengono utilizzati concetti,
obiettivi e, potremmo dire, categorie
filosofiche nettamente diverse: ove, in
clinica esiste consapevolezza della
insopprimibilità della ricorrenza dell’errore,
nella implicita constatazione che
la medicina non è una scienza esatta
(secondo Popper le nostre conoscenze
sono approssimate e verosimili), (11)
in ambito forense è proprio l’errore
l’oggetto dell’indagine e la premessa
per la riparazione del danno.
Dunque, se da un lato l’approccio
metodologico clinico tende a depersonalizzare
la responsabilità dell’errore
nella consapevolezza che esso è frequentemente
il risultato di una catena
di errori di “sistema o di struttura”,
dall’altro canto la giurisprudenza cerca
un parametro logico o scientifico che
consenta di dirimere le incertezze (12-
13).
Abbiamo raccolto, sotto forma di una
“minima” rassegna giurisprudenziale,
una serie di sentenze penali in tema di
responsabilità professionale medica, al
fine di invitare ad una doverosa riflessione
sui parametri utilizzati dai magistrati
come riferimento nel giudizio, e
su come ne sia di conseguenza modificato
l’atteggiamento nel corso del tempo
(tab. 3).
Si è passati da una visione della Medicina
(e del medico) di tipo paternalistico,
(14) in cui il paziente è pedissequo
ed inconsapevole esecutore di
prescrizioni, del cui contenuto scientifico
il medico è il solo depositario, alla
consapevolezza di una Medicina “di
Struttura”, in cui si alternano più figure
professionali che condividono l’onere
delle decisioni diagnostiche e delle scelte
terapeutiche, ma offrono al paziente
un rapporto frammentato e depersonalizzato,
con la necessità di informarlo
e rispettarne l’autonomia decisionale
e i desideri; e non va dimenticato,
infine, che la politica sanitaria attuale
ha svuotato il ruolo del medico di potere
decisionale autonomo rispetto ad
altre componenti del SSN.
La lettura degli estratti minimi giurisprudenziali
ci induce peraltro a rilevare
che l’accertamento della responsabilità
professionale medica è connotato
da oscillazioni tra criteri più elastici,
espressi in termini di probabilità (più
o meno quantificata), a suggestioni di
RESPONSABILITÀ PENALE DEL MEDICO
Dolosa: è eccezionale in quanto il medico dovrebbe arrecare volontariamente un danno al proprio
paziente
Colposa: e certamente la più ricorrente e implica che il sanitario, pur non avendo voluto l’evento,
ha tuttavia compiuto fatti illeciti che lo hanno provocato, ed espressamente la colpa professionale
deriva da IMPRUDENZA, IMPERIZIA o NEGLIGENZA.
La sentenza penale pronunciata nel dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile, in
quanto riguarda un diritto il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti oggetto
del giudizio penale.
RESPONSABILITÀ CIVILE DEL MEDICO
Art. 2043 C.C.: qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga
colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
La colpa può sussistere anche per fatto altrui (art.1228 C.C.) se il fatto doloso o colposo è commesso
da terzi incaricati dal medico di sostituirlo, assisterlo o aiutarlo nello svolgimento della
prestazione.
Nel diritto civile si distingue la colpa extracontrattuale (riguarda qualunque fatto imputabile ad
di fuori di una obbligazione contrattuale fra le parti) e colpa contrattuale (riguarda colui che non
assolve con la dovuta diligenza l’obbligazione assunta).
È rilevante che nel contratto professionale l’obbligazione riguarda la scelta dei mezzi di cura non
i risultati.
In ambito civile esiste graduazione della colpa in lieve e grave.
In caso di responsabilità extracontrattuale spetta al danneggiato l’onere di provare, oltre che il
nesso di causalità tra condotta medica e danno, il comportamento doloso o colposo del professionista.
In caso di responsabilità contrattuale spetta al medico dimostrare la correttezza del proprio comportamento.

igida certezza per cui sembra quasi
che, in un criterio di “scientificità”, siano
equiparabili tra loro certezze e “serie
ed apprezzabili” probabilità, nella
affannosa ricerca di leggi di copertura
generali: dunque, un difficile colloquio
che utilizza nomenclature diverse e non
certo equivalenti.
Di recente pubblicazione è la sentenza
della Cassazione Penale n° 30328 del
11.9.2002 (tab. 4) che offre rilevanti
spunti di riflessione in merito: infatti,
pur accettando il criterio della probabilità
statistica, alla luce del quale è ben
difficile che in Medicina si realizzino situazioni
di correlazioni certe, purtuttavia
la Suprema Corte sottolinea la
necessità di “verifiche attente e puntuali
sia della fondatezza scientifica sia
della specifica applicabilità nella
fattispecie concreta”; e dunque, pur
tenendo conto della probabilità stati-
Corte Costituzionale n.166 (22-28.11.1973) : “… solo la colpa grave e cioè quella derivante
da errore inescusabile … possa rilevare ai fini della responsabilità penale. Siffatta esenzione o
limitazione di responsabilità … non conduce a dover ammettere che accanto al minimo di
perizia richiesta basti pure un minimo di prudenza e diligenza… Mentre nella prima l’indulgenza
del giudizio è proporzionata alle difficoltà del compito, per le altre due forme di colpa
ogni giudizio non può che essere improntato a criteri di normale severità”.
Cass. Sez. IV (6.6.1981): “... nel caso del medico specialista, in considerazione della acquisita
specializzazione, si deve richiedere con maggior severità l’uso della massima prudenza e
diligenza”.
Cass., IV Sez. Pen. N. 4320 (12.5.1983) : “ ... sono sufficienti anche solo poche probabilità
di successo di un immediato o sollecito intervento chirurgico, sussistendo, in difetto, il nesso
di causalità qualora un siffatto intervento non sia stato possibile a causa dell’incuria del
sanitario che ha visitato il paziente”.
Cass. Pen. N.14435 (6-11-1990): “…in tema di colpa professionale si risponde di omicidio
non soltanto quando si cagioni la morte di un soggetto che avvenga immediatamente ma
anche quando si determini la anticipazione dell’evento letale… “
Cass. (luglio 1991): “… nella ricerca del nesso di causalità tra la condotta dell’imputato e
l’evento, in materia di responsabilità per colpa professionale sanitaria, al criterio della certezza
degli effetti della condotta si può sostituire quello della probabilità di tali effetti, anche
limitato nel caso di specie al 30%…”
Cass. Pen. N. 10437 (16.11.1993): “... un sufficiente grado di certezza...”
Cass. Pen. Sez IV n. 1957 (8.1.1999): “... un criterio rigido facente leva su un giudizio formulato
in termini di certezza...”
Cass. Sez. Pen. n.10929 (20.10.1999): “ Lo spostamento, in caso di condotta omissiva, dal
piano deterministico a quello probabilistico (statistico) rappresenta indubbiamente una complicanza
nella formulazione del giudizio causale ma non esclude la possibilità e men che
meno la necessità di una sua formulazione analitica che pervenga ad una conclusione in
termini di certezza.”
Cass. Pen. Sez. IV n. 982 (7.7.2000): “… L’esito infausto va considerato conseguenza dell’atteggiamento
del medico quando sussistano serie ed apprezzabili probabilità che la (ipotetica)
condotta omessa , ove attuata, avrebbe salvato la vita del paziente o ne avrebbe
ritardato la morte.”
Cass. Pen. Sez. IV n. 1688 (28.9.2000): “ La ricerca scientifica impone, con il suo rigore, di
interpretare le norme del codice vigente, sul rapporto di causalità, nel senso che la condotta
deve essere condizione necessaria all’evento… Le percentuali pari a 50% o 28% di probabilità
di evitare un danno attuando una condotta che si è invece colposamente omessa sono
ben lontane dalla “quasi certezza”, dall’essere “vicine a cento” come vogliono la scienza, la
logica e come conseguentemente, deve volere il diritto… in tanto il giudice può affermare il
rapporto di causalità, anche nei reati omissivi, in quanto – pena anche il rinnegamento del
principio di personalità della responsabilità – abbia accertato che, con probabilità vicina alla
certezza, con probabilità vicina a cento, quella condotta, azione o omissione, è stata causa
necessaria dell’evento come verificatosi hic et nunc.
Trib. Grosseto, 31.10.2000:… ”La causalità nella omissione non ha valenza naturalistica ma
normativa in quanto è la legge che stabilisce a quali condizioni un evento si può considerare
frutto di una omissione equiparando il non impedire lo stesso alla sua causazione…”
Cass. Sez.IV n. 2123 ( 28.11.2000): “Il giudice, anche nella causalità omissiva, deve accertare
il rapporto causale avvalendosi di una legge di copertura che gli consenta di ritenere…
che una certa condotta/omissione è causa di un determinato evento con una probabilità
vicina alla certezza, vicina a cento.”
Cass. Sez. IV n.2139 (29.11.2000): “… una legge statistica con un coefficiente percentualistico
vicino a cento deve sfociare in un giudizio sul nesso di condizionamento di alta probabilità
logica o di elevata credibilità razionale, dove alta ed elevata stanno ad indicare un giudizio
che si avvicina al massimo, alla certezza.”
A. Papa et al.
Aspetti medico-legali in cardiologia:
le linee-guida
Tab. 3
Rassegna
Giurisprudenziale
minima in tema di
responsabilità professionale
medica
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Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
Tab. 4
stica è necessario che il giudice accerti
il valore eziologico effettivo e la
attendibilità del singolo evento.
RUOLO DEL PERITO
Il Codice di Procedura Penale prevede
la ammissibilità della perizia “quando
occorre svolgere indagini o acquisire
dati o valutazioni che richiedono specifiche
competenze tecniche, scientifiche
o artistiche”.
Il nuovo codice di procedura penale
approvato con D.P.R. N. 477 del 28-9-
88, ha abolito la natura inquisitoria del
rito processuale riformandolo secondo
il modello accusatorio, per il quale la
ricerca della verità è il risultato della
dialettica contrapposizione degli interessi
delle parti: il perito si trova così ha
assumere una serie di obblighi e di
doveri volti a garantire il corretto procedere
delle indagini, tra cui quello
della riservatezza nei confronti delle
parti interessate. (15-16)
È, d’altronde, evidente la difficoltà di
rendere “attendibile e certo” quanto
scaturisce da una ricorrenza statistica
o probabilistica, tanto che autorevoli
voci della Medicina Legale hanno sentito
l’esigenza di richiamarsi a modelli
metodologici nuovi che consentano al
perito di fornire al giudice materiale
documentale valido a dirimere ogni
“ragionevole dubbio”(12). Ricordiamo
che questo concetto viene mutuato
dalle regole dottrinarie dei paesi del
“common law”, e corrisponde a quelle
situazioni in cui non è possibile raggiungere
una convinzione incrollabile
di verità delle tesi dell’accusa e, pur
essendo estraneo al nostro Diritto, viene
fatto proprio dai giudici della
Cassazione Penale nella già citata Sentenza
30328/2002, allorché “la insuffi-
cienza, la contraddittorietà, l’incertezza
del riscontro probatorio” (e cioè il
ragionevole dubbio) non può che avere
come conseguenza logica l’esito
assolutorio.
Si delinea qui un contrasto concettuale,
quasi che la dottrina penale e giuridica
richieda l’applicazione di criteri che
non sono propri dei sistemi biologici.
È in questo punto di crisi che si inserisce
la figura del perito, che si pone
quale “strumento tecnico” , un esperto
che consenta la interpretazione e la
soluzione di problematiche specifiche,
scelto per ciò tra persone fornite di
particolare competenza nella specifica
disciplina, con la consapevolezza di
dover ricercare una via metodologica
che risponda a criteri di fondatezza,
confermabilità, oggettivabilità, consenso
della Comunità scientifica. A queste
voci potrebbe essere aggiunta, a nostro
avviso, quella della “riproducibilità”,
il criterio per cui l’Esperto opera
con un background culturale identificabile,
onde evitare di assistere a situazioni
in cui il “libero convincimento
del Giudice” fondato sul lavoro di
esperti, sia il risultato di una tempesta
opinionista, fonte di confusione e
malagiustizia, logico proseguo della
malasanità.
È evidente, d’altro canto, che la mancanza
di una metodologia identificabile
svuota la perizia del suo doveroso contenuto
di scientificità e di dignità, riducendola
ad un mero “punto di vista”.
In definitiva, si richiede una metodologia
che consenta di riportare il criterio
scientifico al centro del contributo
peritale, e tale necessario ricollocamento
assume carattere di tutela dei
medici, spesso coinvolti in pareri peritali
basati su impressioni e valutazioni sog-
Cass. Pen., sez. Un., n. 30328, (11.9.2002): “….non è sostenibile che si elevino a schemi di
spiegazione del condizionamento necessario solo le leggi scientifiche universali e quelle statistiche
che esprimano un coefficiente probabilistico “prossimo ad 1” cioè alla certezza… soprattutto
per la medicina biologica e clinica… È indubbio che coefficienti medio-bassi di probabilità c.d.
frequentista per tipi di evento, rilevati dalla legge statistica, impongano verifiche attente e puntuali
sia della fondatezza scientifica che della specifica applicabilità nella fattispecie
concreta…Viceversa, livelli elevati di probabilità statica o schemi interpretativi dedotti da leggi di
carattere universali, pur configurando un rapporto un rapporto di successione tra eventi rilevato
con regolarità o in numero percentualmente alto di casi, pretendono sempre che il giudice ne
accerti il valore eziologico effettivo, insieme con l’irrilevanza nel caso concreto di spiegazioni
diverse, controllandone quindi l’attendibilità in riferimento al singolo evento e all’evidenza disponibile.”

gettive, ma anche dei danneggiati in
quanto solo un supporto scientifico è
in grado di dare reale consistenza all’elaborato
probatorio medico legale a
sostegno delle loro tesi.
Per il perito non si tratta dunque di stabilire
la evidenza di correlazione 1:1 tra
premesse e conclusioni, ma di risalire
dal singolo evento, attraverso osservazioni
statistiche e probabilistiche, ad
ogni antecedente causale nella consapevolezza
che l’evento ultimo è il risultato
di interazioni tra agenti causale e
concausali e che è privo di qualunque
logica il tentativo di precisare il “peso
e la misura”del singolo agente.
In campo peritale, infine, non è riconosciuto
il diritto al libero convincimento,
concesso invece ai giudici: il parere tecnico
deve essere motivato e la motivazione
deve avere basi scientifiche (17).
RUOLO DELLE LINEE GUIDA
Il giudice può affidare l’espletamento
della perizia a più persone quando le
indagini e le valutazioni risultano di
notevole complessità ovvero richiedono
distinte conoscenze in differenti discipline:
può essere questo il caso in
cui si renda necessario calare le competenze
specialistiche specifiche in
ambito forense.
Se infatti è vero che la diffusione e la
disponibilità di materiale scientifico attraverso
il mezzo informatico è enorme,
non bisogna dimenticare che l’accesso
alla informazione non coincide con la
effettiva conoscenza profonda di specifici
aspetti, spesso superspecialistici
nell’ambito di una stessa disciplina; in
taluni casi la informazione viene fornita
in termini complessi o incongrui, tali
da renderli poco o punto idonei all’utilizzo
forense; anche il ricorso a più
esperti può risentire della scarsa capacità
di comunicazione al di fuori degli
ambiti abituali e a profani della materia,
ovvero della scarsa congruità con lo
specifico utilizzo in ambito giuridico.
La Cardiologia forense si propone come
disciplina “a ponte” e sembra avere gli
strumenti concettuali e comunicativi
più consoni a superare l’impasse che
abbiamo sin qui delineato.
I passaggi criteriologici (18) fondamentali
che andranno tenuti presente nella
stesura dell’elaborato peritale sono essenzialmente
due: 1) criterio di possibilità
scientifica, ovvero verifica di possibilità
alla luce delle nozioni e dei metodi
scientifici moderni; 2) criterio di
certezza o elevata probabilità ovvero
valutazione della concreta sussistenza
del nesso causale.
Il cardiologo forense potrà dunque utilizzare,
come strumenti, tre ordini di
misure documentali: 1) linee guida che
esprimano un indirizzo diagnostico e
terapeutico generale; 2) documentazioni
scientifiche sul grado di efficacia
del trattamento in questione; 3) linee
di sopravvivenza a supporto del decorso
usuale dell’affezione diagnosticata e
trattata secondo i punti 1) e 2).
Queste considerazioni ci conducono a
sottolineare il ruolo delle linee guida,
che costituiscono indicazione di metodo
e di procedura ma non costituiscono
una esimente per tutte quelle misure
di perizia, prudenza e diligenza che
il singolo caso avrebbe richiesto (si pensi
ad es. ad un caso di condotta omissiva).
Numerose sentenze richiamano e accettano
il criterio probabilistico, ma
occorre rilevare che le più recenti fra
esse richiedono la sussistenza di una
“elevata probabilità logica” o “elevata
credibilità razionale” volendo con ciò
attribuire un “peso” notevole alle
argomentazioni scientifiche, tali da
condurle “vicine alla certezza”.
Appare dunque complesso ma non
impossibile, il compito del perito medico-legale,
chiamato alla necessità di
verifiche attente e puntuali della
fondatezza scientifica e pressato dalla
richiesta di applicabilità alla singola
fattispecie.
CONCLUSIONI
Il diffondersi del contenzioso in materia
di responsabilità professionale medica
conduce ad interrogarsi in tema
di metodologia e criteriologia in un
capitolo di massima difficoltà di accertamento
tecnico. Il nesso causale è uno
dei punti cardine del problema e vanno
pertanto delineate modalità di argomentazione
che consentano di colloquiare
in modo comprensibile con la
parte giuridica, con il preciso dovere
A. Papa et al.
Aspetti medico-legali in cardiologia:
le linee-guida
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Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
di informare circa i limiti delle conoscenze
scientifiche e la conseguente
difficoltà di pervenire a coordinate di
certezza.
La Cardiologia Forense in quanto collocata
al crocevia tra medicina e diritto
deve avvalersi di metodi aggiornati ed
attuali, nei quali le linee guida possano
a buon diritto collocarsi come riferimenti
di un generale indirizzo diagnostico
e terapeutico, ma con il punto finale
volto all’evento particolare e alle
sue peculiarità, ricordando che, pur
non avendo a disposizione asserzioni
certe, è necessario avvicinarsi a criteri
di “elevata probabilità logica” o di
“possibilità scientifica”, categorie logiche
che potrebbero contribuire a
dirimere la ineluttabile dicotomia medico-giuridica.
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Casa Editrice Ambrosiana- Milano
20. Zangani P. et Al. Medicina Legale e delle
Assicurazioni – Morano Editore
21. AA. VV. Guida all’esercizio professionale per
i medici-chirurghi e gli odontoiatri – Edizioni
Medico Scientifiche – Torino
22. Franchi Feroci Ferrari: I Quattro Codici –
Hoepli Editore Milano
23. Baima Bollone Pieluigi: Medicina Legale -
Giappichelli

ASPETTI MEDICO-LEGALI IN CARDIOLOGIA
Aspetti medico-legali della terapia anticoagulante
Forensic medical-aspects of anticoagulant therapy
G. Alecce*, S. Principi*, C. Meloni*, S. Cocuzza**, M. Piccioni***
La terapia anticoagulante orale (TAO) rappresenta il trattamento di scelta per la cura e la prevenzione delle patologie
trombo-emboliche. La responsabilità del medico nella gestione terapeutica degli anticoagulanti orali (ACO) investe
diversi aspetti della sua condotta professionale, condotta che presuppone competenza, prudenza, attenzione al
singolo caso e aderenza ai protocolli diagnostico-terapeutici. Il caso più frequente di responsabilità professionale è il
verificarsi dell’evento trombo-embolico per non aver instaurato o per aver sospeso precocemente la terapia
anticoagulante, ovvero per il non raggiungimento un’anticoagulazione efficace. Le complicanze emorragiche da
sovradosaggio sono generalmente evitabili, ottenendo una buona aderenza da parte del paziente agli schemi posologici
ed ai relativi controlli.
Anticoagulant therapy is the treatment of choice for thromboembolic diseases. The therapy is highly effective, but with a
narrow risk/benefit ratio that require regular monitoring and a disciplined patient. Medical responsibility implies a complete
knowledge of guidelines and a particular consideration of the individual patient. A thromboembolic event in a patient
without the appropriate anticoagulant regimen may lay a problem of professional responsibility. On the other side, hemorragic
problems are easily avoided with a good management of the therapy.
(It J Practice Cardiol 2004; 2 : 41-47)
Key words: anticoagulant therapy - forensic medicine - medical responsibility
© 2004 ANCE Ricevuto il 16 febbraio 2004; accettato il 2 aprile 2004
* Sede Provinciale INPS – Roma
** Centro Medico Legale INPS – Enna
*** Coordinamento Medico Legale Generale INPS – Roma
Corresponding author : Grazia Alecce
Via dei Laterani, 12 (Roma) – Tel. 390677382256 Fax : 390677382427
e-mail: grazia.ale@virgilio.it
It J Practice Cardiol is available at http://www.ancecardio.it
La terapia anticoagulante orale (TAO)
rappresenta il trattamento di scelta per
proteggere il paziente dal rischio di
eventi tromboembolici, anche se è ancora
largamente sottoutilizzata in relazione
a quelle che sono le indicazioni
cliniche (1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11),
validate da numerosi trials (Tabella 1).
Il medico legale è frequentemente chiamato
ad esprimere un parere nei casi
di responsabilità professionale, dovuti
ad inadeguata profilassi del rischio o
alla gestione non corretta delle eventuali
complicanze. Gli anticoagulanti
orali, oggi più frequentemente utilizzati
(warfarina sodica ed acenocumarolo),
agiscono attraverso la riduzione
della sintesi di quattro fattori della
coagulazione vitamina K-dipendenti (II,
VII, IX, X) determinando la diminuzione
dei livelli di protrombina circolante.
PATOLOGIA RANGE INR TARGET INR
Profilassi tromboembolismo venoso 1,5 – 2,5 2
Trattamento TVP/EP, FA 2,0 – 3,0 2,5
Valvulopatie, Cardiomiopatia dilatativa, Protesi valvolari meccaniche 2,5 – 3,5 3
IMA, Sindrome da anticorpi antifosfolipidi, Prevenzione secondaria IMA 3,0 – 4,0 3,5
Tab. 1
Indicazioni, range
terapeutico e target
nella TAO.
41

