n° 01 - 2007 - CERVELLO - Maria Corgna
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RUBRICA A CURA<br />
DELLA<br />
PROF.SSA MARIA CORGNA<br />
Cari Amici,<br />
LA MEDICINA BIOLOGICA GENNAIO - MARZO <strong>2007</strong><br />
P.N.E.I.<br />
WORLD<br />
rispondendo alle Vostre numerose richieste, con piacere diamo il via<br />
ad una Rubrica/News dedicata alla PNEI, osservata anche attraverso<br />
il caleidoscopio della Medicina Biologica.<br />
– La PNEI costituisce – ormai – il linguaggio universale di tutte le<br />
branche specialistiche, facendole “convergere” sulla fisiopatologia<br />
del connettivo e regalando gloria e riconoscenza a H.H. Reckeweg,<br />
ideatore di una modalità fisio-patologica e terapeutica, l’Omotossicologia,<br />
incentrata sulla matrice la cui dinamica di regolazione è<br />
tanto neuroemozionale quanto endocrinoimmunitaria.<br />
Prendendo le distanze dal riduzionismo scientifico che ignora il<br />
rapporto corpo-mente-ambiente, fiducia nel processo di guarigione<br />
e fa uso di molte delle metafore comunemente impiegate nel linguaggio<br />
bellico (invasione, bombardamento, aggressione, guerra<br />
chimica, eradicazione, ecc.), dedichiamo questo primo appuntamento<br />
ad alcune brevi riflessioni sul rapporto tra stato di coscienza<br />
e risposte “somatiche” attraverso flash e news che mi auguro interessino,<br />
divertano ed incuriosiscano.<br />
Contattatemi nel caso abbiate notizie interessanti da condividere e…<br />
a presto!<br />
<strong>Maria</strong> <strong>Corgna</strong><br />
…Le idee che sono prevalenti nel nostro vissuto affettivo cognitivo appaiono<br />
velocemente come immagini nel nostro campo energetico.<br />
In modo analogo, la connessione dinamica tra immagini mentali, campo<br />
energetico e MATRICE potrebbe essere uno dei motivi per i quali immaginazione<br />
e visualizzazione facilitano la guarigione.<br />
Potrebbe spiegare anche come i processi e le immagini più profondamente<br />
impressi nella nostra psiche possano prendere forma nella realtà<br />
esterna…<br />
<strong>CERVELLO</strong>:<br />
DOLORE, SCOPERTO MECCANISMO CHIMICO PLACEBO<br />
E’ stato individuato nel cervello il meccanismo chimico specifico alla<br />
base dell'effetto placebo contro il dolore. Lo studio, di Jon-Kar Zubieta<br />
(Università del Michigan) e William Willis (Università del Texas), fornisce<br />
le prime prove dirette del fatto che l'efficacia del placebo contro il<br />
dolore è più che un mero effetto psicologico ma dipende dalla reale attivazione<br />
dei centri cerebrali preposti al controllo degli stimoli dolorosi,<br />
ovvero le aree di produzione degli oppiodi, gli antidolorifici naturali (endorfine)<br />
del nostro organismo. Il lavoro, pubblicato su Journal of Neuroscience,<br />
offre spunti per elaborare nuove strategie di terapia del dolore<br />
e nuovi farmaci antidolorifici.<br />
L'effetto placebo è il fenomeno<br />
per cui il lasciar credere al paziente<br />
che stia assumendo una<br />
medicina efficace per il male<br />
che lo affligge (per esempio<br />
una cefalea) migliora veramente<br />
le sue condizioni fisiche, riducendo<br />
il dolore avvertito. In<br />
altri termini, somministrare un<br />
placebo a un paziente può significare<br />
ridurre le sue sensazioni<br />
dolorose pur senza sottoporlo<br />
ad una reale cura farma- Dolore acuto dell’artista romeno Baruch Elron.<br />
cologica. Numerosi studi avevano<br />
sin qui ventilato la possibilità che l'efficacia del placebo non fosse<br />
solo dovuta al condizionamento psicologico. In questo studio si dimostra,<br />
per la prima volta, il meccanismo che controlla l'effetto placebo, ovvero<br />
come il condizionamento psicologico si traduca in un meccanismo chimico<br />
preciso che esercita la propria azione sul corpo del paziente 'ingannato'<br />
dal placebo. I ricercatori statunitensi hanno, infatti, coinvolto<br />
14 maschi sani tra i 20 ed i 30 anni sottoponendoli a stimoli dolorosi di<br />
intensità crescente iniettando loro una soluzione salina nel muscolo della<br />
mascella. Per produrre l'effetto placebo i ricercatori hanno iniettato endovena<br />
una soluzione fisiologica totalmente neutra dicendo ai giovani<br />
che stavano loro somministrando antidolorifici. Per visualizzare nel cervello<br />
il risultato di questa “bugia”, i ricercatori eseguivano scansioni del-<br />
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LA MEDICINA BIOLOGICA GENNAIO - MARZO <strong>2007</strong><br />
