MARIANNA. ISTERIA. Lussuria senza lusso - Società Amici del ...

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il testo originale integrale del 1834 89 mano se l’aura non vi era discesa: persistea il singhiozzo. Tale condizione era necessaria, perchè questo cessasse; la qual cosa ogni idea escludea d’attribuirne la sospensione al potere dell’immaginazione da questa cautela raffermata. Imprigionata l’aura in simil guisa, punto non compariva il singhiozzo; ma l’incomodo che ne risultava della privazione di una mano, fece che il malato chiusa non la tenesse oltre i quindici giorni: e per non cedere ai moti involontari, e soprattutto sul far della notte, cingerne solea con un fazzoletto le dita. Scorsero in tale stato nove anni, dopo i quali venne mandato agli studi in Roven, il cui soggiorno più lunghi e più frequenti ne rese gli accessi. Indirizzato dal Signor Hellis nel 1822, mosso dalla singolarità del caso, invitò questi Godefroy, Blanche e Vigne membri dell’Accademia Reale di Medicina ad essergli compagni nello studio di si curiosa malattia. “Perenne manteneva il giovanetto da parecchi giorni la flessione della dita col fazzoletto. Esaminatolo attentamente parea di buona costituzione dotato, con collo breve, larghe spalle, appetito, e sonno eccellente: niuna malattia, niun esantema, nè accidente alcuno precedette l’invasione del singhiozzo: solo da due anni accorgevasi dell’ingruenza dell’accesso da un senso di tensione e gonfiezza alla regione del dorso, ove rinvennesi una cicatrice rotonda, depressa, larga un centesimo, a sinistra, e ad un pollice dalla linea mediana, di cui non si conobbe l’origine. Da tre giorni comparso non era il singhiozzo in grazia della flessione delle dita della mano sinistra, fortemente contratta sulla palma d’essa mano, sopra cui stavasi il pollice inguisa però che impedita non trovavasi la volizione del pugno. L’estensione di una falange bastava a richiamare l’accesso: colto e radrizzato il mignolo rapidissimamente dal sig. Godefroy, l’aura tosto all’epigastrio rimbombò, e surse il singhiozzo, altrettanto cruccioso, al solo sentirlo per la sua qualità, quanto per l’angoscia in cui gettava il malato, e ripetuto da 100 a 120 volte per minuto. Nell’accesso al menomo ostacolo alla respirazione, come per un colpo di tosse, per semplice tentativo d’inghiottire qualche liquido, inesprimibile erane l’angustia; i conati della tosse, riunendosi alle angoscie di quello, rigido rimanea nel corpo, rosso il viso, fissi gli occhi, ed altri osservavansi accidenti, che in breve temevasi fossero per divenire allarmanti. Tanto era il desìo di riposo, che di rado ei trascurava di piegare le dita, quando l’aura ivi si portasse senza esserne però costretto: se teneale distese lungo il braccio riascendeva per vagare successivamente da una ad altra regione; quand’ella si

90 isteria, lussuria senza lusso fu al ginocchio piegando violentemente sulla coscia la gamba sparì tosto il singhiozzo, e risorse tostamente distesa quella. Il corso dell’aura coll’indice segnar solea il paziente, ovunque ei la sentisse. “Per la flessione delle articolazioni rimanendo sospeso l’accesso invano adoperossi a legatura ai piedi ed alle mani. Mentre che di tenere cercavasi imprigionato quell’aura, e sopra agirvi con vescicatori, col moxa od altro mezzo, in iscena venne altro fenomeno. Tacea da quindici giorni il singhiozzo per la flessione della mano sinistra, allorchè una novella sensazione alla prima affatto simile gli si fe’ al dorso per sentire, dove partì una seconda aura che richiama il singhiozzo: mobile e vagante come la prima ella dà luogo a medesimi accidenti. Dopo lunghi giri invade la destra mano che libera fu sin’allora: chiusa dessa rinasce all’istante la calma. Per vaghezza di curiosità, fatte allargare contemporaneamente ambo le mani, due aure distinte, ed isolate occupano il malato, che libere percorsero le diverse nervee ramificazioni, il loro capriccio seguendo, ora attraversandosi, fuggendosi ora, e quindi incrocicchiandosi senza mai seco confondersi; violentissimo ne nacque allora il singhiozzo, e ciascun aura pareva con ispecial azione uno spasmo particolare determinare. Una di esse facendo al dorso ritorno, disparve: subitamente al ripristino tipo riebbe il singhiozzo, e la seconda aura figgendosi dippoi in una mano, chiusela tosto il giovanetto, e ricuperò quel pronto riposo che tanto ambiva. “Già altre fiate comparvero queste due aure, sempre quando per lungo tempo imprigionata tenevasi la prima: inutile, aprendo la mano, era la libertà a quella che restava: tormentavalo senza posa, e fuggendo il dorso, costantemente alla mano ritornava, per la qual cosa trovavasi nell’alternativa il paziente di non far uso della mano o di soffrire il singhiozzo. Niun accesso fu per lui più di questo tormentoso. Fosse noia od altro motivo, ei divenne, taciturno, melanconico, con dolori all’epigastrio e frequenti vertigini. Non si tardò a rimandarlo all’abituro del padre, colla speranza che fosse la natura per operare quella guarigione, che troppo tarda col soccorso della medicina avrebbe potuto conseguire. Non subito cessò il singhiozzo, che doppio per lo più, anzi che semplice, meno lunghi però ne erano gli accessi. Scorso un anno libero dal male, riportossi agli studi in Roven, assai ingrandito, con segni di buona e forte costituzione. Porta opinione il signor Hellis esserne perfetta la guarigione, poichè quand’il rivide v’osservò una nodosa gonfiezza all’articolazione media dell’indice della mano destra,