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Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
Tab. 2
Fattori di rischio
tromboembolico
secondo la Consensus
Conference ACCP –
2001
RESPONSABILITÀ DEL MEDICO E
VALUTAZIONE DEL RISCHIO
TROMBOEMBOLICO
La responsabilità del medico nella gestione
terapeutica della TAO investe
diversi aspetti della sua condotta professionale,
che presuppone sempre
competenza, prudenza, attenzione al
singolo caso e aderenza ai protocolli
diagnostico-terapeutici. Trattandosi di
una terapia non esente da rischi (emorragie)
è necessario un attento
monitoraggio da parte del curante ed
un’ottima compliance da parte del paziente
per ottenere il miglior risultato
con il minimo rischio di complicanze,
così come schematizzato:
A) Valutazione del paziente: patologia
di base, caratteristiche cliniche,
fattori di rischio tromboembolico,
stratificazione del rischio.
B) Aderenza alle “linee guida“: indicazioni,
range terapeutico e dose
target, controindicazioni.
C) Monitoraggio della terapia: informazione
ed educazione del paziente
(interazioni alimentari/ farmacologiche,
prescrizione della posologia),
controlli di laboratorio, controllo
e trattamento delle complicanze,
educazione all’uso di coagulometri
portatili. Diversi trials hanno
permesso di fornire dati di prevenzione
primaria e secondaria sul
reale peso dei fattori di rischio
embolico e dettare linee guida operative
utili al trattamento. Per quanto
riguarda il rischio embolico della
fibrillazione atriale cronica, i principali
fattori di rischio sono elencati
nella tabella 2.
Per ciò che riguarda la FA cronica il VI
Consensus Conference on Antithrombotic
Therapy dell’American
College of Chest Physicians (12), in
base a tutti gli studi effettuati, ha definito
le caratteristiche dei parametri che
identificano il grado di rischio embolico
(Tabella 3).
INFORMAZIONE ED
EDUCAZIONE DEL PAZIENTE
Il medico è tenuto a dare al paziente
(con il coinvolgimento di eventuali familiari
e del medico curante) un’informazione
corretta ed esaustiva sulla
malattia, sulle indicazioni e controindicazioni
della terapia, sui possibili
rischi, sulla necessità di un monitoraggio
costante dei parametri della
coagulazione al fine di ottenere la sua
collaborazione (consenso al trattamento).
Una buona compliance da parte
del paziente garantisce l’efficacia del
trattamento e minimizza i rischi. Il medico
deve accertarsi che il laboratorio
zonale per il controllo degli indici
emocoagulativi sia affidabile in quanto
un difficile accesso ai controlli e/o un
presidio senza i necessari standard di
qualità possono rappresentare un serio
ostacolo alla terapia. Ancora meglio
quando il laboratorio zonale dispone
di un centro dedicato al monitoraggio
della terapia anticoagulante con
reperibilità continuativa del personale
medico. Vanno illustrate le interazioni
tra TAO ed alimenti o farmaci e la necessità
di controlli costanti nel tempo.
È preferibile fornire informazioni scritte,
con il dosaggio del farmaco e le
date, programmate, dei controlli. Esistono
opuscoli prestampati con la lista
dei farmaci e degli alimenti in grado di
potenziare o ridurre l’efficacia
terapeutica del warfarin. Il medico dovrà,
altresì, monitorare gli indici
emocoagulativi (INR) e fronteggiare le
FATTORI DI RICHIO TROMBOEMBOLICO DURANTE FA CRONICA
Ipertensione arteriosa
Età > 65 anni
Diabete mellito
Pregresso episodio embolico
Anamnestico scompenso cardiaco
Disfunzione ventricolare sinistra
Pregresso IMA
Atriomegalia sn (Diametro antero-posteriore > 50 mm)
Presenza di trombo atriale
Aumento sierico dei fattori attivi della trombogenesi

CATEGORIE TRATTAMENTO RACCOMANDATO
RISCHIO ALTO
- 1 fattore di rischio maggiore
- 2 o più fattori di rischio moderato TAO – INR 2-3
RISCHIO MODERATO
- Nessun fattore di rischio maggiore TAO – INR 2-3
- 1 fattore di rischio moderato o ASA 325 mg
RISCHIO BASSO
- Nessun fattore di rischio maggiore ASA 325 mg
- Nessun fattore di rischio moderato
situazioni di aumentato rischio
emorragico in cui la TAO andrà sospesa:
INR > 5, necessità di intervento chirurgico
(passaggio alla terapia
eparinica), gravidanza, necrosi cutanea.
COMPLIANCE DEL PAZIENTE
Il paziente deve seguire le prescrizioni
con regolarità. Deve attenersi ad una
dieta regolare ed evitare interazioni
farmacologiche pericolose. Deve segnalare
al proprio curante ogni eventuale
disturbo, soprattutto i sanguinamenti
anomali (ematuria, gengivorragia).
L’assenza di una valida adesione ai controlli,
soprattutto per quei soggetti non
assistiti da familiari o da personale paramedico,
ovvero la difficoltà di accesso
al laboratorio o l’assenza, sul territorio,
di un laboratorio affidabile, rappresentano
controindicazioni per la terapia.
Per i pazienti più collaboranti esiste
la possibilità, validata dalle linee guida,
di un self-test (Biotrack; Coumatrack)
che determina una migliore aderenza ai
range terapeutici di INR.
STANDARD DI LABORATORIO
Tutti i laboratori testano ormai regolarmente
l’INR. Si auspica che esista
sempre un valido controllo di qualità e
che la misurazione sia attendibile. Nei
casi dubbi il medico potrà testare più
di una struttura sanitaria per valutare
l’attendibilità dell’esame.
PROFILI DI COLPA
PROFESSIONALE
La colpa professionale scaturisce da un
nesso causale tra condotta omissiva o
commissiva ed evento dannoso per il
paziente (13). Il caso più frequente di
responsabilità professionale è il verificar-
si dell’evento trombo-embolico per non
aver instaurato o per aver sospeso precocemente
la terapia anticoagulante,
ovvero per il non raggiungimento
un’anticoagulazione efficace. Le complicanze
emorragiche da sovradosaggio
sono generalmente evitabili, ottenendo
una buona aderenza alla terapia e ai relativi
controlli. Perché si realizzi una colpa
professionale, dobbiamo essere in
presenza di tre elementi:
1) Errore medico (azione omissiva o
commissiva).
2) Nesso causale (valutato secondo i
criteri cronologico, modale,
qualitativo e quantitativo, di continuità
fenomenologia, di continuità
anatomo-patologica, di esclusione,
di ammissibilità o possibilità
scientifica).
3) Danno ingiusto (nozione giurisprudenziale
di danno biologico,
quale lesione all’integrità psico-fisica
del soggetto e del diritto alla
salute, previsto dall’articolo 32 della
Costituzione; al danno biologico
va aggiunto il danno morale (ex
art. 2059 del C.C.), valutato in via
equitativa dal giudice.
CATEGORIE DELL’ERRORE
MEDICO
L’errore medico può essere dovuto a
negligenza, imprudenza, imperizia,
inosservanza di leggi, regolamenti ordini
e discipline.
La negligenza è sinonimo di disattenzione,
dimenticanza, trascuratezza, svogliatezza,
leggerezza, mancanza della
sollecitudine che ci si attende da un
medico. L’articolo 1176 del C.C. richiama
alla diligenza del buon padre di famiglia,
quale elemento indispensabile
all’esercizio di una professione delicata
G. Alecce et al.
Aspetti medico-legali della terapia
anticoagulante
Tab. 3
Terapia anticoagulante
o antiaggregante
raccomandato dal
Consensus Conference
American College of
Chest Physicians –
2001.
43

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Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
come quella sanitaria. La condotta negligente
è la più difficile da giustificare.
In caso di TAO, ad esempio, il non aver
considerato la presenza di fattori di rischio
tromboembolico, pur prevedendone
le conseguenze o il non effettuare
i debiti controlli emocoagulativi.
L’imprudenza è definibile come eccessiva
precipitazione, mancanza dell’avvedutezza
e della cautela dettate dalla comune
esperienza: ad esempio non effettuare
scrupolosamente il monitoraggio
dei parametri della coagulazione in corso
di terapia con ACO o non adottare
misure terapeutiche idonee in caso di
sovradosaggio.
L’imperizia indica mancanza di preparazione
adeguata: anche se il grado
di preparazione può variare con
l’età, l’esperienza ed il grado di qualificazione
professionale raggiunto, l’imperizia
indica l’assenza di quelle conoscenze
fondamentali attinenti alla
professione o l’assoluta mancanza di
quel minimo di perizia tecnica che non
deve mai mancare in chi esercita una
professione sanitaria: in ambito clinico
configura l’omissione di un trattamento
con ACO in presenza di chiare
indicazioni. L’inosservanza di leggi,
regolamenti, ordini o discipline fa riferimento
a norme di servizio o regolamenti
interni delle strutture sanitarie
o ad ordini impartiti gerarchicamente.
Ad esempio, in caso di lavoro
in équipe, la non osservanza delle disposizioni
del capo equipe potrebbe
contribuire al configurarsi di una colpa
professionale per inosservanza. Infine
l’errore può essere di diagnosi,
di prognosi, di scelta terapeutica, di
esecuzione della terapia o di omissione
della terapia. Nella fattispecie
l’errore può riguardare l’individuazione
del rischio, la diagnosi, l’attuazione
di una corretta profilassi, la
congruità dell’approccio terapeutico,
il controllo a distanza. L’errore di diagnosi
può derivare da raccolta
anamnestica insufficiente, esame
obiettivo superficiale, omissione di accertamenti
diagnostici, di consulenze
specialistiche, diagnosi differenziale
inadeguata. L’errore di terapia può derivare
da inosservanza dei protocolli
di trattamento (range e valori target
consigliati per le diverse patologie). In
ogni contesto clinico il medico dovrà
possedere una fotografia chiara dello
“stato anteriore“ del soggetto, prima
di impostare il trattamento.
NORME GIURISPRUDENZIALI E
COLPA MEDICA
La sussistenza dell’errore medico necessita
della dimostrazione di un danno
derivato dall’errore. Il nesso di causalità
materiale (per condotta omissiva o
commissiva) è la condizione indispensabile
per l’affermazione di una responsabilità
professionale.
La condotta medica deve essere la
“conditio sine qua non” nella catena
degli eventi che hanno concorso a produrre
l’evento dannoso. Viceversa,
l’aver evitato l’errore avrebbe impedito
l’evento lesivo con elevata probabilità
logica (15).
a) Responsabilità penale
Consiste nella condanna ad una pena
ed è la conseguenza di un reato sia
commissivo sia omissivo, ed è sancita
dai seguenti articoli del Codice Penale:
Art. 40: nessuno può essere punito per
un fatto previsto dalla legge come
reato se l’evento dannoso o pericoloso
da cui dipende l’esistenza
del reato non è conseguenza della
sua azione od omissione. Non impedire
l’evento che si ha l’obbligo
giuridico di impedire, equivale a
cagionarlo (condotta omissiva).
Art. 41: il concorso di cause (preesistenti,
simultanee, sopravvenute)
anche se indipendente dall’azione
o omissione del colpevole, non
esclude il rapporto di causalità fra
l’azione/omissione e l’evento. Le
cause sopravvenute escludono il
rapporto di causalità quando sono
da sole sufficienti a determinare
l’evento.
Art. 43: il delitto doloso è preveduto e
voluto; il delitto colposo si verifica
quando l’evento anche se previsto,
non è voluto ma si verifica a causa
di negligenza, imprudenza, imperizia,
inosservanza di regolamenti,
ordini, discipline.
La colpa medica si realizza ogni qual
volta, al di fuori dell’intenzionalità, il
sanitario non è in grado di gestire una

situazione medica, per negligenza, incapacità
operativa o mancanza di buon
senso. Un cenno a parte merita il dolo
eventuale, che si realizza quando i medico
è in grado di raffigurarsi perfettamente
le conseguenze di una propria
azione od omissione terapeutica, omettendo
di metterla in pratica. È il caso
del paziente non sottoposto a profilassi
tromboembolica, pur presentando
condizioni note di ipercoagulabilità
ematica.
b) Responsabilità civile
Consiste nell’obbligo di risarcire il danno
causato dal proprio comportamento.
Non si fa riferimento a responsabilità
contrattuale, che è conseguente al
mancato rispetto di norme contrattuali,
ma a quella extracontrattuale, conseguenza
di un comportamento definito
illecito.
Art. 2043 C.C..: ”Qualunque fatto doloso
o colposo che cagiona ad altri
un danno ingiusto obbliga colui
che ha commesso il fatto a risarcire
il danno“.
Per quanto riguarda i medici, è opportuno
fare riferimento all’art 2236 C.C.
per il quale, se la prestazione implica la
soluzione di problemi tecnici di particolare
difficoltà, il prestatore d’opera
non risponde dei danni se non i caso
di dolo o colpa grave.
Il danno da risarcire è sia quello
patrimoniale, che consiste nelle spese
di cura sostenute dal paziente (danno
emergente) oltre al mancato guadagno
derivato dal periodo di malattia (lucro
cessante), sia il danno biologico, inteso
quale lesione dell’integrità psicofisica
del soggetto, e quindi danno alla persona,
indipendentemente dalla sua capacità
economica (riferimento al diritto
alla salute, previsto dall’articolo 32
della Costituzione). Al danno biologico
va aggiunto il danno morale, previsto
dall’articolo 2059 C.C.
c) Tendenze giurisprudenziali.
La definizione del concetto di colpa
medica è un tema giurisprudenziale
complesso. Anzitutto, al di là dell’errore
medico, la valutazione del giudice è
sempre incentrata sul nesso causale tra
condotta ed evento dannoso.
L’indirizzo giurisprudenziale si è profondamente
modificato nel tempo:
in passato era guidato da un atteggiamento
eccessivamente benevolo
(punibilità solo dell’errore macroscopico);
negli ultimi anni è stato
caratterizzato da un atteggiamento
eccessivamente rigoroso. Ma un atteggiamento
eccessivamente colpevolista,
pur avendo la finalità di tutelare
al meglio la salute del paziente,
aveva l’indubbio risvolto di
limitare la scelta terapeutica e la libertà
del sanitario (14). La più recente
sentenza della Cassazione a Sezioni
Unite (2002) ha ripristinato il principio
del ragionevole dubbio, che scagiona
il sanitario ogni qualvolta si verifichi un
evento avverso, in assenza di un nesso
di causalità sostenuto da un’elevata
probabilità logica (e non solo
percentualizzabile in base a calcoli statistici).
Ai fini della responsabilità, la condotta
del sanitario deve essere ritenuta
necessaria a produrre l’evento. Con la
sentenza della Cassazione, Sez. IV, 19/
3/1963, l’ipotesi di responsabilità professionale
veniva limitata alla condotta
del professionista ritenuta incompatibile
con un minimo di cultura che debba
legittimamente pretendersi da chi
sia abilitato all’esercizio della professione.
L’errore punibile era limitato ai soli
casi di colpa grave, in caso di grossolane
ed evidenti manifestazioni d’incapacità
(Cassazione 26/1/1968). La
Corte Costituzionale, con sentenza n.
166, 28/11/1973, ribadiva il principio
secondo il quale la valutazione della
colpa medica era ispirata a principi
meno severi, rispetto ad un criterio ordinario
di giudizio. La Cassazione penale,
sez. IV, con sentenza 18/11/
1977, n. 14701, ha riconosciuto l’esattezza
dell’ipotesi di rilevanza penale
della colpa professionale solo in caso
di colpa grave, quando questa sia
ascrivibile all’imperizia del professionista.
Viene tuttavia ribadito che quando
la colpa assume le caratteristiche
dell’imprudenza e della negligenza, il
giudizio debba essere improntato “a
criteri di normale severità“. Nella
fattispecie si trattava della morte di un
paziente per emorragia cerebrale conseguente
a TAO instaurata per una
tromboflebite secondaria a frattura di
G. Alecce et al.
Aspetti medico-legali della terapia
anticoagulante
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46
Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
perone. Ai sanitari è stato contestato
di aver omesso, per negligenza ed imprudenza,
una doverosa sorveglianza
sui parametri emocoagulativi, soprattutto
quando questi avevano superato
i limiti di sicurezza ed erano comparse
manifestazioni emorragiche agli arti
(petecchie). Nella verifica del nesso
causale è stato sempre considerato
importante fare ricorso al modello della
“sussunzione sotto leggi scientifiche“,
quelle che spiegano l’eziologia di
un fenomeno. Le sentenze hanno fatto
ricorso a leggi statistiche, valide in
relazione al numero dei casi in cui possono
essere applicate. Per quanto riguarda
la condotta commissiva, occorre
verificare l’esistenza di un nesso
eziologico in termini di certezza: va
verificato che quell’evento non si sarebbe
certamente verificato in assenza
della condotta colposa (attiva) del sanitario.
In caso di condotta omissiva ha
prevalso per anni la regola dell’elevata
probabilità statistica (l’evento non si
sarebbe probabilmente verificato se il
medico avesse posto in essere una certa
condotta. Il criterio probabilistico ha
oscillato in termini percentuali, per assestarsi
intorno al 50%. Con la sentenza
della Cassazione Penale, Sezioni
Unite n. 30328 dell’11 settembre
2002 viene proposta una criteriologia
interpretativa più propriamente medico-legale,
in cui si definisce la sussistenza
del nesso causale solo quando
l’evento dannoso o la malattia è conseguenza
dell’azione o omissione al di
là del ragionevole dubbio. Le sezioni
unite fanno riferimento ai due principi
fondamentali del nesso causale, indipendentemente
da coefficienti di probabilità
o da leggi statistiche : a) la condotta
umana è condizione necessaria
all’evento se, eliminata mentalmente,
l’evento non si sarebbe certamente
verificato; b) la condotta umana non è
condizione necessaria all’evento se, eliminata
mentalmente, l’evento si sarebbe
ugualmente verificato.
CONCLUSIONI
I pazienti trattati con TAO sono sempre
più numerosi e la gestione della
terapia anticoagulante orale richiede
una particolare attenzione da parte del
medico, sia per la massima tutela del
paziente, sia in ordine a problematiche
di natura medico legale. Sarà indispensabile
un’attenta valutazione della patologia
di base, con stratificazione del
rischio, nonché una corretta applicazione
delle linee-guida, per quanto riguarda
il range terapeutico, il monitoraggio
clinico ed il trattamento delle
possibili complicanze. È utile ricordare
che l’aver instaurato la terapia ed aver
raggiunto un range di coagulazione
efficace non sollevano il medico dalla
necessità di seguire il paziente nel tempo.
Il caso più frequente di responsabilità
professionale è il verificarsi dell’evento
tromboembolico per non aver
instaurato o per aver sospeso precocemente
la terapia anticoagulante, ovvero
per il non raggiungimento un’anticoagulazione
efficace. Possono verificarsi
casi di negligenza/imprudenza per
non aver valutato adeguatamente i
parametri emocoagulativi. La gestione
del paziente in terapia anticoagulante
richiede quindi sempre una stretta alleanza
tra varie figure professionali.
Sono indispensabili alleati nella prosecuzione
della terapia i medici curanti,
le strutture di laboratorio territoriali
dedicate e soprattutto i pazienti, che
spesso autogestiscono la terapia con
l’uso di coagulometri portatili. Le
complicanze emorragiche da sovradosaggio
sono generalmente evitabili,
ottenendo una buona aderenza da parte
del paziente agli schemi posologici
e ai relativi controlli.
BIBLIOGRAFIA
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14 Fiori Angelo. Medicina legale della responsabilità
medica. Giuffrè ed. 1999.
G. Alecce et al.
Aspetti medico-legali della terapia
anticoagulante
47

48
ASPETTI MEDICO-LEGALI IN CARDIOLOGIA
Valutazione diagnostica e medico-legale della
Nefropatia Ipertensiva
Clinical Diagnosis and Medico-legal Valutation of
Hypertensive Nephropaty
A. Angiolini*, L. Bottoni*, C. De Collibus*, N. de Trizio*, B. Vergari*
Gli autori, dopo aver richiamato il concetto di nefropatia ipertensiva, evidenziano i principali parametri clinici e
laboratoristici per eseguire la corretta valutazione diagnostica della malattia.
Vengono descritte la metodologia diagnostica condotta presso il Centro Medico Legale Polispecialistico INPS di Bologna
ed i risultati ottenuti ai fini della definizione della diagnosi di ipertensione arteriosa e della individuazione della
complicanza renale.
Sono riportati, infine, i principali criteri per la valutazione medico legale del danno renale e della invalidità conseguente.
The authors point out the clinical and the laboristical features of hypertensive nephropaty diagnosis.
They report guideline adopted by the Medical Center INPS in Bologna for the diagnosis of hypertension with renal complications
and results obteined.
Parameters for the renal damage quantification are discussed and its implication for remaining invalidity.
(It J Practice Cardiol 2004; 2 : 48-52)
Key words: kidney disease, hypertension, invalidity
© ANCE Ricevuto il 12 febbraio 2004; accettato il 9 aprile 2004
*Centro Medico-legale Polispecialistico Direzione Regionale INPS Emilia Romagna
Corresponding author: A. Angiolini
Centro Medico Legale INPS Emilia Romagna
Via Milazzo 4/2 - 40121 – Bologna
It J Practice Cardiol is available at http://www.ancecardio.it
Introduzione
L’attenzione che viene rivolta in ambito
medico legale previdenziale all’ipertensione
arteriosa è giustificata da almeno
due fattori: da una parte tale stato morboso
è una condizione clinica molto frequente
e diffusa in tutto il mondo, rappresentando
uno dei fattori di rischio
per la morbilità e la mortalità cardiovascolare,
dall’altra risultano assai rilevanti
le ricadute invalidanti nonostante
sia stata dimostrata la possibilità di ridurre
in modo significativo l’incidenza
delle complicanze d’organo mediante
opportuni interventi terapeutici. Tutto
questo fa dell’ipertensione arteriosa una
malattia sociale da cui deriva l’impor-
tanza di identificare precocemente i
malati portatori di elevati valori pressori,
nonché diagnosticare tempestivamente
le eventuali complicanze d’organo,
infine mettere in atto tutti gli opportuni
provvedimenti terapeutici, preventivi
e di riadattamento sociale e lavorativo
(1) (2).
Sebbene il rene possegga meccanismi
sofisticati per autoregolare il flusso
ematico intraparenchimale e la pressione
glomerulare, aumenti marcati o prolungati
della pressione arteriosa
sistemica possono sopraffare i sistemi
compensatori e alterare la morfologia
e la funzionalità dell’organo. L’ipertensione
cronica prolungata causa tipica-

mente vasocostrizione e sclerosi
arteriolare, infine, atrofia e sclerosi secondaria
dei nefroni (nefrosclerosi benigna)
con insufficienza renale cronica.
Nelle forme più gravi (nefrosclerosi maligna)
lo stress emodinamico causa
necrosi fibrinoide massiva dell’arteriola
afferente e del glomerulo, microangiopatia
trombotica, insufficienza renale
acuta e sedimento urinario di tipo
nefritico (3) (4).
In persone affette da ipertensione
arteriosa di lunga durata e scarsamente
controllata, allorchè manchi una nefropatia
primaria intercorrente, ed in assenza
di segni di ipertensione maligna, le
anomalie usualmente rilevate sono
attribuibili a nefrosclerosi benigna. In
questo caso si rilevano dimensioni dei
reni normali o ridotte a causa della perdita
di tessuto corticale; possono comparire
proteinuria lieve (meno di 1 g/
die) (5), microematuria, aumento eccessivo
dell’escrezione di sodio microalbuminuria
(6)(7)(8); la clearance della
creatinina può calare; l’esame angiografico
può rilevare assottigliamento, tortuosità
e riduzione di calibro dei vasi
intrarenali; la biopsia renale dimostra alterazioni
arteriolari dell’intima e della
media, fibrosi interstiziale, atrofia e
fibrosi glomerulare. La nefrosclerosi che
accompagna uno stato di ipertensione
sistemica di lunga durata rappresenta
solo una delle manifestazioni di un processo
generalizzato che interessa tutto il
sistema cardio-vascolare. L’accertamento
in tal senso può evidenziare modificazione
dei vasi retinici, cerebrovasculopatia,
ipertrofia cardiaca e, a volte, segni
di insufficienza cardiaca congestizia (9).
Alcuni malati di ipertensione arteriosa
di vecchia data ovvero persone che in
precedenza erano normotese, possono
sviluppare una ipertensione arteriosa
maligna caratterizzata da improvviso e
marcato aumento dei valori pressori,
accompagnato da edema della papilla,
manifestazioni neurologiche, insufficienza
cardiaca e rapido e progressivo
peggioramento della funzionalità
renale (nefrosclerosi maligna).
Materiale e metodi
Presso il Centro Medico Legale
Polispecialistico della Sede Regionale
INPS di Bologna è stato elaborata una
procedura diagnostica (denominata
Day-Service per Ipertensione Arteriosa)
finalizzata ad approfondire gli aspetti
di rilevanza medico legale durante il
percorso accertativo di persone richiedenti
prestazioni ex L. 222/1984 con
indicazione specifica.
Tale percorso diagnostico, rappresentato
da numerosi accertamenti clinicostrumentali
per la definizione dell’ipertensione
arteriosa e degli eventuali danni
d’organo conseguenti, viene eseguito
senza alcun ricorso ad ausili sanitari
esterni e comprende indagini volte a
ricercare segni di danno renale (10).
Nella Tabella 1 viene presentato il percorso
predefinito.
Abbiamo esaminato 33 persone con
indicazione diagnostica di ipertensione
arteriosa nel periodo compreso fra
il 2001 ed il 2002; in 12 casi coesisteva
diabete mellito. Gli obiettivi dell’accertamento,
relativi al danno renale, erano
i seguenti.
1) Identificazione di nefropatia ipertensiva:
la diagnosi clinico-strumentale
può essere solo presuntiva,
in assenza di rilievi anatomopatologici
rilevabili con metodiche
DAY SERVICE PER IPERTENSIONE ARTERIOSA
ECG, ECOCARDIOGRAMMA
MONITORAGGIO DINAMICO DELLA P.A. NELLE 24 ORE
VISITA CARDIOLOGICA
ECODOPPLER TRONCHI EPIAORTICI
ECODOPPLER ARTERIOSO ARTI INFERIORI
FUNDUS OCULI
ESAME CHIMICO-FISICO DELLE URINE
ESAMI EMATOCHIMICI
ECOGRAFIA RENALE
DIAGNOSI QUALI-QUANTITATIVA
A. Angiolini et al.
Valutazione diagnostica e medicolegale
della Nefropatia Ipertensiva
Tab. 1
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Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
Tab. 2
cruente; tuttavia gli elementi ottenuti
consentono di ottenere una
formulazione diagnostica attendibile
ai fini medico-legali.
2) Verifica della diagnosi di nefropatia
riferita anamnesticamente o pervenuta
da altre strutture sanitarie
esterne.
3) Valutazione quantitativa del danno
renale in relazione alla presenza o
meno di segni di ridotta funzionalità.
Sono stati considerati i seguenti parametri
laboratoristici: morfologia e dimensioni
dei reni e rapporto corticomidollare
all’ecografia; presenza di
proteinuria, microalbuminuria, ematuria
all’esame delle urine; valore della
creatininemia e dell’azotemia.
Risultati
Al termine degli accertamenti eseguiti
e della revisione dei dati ottenuti è
emerso che 26 persone esaminate sono
risultate esenti da segni clinico-stru-
mentali di nefropatia; in tale gruppo è
stata confermata la diagnosi di ipertensione
arteriosa in 24 casi, mentre nei
restanti 2 non sono emersi elementi
clinici e documentali della malattia a
fronte del rilievo anamnestico positivo.
In 7 individui sono stati riscontrate alterazione
di uno a più parametri fra
quelli sopra indicati, che hanno condotto
a formulare con sufficiente
attendibilità la diagnosi clinica di
nefropatia. Va anche precisato che in
due casi era concomitante diabete
mellito, sicché la nefropatia rilevata era
attribuibile non all’una o all’altra infermità,
ma più probabilmente al concorso
di entrambe.
La valutazione della funzione renale
mediante esame della creatininemia ed
azotemia ha indicato l’assenza di segni
certi di insufficienza renale. In particolare
in 3 persone i valori della creatininemia
erano inferiori ad 1 mg/dl,
mentre nelle altre 4 i valori rilevati erano
attestati ai limiti superiori della nor-
D.M 5 febbraio 1992 (tabella indicativa delle percentuali d’invalidità per le minorazioni e
malattie invalidanti)
Sindrome nefrosica con insufficienza renale lieve 31-40%
Sindrome nefrosica con insufficienza renale grave 81-90%
Esiti di nefropatia in trattamento dialitico permanente 91-100%
Trapianto renale 60%
Nefrectomia con rene superstite integro 25%
D.M. 12 luglio 2000 (tabella delle menomazioni relative al Danno Biologico ai fini della
tutela dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali)
Insufficienza renale di lieve entità
Clearance della creatinina tra 80 e 60 ml/min, creatininemia normale Fino al 10%
Insufficienza renale moderata
Clearance della creatinina tra 59 e 46 ml/min, creatininemia inferiore a 1,3 mg Fino al 25%
Insufficienza renale grave
Clearance della creatinina tra 45 e 16 ml/min, creatininemia tra 1,5 e 7 mg Fino al 40%
Insufficienza renale severa
Clearance della creatinina inferiore a 15 ml/min, creatininemia sup.re a 7 mg > 50%
D.P.R. 30.12.1981 n.834 (Pensionistica privilegiata dello Stato)
Esiti di nefrectomia con grave compromissione permanente del rene superstite
(iperazotemia, ipertensione e complicazioni cardiache) o tali da
necessitare trattamento emodialitico protratto nel tempo)
Riferimento generico ad affezioni anche extrapolmonari di natura tubercolare
e lesioni gravi e permanenti di apparati organici da gas nocivi
TABELLA A
1° CATEGORIA
(81-100%)
TABELLA A
2° CATEGORIA
(76-80%)
Nefriti o nefrosi croniche TABELLA A
5° CATEGORIA
(51-60%)
Nefrectomia con integrità del rene superstite TABELLA A
6° CATEGORIA
(41-50%)

ma (1,3 mg/dl); per tale motivo tali
condizioni sono state considerate con
attenzione ed opportunamente segnalate
al medico-legale responsabile del
giudizio finale.
Discussione
Il percorso diagnostico sopra descritto,
seguito con metodologia in Day-
Service, consente di ottenere un efficace
ed omogeneo strumento di valutazione
medico legale dell’ipertensione
arteriosa e delle sue complicanze
d’organo, in particolare consente di
evidenziare alcuni fattori indicativi della
presenza o meno di nefropatia secondaria.
Gli elementi clinici e laboratoristici utilizzati
(privi di invasività e, comunque,
non pericolosi) permettono di verificare
in modo abbastanza semplice non
solo la presenza o meno della malattia
ipertensiva secondo i criteri indicati
dalla letteratura scientifica ma anche di
identificare la presenza di complicanze
d’organo a carico dell’apparato cardiovascolare,
oculare e renale. Il danno
renale, può essere ragionevolmente
escluso allorchè risultino negativi tutti
i fattori clinico-strumentali considerati,
di tipo ecografico e laboratoristico.
Qualora invece siano identificati anomalie
e scostamenti significativi dei
parametri sopra indicati, risulta necessario
considerare l’eventuale coesistenza
di altre infermità, quale il diabete
mellito, anch’esse responsabili di
nefropatia. Risulta altresì indispensabile
indagare e valutare altre eventuali
manifestazioni di danno d’organo collegato
all’ipertensione, in particolare a
livello cardiaco, vascolare periferico e
cerebrale, oculare.
Ai fini della valutazione medico legale
della nefropatia è possibile utilizzare le
formulazioni tabellari di legge rappresentate
dal D.M 5 febbraio 1992 (tabella
indicativa delle percentuali d’invalidità
per le minorazioni e malattie
invalidanti), dal D.M. 12 luglio 2000
(tabella delle menomazioni relative al
Danno Biologico ai fini della tutela dell’assicurazione
contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali), nonché
il D.P.R. n. 834 del 1981 (tabella
per la pensionistica privilegiata). Le voci
codificate, elencate nella tabella 2, rappresentano
indicazione obbligatoria
per l’attribuzione della percentuale
d’invalidità nei rispettivi ambiti legislativi,
ma anche un utile riferimento generale
per la stima del danno alla persona
e dell’invalidità in altri settori valutativi.
Le attribuzioni percentuali in merito al
danno alla persona in responsabilità
civile fanno riferimento al Danno Biologico
(negli aspetti statici e dinamicorelazionali)
ed al Danno Patrimoniale
(danno alla capacità lavorativa). Nella
tabella 3 sono segnalate alcune indicazioni
tabellari di frequente uso nella
prassi valutativa, nonché l’unica voce
specifica di danno renale presente nel
D.M. 3 luglio 2003 (tabella delle
menomazioni all’integrità psico-fisica
comprese tra 1 e 9 punti d’invalidità).
Assai complessa e non rigidamente
Bargagna e altri (Guida orientativa per la valutazione del danno biologico permanente)
Nefrectomia monolaterale 15%
Insufficienza renale cronica iniziale (Clearance della creatinina tra 60 e 80 ml/min) 10-20%
Insufficienza renale cronica lieve (Clearance della creatinina tra 40 e 60 ml/min) 21-35%
Insufficienza renale cronica media (Clearance della creatinina tra 20 e 40 ml/min) 36-70%
Insufficienza renale cronica grave (Clearance della creatinina < 20 ml/min) > 70%
Luvoni – Bernardi – Mangili (Guida alla valutazione medico legale del danno biologico)
Perdita di un rene 15-20%
Trapianto renale 25%
D.M. 3 luglio 2003 (tabella delle menomazioni all’integrità psico-fisica
comprese tra 1 e 9 punti d’invalidità).
Esiti di lesione renale contusivo-emorragica e/o discontinuativa
ecograficamente accertata con funzionalità normale, eventualmente con
cicatrici
3-6%
A. Angiolini et al.
Valutazione diagnostica e medicolegale
della Nefropatia Ipertensiva
Tab. 3
51

52
Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
schematizzata è la criteriologia valutativa
indicata dalla L. 222/1984 che
individua quale elemento centrale la
capacità lavorativa attitudinale. In tale
contesto si ritiene corretto tenere conto
delle indicazioni tabellari sopra descritte,
correlando i valori percentuali
all’insieme degli elementi attitudinali e
lavorativi concreti, non trascurando i
dati della letteratura scientifica e l’esperienza
del medico valutatore (11). Comunque
solo dopo l’attenta e completa
analisi di tutti gli elementi clinicidocumentali-strumentali
raccolti, il
medico legale sarà in grado di giungere
con criteri di obiettività e scientificità,
alla formulazione diagnostica di
nefropatia ipertensiva e di valutare la
concreta incidenza dell’infermità sul
complesso biopatologico, perfezionando
in modo personalizzato il giudizio
in merito all’efficienza lavorativa perduta
dalla persona, nonché la residua
potenzialità applicabile in occupazioni
confacenti.
Bibliografia
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Il cardiologo e la fibrillazione atriale un anno
dopo lo studio AFFIRM: tra evidence-based
Medicine e Psicanalisi
Cardiologists and atrial fibrillation, one year after
the AFFIRM trial: between evidence-based Medicine
and Psychoanalysis
A. Finzi*
Lo studio AFFIRM, pubblicato alla fine del 2002 sul New England Journal of Medicine, ha confrontato la strategia che
tende a ristabilire e mantenere il ritmo sinusale verso quella del semplice controllo della frequenza ventricolare su 4050
pazienti con fibrillazione atriale ricorrente o a rischio di recidiva, di età > 65 anni e con multipli fattori di rischio. Ne è
emerso che l’opzione “interventistica” non solo non è stata migliore sul piano della sopravvivenza, ma è stata associata
ad un maggior numero di eventi avversi, dalle ospedalizzazioni agli ictus ischemici, agli effetti collaterali dei farmaci,
alla più scadente qualità di vita. Lo studio, importante per numerosità della casistica del “mondo reale”, è stato gravato,
proprio per questo, da difetti strutturali e di analisi dei risultati; ma la sua enorme risonanza ed il diluvio di commenti
pro e contro le opposte strategie terapeutiche che lo hanno seguito travalicano i confini del puro interesse scientifico
e diventano espressione dell’impatto di un messaggio “liberatorio” od “eretico”, a seconda del destinatario, sul subconcio
collettivo della comunità cardiologica, per la quale la fibrillazione atriale è un quotidiano dilemma clinico, denso di
stress e di insidie. Un anno dopo, tuttavia, due soli sono i messaggi fondamentali che l’AFFIRM ci ha consegnato: 1.
l’ictus associato a fibrillazione atriale, spesso asintomatica, è il rischio principale per cui la terapia anticoagulante va
estesa ad un maggior numero di pazienti; 2. il problema della fibrillazione atriale va relativizzato al quadro clinico
complessivo. Nulla che, in fondo, chi ha una solida preparazione culturale non sapesse già.
The AFFIRM trial, published on the New England Journal of Medicine late in 2002, compared rhythm versus rate control in
an extensive database of 4050 patients with recurrent or probably recurrent atrial fibrillation, > 65 of age and multiple
cardiovascular risk factors. Results showed that the rhythm control strategy was not superior in terms of total mortality,
which was the primary end point, but had a higher incidence of adverse outcomes, as hospitalizations, ischemic stroke,
pharmacological side effects and lower patient acceptance. As it was based on a huge “real world” patient population,
AFFIRM, for this very reason, presented with a number of design drawbacks and limitations in results analysis; but the
enormous number of comments and debates it generated goes far beyond the boundaries of the pure scientific interest, but
expresses the deep impact of an “all free” or “heretical” message, depending on who the recipient is, on the collective
Subconscious of the cardiological community, for which atrial fibrillation is a daily stressful and dangerous problem. One
year later, AFFIRM stands with two main conclusions: 1. stroke associated to atrial fibrillation, often asymptomatic, is the
worst problem, for which long term anticoagulation is warranted; 2. the impact of atrial fibrillation must be weighted
relatively to the general clinical condition of each patient. Nothing new, at the end of the day, for cardiologists with a solid
cultural background.
(It J Practice Cardiol 2004; 2 : 53-58)
Key words: atrial fibrillation, AFFIRM, antiarrhythmic agents, stroke, arrhythmias
© 2004 ANCE ricevuto il 15 gennaio 2004; accettato il 6 aprile 2004
*Dirigente di I livello U.O. di Cardiologia, Ospedale Maggiore di Milano, IRCCS – Milano
Via Francesco Sforza, 33 20122 Milano Tel. 02 5503 3532
e-mail: andrea.finzi@tiscali.it
It J Practice Cardiol is available at http://www.ancecardio.it
Lo scenario del mondo reale
La cura dei pazienti con fibrillazione
atriale (FA) è fra le attività più comuni
e meno gratificanti nella pratica dello
specialista cardiologo, sia esso
ospedaliero che ambulatoriale. La frequenza
dell’ incontro con questi pazienti
è assicurata dal fatto che si tratta
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Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
dell’aritmia in assoluto più comune
nella popolazione in generale, con
un’incidenza superiore al 10% nelle
fasce di età più avanzata, con picchi
superiori al 20% fra i pazienti ipertesi e
fra quelli affetti da patologie valvolari
etc (1). Inoltre, la FA può comparire
nell’ambito di una miriade di condizioni
cliniche diversissime fra loro, dalle malattie
tiroidee alle patologie polmonari
croniche e acute, alle sequele postoperatorie
delle più svariate chirurgie. Infine,
la frequenza delle recidive garantisce
a tutti i cardiologi l’opportunità di
acquisire una discreta esperienza
“longitudinale” di tentativi terapeutici
seriati nello stesso paziente.
Nonostante, e forse anche in virtù del
supporto di Linee Guida estremamente
circostanziate e periodicamente aggiornate
(2), la FA mantiene intatto nel
tempo il suo potenziale problematico
ed ansiogeno per il cardiologo, obbligato
a rapide decisioni operative di
fronte ad una condizione patologica
ineludibile (basta tastare il polso per
sapere che c’è ancora o che è
ricomparsa di nuovo). Sotto l’incalzare
del tempo che passa e che fa decadere
le opzioni terapeutiche più facilmente
“risolutive”, molto spesso egli si sente
stretto fra pulsioni di segno opposto: il
dover scegliere fra un atteggiamento
aggressivo per ripristinare e mantenere
il ritmo sinusale “ancora ed a ogni
costo” ed uno più conservativo e rassegnato
(talora espressione di un
malcelato “istinto di fuga” da casi difficili),
di semplice controllo della frequenza,
lasciando il paziente in una
“tranquilla” FA. E tutto ciò dopo decenni
di studi condotti su casistiche
opportunamente selezionate di soggetti
senza gravi cardiopatie organiche che
hanno quasi sempre comprovato l’efficacia
della terapia con farmaci
antiaritmici e, in anni più recenti, di
interventi non farmacologici (pacing
antitachicardico, ablazione transcatetere
dei foci aritmogeni, cardioversione
elettrica interna etc). La realtà quotidiana
è, ahinoi, ancora sconsolantemente
affollata di pazienti che, dopo
efficaci interventi di ripristino del ritmo
sinusale, ritornano in alta percentuale
al punto di partenza, con la stessa FA
talvolta trasformata in fibrillo-flutter
atriale dall’effetto boomerang di una
profilassi antiaritmica inefficace o dalla
modificazione del substrato elettroanatomico
indotto dall’ablazione. Ma
quando le ripetute frustrazioni delle
attese terapeutiche spingono il
cardiologo a sfuggire all’imperativo del
Superego interventista, ecco che lo
stesso Superego si ripresenta con il minaccioso
incombere del deterioramento
funzionale del cuore fibrillante e, soprattutto,
del rischio tromboembolico,
vera spada di Damocle pronta a trasformare
il più asintomatico dei pazienti in
un irrecuperabile handicappato. Ecco
quindi che, a coronamento del doloroso
teorema che “nulla è facile” (3), si
presenta la sequenza dei problemi di
avvio e di controllo della terapia
anticoagulante orale con dicumarolici,
una perigliosa navigazione fra rischi di
ematomi intracranici postraumatici e
gastroenterorragie, con tabelle di posologia
spesso della complessità di un
test mnemonico e suscettibili di trasformarsi
in prove a carico in un processo
per tentato omicidio se consegnate nelle
mani di ottantenni che vivono da soli.
Lo studio AFFIRM
È su questo scenario non proprio
emblematico del “trionfo della medicina”
che alla fine del 2002 irrompe lo studio
AFFIRM (The Atrial Fibrillation followup
Investigation of Rhythm Managment),
pubblicato sul New England
Journal of Medicine a firma di un gruppo
di ricercatori fra cui spiccano i nomi di AL
Waldo e JP Di Marco (4). Su di una
casistica così ampia (4050 pazienti) da
oscurare qualunque altro trial effettuato
sulla FA e su un follow-up medio di 3,5
anni (da 1 a 5), l’AFFIRM ha affrontato la
questione del confronto fra controllo del
ritmo e controllo della frequenza avendo
come end point primario la mortalità
generale e come end point secondari
l’ictus ischemico ,le emorragie maggiori,
l’arresto cardiaco, i ricoveri ospedalieri e
la qualità di vita. La casistica studiata rappresenta
la parte meno “attraente” del
mondo reale, sotto il profilo delle prospettive
di efficacia degli interventi: età >
65 anni, con almeno un fattore di rischio
per morte o ictus, quali ipertensione
(51%), cardiopatia ischemica (26%) insufficienza
ventricolare sinistra (23%),
mentre solo nel 12% la FA non appariva
correlata ad alcuna malattia; il 35% dei