il testo originale integrale <strong>del</strong> 1834 89<br />

mano se l’aura non vi era discesa: persistea il singhiozzo. Tale condizione<br />

era necessaria, perchè questo cessasse; la qual cosa ogni idea<br />

escludea d’attribuirne la sospensione al potere <strong>del</strong>l’immaginazione da<br />

questa cautela raffermata. Imprigionata l’aura in simil guisa, punto<br />

non compariva il singhiozzo; ma l’incomodo che ne risultava <strong>del</strong>la<br />

privazione di una mano, fece che il malato chiusa non la tenesse oltre i<br />

quindici giorni: e per non cedere ai moti involontari, e soprattutto sul<br />

far <strong>del</strong>la notte, cingerne solea con un fazzoletto le dita. Scorsero in tale<br />

stato nove anni, dopo i quali venne mandato agli studi in Roven, il cui<br />

soggiorno più lunghi e più frequenti ne rese gli accessi. Indirizzato dal<br />

Signor Hellis nel 1822, mosso dalla singolarità <strong>del</strong> caso, invitò questi<br />

Godefroy, Blanche e Vigne membri <strong>del</strong>l’Accademia Reale di Medicina<br />

ad essergli compagni nello studio di si curiosa malattia.<br />

“Perenne manteneva il giovanetto da parecchi giorni la flessione<br />

<strong>del</strong>la dita col fazzoletto. Esaminatolo attentamente parea di buona<br />

costituzione dotato, con collo breve, larghe spalle, appetito, e sonno<br />

eccellente: niuna malattia, niun esantema, nè accidente alcuno precedette<br />

l’invasione <strong>del</strong> singhiozzo: solo da due anni accorgevasi <strong>del</strong>l’ingruenza<br />

<strong>del</strong>l’accesso da un senso di tensione e gonfiezza alla regione<br />

<strong>del</strong> dorso, ove rinvennesi una cicatrice rotonda, depressa, larga un<br />

centesimo, a sinistra, e ad un pollice dalla linea mediana, di cui non<br />

si conobbe l’origine. Da tre giorni comparso non era il singhiozzo in<br />

grazia <strong>del</strong>la flessione <strong>del</strong>le dita <strong>del</strong>la mano sinistra, fortemente contratta<br />

sulla palma d’essa mano, sopra cui stavasi il pollice inguisa però<br />

che impedita non trovavasi la volizione <strong>del</strong> pugno. L’estensione di una<br />

falange bastava a richiamare l’accesso: colto e radrizzato il mignolo<br />

rapidissimamente dal sig. Godefroy, l’aura tosto all’epigastrio rimbombò,<br />

e surse il singhiozzo, altrettanto cruccioso, al solo sentirlo per la<br />

sua qualità, quanto per l’angoscia in cui gettava il malato, e ripetuto<br />

da 100 a 120 volte per minuto. Nell’accesso al menomo ostacolo alla<br />

respirazione, come per un colpo di tosse, per semplice tentativo d’inghiottire<br />

qualche liquido, inesprimibile erane l’angustia; i conati <strong>del</strong>la<br />

tosse, riunendosi alle angoscie di quello, rigido rimanea nel corpo,<br />

rosso il viso, fissi gli occhi, ed altri osservavansi accidenti, che in breve<br />

temevasi fossero per divenire allarmanti. Tanto era il desìo di riposo,<br />

che di rado ei trascurava di piegare le dita, quando l’aura ivi si portasse<br />

<strong>senza</strong> esserne però costretto: se teneale distese lungo il braccio riascendeva<br />

per vagare successivamente da una ad altra regione; quand’ella si

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