pazienti era stato arruolato dopo il primo
episodio di FA, gli altri ne avevano già
avuti in precedenza e nel 18% i tentativi
terapeutici con farmaci antiaritmici erano
falliti; l’episodio indice di FA era avvenuto
nelle ultime 6 settimane in > 90%
dei casi e nel 70% la FA era durata > 2
giorni. I pazienti sono stati randomizzati
fra due gruppi: un gruppo di controllo
del ritmo (GCR) prima farmacologico
con amiodarone, sotalolo, propafenone,
procainamide, chinidina, flecainide,
disopiramide, moricizina, dofetilide, poi,
se necessario, non farmacologico; gli altri
pazienti sono stati attribuiti ad un gruppo
di controllo della frequenza (GCF)
con farmaci (digossina, betabloccanti,
diltiazem, verapamil) o con l’ablazione/
modulazione del nodo AV in seconda
istanza. La terapia anticoagulante era
obbligatoria nel GCF, mentre nel GCR
era consigliata ma poteva essere sospesa
dopo aver verificato la stabilità del ritmo
sinusale per 4 o meglio 12 settimane. Il
crossover fra gruppi era ammesso.
Il risultato riguardante l’end point primario,
la mortalità generale, non è apparso
significativamente diverso fra i
due gruppi anche se un trend di maggior
mortalità nel GCR si è manifestato
dalla metà del secondo anno per raggiungere
il 23,8,% verso il 21,3% nel
GCF (P = 0.08). L’incidenza di ictus
ischemico ha mostrato un trend di
maggior frequenza nei pazienti che
avevano sospeso il warfarin oppure che
avevano un INR < 2.0 (più numerosi
nel GCR) o che erano ancora in FA (più
numerosi nel GCF). L’incidenza di eventi
avversi da tossicità farmacologia e di
ospedalizzazioni è stata significativamente
maggiore nel GCR (P = 0,001),
anche se la proaritmia da farmaci
antiaritmici è risultata assai rara. Dopo
5 anni, il 34% dei pazienti era in ritmo
sinusale e di questi il 62% di quelli del
GCR, 368 dei quali sottoposti almeno
una volta a cardioversione elettrica, 14
ad ablazione dell’aritmia atriale, 4 a
procedura di compartimentazione chirurgica
dell’atrio in 3, transcatetere in
uno; oltre l’80% dei pazienti in FA aveva
un soddisfacente controllo della frequenza
cardiaca, ma il 5,2% è stato
sottoposto ad ablazione del nodo AV.
Il crossover da GCR a GCF ha mostrato
un trend crescente da 16.7% a 37.5%
(594 pazienti) dal primo al quinto anno
di follow-up per impossibilità di mantenere
il ritmo sinusale o per effetti indesiderati
dei farmaci, anche se 61 di
essi sono poi ritornati al GCR. D’altra
parte, il 14,9% dei pazienti del GCF
avevano effettuato il crossover al GCR
al termine dello studio, con un ritorno
al GCF per 86 di essi
Discutendo i risultati, gli Autori sottolineano
alcuni aspetti peculiari dello studio,
soprattutto quelli determinati dal
tipo di casistica, composta da pazienti
anziani e complessivamente più compromessi,
come dimostra la maggior incidenza
di crossover al GCF e lo scarso
utilizzo di tecniche non farmacologiche.
Anche il disegno dello studio può aver
influenzato i risultati, per quanto riguarda
l’impiego di più farmaci antiaritmici,
la possibile esclusione dall’arruolamento
di pazienti con sintomi troppo gravi
per rischiare la randomizzazione al GCF
e l’elevato numero di pazienti, anche del
GCF, trovati in ritmo sinusale alle visite
periodiche, ciò che suggerisce un’elevata
incidenza di FA parossistica. Con molto
buon senso, essi riconoscono che i risultati
dello studio non sono applicabili
ai pazienti più giovani e senza fattori di
rischio per l’ictus, soprattutto quelli con
FA parossistica.
In conclusione, gli Autori affermano che
la strategia del controllo del ritmo non
offre vantaggi in termini di sopravvivenza
rispetto al controllo della frequenza
che, al contrario, è superiore
in termini di minor rischio di eventi avversi
da farmaci; infine viene sottolineata
l’importanza della terapia anticoagulante
a lungo termine per questi
pazienti ad alto rischio, in quanto il rischio
maggiore è quello delle recidive
di FA asintomatica.
I commenti
Come tutti gli studi importanti,
l’AFFIRM ha meritato il suo primo commento
editoriale sullo stesso numero
del New England Journal of Medicine,
a firma di RH Falk (5), che ha preso in
esame anche lo studio olandese di Van
Gelder et Al. pubblicato subito dopo
l’AFFIRM, ma di dimensioni assai più
modeste seppur con risultato analogo
(6). Gli aspetti più evidenziati dall’ editoriale
sono stati l’aumento del rischio
di ictus ischemico dopo interruzione del
warfarin e quindi la verosimilmente
A. Finzi
Il cardiologo e la fibrillazione atriale
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Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
notevole incidenza di FA asintomatica
in pazienti ritenuti stabilmente in ritmo
sinusale, soprattutto se ipertesi;
pertanto, la protezione dal pericolo
tromboembolico viene ritenuta più
importante di qualsiasi intervento di
ripristino o mantenimento del ritmo
sinusale anche se si sottolinea ancora
una volta che ciò non è applicabile ai
pazienti fortemente sintomatici con
scarso controllo della frequenza in FA
ed ai pazienti giovani con FA parossistica,
non presenti in questo studio.
Nell’anno successivo alla sua pubblicazione,
l’AFFIRM ha stimolato la pubblicazione
di un gran numero di commenti
su riviste di cardiologia e di medicina
interna; il fatto è rilevante se paragonato
alle sole tre lettere di commento e alle
brevi risposte degli Autori, tutti compresi
nel numero del 27 marzo 2003 del
NEJM (7), dedicate oltretutto a particolari
marginali dello studio (l’impiego dei
betabloccanti, la tossicità polmonare da
amiodarone, la possibilità di sorgenti
emboligene extracardiache). Qui evidentemente
entra in gioco la psicanalisi
di massa, mediata dal sensazionalismo
della pubblicistica medica e
dalla tendenza a generalizzare i risultati
degli studi (8-10). La soddisfazione di
trovare conferma alla propria insofferenza
verso il Superego interventista o
soltanto la giustificazione per evitare di
esporsi alle continue frustrazioni della
pratica terapeutica trapela da molte corrispondenze,
soprattutto di riviste di
medicina generale (11-13) ma anche di
cardiologia: è sintomatico il fatto che
un’autorità riconosciuta in campo
aritmologico come I. Malik intitola il suo
commento all’AFFIRM sul “Journal
Scan” di ‘Heart’ : “Anticoagulation, not
sinus rhythm is what patients with atrial
fibrillation need” (14).
Molto è stato scritto sulle debolezze
strutturali nel disegno dell’ AFFIRM, che
sono tante ed evidenti. Vi è stato addirittura
chi ha ipotizzato un errore di tipo
II dovuto ad un arruolamento inferiore
a quello previsto ed ha obiettato che
comunque non vi è ancora una sicura
dimostrazione che la strategia del controllo
del ritmo è un comparatore affidabile,
cioè meglio del placebo (15).
Più di un commentatore ha posto in
luce altri gravi difetti dello studio: sono
stati criticati la frequenza dei crossover
che ha confuso i risultati a favore del
GCF, la presenza di troppi pazienti del
GCF in ritmo sinusale al termine dello
studio, segno di un inadeguato criterio
di inclusione, l’attribuzione dei pazienti
trattati con ablate and pace al
GCF che ne ha migliorato i risultati, la
minore raccomandazione alla terapia
anticoagulante nel GCR che ha favorito
gli eventi embolici, oltre naturalmente
all’esclusione dei pazienti < 65 anni.
Particolarmente polemici sono stati i
commenti dell’aritmologo interventista,
abituato a curare i casi particolarmente
difficili, da cui trapela la preoccupazione
che la generalizzazione eccessiva
dei risultati dello studio favorisca
una inversione di tendenza, inaccettabile
dal suo punto di vista, dell’atteggiamento
di chi oggi è favorevole
al controllo del ritmo (16): insomma,
un nuovo CAST, 14 anni dopo, una rivoluzione
in negativo emersa da uno
studio intrinsecamente errato. I toni
accesi tradiscono forse anche un sottile
risvolto psicoanalitico, leggibile come
reazione al tradimento di principi
basilari, per di più da parte di alcuni
venerati “padri nobili” dell’aritmologia
americana che hanno disinvoltamente
avallato risultati piuttosto discutibili;
poco o nulla importa che questo sia
inevitabile quando si studiano grandi
popolazioni del mondo reale, e non
piccoli gruppi selezionati, come avviene
per lo più in campo elettrofisiologico.
In realtà, preme ricordarlo, gli Autori
dell’AFFIRM sono stati chiari ed onesti
nel commentare i loro risultati, riconoscendone
i limiti e guardandosi bene
dall’estendere conclusioni azzardate a
popolazioni diverse da quella studiata.
Vi è stato, infine, un certo numero di
commentatori molto equilibrati che
hanno sdrammatizzato e relativizzato i
risultati del trial, mettendo in evidenza
che, se ovviamente non è stato il trionfo
del controllo del ritmo come primo
approccio, sicuramente esso ha dimostrato
che la realtà è molto più complessa
di quello che i piccoli studi addomesticati
vorrebbero far credere. S.
Nattel, ad esempio, ha auspicato che
questo studio dovrebbe favorire un
approccio più riflessivo alla FA, considerandola
non una “malattia” in sé e
per sé che deve essere sradicata a tutti

i costi, ma un disturbo complesso con
i pro e i contro di varie linee di approccio,
in cui prevalgono fattori specifici
per il singolo paziente (17).
Gli studi derivati
Come tutti i grandi trial collaborativi,
l’AFFIRM ha generato una serie di
sottoanalisi mirate ad aspetti particolari
dei suoi risultati. In una comunicazione
alla 24° sessione del NASPE nel 2003,
Olshansky ha riportato la scarsa affidabilità
dei dati ecocardiografici nella
previsione delle recidive di FA, ritrovandosi
soltanto una lieve correlazione con
un diametro atriale traverso > 4,5 cm,
mentre assai maggiore è la capacità
predittiva della durata della FA indice
ed il fatto che essa a sua volta sia una
recidiva (18). Un sottostudio sullo
stroke, presentato all’American Academy
of Neurology (19) ha sottolineato
che l’assegnazione all’uno o all’altro
braccio di trattamento era assai poco
correlato con la comparsa di ictus
ischemico, mentre lo era molto il fatto
di essere in trattamento con il warfarin,
il cui uso riduceva l’incidenza di stroke
del 68%. Inoltre, per quanto il fatto di
essere in FA nel follow-up aumentasse
il rischio di ictus del 72%, gli Autori
mettono in guardia contro l’eccessiva
fiducia nella stabilità del ritmo sinusale,
dato che in molti casi la FA è asintomatica
e concludono che “il warfarin e
non il controllo del ritmo è importante”
riecheggiando il commento di Malik
sulla rivista britannica. Ma l’impiego
degli anticoagulanti orali è ancora
lamentevolmente scarso nella pratica
clinica corrente, sia per ignoranza della
linee guida che per paura delle emorragie,
come dimostrato da un’altra indagine
di ambiente neurologico (20).
Per quanto riguarda l’efficacia dei farmaci
antiaritmici utilizzati nell’AFFIRM,
un sottostudio ha confermato la superiorità
dell’amiodarone nei confronti di
sotalolo e degli agenti di Classe I, con
un’incidenza di mantenimento del ritmo
sinusale rispettivamente del 60%,
38% e 23%. Ovviamente, una nota di
cautela è posta sui diversi effetti
collaterali che devono essere tenuti presenti
nella scelta dei farmaci e, nel vasto
mondo reale, se da una parte “no
drug therapy” può dare eccellenti risultati
a lungo termine in certi casi, in
altri la frequenza delle recidive di FA o
il suo scarso controllo possono indirizzare
alla scelta di terapie non farmacologiche
(21). Infine, una sottoanalisi
sui test di qualità di vita in 716 pazienti
arruolati nell’AFFIRM ha trovato uno
score iniziale decisamente peggiore rispetto
a quello di una popolazione
comparabile, con un miglioramento nel
corso del follow up che non è apparso
associato ad alcuna delle strategie
terapeutiche; ciò conferma i risultati di
uno studio canadese di poco precedente
(22).
Oltre alle sottoanalisi, merita di essere
segnalato un recentissimo lavoro del
gruppo di Hohnloser che, utilizzando il
sistema di registrazione del pacemaker
impiantato in 110 pazienti con storia di
FA, ha dimostrato, un un follow-up
medio di 19 mesi recidive in 50 casi, il
38% dei quali completamente asintomatici
(23). L’editoriale di accompagnamento,
a firma di ES Kaufman e AL
Waldo (uno degli Autori dell’AFFIRM)
sottolinea che questo lavoro ha messo
sotto gli occhi di tutti l’enormità del problema
della FA asintomatica, che rende
fallace la speranza di sospendere la
terapia anticoagulante nei casi a rischio,
quand’anche in ritmo sinusale ai controlli
clinici (24).
Cosa è cambiato per la nostra
pratica clinica dopo l’AFFIRM?
Sostanzialmente nulla per chi ha già
convinzioni solide sul significato della
FA come aspetto emergente di condizioni
patologiche di lungo periodo e
sul rischio primario delle complicanze
tromboemboliche (25). Senza negare
il principio che un paio di tentativi di
ripristino e mantenimento del ritmo
sinusale vadano pur fatti nella maggior
parte dei casi, la lettura di AFFIRM e
dei suoi tanti commenti equivale ad
una buona dose di Prozac per quanti
soffrono troppo le frustrazioni della terapia
della FA, perché così va il mondo…
reale. Su questo scenario poco
entusiamante, gettano una luce di ottimismo
i primi dati a favore dell’utilizzo
degli ACE inibitori e dei sartani nella
prevenzione della fibrosi atriale, con
netta riduzione dell’incidenza di FA già
documentata in letteratura, e la prossima
disponibilità dei nuovi anticoagulanti
più maneggevoli dei dicuma-
A. Finzi
Il cardiologo e la fibrillazione atriale
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Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
rolici (ximelagatran), mentre più in lontananza
si profila lo sviluppo di farmaci
antiaritmici con tropismo elettivo
verso l’atrio.
Tutt’altra storia (al difuori dell’AFFIRM
e dei suoi derivati) è quella dei pazienti
per i quali la FA non è “complicanza
della malattia” ma “La Malattia”, unico
e solo tormento di una vita peraltro
normale. In questi casi, ogni alchimia
farmacologica va sperimentata ed ogni
fantascientifica soluzione biotecnologia
ha ragione di essere considerata e posta
in atto in Centri di alta specialità.
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atrial fibrillation recurrence or stroke in the
AFFIRM Study?” PACE. 2003;26(Suppl
II):1030. Abstract 405.
19) Sherman DG, Kim S, Boop B, et al. “The
occurrence and characteristics of stroke
events in the AFFIRM study” In:
Proceedings of the 55th Annual Meeting
of the American Academy of Neurology;
March 29-April 5, 2003; Honolulu, Hawaii.
Abstract S37.001
20) Deplanque D, Mas JL, Leys D, et al. «Stroke
and Atrial Fibrillation Ensemble (SAFE):
Why anticoagulants still remain underused
in Europe despite evidence-based
guidelines.» In: Proceedings of the 55th
Annual Meeting of the American Academy
of Neurology; March 29-April 5, 2003;
Honolulu, Hawaii. Abstract P06.156.
21) The AFFIRM First Antiarrhythmic Drug
Substudy Investigators. Maintenance of
sinus rhythm in patients with atrial
fibrillation. An AFFIRM Substudy of the First
Antiarrhythmic Drug” J Am Coll Cardiol.
2003;42:20-29
22) Curtis AB: “New insights into
pharmacological management of atrial
fibrillation” Medscape Cardiology 2003,
July, 2
23) Israel CW, Gronefeld G, Ehrlich JR, Li YG,
Hohnloser SH “Long term risk of recurrent
atrial fibrillation as documented by an
implantable monitoring device.
Implications for optimal patient care” J Am
Coll Cardiol 2004; 43: 47-52
24) Kaufman ES, Waldo AL “The impact of
asymptomatic atrial fibrillation” J Am Coll
Cardiol 2004; 43: 53-54
25) Snow, V., Weiss, K. B., LeFevre, M.,
McNamara, R., Bass, E., Green, L. A., Michl,
K., Owens, D. K., Susman, J., Allen, D. I.,
Mottur-Pilson, C. “Management of Newly
Detected Atrial Fibrillation: A Clinical
Practice Guideline from the American
Academy of Family Physicians and the
American College of Physicians”. Ann Intern
Med 2003; 139: 1009-1017

Medicina dello sport e malattie cardiovascolari:
ruolo dell’attività fisica nella prevenzione e nella
terapia delle malattie coronariche
Sport medicine and cardiovascular diseases: role of
physical activity in the prevention and therapy of
coronary syndromes
R. Guglielmi*, P. Bruzzese*, M. Campaniello**, D. Di Noia**, O. Di Cillo**
Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morbilità e mortalità nei paesi occidentali. Il danno miocardio
spesso è dovuto all’aterosclerosi delle arterie coronarie che può ridurre la perfusione ematica, la contrattilità del
miocardio, condizionando la durata dell’esercizio. Molti studi hanno dimostrato il ruolo protettivo dell’attività fisica
nello sviluppo della malattia delle arterie coronarie: un’incidenza più bassa di aterosclerosi coronarica è stata osservata
fra coloro che praticano attività fisica. Altri studi hanno documentato mortalità più bassa totale e cardiovascolare
come conseguenza di attività regolare fisica. Un effetto favorevole sul metabolismo dei lipidi può in parte spiegare
questi dati. Se questo è il dato, la sedentarietà può essere considerata un fattore del rischio cardiovascolare. Inoltre, la
riduzione della mortalità è correlata fortemente all’intensità ed alla frequenza dell’attività fisica. Orientamenti internazionali
e nazionali per la prevenzione della malattia cardiovascolare suggeriscono 30 minuti di attività fisica tutti i
giorni. Dati italiani ed europei documentano la percentuale bassa di soggetti praticanti attività fisica regolare ed
un’incidenza crescente di obesità. Una situazione simile può essere osservata in tutto il mondo industrializzato. In un
meta-analisi di 22 studi, l’attività fisica è causa di riduzione di mortalità totale e cardiovascolare, in pazienti infartuati
a basso rischio, mentre non sono disponibili dati per pazienti ad alto rischio. Il miglioramento delle procedure della
riabilitazione cardiologica modificherà lo stile di vita con impatto favorevole sulla prognosi dei pazienti con danno
cardiovascolare.
Cardiovascular disease represents the first cause of morbidity and mortality in the west countries. Myocardial damage is
often due to the coronary artery atherosclerosis that is able to reduce blood flow, myocardial contractility and exercise
duration.
Several studies demonstrated a protective role of physical activity in the development of the coronary artery disease: a lower
incidence of CAD is observed among people who practise physical training while other studies documented a lower total and
cardiovascular mortality as a consequence of regular physical activity. A favourable effect on lipid metabolism can in part
explain these data.
If this is the case, sedentarity can be considered a cardiovascular risk factor. Moreover, mortality reduction is strongly
correlated to physical activity intensity and frequency. International and national guidelines for the prevention of cardiovascular
disease suggest 30 minutes of physical activity every day.
Italian data, as well as European data document a low percentage of people who practise regular training and a growing
incidence of obesity. A similar situation can be observed in the whole industrialized world.
In a meta-analysis of 22 studies, physical activity has been shown to reduce total and cardiovascular mortality in low risk
infarcted patients, while no data are available about high risk patients.
The improvement of rehabilitation procedures, favouring lifestyle modification, will have a great impact on cardiovascular
patients prognosis.
(It J Practice Cardiol 2004; 2 : 59-62)
Key words: physical activity, cardiovascular disease
© 2004 ANCE Ricevuto il 18 gennaio 2004 ; accettato il 9 aprile 2004
* U.O. Cardiologia riabilitativa e d’urgenza, Azienda Policlinico Consorziale Bari
**U.O. Cardiologia, Azienda Policlinico Consorziale Bari
Correspondig author: Riccardo Guglielmi
Via Concilio Vaticano II, 80 70124 – Bari
e-mail: r.guglielmi@tin.it - baricardsport@tin.it
It J Practice Cardiol is available at http://www.ancecardio.it
59

60
Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
Fig.1
Le malattie cardiovascolari rappresentano
la causa di morbilità e mortalità
statisticamente più significativa nei paesi
occidentali. La causa principale è il
danno anatomico del miocardio primitivo
o secondario all’alterazione del macro
o del micro circolo coronarico. (1)
Numerosi studi hanno dimostrato che
l’attività fisica esplica azione cardioprotettiva
e di conseguenza la sedentarietà
è un fattore di rischio cardiovascolare
(2).
Uno studio recente condotto in Giappone
su 3331 uomini (72% sedentari,
28% dediti ad attività fisica), ha riscontrato
un minor rischio coronario tra i
soggetti che praticavano attività fisica
(3).
I soggetti fisicamente attivi presentano
rispetto ai sedentari una mortalità
complessiva del 25% inferiore ed una
mortalità coronaria del 36% inferiore.
(4 Alumni Study)
L’aterosclerosi rappresenta la causa
principale dell’alterazione del circolo
arterioso. La placca aterosclerotica determina
variazioni dei gradienti pressori
nel lume del vaso, alterazioni del flusso,
riduzione della contrattilità miocardia e
della durata dell’esercizio fisico.
Anche se a tutt’oggi non esistono eziopatogenesi
certe dei processi aterosclerotici,
sono stati identificati i fattori di rischio
la cui presenza rappresenta variabile
significativa nell’instaurarsi del processo
patologico.
Le iperlipemie costituiscono uno dei
principali fattori di rischio cardiovascolare
e l’attività fisica esplica un
effetto protettivo nei confronti delle
malattie cardiovascolari soprattutto
perché in grado di modificare in senso
antiaterogeno l’assetto lipidico. (5)
Anche l’intensità e la frequenza sono
determinanti positive per la diminuzione
della mortalità. Uno studio che prevedeva
un campione di 25000 soggetti
(41% normopeso, 46% soprappeso,
13% obesità) seguiti per un periodo di
10 anni, ha dimostrato che un basso
grado d’attività fisica ha lo stesso valore
predittivo di altri fattori di rischio (6).
Nelle linee guida dell’American Heart
e dell’ANMCO è consigliata l’attività
fisica o il camminare per 30’ al di per la
prevenzione primaria della MCV.
Dal Data File della Giornata Mondiale
della Sanità del 7/4/2002 si rilevano
dati riguardanti il nostro paese, la comunità
europea, il mondo.
In Italia la percentuale di persone inattive
è del 37,5% (43% donne e 32%
uomini), la percentuale di persone praticanti
attività fisica è del 33,2% e la
percentuale di persone praticanti attività
sportiva è del 28,4%.
Nei paesi europei l’inattività fisica è il
secondo fattore di rischio dopo il tabacco.
Il 30% della popolazione è inattivo,
l’obesità è cresciuta tra il 10 ed il
40%.Il 30% delle distanze percorse in
auto è inferiore a 3 Km, mentre solo il
5% delle distanze è percorso in bicicletta.
Nel mondo la situazione è la seguente:
la vita sedentaria è una delle prime
10 cause di morte ed inabilità, la percentuale
di adulti inattivi è compresa
tra il 65 e l’85%, l’inattività determina
2 milioni di morti/anno ed il 50% delle
morti per MCV oltre i 50 anni. Modesti
cambiamenti dello stile di vita prevengono
il 60% dei casi di diabete.
Oldbrige (1988) ed O’Connor (1989),

nelle metanalisi di 22 studi complessivi
sulla prognosi in soggetti infartuati praticanti
attività fisica regolare, hanno
dimostrato che l’esercizio fisico riduce
la mortalità totale e cardiovascolare, ma
non il reinfarto, in soggetti di età media
ed a basso rischio. Non ci sono informazioni
a tutt’oggi sugli infartuati a
rischio elevato: infarti estesi, disfunzione
VS, anziani, donne, ed ad elevato
rischio di progressione della coronaropatia.
L’incremento delle procedure di riabilitazione
potrà nel futuro dirimere questi
dubbi. Ma a questo punto conviene
chiederci se è l’attività fisica o la riabilitazione
a migliorare la prognosi del
paziente. La risposta è che la riabilitazione
tende a modificare favorevolmente
lo stile di vita del paziente infartuato
favorendo non solo l’attività fisica ma
anche l’educazione alimentare. L’obiettivo
è sempre l’intervento sui fattori di
rischio modificabili.
L’esercizio fisico ha determinato una
prognosi più favorevole nel rimodellamento
post infartuale. L’ecocardiogramma
(9) permette di monitorare il
controllo evolutivo del remodelling.
Lo Studio EAMI (Exercise in Anterior
Myocardial Infarction) EF

62
Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
tervento dietetico appropriato, un corretto
stile di vita, il controllo della P.A.
e dell’assetto glicemico e lipidico, rappresentano
quelle variabili che determinano
un miglioramento del rischio
cardiovascolare in prevenzione primaria
e secondaria. L’attività fisica diventa
un “farmaco” e, come tutti i farmaci,
deve essere personalizzato nella posologia,
nei tempi e modi di somministrazione.
Bibliografia
1. 1998 Heart and Stroke Statistical Update.
Dallas TX, American Heart Association 1997;
1-29.
2. Enzo Manzato La malattia coronaria PG ed.
scientifiche, pag. 24-31.
3. Hsieh SD, Yoshinaga H, Muto T, et al. Regular
phisical activity and coronary risk factors in
japanese man. Circulation 1988; 97:661-
665.
4. Lee IM, Hsieh CC, Pafenbarger RS Jr. Exercise
intensity and longevity in men: the Harvard
Alumni Health Study. JAMA 1995;273:1179-
1184.
5. A. Bonetti, Attività fisica, metabolismo
lipidico e rischio cardiovascolare Sports
Cardiology Vol II n. 3/2002-04-02.
6. Wei M, Kampert JB, Barlow CE, et al.
Relationship between low cardiorespiratory
fitness and mortality in normal, over weight
and obese man. JAMA 1999; 282:1547-
1553.
7. Pantaleio Giannuzzi, Ermanno Eleuteri Il
rimodellamento del ventricolo sinistro.
Ital Heart J Suppl 2000; 1(10): 1281-1288.
8. Stefano Urbinati, Francesco Pergolini,
Gabriello Marchetti, Giuseppe Pinelli.
Interazione tra training fisico e terapia
farmacologica nella prevenzione del
rimodellamento ventricolare nel paziente
con disfunzione ventricolare sinistra, Ital
Heart J Suppl 2000; 1(12): 1545-1552.
9. Riccardo Guglielmi, Bibiana Del Salvatore,
Regina Foresta, La prevenzione ed il controllo
evolutivo del rimodellamento Cardiologia
Extraospedaliera Agosto 2002.
10. Giannuzzi e coll. Studio ELVD (exersise training
in left ventricular dysfuction) JACC
1995; suppl; 402A.
11. Gruppo Italiano per la Sopravvivenza nell’Infarto
miocardio. Il protocollo GISSI
Prevenzione. Giornale Italiano di Cardiologia
1993 23:1053-61.
12. ISTAT Studio MONICA Ferrario e coll. Sorveglianza
epidemiologica della cardiopatia
ischemica: risultati delle aree MONICA italiane
e proposta di un modello di stima. Giornale
Italiano di Cardiologia 1999 29:161-7.

Medicina dello sport e malattie cardiovascolari:
ruolo dell’attività fisica nella prevenzione e nella
terapia delle malattie coronariche
Sport medicine and cardiovascular diseases: role of
physical activity in the prevention and therapy of
coronary syndromes
R. Guglielmi*, P. Bruzzese*, M. Campaniello**, D. Di Noia**, O. Di Cillo**
Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morbilità e mortalità nei paesi occidentali. Il danno miocardio
spesso è dovuto all’aterosclerosi delle arterie coronarie che può ridurre la perfusione ematica, la contrattilità del
miocardio, condizionando la durata dell’esercizio. Molti studi hanno dimostrato il ruolo protettivo dell’attività fisica
nello sviluppo della malattia delle arterie coronarie: un’incidenza più bassa di aterosclerosi coronarica è stata osservata
fra coloro che praticano attività fisica. Altri studi hanno documentato mortalità più bassa totale e cardiovascolare
come conseguenza di attività regolare fisica. Un effetto favorevole sul metabolismo dei lipidi può in parte spiegare
questi dati. Se questo è il dato, la sedentarietà può essere considerata un fattore del rischio cardiovascolare. Inoltre, la
riduzione della mortalità è correlata fortemente all’intensità ed alla frequenza dell’attività fisica. Orientamenti internazionali
e nazionali per la prevenzione della malattia cardiovascolare suggeriscono 30 minuti di attività fisica tutti i
giorni. Dati italiani ed europei documentano la percentuale bassa di soggetti praticanti attività fisica regolare ed
un’incidenza crescente di obesità. Una situazione simile può essere osservata in tutto il mondo industrializzato. In un
meta-analisi di 22 studi, l’attività fisica è causa di riduzione di mortalità totale e cardiovascolare, in pazienti infartuati
a basso rischio, mentre non sono disponibili dati per pazienti ad alto rischio. Il miglioramento delle procedure della
riabilitazione cardiologica modificherà lo stile di vita con impatto favorevole sulla prognosi dei pazienti con danno
cardiovascolare.
Cardiovascular disease represents the first cause of morbidity and mortality in the west countries. Myocardial damage is
often due to the coronary artery atherosclerosis that is able to reduce blood flow, myocardial contractility and exercise
duration.
Several studies demonstrated a protective role of physical activity in the development of the coronary artery disease: a lower
incidence of CAD is observed among people who practise physical training while other studies documented a lower total and
cardiovascular mortality as a consequence of regular physical activity. A favourable effect on lipid metabolism can in part
explain these data.
If this is the case, sedentarity can be considered a cardiovascular risk factor. Moreover, mortality reduction is strongly
correlated to physical activity intensity and frequency. International and national guidelines for the prevention of cardiovascular
disease suggest 30 minutes of physical activity every day.
Italian data, as well as European data document a low percentage of people who practise regular training and a growing
incidence of obesity. A similar situation can be observed in the whole industrialized world.
In a meta-analysis of 22 studies, physical activity has been shown to reduce total and cardiovascular mortality in low risk
infarcted patients, while no data are available about high risk patients.
The improvement of rehabilitation procedures, favouring lifestyle modification, will have a great impact on cardiovascular
patients prognosis.
(It J Practice Cardiol 2004; 2 : 59-62)
Key words: physical activity, cardiovascular disease
© 2004 ANCE Ricevuto il 18 gennaio 2004 ; accettato il 9 aprile 2004
* U.O. Cardiologia riabilitativa e d’urgenza, Azienda Policlinico Consorziale Bari
**U.O. Cardiologia, Azienda Policlinico Consorziale Bari
Correspondig author: Riccardo Guglielmi
Via Concilio Vaticano II, 80 70124 – Bari
e-mail: r.guglielmi@tin.it - baricardsport@tin.it
It J Practice Cardiol is available at http://www.ancecardio.it
59

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Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
Fig.1
Le malattie cardiovascolari rappresentano
la causa di morbilità e mortalità
statisticamente più significativa nei paesi
occidentali. La causa principale è il
danno anatomico del miocardio primitivo
o secondario all’alterazione del macro
o del micro circolo coronarico. (1)
Numerosi studi hanno dimostrato che
l’attività fisica esplica azione cardioprotettiva
e di conseguenza la sedentarietà
è un fattore di rischio cardiovascolare
(2).
Uno studio recente condotto in Giappone
su 3331 uomini (72% sedentari,
28% dediti ad attività fisica), ha riscontrato
un minor rischio coronario tra i
soggetti che praticavano attività fisica
(3).
I soggetti fisicamente attivi presentano
rispetto ai sedentari una mortalità
complessiva del 25% inferiore ed una
mortalità coronaria del 36% inferiore.
(4 Alumni Study)
L’aterosclerosi rappresenta la causa
principale dell’alterazione del circolo
arterioso. La placca aterosclerotica determina
variazioni dei gradienti pressori
nel lume del vaso, alterazioni del flusso,
riduzione della contrattilità miocardia e
della durata dell’esercizio fisico.
Anche se a tutt’oggi non esistono eziopatogenesi
certe dei processi aterosclerotici,
sono stati identificati i fattori di rischio
la cui presenza rappresenta variabile
significativa nell’instaurarsi del processo
patologico.
Le iperlipemie costituiscono uno dei
principali fattori di rischio cardiovascolare
e l’attività fisica esplica un
effetto protettivo nei confronti delle
malattie cardiovascolari soprattutto
perché in grado di modificare in senso
antiaterogeno l’assetto lipidico. (5)
Anche l’intensità e la frequenza sono
determinanti positive per la diminuzione
della mortalità. Uno studio che prevedeva
un campione di 25000 soggetti
(41% normopeso, 46% soprappeso,
13% obesità) seguiti per un periodo di
10 anni, ha dimostrato che un basso
grado d’attività fisica ha lo stesso valore
predittivo di altri fattori di rischio (6).
Nelle linee guida dell’American Heart
e dell’ANMCO è consigliata l’attività
fisica o il camminare per 30’ al di per la
prevenzione primaria della MCV.
Dal Data File della Giornata Mondiale
della Sanità del 7/4/2002 si rilevano
dati riguardanti il nostro paese, la comunità
europea, il mondo.
In Italia la percentuale di persone inattive
è del 37,5% (43% donne e 32%
uomini), la percentuale di persone praticanti
attività fisica è del 33,2% e la
percentuale di persone praticanti attività
sportiva è del 28,4%.
Nei paesi europei l’inattività fisica è il
secondo fattore di rischio dopo il tabacco.
Il 30% della popolazione è inattivo,
l’obesità è cresciuta tra il 10 ed il
40%.Il 30% delle distanze percorse in
auto è inferiore a 3 Km, mentre solo il
5% delle distanze è percorso in bicicletta.
Nel mondo la situazione è la seguente:
la vita sedentaria è una delle prime
10 cause di morte ed inabilità, la percentuale
di adulti inattivi è compresa
tra il 65 e l’85%, l’inattività determina
2 milioni di morti/anno ed il 50% delle
morti per MCV oltre i 50 anni. Modesti
cambiamenti dello stile di vita prevengono
il 60% dei casi di diabete.
Oldbrige (1988) ed O’Connor (1989),

nelle metanalisi di 22 studi complessivi
sulla prognosi in soggetti infartuati praticanti
attività fisica regolare, hanno
dimostrato che l’esercizio fisico riduce
la mortalità totale e cardiovascolare, ma
non il reinfarto, in soggetti di età media
ed a basso rischio. Non ci sono informazioni
a tutt’oggi sugli infartuati a
rischio elevato: infarti estesi, disfunzione
VS, anziani, donne, ed ad elevato
rischio di progressione della coronaropatia.
L’incremento delle procedure di riabilitazione
potrà nel futuro dirimere questi
dubbi. Ma a questo punto conviene
chiederci se è l’attività fisica o la riabilitazione
a migliorare la prognosi del
paziente. La risposta è che la riabilitazione
tende a modificare favorevolmente
lo stile di vita del paziente infartuato
favorendo non solo l’attività fisica ma
anche l’educazione alimentare. L’obiettivo
è sempre l’intervento sui fattori di
rischio modificabili.
L’esercizio fisico ha determinato una
prognosi più favorevole nel rimodellamento
post infartuale. L’ecocardiogramma
(9) permette di monitorare il
controllo evolutivo del remodelling.
Lo Studio EAMI (Exercise in Anterior
Myocardial Infarction) EF

62
Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
tervento dietetico appropriato, un corretto
stile di vita, il controllo della P.A.
e dell’assetto glicemico e lipidico, rappresentano
quelle variabili che determinano
un miglioramento del rischio
cardiovascolare in prevenzione primaria
e secondaria. L’attività fisica diventa
un “farmaco” e, come tutti i farmaci,
deve essere personalizzato nella posologia,
nei tempi e modi di somministrazione.
Bibliografia
1. 1998 Heart and Stroke Statistical Update.
Dallas TX, American Heart Association 1997;
1-29.
2. Enzo Manzato La malattia coronaria PG ed.
scientifiche, pag. 24-31.
3. Hsieh SD, Yoshinaga H, Muto T, et al. Regular
phisical activity and coronary risk factors in
japanese man. Circulation 1988; 97:661-
665.
4. Lee IM, Hsieh CC, Pafenbarger RS Jr. Exercise
intensity and longevity in men: the Harvard
Alumni Health Study. JAMA 1995;273:1179-
1184.
5. A. Bonetti, Attività fisica, metabolismo
lipidico e rischio cardiovascolare Sports
Cardiology Vol II n. 3/2002-04-02.
6. Wei M, Kampert JB, Barlow CE, et al.
Relationship between low cardiorespiratory
fitness and mortality in normal, over weight
and obese man. JAMA 1999; 282:1547-
1553.
7. Pantaleio Giannuzzi, Ermanno Eleuteri Il
rimodellamento del ventricolo sinistro.
Ital Heart J Suppl 2000; 1(10): 1281-1288.
8. Stefano Urbinati, Francesco Pergolini,
Gabriello Marchetti, Giuseppe Pinelli.
Interazione tra training fisico e terapia
farmacologica nella prevenzione del
rimodellamento ventricolare nel paziente
con disfunzione ventricolare sinistra, Ital
Heart J Suppl 2000; 1(12): 1545-1552.
9. Riccardo Guglielmi, Bibiana Del Salvatore,
Regina Foresta, La prevenzione ed il controllo
evolutivo del rimodellamento Cardiologia
Extraospedaliera Agosto 2002.
10. Giannuzzi e coll. Studio ELVD (exersise training
in left ventricular dysfuction) JACC
1995; suppl; 402A.
11. Gruppo Italiano per la Sopravvivenza nell’Infarto
miocardio. Il protocollo GISSI
Prevenzione. Giornale Italiano di Cardiologia
1993 23:1053-61.
12. ISTAT Studio MONICA Ferrario e coll. Sorveglianza
epidemiologica della cardiopatia
ischemica: risultati delle aree MONICA italiane
e proposta di un modello di stima. Giornale
Italiano di Cardiologia 1999 29:161-7.

Classificatori “Support Vector Machine” per la
diagnosi dell’Infarto Miocardico Acuto
Support Vector Machine Classifiers for the Diagnosis
of Myocardial Infarction
B. Commisso*, D. Conforti**, A. Sciacqua***, D. Costanzo***, L. Marando**
Nel presente lavoro viene presentato lo sviluppo di classificatori del tipo Support Vector Machine basati su Kernel, di
ausilio nella decisione diagnostica relativa all’infarto miocardio acuto (IMA). In particolare, occorre riconoscere se un
dolore toracico manifestato dal paziente può essere eventualmente associato ad un IMA in atto. Questo problema di
decisione medica è abbastanza complesso, poiché il dolore toracico, quale sintomo relativo ad IMA, è caratterizzato
da una bassa specificità (valori tipici compresi tra il 30% ed il 40%). Inoltre, al fine di formulare una obiettiva ed
accurata diagnosi, il medico specialista deve valutare ed elaborare un complesso corredo di dati clinici del paziente.
Questi aspetti motivano l’uso di metodologie e strumenti dell’apprendimento automatico al fine di realizzare sistemi
di supporto che siano in grado di migliorare la qualità della decisione diagnostica. A tale scopo, lo specifico problema
decisionale medico è stato formulato come problema di classificazione binaria (classe IMA e classe not-IMA), sviluppando
una base di conoscenza di 242 casi (130 nella classe IMA e 112 nella classe not-IMA), ognuno dei quali
caratterizzato da un insieme di 105 attributi. Utilizzando i modelli definiti dalle “Support Vector Machine”, è stato
testato e valicato il comportamento di tre Kernel: Lineare, Polinomiale e Gaussiano. Eseguendo la procedura “10-fold
cross validation”, le prestazioni dei classificatori, in termini di correttezza sul test, sono state nell’intervallo 94.6% -
96.7%. I risultati degli esperimenti computazionali hanno dimostrato l’efficacia e la robustezza degli approcci proposti
per risolvere lo specifico problema decisionale medico.
In this paper we describe the development of Kernel based Support Vector Machine classifiers to aid the early diagnosis of
acute myocardial infarction (AMI). In particular, we have to recognize if a chest pain, complained by the patient, may be
considered the sign of a myocardial infarction or it is the evidence of some other causes. This is a quite difficult medical
decision problem, since chest pain is characterized by low specificity (typical values between 30% and 40%) as a symptom
associated to myocardial infarction. Moreover, in order to make an objective and accurate diagnosis, the physician have to
evaluate a large set of data coming from the patient. These aspects motivated the use of machine learning methodologies,
with the aim to support physician and increase the quality of the diagnostic decision. To this end, we formulated the medical
decision problem as a supervised binary classification problem (AMI class and not-AMI class), by developing a training set
with 242 cases (130 in the AMI class and 112 in the not-AMI class), each case characterized by a set of 105 features. By the
framework of Support Vector Machine models, we tested and validated the behavior of three kernel functions: Linear,
Polynomial, and Gaussian. By running a 10-fold cross validation procedure, the testing correctness of the classifiers was in
the range 94.6% - 96.7%.The numerical results demonstrate the effectiveness and robustness of the proposed approaches
for solving the relevant medical decision making problem.
(It J Practice Cardiol 2004; 2 : 63-68)
Key words: Sistemi di Supporto alle Decisioni Mediche, Support Vector Machine, Kernel, Infarto Miocardico
© 2004 Ricevuto il 3 marzo 2004; accettato il 19 aprile 2004
* UTIC, Presidio Ospedaliero “Barone Romeo”, Patti (Messina)
** Dipartimento di Elettronica, Informatica, Sistemistica, Università della Calabria, Rende (Cosenza)
*** U.O. Malattie Cardiovascolari, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università degli Studi “Magna
Græcia”, Catanzaro
Corresponding author: Dr. Domenico Costanzo, Via Alberti 20 88100 Catanzaro; e-mail: domcostanzo@unicz.it
It J Practice Cardiol is available at http://www.ancecardio.it
1. Introduzione
Nel presente lavoro viene descritta una
prototipale attività sperimentale finalizzata
all’analisi e validazione dell’uso
delle “Support Vector Machines” (SVM)
(1), quale strumento metodologico per
lo sviluppo di efficaci ed affidabili sistemi
di supporto alle decisioni di ausilio
nella diagnostica cardiologica.
In generale, il processo di diagnosi
63

64
Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
medica può essere interpretato come
processo decisionale, tramite il quale il
medico formula una diagnosi sulla base
dell’osservazione ed interpretazione dei
sintomi e dei segni manifestati dal paziente
e rilevando opportuni dati biologici
e clinici, a loro volta elaborati tramite
la specifica conoscenza ed esperienza
medica acquisita (2). Dovendo
riconoscere una eventuale condizione
di malattia, è evidente che in tale processo
assume un ruolo determinante
una fase di ‘’classificazione’’ (3), ovvero
la funzione di inferire l’esito della
diagnosi e riconoscere, quindi, l’eventuale
stato patologico, tramite l’elaborazione
di quegli attributi che, in qualche
modo, descrivono lo stato della patologia
sotto esame.
In tempi molto recenti è stata sviluppata
una classe molto interessante di
metodologie per la soluzione di problemi
di classificazione, con prestazioni
eccellenti, sia in termini di efficienza che
di efficacia, per una vasta gamma di settori
applicativi. A tale classe appartengono
le cosiddette ‘’Support Vector
Machines’’, le cui caratteristiche principali
possono essere individuate nelle
ottime capacità di generalizzazione (ovvero
indurre correttamente l’esito diagnostico
su un nuovo caso) e nella particolare
efficienza del processo di addestramento.
Risulta, quindi, ampiamente
motivato l’obiettivo di sperimentare
e valutare l’uso di tale tecnica al fine di
sviluppare opportuni ‘’motori inferenziali’’,
sulla base dei quali costruire
sistemi computerizzati di supporto alla
decisione diagnostica (4), (5).
Lo specifico caso clinico considerato
consiste nella valutazione diagnostica
precoce dell’Infarto Miocardico Acuto
(IMA) su pazienti che manifestano come
sintomo importante un dolore toracico.
Il corretto riconoscimento del dolore
toracico quale segno evidente di un IMA
in atto, viene tipicamente effettuato tramite
l’opportuna elaborazione di informazioni
acquisite attraverso l’analisi dell’elettrocardiogramma,dell’ecocardiogramma,
di valori ematochimici ed
anamnestici (fattori di rischio) del paziente.
Come è ampiamente noto, le tipiche
difficoltà incontrate nell’effettuare
una tempestiva diagnosi sono dettate
dal fatto che il dolore toracico non è
un sintomo specifico per l’IMA. Di con-
seguenza, soprattutto negli ospedali
medio-piccoli dei centri più periferici, i
pronto soccorso non sono tipicamente
attrezzati per un corretto ed immediato
inquadramento diagnostico di un
paziente con dolore toracico in atto.
Trova giustificazione, quindi, la possibilità
di sviluppare un sistema diagnostico
computerizzato, dotato di adeguate
funzionalità che ne consentono l’uso
opportuno anche da parte di personale
non specialistico, il quale, acquisendo
in ingresso i valori di opportune grandezze
cliniche, sia in grado di fornire utili
indicazioni di ausilio per la formulazione
di una oggettiva, affidabile e tempestiva
diagnosi da parte del medico specialista.
Il lavoro risulta cosi articolato. Nella sezione
2 verranno descritti i Sistemi di
Supporto alle Decisioni Mediche, evidenziando
le caratteristiche architetturali
e le funzionalità. Nella sezione 3
sarà presentato lo specifico caso clinico
considerato, illustrando il complesso
delle problematiche legate alle procedure
di diagnosi dell’IMA, e verranno
riportati i risultati delle sperimentazioni
condotte per validare le prestazioni del
sistema proposto. Infine, alcune osservazioni
conclusive di carattere generale
saranno presentate nella sezione 4.
2. Sistemi di Supporto alle
Decisioni Mediche
I processi decisionali nella pratica medico-clinica
si articolano, tipicamente,
in tre fasi:
• la formulazione della diagnosi dell’eventuale
condizione patologica,
effettuata attraverso l’osservazione
di segni e sintomi ed identificando
e rilevando opportuni dati biologici
e clinici, a loro volta elaborati tramite
la specifica conoscenza ed esperienza
medica;
• l’analisi, la valutazione e la previsione
dell’evoluzione della malattia nel
tempo (prognosi);
• la scelta e la pianificazione dell’intervento
terapeutico migliore per un
trattamento ottimale, in base a prefissati
criteri, della malattia.
Le procedure di diagnosi, prognosi e
terapia sono caratterizzate da una fondamentale
funzione che consiste nell’identificare,
acquisire, interpretare ed
elaborare tutto un corredo di dati dal

paziente. Tale funzione, molto spesso
svolta in modo soggettivo e qualitativo
dal medico, proprio per la sua intrinseca
natura, può essere resa più obiettiva,
accurata ed affidabile attraverso
l’ausilio di metodologie e tecnologie
quantitative, opportunamente implementabili
in sistemi computerizzati
(SISDM: Sistemi di Supporto alle Decisioni
Mediche, vedi Fig. 1).
In termini generali, il SISDM deve essere
in grado di istanziare le conoscenze
e l’esperienza dell’esperto di dominio
e le sue capacità nel risolvere i problemi
decisionali riguardanti i vari processi
clinici. In tal senso, l’architettura
del sistema è schematicamente basata
su una “Base di Conoscenza Medica”
e su un “Motore di Inferenza”. La Base
di Conoscenza deve rappresentare, in
modo opportuno, il corpo di conoscenze
ed esperienze dello specifico dominio;
a tal fine, è necessario sviluppare
procedure per l’acquisizione, la codifica
e l’archiviazione della conoscenza
medica di interesse. Il Motore d’Inferenza
deve, invece, implementare il mix
di approcci ipotetico-deduttivo ed
induttivo che è alla base del processo
di inferenza della decisione medica. In
tale contesto, occorre evidenziare che
nell’ambito dei processi decisionali
medico-clinici è possibile individuare
alcune “funzioni” chiave che caratterizzano
la stragrande maggioranza delle
procedure di diagnosi, prognosi e
terapia: identificare, riconoscere, confrontare,
classificare, stimare, predire.
Tali “funzioni” possono essere interpretate
e “tradotte”, attraverso le metodologie
di apprendimento automatico
(data mining e knowledge discovery),
nella formulazione, tra l’altro, di problemi
di classificazione, regressione,
clustering, novelty detection, selezione
degli attributi (6).
Nella stragrande maggioranza delle
applicazioni, il Motore d’Inferenza implementa
un problema di Classificazione,
nel quale occorre decidere circa
l’appartenenza di un soggetto ad uno
fra i diversi insiemi di una famiglia. A
tal fine, ogni soggetto è caratterizzato
da un prefissato insieme di attributi, i
cui specifici valori determinano l’appartenenza
ad una classe. Nel caso di un
problema di diagnosi, la decisione
medica consiste nel discriminare, relativamente
alla data patologia, se il paziente
sotto esame si trova in uno stato
di malattia o meno, quindi se appartiene
alla classe “pazienti sani” o alla
classe “pazienti malati”. Il processo di
classificazione si realizza, pertanto, determinando
un “criterio di separazione”
delle due classi di pazienti, criterio
che viene definito “addestrando” il
Motore d’Inferenza sulla Base di Conoscenza,
che in questo caso viene costruita
considerando un opportuno
campione di pazienti sani e malati,
ognuno dei quali è caratterizzato da un
ben definito insieme di attributi, che
identificano i segni, i sintomi, i valori
di parametri clinici e biologici specifici
della data patologia. Il “criterio di separazione”
così determinato, sarà,
quindi, utilizzato per discriminare un
nuovo caso che si presenterà all’attenzione
del medico.
Per la formulazione e soluzione di problemi
di Classificazione oltre a tecniche
di data mining ormai ampiamente
consolidate, in tempi recenti è emersa
la possibilità di far ricorso ai modelli ed
ai metodi della Programmazione Matematica
(7). L’interesse per questo
nuovo approccio è motivato dal fatto
B. Commisso et al.
Classificatori “Support Vector
Machine”
Fig. 1
Architettura di un
Sistema di Supporto
alle Decisioni Mediche
65

66
Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
che si mantiene un’eccellente robustezza
nella classificazione con un onere
computazionale decisamente contenuto.
Nello specifico, hanno assunto
un’importanza rilevante le cosiddette
tecniche di “Support Vector Machines”
basate sull’uso di “Kernels” (8), le cui
motivazioni teoriche trovano fondamento
nella teoria dell’apprendimento
statistico e che possono essere implementate
attraverso la formulazione
e soluzione di opportuni problemi di
programmazione matematica. Le
sperimentazioni condotte per valutare
le prestazioni delle SVM, come motori
d’inferenza per alcuni prototipali
SISDM, hanno evidenziato un ottimo
comportamento, soprattutto in termini
di capacità di generalizzazione e
quindi di alta affidabilità nel fornire il
supporto decisionale (9).
3. Uno Studio di Caso: la
Diagnosi dell’Infarto Miocardio
Acuto
In Italia, secondo i dati ISTAT, pur essendosi
verificata negli ultimi decenni
una progressiva e graduale riduzione
della mortalità per IMA, la cardiopatia
ischemica rimane la patologia responsabile
del maggior numero di decessi.
Sulla scorta dell’evidenza di ciò, le maggiori
società cardiologiche hanno diffuso
negli ultimi anni il messaggio che
un dolore toracico può essere il sintomo
dell’infarto miocardico e che ogni
cittadino, alle prime avvisaglie di questo
sintomo, deve recarsi immediatamente
in pronto soccorso. Il risultato
di queste sollecitazioni sulla popolazione
è che i pronto soccorso e i dipartimenti
di emergenza e accettazione di
tutti gli ospedali hanno visto crescere
negli anni la richiesta di prestazioni per
questo sintomo (10).
L’aspetto importante da sottolineare, è
che il dolore toracico non è un sintomo
specifico per l’IMA. Infatti un evento
coronarico acuto (infarto miocardico o
angina) viene diagnosticato nel 30%
dei pazienti che manifestano tale
sintomatologia, la restante percentuale
viene divisa tra diverse patologie che
possono coinvolgere le strutture presenti
nella gabbia toracica. Di contro
molti pazienti con IMA, soprattutto
diabetici e donne, non lamentano dolore
toracico tipico ma altri sintomi
come dispnea, astenia, cardiopalmo,
vertigini, sincope, odontalgia, dolore
addominale, etc. Ciò che ne deriva per
il cardiologo è la difficoltà di distinguere,
in modo immediato, tra un sintomo
minore e non specifico ed una situazione
di potenziale e grave patologia per il
paziente (11). L’obiettivo del medico,
quindi, è quello di giungere rapidamente
alla diagnosi certa della malattia attraverso
percorsi metodologici brevi e
per quanto possibile con un utilizzo
contenuto delle risorse che sono a sua
disposizione. La realtà italiana è ancora
lontana da elevati standard qualitativi di
trattamento del paziente che giunge al
pronto soccorso con dolore toracico;
soprattutto nei presidi ospedalieri medio-piccoli
o ubicati in centri periferici,
molto spesso il cardiologo è coinvolto
solo per la refertazione dell’elettrocardiogramma,
al massimo per la consulenza;
spesso è difficile reperire posti letto
in degenza cardiologica; la scelta rimane
tra lo stazionamento per ore nei
corridoi del pronto soccorso, un ricovero
in corridoio in medicina e la dimissione
più o meno obbligata con il rischio
di mandare al proprio domicilio pazienti
con infarto miocardico in atto con importanti
implicazioni umane e medicolegali
(12), (13).
Alla luce di tutte queste considerazioni,
resta fortemente motivato la progettazione
e lo sviluppo di sistemi di
supporto decisionale, di facile e rapido
utilizzo, anche da personale non specialista,
in grado di individuare, analizzando
variabili cliniche, elettrocardiografiche
ed ematochimiche, i diversi
profili di rischio dei pazienti che giungono
al pronto soccorso con dolore
toracico e permetterne un corretto inquadramento
diagnostico (14). Questo
nel tentativo di ottenere un utilizzo
migliore delle risorse a disposizione
(mediche, paramediche, posti letti in
UTIC, esami strumentali, etc.), evitando
ricoveri inutili o dimissioni inadeguate
(occorre ricordare, tra l’altro, che circa
il 5% dei pazienti con IMA vengono
erroneamente dimessi dalle accettazioni
degli ospedali, e di questi una media
del 15-20% muore al domicilio).
Come già illustrato nella sezione precedente,
per la realizzazione di un SISDM
per lo specifico problema clinico, dovranno
essere definiti la “Base di Cono-

scenza Medica” ed il “Motore d’Inferenza”.
La base di conoscenza viene costruita
misurando i parametri diagnostici
più appropriati, misura effettuata su un
numero sufficientemente significativo
di pazienti di ampia tipologia (tale da
coprire, il più possibile ed in modo omogeneo,
“l’universo” della patologia in
esame) e di cui è noto a priori con certezza
l’esito diagnostico (semplice dolore
toracico o IMA).
A tal fine, facendo riferimento alla
casistica disponibile presso l’UTIC del
presidio ospedaliero “Barone Romeo”
di Patti (Messina), sono stati presi in
considerazione pazienti dimessi con
diagnosi di IMA (per la cui diagnosi si
sono utilizzate le nuove linee guida proposte
(15)) e pazienti dimessi con diagnosi
di dolore toracico senza sindromi
coronariche acute (ma comprensive
a volte di pazienti con pregressa
cardiopatia ischemica). I pazienti da
valutare, sono stati opportunamente
selezionati in modo tale da coprire sufficientemente
tutto lo spettro di casi significativi.
Infatti la base di conoscenza
è stata sviluppata descrivendo un’ampia
casistica delle possibili sintomatologie,
comprendendo diversi casi di
dolore toracico puro e IMA. Di conseguenza,
sono stati selezionati un totale
di 242 casi, di cui 112 con diagnosi di
dolore toracico puro e 130 con diagnosi
di IMA. Per quanto riguarda la determinazione
degli attributi, sono stati identificati
dall’analisi di elettrocardiogrammi,
ecocardiogrammi, Rx torace, valori
ematochimici, dati clinici ed anamnestici
di ogni paziente. Gli attributi identificati
sono di seguito elencati:
• Dati anamnestici: sesso, età, familiarità,
sudorazione, dispnea, pressione
max, pressione min, fumo,
ipertensione, peso, diabete, dislipidemia.
• Elettrocardiogramma (in tutti i tratti
e derivazioni): ritmo sinusale, frequenza
cardiaca, andamento ST superiore,
andamento ST inferiore, an-
damento onda T negativa, andamento
onda Q, PQ, QRS, QTC,
ipertrofia.
• Ecocardiogramma (in tutte le pareti):
presenza di ipocinesia, presenza
di acinesia, presenza di discinesia,
indice cardiotoracico, diametro SIV,
diametro PP, diametro DD, diametro
DS, pericardio.
• Esami ematochimici: creatinina,
GOT, GPT, LDH, CPKMB, troponina,
proteina C reattiva, glicemia,
fibrinogeno, ves, colesterolo,
trigliceridi, uricemia, azotemia,
sodio, potassio, emoglobina,
ematocrito, globuli rossi.
Complessivamente si è giunti, quindi,
alla definizione di 105 attributi. Gli attributi
di tipo categorico sono stati codificati
con 1 e 0, che, rispettivamente,
stabiliscono la presenza o meno di
una determinata condizione. Per quanto
riguarda l’elettrocardiogramma si è
deciso di riportare le alterazioni rispetto
alla linea isoelettrica, in quanto è tipicamente
indicativo considerare come
“alterazioni” valori di almeno 1 mm sul
tracciato. Lo stesso dicasi per l’ecocardiogramma,
utilizzato per valutare
la cinetica di tutti i segmenti cardiaci.
Di conseguenza, anche in questi casi,
gli attributi sono stati codificati con
valori 1 e 0, rispettivamente nel caso
di presenza di alterazioni o meno.
La base di conoscenza così definita consente
di addestrare opportunamente il
motore inferenziale del sistema, implementato
tramite ‘’Support Vector
Machines’’, con uso di Kernel Lineare,
Polinomiale e Gaussiano, in grado, alla
fine, di riconoscere e classificare l’eventuale
stato patologico di un nuovo paziente,
di cui è sconosciuta la natura. In
particolare, tramite l’uso dei Kernel su
menzionati, sono stati implementati tre
diversi Motori d’Inferenza: SVM con
Kernel Lineare, SVM con Kernel Polinomiale
ed SVM con Kernel Gaussiano.
Per la sperimentazione e validazione del
SISDM così definito, è stata eseguita la
Motore d’Inferenza Base di Conoscenza 242 x 105
SVM – Kernel Lineare Addestramento 100%
Testing 95%
SVM – Kernel Polinomiale Addestramento 100%
Testing 94.6%
SVM – Kernel Gaussiano Addestramento 100%
Testing 96.7%
B. Commisso et al.
Classificatori “Support Vector
Machine”
Tab. 1
Correttezza della fase
di addestramento e
della fase di testing
espressa in termini
percentuali medi sui
10 folds
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Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
cosiddetta procedura “10-fold cross
validation”: dal set dei 242 casi sono
stati estratti, in modo casuale, 10
“folds” differenti, ognuno dei quali costituito
da due gruppi di casi: un primo
gruppo composto da 218 casi, che andranno
a definire il set di addestramento,
ed un secondo gruppo composto da
24 casi che, invece, faranno parte del
set di testing. Il Motore d’Inferenza viene
addestrato sui 218 casi, per poi essere
validato, in termini di prestazioni,
sui 24 casi di test. Tutto ciò viene ripetuto
per ognuno dei 10 “folds”.
Nella seguente tabella vengono riportati
i risultati della procedura “10-fold
cross validation”, espressi in termini di
correttezza percentuale media calcolata
sui 10 “folds”, ottenuta dal sistema
in corrispondenza dei tre Motori d’Inferenza
implementati.
I risultati ottenuti dimostrano che i tre
Motori d’Inferenza proposti raggiungono
ottime prestazioni sia nella fase di
addestramento (dove non commettono
nessun errore) e soprattutto nella
fase di testing, i cui valori percentuali
riportati evidenziano buone capacità di
generalizzazione da parte del sistema.
4. Conclusioni
In questo lavoro è stato proposto lo
sviluppo di un Sistema di Supporto alle
Decisioni Mediche per la diagnosi dell’Infarto
Miocardio Acuto. Il contributo
originale del lavoro è consistito nella
implementazione, come Motore
d’Inferenza del sistema, di una
innovativa ed avanzata metodologia di
apprendimento automatica denominata
“Support Vector Machines” con uso
di Kernels. La relativa Base di Conoscenza
è stata costruita considerando un
campione di 242 casi (130 con diagnosi
di IMA e 112 con semplice dolore
toracico), ognuno dei quali caratterizzati
da un set di 105 attributi. I risultati
ottenuti effettuando una prima
prototipale sperimentazione, confermano
la bontà dell’approccio
metodologico proposto ed evidenziano
ottime prestazioni, in termini di accuratezza,
da parte del sistema. La Base
di Conoscenza è disponibile presso l’indirizzo
“www.deis.unical.it/deis1.0/
portale/home/conforti”
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L’ipertensione dalla parte... del paziente
The Hypertension from... the patient’s side
Guido F. Guida
© 2004 ANCE
Ricevuto il 3 febbraio 2004; accettato il 5 marzo 2004
Corresponding author: Guido Guida
Via Marchese di Villabianca, 126 – 80143 Palermo
Tel. 091-7037272 – 3487490793
http://www.guidofguida.it – e-mail: gfguida@tin.it
It J Practice Cardiol is available at http://www.ancecardio.it
(It J Practice Cardiol 2004; 2 : 69-71)
L’intervista
La prima volta che venne alla mia osservazione presso un ambulatorio pubblico
del SSN mi colpirono la sua vitalità e la sua voce.
Si presentò, accompagnata da una zia, con la richiesta del medico curante per:
“Ipertensione”.
Io, come sempre faccio in occasione di pazienti recentemente diagnosticati ipertesi,
le chiarii che l’ipertensione è una malattia seria e che va trattata con attenzione
per tutta la vita.
Pertanto, come prima cosa, bisognava essere assolutamente certi che lei fosse
ipertesa. Cioè che i suoi valori pressori fossero elevati non episodicamente, ma
costantemente durante tutta la giornata.
E fu forse la sua grande disponibilità e l’impegno nel portare a termine ogni mia
prescrizione da vero paziente (dal latino patiente: che sopporta) che mi sostennero
nell’iter, sia per diagnosticare la condizione di ipertensione, che successivamente,
per escludere, data la giovane età, forme secondarie.
La conosco ormai da alcuni mesi e Rosalba C., trentadue anni, simpatica, intelligente,
occhi mediterranei profondi e vivaci, fisico atletico, anche questa volta con grande
disponibilità, ha accettato di raccontarci la sua esperienza sulla ipertensione.
Ho scoperto di avere dei valori di pressione elevata per caso.
Alcuni mesi fa mi trovavo a casa di una mia zia ipertesa, e per curiosità mi misurai
la pressione rilevando dei valori a dire della zia piuttosto elevati. Tali valori furono
poi riconfermati in farmacia e dal mio medico curante. Ebbi alcuni consigli e tutto
finì lì.
La cosa inizialmente non mi colpì più di tanto, ma poi cominciai a riflettere sulle
mie sensazioni ed, in particolare, sul mio respiro che sentivo affannato assieme al
cuore accelerato come se corressi in continuazione.
Mi chiedevo se stessi bene o se il mio malessere venisse dalla ipertensione. Misi al
corrente la mia famiglia del mio problema e tutti iniziarono a darmi i consigli più
disparati con strane ricette talvolta mirabolanti. Poi la mia attenzione si rivolse ai
mass media: programmi televisivi, radio, quotidiani, settimanali, riviste varie. Tutto
quanto trattava di ipertensione era diventato di mio interesse. Dovevo assumere
tutte le informazioni possibili sul mio problema.
Sentivo però che dovevo fare qualcosa! Non apprezzavo più quella sensazione di
benessere che faceva parte delle mie giornate normali. Avevo perso il mio equilibrio
psico-fisico. Pensavo, potrei…: mangiare senza sale (bah, che schifo!), au-
69

70
mentare l’attività fisica (ma se vado in palestra da anni e mi dicono che sono
fissata con la ginnastica!), dimagrire. Ma debbo diventare pelle ed ossa? E poi mi
chiedevo ancora: dovrei prendere dei farmaci? Ma per quanto tempo? E se poi
non posso più lasciarli e diventano come una droga? Alla mia età! Basta, sentivo
che dovevo rilassarmi. Dicono che lo joga fa bene. Dovrò iscrivermi ad un corso.
Nel frattempo misuravo regolarmente la mia pressione facendo medie e grafici
che tenevo sul mio comodino. Ma, caspita! I valori oscillavano incredibilmente e
così restavo sempre nel dubbio se la mia vera pressione fosse quella misurata più
alta o quella più bassa. Mi avevano detto che la pressione normale doveva essere
non superiore a 130 di massima e 100 di minima. Bah, sarà vero? Ed ancora mi
chiedevo:
Ma poi perché curare questa pressione? Non sarà tutta una mia fissazione? Io, in
fondo, prima di sapere della pressione alta mi sentivo bene. Avevo letto che la
pressione alta faceva male al cuore, ai reni e perfino al fegato. Infatti adesso avevo
perso la mia efficienza. Mi batteva il cuore spesso e sentivo delle vampate... Sarà
qualche strana malattia o è sempre colpa della pressione? Povera me! Dovevo
chiedere consiglio.
Riparlandone in casa come per caso, per non impensierire i miei parenti, mi dissero
che avrei dovuto consultare un cardiologo.
Basta dissi! Domani andrò dal medico curante e gli proporrò di mandarmi dal
cardiologo.
E così fu. L’indomani il medico curante fu ben lieto di inviarmi dal cardiologo.
Avuta la richiesta dovetti rispettare una lista d’attesa di circa dieci giorni mentre la
mia ansia montava incredibilmente.
Finalmente venne il fatidico giorno e mi recai al poliambulatorio della ASL. Una
folla! Però entrata cominciai a parlare e pensai: questo cardiologo non è superficiale,
è molto curioso. Mi piace. Si è informato sulla mia famiglia, della mia attività
e poi mi ha spiegato tante cose sulla ipertensione. Dice che vuole vederci chiaro.
Vuole prima essere sicuro della mia reale pressione tramite un apparecchio che
controlla automaticamente la mia pressione per 24 ore, in tutti i momenti della
giornata. Ha poi chiesto sempre il mio consenso per gli esami che ritiene opportuno
eseguire.
A fine visita mi convinsi ed accettai di sottopormi all’esame che a suo dire andava
fatto dopo aver sospeso per circa 4 settimane una pillola che prendevo per alcuni
problemi ginecologici. Pensa che potrebbe essere la causa dell’ipertensione assieme
ad altre possibili cause ormonali che vuole escludere nel caso in cui fossero
responsabili dell’ipertensione. Mi sembra competente e mi ispira fiducia. Mi ha
pure detto, dopo aver saputo che sono laureata in pedagogia, che la medicina
non è una scienza esatta e che bisogna procedere seguendo percorsi probabilistici
adottando il metodo ipotetico-deduttivo. Fortuna che so di cosa parla!
Però, queste cosa mi ha lasciato un po’ perplessa. Credevo che i medici fossero
infallibili e che venisse subito posta la diagnosi con relativa cura. Ma forse è meglio
così. Riconoscere i propri limiti e quelli della propria scienza piuttosto che
illudere la gente.
Ero più serena alla fine della visita e decisi che avrei fatto tutto quello che avrebbe
ritenuto opportuno.
E cominciai gli esami. Una mezza tortura, questo monitoraggio della pressione,
mi sentivo il braccio a pezzi, dopo 24 ore di misurazioni! Ma se è per il mio bene,
vada!
Sono trascorsi diversi mesi ed ho fatto tre monitoraggi in tempi diversi. So parlare
di dipper e non dipper. Conosco la pressione sistolica, la diastolica, la media e
l’occasionale. Ho controllato gli elettroliti sierici, l’aldosterone, gli ormoni tiroidei,
il cortisolo, la renina. Ho fatto un test di soppressione dell’aldosterone dopo infusione
salina, uno in clino ed ortostatismo. L’ecografia Doppler dell’aorta
addominale, la TAC della corticale del surrene per la ricerca di un adenoma o di
una iperplasia della midollare surrenale.

Ho sospeso le pillole che prendevo, mangio senza sale, il mio potassio è aumentato
e la mia pressione adesso è quasi normale. Il mio cuore non fa più il pazzo
come prima ed ho ripreso ad andare in palestra regolarmente.
Forse un percorso lungo, però mi sento più serena e so di non avere particolari
problemi di salute che possono compromettere la mia vita futura.
Seguo alcune norme igieniche e dietetiche che non mi pesano e fanno ormai
quasi parte della mia vita. Do consigli agli altri ed ho preso con filosofia la mia
ipertensione.
Ma, alla fine, ho capito, soprattutto quanto è importante stare bene. Decisamente
in una scala di valori della qualità della vita sento di poter mettere la salute al
primo posto.
Consigli e commenti per il nostro servizio sanitario nazionale? Sì.
Vorrei come prima cosa:
• che la Sanità garantisse un po’ più la riservatezza del paziente. In particolare
mi riferisco ad alcune esperienze negative avute in momenti in cui viene toccata
la riservatezza della donna (visite ginecologiche, in particolare) o ci si sente
più vulnerabili in prossimità di un intervento chirurgico. In quel caso, infatti, ci
si abbandona interamente all’incognito. Sono i medici ed i paramedici che
debbono gestire con professionalità e rispetto l’incertezza ed i timori del paziente.
• E poi vorrei veder ridotte le lunghe liste d’attesa sia per l’accesso alla medicina
generale che a quella specialistica escludendo gran parte di quella inutile burocrazia
che avvilisce l’utente. Io sono riuscita a farvi fronte, ma figuriamoci un
anziano veramente malato e magari con poca cultura! A tal proposito ritengo
fondamentale una segnaletica chiara ed un’informazione adeguata che parta
dagli studi del medico di medicina generale.
Nel corso delle mie discussioni in sala di attesa mi sono anche resa conto che c’è
tanta gente che si visita o esegue esami per routine o seguendo mode e consigli
elargiti da incompetenti. Togliendo il posto e risorse a gente che ha realmente
bisogno dei servizi. Bisognerebbe fare qualcosa in questo senso!
• E poi ancora voglio segnalare la scarsa partecipazione e disponibilità del personale
di accettazione che talvolta piuttosto che tranquillizzare ed informare
mostra superficialità e non si fa trovare al proprio posto. E quando presente
mostra disinteresse e pressappochismo.
• Vorrei poter identificare tramite una targhetta ben visibile il mio interlocutore
che spesso si ammanta di saccenza ed autoreferenzialità.
• Ritengo infine fondamentale un buon rapporto di fiducia con i medici che, in
ogni occasione, dedichino alcuni minuti per informare con chiarezza l’utente
sulle proprie condizioni prospettando le possibili soluzioni che vanno condivise
ed accettate.
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Bibliografia ragionata
Annoted Bibliography
G. Spagnolo
ANCE Firenze
© 2004 ANCE
Ricevuto il 20 gennaio 2004; accettato il 2 aprile 2004
Corresponding author: Giorgio Spagnolo
Antella-Firenze –Tel.055 621238
e-mail: giorgio.spagnolo@inwind.it
(It J Practice Cardiol 2004; 2 : 72-75)
Fibrillazione atriale: un’epidemia emergente?
Atrial fibrillation: an emerging epidemic?
Steinberg JS
Heart 2004; 90: 239-240
Ciascuno di noi ha dovuto da tempo constatare che il forte aumento del numero
degli anziani da un lato e i progressi delle terapie per le malattie coronariche,
l’ipertensione arteriosa e lo scompenso cardiaco dall’altro hanno portato ad un
drammatico aumento dell’incidenza della fibrillazione atriale (FA). La stessa constatazione
ha spinto gli editori di “Heart” a dedicare a questo tema un editoriale,
il cui titolo esprime perfettamente il quesito che noi stessi ci siamo spesso posti in
questi ultimi anni: siamo di fronte ad una nuova epidemia?
La FA è notoriamente la più comune delle aritmie con le quali ci troviamo a confrontarci,
dal momento che colpisce 1 persona su 20 oltre l’età di 60 anni. E la
prevalenza della FA è in continua crescita, per effetto del forte aumento dell’età
media della popolazione e quindi della longevità prodotto dal miglioramento
delle cure mediche di coronaropatie, ipertensione arteriosa e scompenso cardiaco,
tutte condizioni che predispongono alla FA. Si stima infatti che circa l’1%
dell’intera popolazione presenti FA, e che questa percentuale aumenterà di 2,5
volte entro l’anno 2050! E la “reale” prevalenza della FA è evidentemente
sottostimata perché questa aritmia non viene diagnosticata se sporadica ed
asintomatica.
Dal punto di vista clinico la FA è importante perché a sua volta contribuisce all’incidenza
di scompenso cardiaco, stroke, e mortalità cardiovascolare.
I meccanismi attraverso i quali la FA contribuisce ad aumentare il tasso di mortalità
sono tuttora sconosciuti, e d’altra parte nessun trattamento della FA è sinora
riuscito a produrre un abbassamento del tasso di mortalità. Ed è anzi ipotizzabile
che i trattamenti convenzionali con farmaci antiaritmici possano invece contribuire
all’aumento del tasso di mortalità che si osserva nei portatori di FA.
Altrettanto problematici sono inoltre i potenziali effetti economici di questa patologia
cronica in continua crescita, e siccome ci dobbiamo attendere un ulteriore
continuo aumento sia dell’invecchiamento della popolazione sia del miglioramento
delle cure e della conseguente diminuzione di mortalità per patologie
cardiovascolari, sono divenuti attuali anche gli studi sugli effetti economici della FA.
Per fare un esempio, nel Regno Unito circa l’1% dell’intero budget del SSN è
assorbito dalla FA: questo costo è raddoppiato nell’arco di soli 5 anni, e probabil-

mente oggi è sottostimato. E non c’è motivo per credere che le conseguenze
economiche non siano simili in altre società sviluppate, come la nostra.
Ed allora: cosa possiamo fare per fronteggiare questo problema? Ovviamente la
migliore strategia sarebbe quella della prevenzione della FA, che è però ostacolata
dalla multifattorialità di questa patologia. Vengono quindi proposti da un lato
trattamenti aggressivi dell’ipertensione arteriosa, dall’altro approfondimenti degli
studi sulle componenti genetiche come base delle future terapie, ed infine
interventi terapeutici con tecniche di cateterizzazione, per ridurre la prevalenza
della FA. Per quanto riguarda queste ultime tecniche, che hanno peraltro dato
ottimi risultati in altri tipi di tachiaritmie sopraventricolari ormai regolarmente
trattate con l’ablazione, non altrettanto positivi risultano ad oggi i progressi fatti
per la FA, e comunque mancano ancora studi a lungo termine su questo tipo di
approccio, e, anche se i primi risultati sembrano abbastanza favorevoli, bisogna
attendere quelli di uno studio controllato randomizzato su larga scala, che metta
a confronto, nelle principali forme di FA, l’effetto della terapia interventistica con
le terapie mediche convenzionali.
Inoltre, di fronte al continuo aumento delle ospedalizzazioni per FA, molte delle
quali superflue, viene posto l’accento sulla necessità di perseguire un risparmio
sui costi attraverso un maggiore impegno nella riduzione sia del numero che
della durata dei ricoveri in ospedale. Viene infine ricordata l’elevata misura con
cui lo stroke incide sui costi della FA. E in questo settore i mezzi preventivi efficaci
esistono ma sono sottoutilizzati. Il warfarin si è infatti dimostrato capace di ridurre
di circa due terzi l’incidenza dello stroke nei soggetti fibrillanti ad alto rischio, per
cui sarebbe opportuno che il trattamento con warfarin venisse effettivamente
eseguito su una percentuale maggiore dei pazienti per i quali è indicato. L’introduzione
di inibitori diretti della trombina, recentemente giudicati equivalenti al
warfarin e che, a differenza di questo farmaco, non richiedono continui controlli
ematologici per testarne l’effetto terapeutico, potrà certamente incrementare in
misura enorme l’impiego del trattamento anticoagulante nei pazienti con FA a
rischio di stroke, e conseguentemente produrre, attraverso una diminuzione dei
casi di stroke, una forte diminuzione della spesa sanitaria.
Possiamo quindi concludere che appare oggi documentato che la FA rappresenta
una vera e propria “epidemia emergente” ed un forte ostacolo alla stabilità finanziaria
del sistema sanitario, e che, dal momento che gli effetti economici di questa patologia
continuano a crescere, la comunità medica deve essere molto attenta ai formidabili
approcci che stanno per diventare disponibili per prevenirla e per modificarne i
gravi effetti, nonché attivarsi per promuovere ulteriori ricerche sul trattamento e sulla
prevenzione della FA.
Linee-guida della British Hypertension Society
Guidelines from the British Hypertension Society
Laurent S
BMJ 2004; 328: 593-594
Linee-guida 2004 della BHS per la gestione dell’ipertensione
(BHS:IV): riassunto
BHS Guidelines for hypertension management 2004 (BHS:IV):
summary
Williams B, Poulter NR, Brown MJ, Davis M, et Al.
BMJ 2004; 328: 634-640
Il fatto che a “Conoscere e Curare il Cuore 2004” una intera relazione sia stata
dedicata a “Le sconfitte nella cura dell’ipertensione arteriosa” sta a dimostrare che
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74
siamo ancora ben lontani dall’aver risolto il problema del trattamento di questa
patologia, che è senza ombra di dubbio uno di quelli fondamentali per il successo
della prevenzione delle malattie cardiovascolari. Ben venga quindi questo aggiornamento
proposto dalla British Hypertension Society (BHS) alle autorevoli lineeguida
americane ed a quelle europee della ESC, che è stato evidentemente stimolato
dalla percezione della necessità di migliorare la messa a punto di una materia
tuttora non sufficientemente definita.
Leggendo sul British Medical Journal queste nuove “Linee Guida della BHS”, notiamo
subito che molte sono ovviamente le affermazioni in comune con le precedenti
raccomandazioni internazionali, come ad esempio:
1) I livelli di pressione arteriosa (PA) che rendono necessario l’inizio di un trattamento
farmacologico;
2) L’importanza di suggerire modificazioni dello stile di vita come primo approccio
alla malattia;
3) I livelli di PA da considerare come obiettivo della terapia, differenziati secondo
il grado di rischio cardiovascolare del singolo paziente.
Quali allora le novità proposte dalla BHS? Una considerazione originale che proviene
dalle indicazioni della BHS, con un risvolto pratico che ci sembra rilevante, è
costituita dalla suddivisione delle cinque principali classi di farmaci antipertensivi in
due categorie. Alla prima di queste appartengono i farmaci che agiscono riducendo
i livelli ematici di renina, ed alla seconda quelli che non influiscono su questi
livelli: il tutto secondo un algoritmo definito AB/CD, nel quale A (ACE-inibitori ed
antagonisti dell’angiotensina II) e B (betabloccanti) appartengono al primo gruppo,
mentre C (calcio-antagonisti) e D (diuretici) appartengono al secondo gruppo.
Ed è questa una considerazione molto interessante per la terapia di associazione,
ritenuta indispensabile per la maggior parte dei pazienti, perché associando
farmaci delle due differenti categorie si potrebbe verificare una sinergia di azione.
Questa ci sembra essere la novità più interessante rispetto alle linee guida precedenti.
Nel caso di quelle nordamericane, infatti, si indicava il diuretico come il primo
approccio al trattamento farmacologico (posizione derivata dalle conclusioni dello
studio ALLHAT), mentre le linee-guida europee comprendevano tra i farmaci di
prima linea tutte le principali classi di antipertensivi, poggiando la scelta sulla
base di una valutazione del rischio cardiovascolare del singolo paziente. Ovviamente
una particolare cautela dovrà essere usata nell’utilizzo di associazioni di
betabloccanti e diuretici in soggetti diabetici. Particolare rilievo viene inoltre dato
alla necessità di ridurre il più possibile i livelli di PA, soprattutto nei soggetti con
rischio cardiovascolare più elevato, come i diabetici e i soggetti con segni di danno
d’organo, con complicanze dell’ipertensione e con rischio di eventi
cerebrovascolari a 10 anni superiore al 20%. Naturalmente grande importanza
viene data alle modificazioni dello stile di vita (contenere il peso entro un BMI
inferiore a 25 Kg/mq, ridurre l’assunzione di sale a meno di 6 gr. di NaCl, diminuire
il consumo di alcolici, praticare un’attività fisica aerobica regolare di almeno
30 minuti per 3 giorni a settimana con intensità proporzionale all’età ed alle condizioni
fisiche, portare il consumo di frutta fresca e verdure ad almeno 5 porzioni
al giorno, e ridurre l’apporto totale di grassi saturi).
Ed ecco infine, in una sintesi esaustiva, i nostri comportamenti ottimali di fronte al
paziente iperteso:
1) Consigliare modificazioni dello stile di vita a tutti i soggetti con PA elevata,
borderline o normale alta;
2) Se la PA sistolica è superiore a 160 e la diastolica a 100 mm/Hg, iniziare la
terapia farmacologica;
3) Iniziare la terapia farmacologia anche con valori inferiori (sistolici oscillanti fra
140 e 159 e diastolici fra 90 e 99) in presenza di malattia cardiovascolare o di

altro danno d’organo, o con rischio cardiovascolare a 10 anni superiore al
20%;
4) Perseguire un obiettivo terapeutico ottimale di 140/85 mm/Hg (con minimo
accettabile di 150/90) nei soggetti non diabetici e un obiettivo ottimale di
130/80 (con minimo accettabile di 140/80) nei soggetti diabetici, nei quali il
trattamento va comunque iniziato in presenza di valori superiori a 140/90
mm/Hg;
5) Per raggiungere questi obiettivi, sarà necessario utilizzare nella maggior parte
dei pazienti almeno due farmaci in associazione;
6) Andranno infine aggiunti bassi dosaggi (75 mg) di Aspirina per la prevenzione
secondaria della cardiopatia ischemica e per la prevenzione primaria negli
ultracinquantenni con rischio cardiovascolare a 10 anni superiore al 20%, ed
infine una statina in tutti gli ipertesi con malattia cardiovascolare, indipendentemente
dai valori basali di colesterolo totale o LDL, e per la prevenzione
primaria negli ipertesi con rischio cardiovascolare a 10 anni superiore al 20%.
Queste conclusioni, peraltro decisamente valide ed ampiamente condivisibili, ci
richiamano però il problema che abbiamo citato all’inizio di questa nostra recensione,
ovvero il fatto che di fronte alla palese efficacia delle armi che abbiamo oggi a
disposizione, ci appare sempre troppo elevato il numero delle sconfitte. E riteniamo
che solo affrontando con maggiore serietà il problema della presa di coscienza fra
la popolazione generale, come anche fra i medici, dell’impatto di questa patologia,
oltre a quello, pesantissimo, della scarsa compliance dei pazienti a politerapie
croniche di lunga durata come quelle antipertensive, potremo sperare di limitare
il numero dei fallimenti, ovvero delle “sconfitte”. Ma di questo ci riserviamo di
riparlare diffusamente in una prossima occasione.
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Lettere al Direttore
A proposito di…
Crocefisso
Alcuni mesi or sono, per sentenza di un giudice, il Crocefisso, il simbolo più completo della civiltà cristiana, è stato
rimosso dalla parete di un’aula scolastica, in nome della laicità delle istituzioni, che devono accogliere tutti i cittadini,
senza riguardo al loro credo politico, alla loro razza, alle loro idee e alle loro religioni.
Non voglio entrare nel merito della legittimità della sentenza; non ne ho la capacità e nemmeno la voglia.
Desidero, però, entrare nella polemica sorta tra coloro che asseriscono e coloro che negano che il Crocefisso non sia
solo il simbolo della civiltà cristiana, ma anche il simbolo della civiltà occidentale, avendone permeato, per oltre venti
secoli, lo “spirito”, la “cultura”.
Non ho alcun argomento filosofico, né storico per entrare in questa polemica, già, peraltro, affrontata da illustri e
dotti personaggi. Ho soltanto un argomento aneddotico, che proviene da un’intima e personale esperienza umana.
Premetto che sono credente – intendendo cattolico – e che non ho alcuna esitazione o remora ad ammetterlo;
premetto anche che spesso, per non dire sempre, corrispondo in maniera tiepida all’Amore di Nostro Signore, soprattutto
dal punto di vista della pratica religiosa; ma l’esperienza che sto per narrarvi non ha alcun legame con la
religione in quanto tale, ma con la religione in quanto connotazione spirituale e culturale dei popoli.
Qualche anno fa, insieme ad altre persone, intrapresi un viaggio in Oriente, nella Siria delle prime civiltà, della nascita
dell’alfabeto, dei romani, dei protocristiani, delle crociate e dell’Islam.
Era previsto un itinerario da nord a sud, da Aleppo a Damasco, attraversando, praticamente, tutto il Paese.
Arrivammo all’aeroporto di Aleppo che era già sera e l’impatto fu affatto sgradevole. Ci si accorgeva immediatamente
di essere in uno Stato di polizia e le piccole mattonelle alle pareti delle sale dell’aeroporto mi facevano tornare alla
memoria alcuni films in bianco e nero della mia infanzia. Né erano molto confortanti gli uomini, armati di tutto punto,
che sorvegliavano l’autobus, che accolse noi e i nostri bagagli.
Ci trasferimmo, attraversando vie anonime, in un ristorante più o meno squallido, dove consumammo una cena a
base di quei cibi che ci avrebbero sostentato – sempre gli stessi – per tutto il resto del viaggio e, quindi, fummo
accompagnati in un grande albergo di tipo occidentale, uguale a quelli che si possono trovare in ogni angolo della
terra.
Dopo una veloce doccia, stanco e un po’ deluso, con addosso la malinconia che sempre prende il viaggiatore durante
la prima notte lontano da casa e dai propri affetti, mi misi a letto e mi addormentai.
Alcune ore dopo, fui svegliato da qualcosa di strano, da una nenia lontana e sottile, una specie di canto monotono. Mi
alzai e, dopo aver bevuto un sorso d’acqua, aprii le tende che coprivano un’ampia vetrata, che occupava un’intera
parete della camera.
Davanti agli occhi avevo l’intera città di Aleppo, un semicerchio, un anfiteatro di luci che si stagliavano su una collina
e, fra le luci bianche, qua e là, alcune verdognole, che, mi fu spiegato il giorno dopo, indicavano i tanti minareti della
città.
La nenia, il canto monotono proveniva da quei punti luminosi e, mi accorsi, erano il richiamo dei Muezzin alla
preghiera del mattino.
Un freddo brivido percorse il mio corpo, i capelli mi si rizzarono in testa e capii, in un istante, che “ero in Oriente”.
Dentro di me entrarono, senza alcuna mediazione, lo spirito e la cultura dell’Oriente.
Conoscevo fin troppo bene quella sensazione; era la stessa che provavo quando, nei primi giorni di novembre, per la
ricorrenza dei morti, mi trovavo sulla terrazza della casa che ho al mare, al calare del sole, rossa sfera che si immergeva,
all’orizzonte, nelle acque blu, mentre, da lontano, la brezza mi portava il suono delle campane del Vespro.
Dal mattino dopo, tutto era cambiato, la malinconia e la delusione erano svaniti; ero entrato in sintonia con lo spirito
e la cultura di quel popolo, e quel viaggio divenne indimenticabile, uno dei più belli della mia vita.
Il minareto e il richiamo del Muezzin, il campanile e il suono del Vespro, il Crocefisso possono significare l’anima di un
popolo, credente o agnostico, laico o religioso.
F.A. Schipani
Novembre 2003

Prossimi Congressi e Corsi
2-5 Giugno – Ljubljana, Slovenia
53rd International Congress of the European Society for Cardiovascular
Surgery
Segreteria: Cardiology Online, P.O. Box 17659, Beverly
Hills, CA 90209, USA,
Tel. 1/310/6578777, Fax 1/310/2758922
e-mail: klimedco@ucla.edu
9-12 Giugno – Elsinore, Danimarca
Meeting of the European Society of Cardiology Working
Group on Epidemiology and Prevention
Segreteria: Micheline Iscache European Heart House,
2035, Route des Colles,
Les Templiers P.O. Box 179, 0693 Sophia Antipolis Cedex,
France, Tel. 33/4/92941823, Fax 33/4/9294701
e-mail: miscache@escardio.org
11 Giugno – Parma, Italia
Ischemia Cerebrale Criptogenetica: recenti acquisizioni -
Il ruolo del Neurologo e del Cardiologo
Segreteria: Noema srl, Via Orefici, 4 - 40124 - Bologna
Tel. 051/230385 – Fax 051/221894
e-mail: info@noemacongressi.it
10-12 Giugno – Cesena, Italia
1 st International Meeting – Nuclear Cardiology Today – 2004
– The State of the Clinical Practice and Future Molecular Directions
Segreteria: Cesena Congress, via Isei 79, 47023 Cesena
Tel. 0547610288, Fax 054720425,
e-mail: info@cesenacongress.com
13-16 Giugno – Milano, Italia
The 5th International Heart Health Conference
Segreteria: AISC & MGR - AIM Group, via Ripamonti 129,
20141 Milano
Tel. 02566011, Fax 0256609059
e-mail: 5ihh@aimgroup.it
13-17 Giugno – Parigi, Francia
14th European Meeting on Hypertension
Segreteria: AISC & MGR – AIM Group, via A. Ristori 38,
00197 Roma
Tel. 06809681, Fax 068088491
e-mail: esh2004@aimgroup.it
16-19 Giugno – Nizza, Francia
Cardiostim 2004
Segreteria: Philippe Ritter, 12 rue Pasteur, 92210 Saint-
Cloud, France
Tel. 33/1/41120710, Fax 33/1/46020509
e-mail: cardiostim@wanadoo.fr
23-26 Giugno – Vancouver, BC, Canada
5th World Stroke Congress
Segreteria: Global Congress Organizer and Association
Management Services, 17 rue du Cendrier, P.O. Box
1726, 1211 Geneva, Switzerland
Tel. 41/22/9080488, Fax 41/22/7322850
e-mail: stroke2004@kenes.com
24-27 Giugno – Siracusa, Italia
Nel “Cuore” della Magna Grecia – I Corso Nazionale di Aggiornamento
in Cardiologia
Segreteria: Week End, via G. Trevis 82/84-88, 00147
Roma
Tel. 0651600647/8, Fax 0651600131
e-mail: info@weekend-group.com
17-20 Luglio – Vancouver, BC, Canada
9th World Congress on Heart Failure: Mechanisms and Management
Segreteria: World Congress on Heart Failure, P.O. Box
17659, Beverly Hills, CA 90209, USA
Tel. 1/310/6578777, Fax 1/310/2758922
e-mail: klimedco@ucla.edu
21-26 Agosto – Bari, Italia
32 nd Annual Meeting of the International Society on Oxygen
Transport to Tissue
Segreteria: CEMOT, Università degli Studi, Policlinico, Piazza
Giulio Cesare 11, 70124 Bari
Tel. 0805478156
28 Agosto-1 Settembre – Monaco, Germania
26th Congress of the European Society of Cardiology
Segreteria: The European Heart House, 2035 Route des
Colles, Les Templiers, P.O. Box 179, 06903 Sophia
Antipolis Cedex, France
Tel. 33/4/92947600, Fax 33/4/92947601
e-mail: webmaster@escardio.org
10-11 Settembre – Genova
Selected Topics in Cardiovascular Medicine: an International
Forum By – Word Expert
Segreteria Organizzativa: Congresship srl Mura di Santa
Chiara,1 – 16128 Genova
Tel. 0105999500
e-mail: cardiovascularmedicine@gastaldi.it
12-15 Settembre – Leipzig, Germania
3 rd Joint Meeting of the European Association for Cardio-Thoracic
Surgery/European Society of Thoracic Surgeon
Segreteria: Interplan Congress, Meeting & Event Management,
Albert-Rosshaupeter-Strasse 65, 81369 Munchen,
Germany, Tel. 49/89/54823415, Fax 49/89/54823443
e-mail: eacts04@I-paln.de
20-24 Settembre – Milano, Italia
38° Convegno di Cardiologia – Oganizzato dal
Dipartimento A. De Gasperis Azienda Ospedaliera Ca’
Granda – Segreteria: Victor Project Congressi, Via Gustavo
Modena, 3 a – 20129 Milano
Tel. 02/89053524, Fax 02/201395
e-mail: info@victoryproject.it
23-25 Settembre 2004 – Latina, Italia
XI Congresso nazionale della Società Italiana di Ricerche
Cardiovascolari
Segreteria: AIM – Via A. Ristori 38, 00197 Roma
Tel. 06809681, Fax 068096229
e-mail: sirc@aimgroup.it
25-29 Settembre – Barcellona, Spagna
CIRSE 2004 – Annual Meeting and Postgraduate Course of
the Cardiovascular and Interventional Radiological Society of
Europe (CIRSE)
Segreteria: CIRSE 2004, Bellerivestrasse 42, 8008 Zurich,
Switzerland, Tel. 41/1/3849339
e-mail: office@cirse.org
29 Settembre-2 Ottobre – Taormina, Italia
IX Southern Symposium On Cardiac Pacing/Cardiac Rhythm
Control in 2004
Segreteria: Week End – Via G. Trevis 82-84/88, 00147 –
Roma
Tel. 06/517951 – Fax 06/51600131
e-mail: info@weekenol-group.com
77

78
5-8 Ottobre – Firenze, Italia
XXI Congresso Nazionale della Società Italiana dell’Ipertensione
Arteriosa
Segreteria: AISC & MGR – AIM Group, via A. Ristori 38,
00197 Roma,
Tel. 06809681, Fax 068088491
e-mail: congressi@aisc.it
17-20 Ottobre – Roma, Italia
Acute Cardiac Care 2004
Segreteria: ESCWGACC Secretariat, P.O. Box 574,
Jerusalem 91004, Israel,
Tel. 972/2/6520574, Fax 972/2/6520558
e-mail: meetings@isas.co.il
23-26 Ottobre - Palermo, Italia
105° Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina
Interna
Segreteria: AISC & MGR – AIM Group, via A. Ristori 38,
00197 Roma,
Tel. 06809681, Fax 068088491
e-mail: congressi@aisc.it
24-27 Ottobre – Venezia, Italia
XV International Symposium on Drugs Affecting Lipid Metabolism
Segreteria: Fondazione Giovanni Lorenzini, Medical Science
Foundation, Via Appiani 7, 20121 Milano
Tel. 022006267, Fax 022007018
e-mail: dalm@lorenzinifoundation.org
28-29 Ottobre – Cento (FE), Italia
Giornate Aritmologiche Centesi
Segreteria: Lineacongressi, Via Messidoro 8/b
44100 Ferrara
Tel. 0532978899, Fax 0532978889
e-mail: info@lineacongressi.it
28-31 Ottobre – Sorrento (NA), Italia
XIV Congresso Nazionale ANCE - Associazione Nazionale
Cardiologi Extraospedalieri
Segreteria: Aristea, Salita di Santa Caterina 4, 16123 Genova,
Tel. 010583224, Fax 0105531544
e-mail: ance2004@aristea.com
3-7 Novembre – Budapest, Ungheria
4th International Congress on Autoimmunity
Segreteria: Kenes International, 17 rue du Cendrier, P.O.
Box 1726, 1211 Geneva 1, Switzerland
Tel. 41/22/9080488, Fax 41/22/7322850
e-mail: autoim04@kenes.com
6-9 Novembre – Bologna, Italia
XXII Congresso Nazionale della Società Italiana di Chirurgia
Cardiaca
Segreteria: Alessandro Fabbri, Ospedale Civile San
Bortolo, via Rodolfi, 37, 37100 Vicenza
Tel. 0444993986
e-mail: segretarioscientifico@cardiochirurgiaitalia.it
7-10 Novembre – New Orleans, LA, USA
77th Scientific Session of the American Heart Association
Segreteria: American Heart Association, 7272 Greenville
Avenue, Dallas, TX 75231-4596, USA
Tel. 1/214/7061543, Fax 1/214/3733406
e-mail: scientificconferences@heart.org
30 Novembre-3 Dicembre – Roma, Italia
XI International Symposium on Progress in Clinical Pacing
Segreteria: AISC & MGR – AIM Group, via A. Ristori 38,
00197 Roma,
Tel. 06809681, Fax 068088491
e-mail: congressi@aisc.it
1-4 Dicembre – Atene, Grecia
EUROECHO 8
Segreteria: EUROECHO 8 Secretariat, 2035 Route des Colles,
Les Templiers P.O. Box 179, 06903 Sophia Antipolis
Cedex, France, Tel. 33/4/92947600, Fax 33/4/92947601
e-mail: euroecho@escardio.org
11-15 Dicembre – Roma, Italia
65° Congresso Nazionale della Società Italiana di
Cardiologia
Segreteria: AISC & MGR – AIM Group, via A. Ristori 38,
00197 Roma,
Tel. 06809681, Fax 068088491
e-mail: congressi@aisc.it

XIV Congresso Nazionale
A.N.C.E.
Sorrento
28-31 Ottobre 2004
Primo Annuncio
SEDE DEL CONGRESSO
Centro Congressi Hilton Sorrento Palace
Via S. Antonio, 13 · 80067 Sorrento (Napoli)
Tel. 081 8784141
SEGRETERIA SCIENTIFICA
ASSOCIAZIONE NAZIONALE
CARDIOLOGI EXTRAOSPEDALIERI
Via Dora, 2 · 00198 Roma
Tel. 06 844691 · Fax 06 84469243
e-mail: segreteria@ancecardio.it
SEGRETERIA AMMINISTRATIVA
SICEX
Via Arno, 76 · 00198 Roma
Tel. 06 844691 · Fax 06 84469270
e-mail: sicex@ancecardio.it
SEGRETERIA ORGANIZZATIVA
gruppo
ARISTEA
Genova·Roma
ARISTEA GENOVA
Salita di Santa Caterina, 4 · 16123 Genova
Tel. 010 583224 · Fax 010 5531544
e-mail: ance2004@aristea.com · www.aristea.com
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Giornale Italiano di Cardiologia Pratica
It J Practice Cardiol
Giugno 2004
COMITATO ORGANIZZATORE
Il Consiglio Nazionale
Presidente Francesco Perticone
Past President Vincenzo Romano
Vice-Presidente Paolo Teoni
Segretario Nazionale Fabrizio Proietti
Tesoriere Nazionale Pasquale Santoro
Soci Fondatori Luigi Bertolaso
Carlo Fernandez
Consiglieri Gabriele Catena
Luigi D’Andrea
Claudio Fabris
Riccardo Guglielmi
Piera Recalcati
Gaetano Sicari
Main Topics
• Il paziente a rischio di stroke: come individuarlo, come trattarlo?
• Il trattamento dell’insufficienza cardiaca cronica: attualità e prospettive
• Il trattamento del paziente iperteso: è sufficiente ridurre solo la pressione arteriosa?
• Ipertensione arteriosa e danno d’organo: come individuarlo, come prevenirlo?
• Stili di vita e malattie cardiovascolari
• Il cuore polmonare cronico: entità clinica da rivalutare
• Fisiopatologia ed evoluzione della placca aterosclerotica
• Sistema renina-angiotensina e patologia cardiovascolare
• La fibrillazione atriale: una vecchia aritmia sempre attuale
• Statine e malattie cardiovascolari: è stato detto tutto?
• Le sindromi coronariche acute: quale interazione tra Territorio ed Ospedale?
• Cuore e malattie infettive: il passato che ritorna
• La malattia aterosclerotica: dalla fisiopatologia alla prevenzione
• Diabete e patologia cardiovascolare: trattare l’iperglicemia o l’insulino-resistenza?
• Cuore e rene: attori e bersaglio del danno cardiovascolare
• Cardiopatie valvolari: dalla clinica alla chirurgia riparativa
Carissimi amici,
nei giorni 28-31 ottobre 2004 si terrà, presso il Centro Congressi Hilton Sorrento Palace
di Sorrento, il XIV Congresso Nazionale dell’Associazione Nazionale Cardiologi
Extraospedalieri. Nella vita associativa di qualsiasi Società scientifica, la celebrazione del Congresso
nazionale rappresenta il momento più importante in termini di visibilità e di consolidamento
del progetto culturale che si intende perseguire. D’altra parte, va ribadito che, sulla
scorta di quanto previsto dalla normativa che regolamenta l’ECM, tra i compiti delle Società
scientifiche vi è anche quello di contribuire all’aggiornamento professionale dei propri associati
mediante la strutturazione di eventi culturalmente validi e stimolanti.
Il successo del Congresso dell’anno scorso ha rafforzato in noi tutti il convincimento che la
scelta politica operata dal Consiglio Direttivo è stata giusta e gratificante dal momento che i
risultati ottenuti sono andati al di là di ogni più rosea previsione. La quantità e qualità del
lavoro svolto, pur in un momento difficile per la Sanità italiana, ha trovato giusta ricompensa
nella partecipazione attiva, a volte anche vivace, dei congressisti ai lavori scientifici. La
numerosità degli iscritti, le tematiche trattate e la competenza, molto apprezzata, dei relatori
invitati sono stati gli elementi vincenti che hanno dato significato, culturalmente pregnante,
all’appuntamento annuale della nostra Associazione.
Confortati dai risultati positivi della recente esperienza abbiamo già iniziato a lavorare,
con entusiasmo e fiducia, per realizzare il prossimo Congresso, di cui sono stati già individuati
i Topics. Si continua sulla falsariga di quanto già fatto, privilegiando gli aspetti clinici di tematiche
cardiologiche estremamente attuali senza perdere di vista anche aspetti innovativi, come quelli
genetici e di biologia molecolare, che pervadono, sempre di più, la medicina moderna. Sarà
riservato ampio spazio anche a problematiche organizzative come, ad esempio, il federalismo
sanitario che rappresenta, ormai, una realtà con cui abbiamo già iniziato a confrontarci.
Per tali motivazioni e, soprattutto, per non rinunciare al contributo culturale di voi tutti,
mi onoro di invitarvi, fin d’ora, a partecipare alla XIV edizione del Congresso nazionale dell’ANCE
nella splendida cornice di Sorrento che contribuirà a rendere piacevole e sereno il vostro soggiorno.
Un cordiale saluto a tutti ed un arrivederci.
Francesco Perticone