l'attività cerebrale con la tomografia ad emissione di positroni (PET), tecnica<br />
in grado di valutare e misurare il grado di attività delle aree produttrici<br />
di endorfine. Le endorfine – gli analoghi biologici della morfina<br />
– sono sedativi endogeni, si legano a recettori neurali inibendo la trasmissione<br />
del segnale tra neuroni e, quindi, spegnendo la percezione dello<br />
stimolo doloroso. I ricercatori hanno rilevato con la PET un aumento<br />
di produzione degli oppiodi endogeni, identificando anche le aree del Sistema<br />
Nervoso su cui le endorfine esercitano l'effetto placebo. A riprova<br />
del fatto che è la somministrazione del placebo ad indurre un effetto<br />
antidolorifico, i ricercatori hanno aumentato progressivamente l'intensità<br />
dello stimolo algogeno dimostrando che – somministrando placebo<br />
– la soglia del dolore aumenta, pur se con differenze individuali.<br />
In altri termini, per far avvertire ai soggetti lo stesso livello di dolore<br />
avvertito prima della somministrazione del placebo, l'intensità dello stimolo<br />
doloroso deve essere più alta. Gli esperti hanno, inoltre, dimostrato<br />
che il placebo non produce la stessa efficacia su tutti: in alcuni determina<br />
un forte innalzamento della soglia del dolore, in altri un aumento<br />
più contenuto. Poiché questi studi hanno coinvolto solo individui sani, il<br />
prossimo passo – hanno precisato gli studiosi – sarà quello di indagare<br />
se i meccanismi chimici dell'effetto placebo siano esattamente gli stessi<br />
anche in pazienti che veramente presentano un trigger algico, anche<br />
cronico, per avere una visione più completa del fenomeno. Con queste<br />
informazioni – concludono gli esperti – si potrà migliorare l'uso di terapie<br />
cognitive e psicologiche contro il dolore cronico.<br />
48<br />
ANSA - ROMA 24/08/2005, 09:51<br />
Il più fedele aiutante dei prestigiatori? La regione del cervello deputata<br />
alla concentrazione. Questa, di fatto, impedisce agli spettatori di scoprirne<br />
i trucchi proprio quando sono concentratissimi sulle loro mosse. In uno<br />
studio pubblicato sulla rivista Cerebral Cortex, gli scienziati dell'University<br />
College di Londra, coordinati da Nilli Lavie, sostengono che un eccesso<br />
di concentrazione potrebbe ostacolare la percezione visiva, piuttosto<br />
che agevolarla. Un eccesso di concentrazione impedirebbe di notare<br />
anche cambiamenti evidenti nell'ambiente circostante, come un semaforo<br />
che diviene rosso mentre si passa con l'auto. La causa di ciò,<br />
secondo la loro scoperta del tutto inattesa, è che l'area cerebrale da cui<br />
dipende la concentrazione ha anche un ruolo chiave, finora sconosciuto,<br />
nella percezione visiva dei cambiamenti ambientali. Quest'area si<br />
localizza sulla corteccia parietale destra; pur non avendo nulla a che vedere<br />
con la corteccia visiva (occipitale),<br />
gli psicologi dell'ateneo<br />
britannico hanno scoperto<br />
che è indispensabile alla percezione<br />
di cambiamenti nell'ambiente<br />
che è sotto i nostri<br />
occhi. Infatti, quando gli psicologi<br />
con la Stimolazione Magnetica<br />
Transcranica (TMS) hanno<br />
inattivato questa regione cerebrale<br />
in un gruppo di indivi-<br />
Il prestigiatore dell’artista russo<br />
Serghej Potapenko (1962 – 2003).<br />
dui, il campione ha perso la possibilità<br />
di vedere anche cambia-<br />
menti macroscopici che avvenivano sotto i propri occhi. La stessa defaillance,<br />
secondo Lavie, si potrebbe verificare ogni volta che ci si concentra<br />
troppo intensamente su qualcosa, al punto da sfruttare al massimo<br />
la nostra capacità di elaborazione della corteccia parietale. Questo<br />
sforzo renderebbe quest'area temporaneamente inservibile per prestare<br />
attenzione a cose nuove e addirittura a cambiamenti drastici dell'ambiente<br />
circostante, impedendo di notarli. "Poiché il lobo parietale non è<br />
parte della corteccia visiva – riferisce Lavie – all'inizio ci è sembrato sorprendente<br />
che tale regione fosse critica per la consapevolezza visiva<br />
oltre che per la concentrazione, funzione per cui è nota da tempo". Questi<br />
risultati, ha concluso l'esperto, spiegano perché ci lasciamo facilmente<br />
ingannare dai trucchi di un prestigiatore: "se ti stai concentrando troppo<br />
su quel che sta facendo la sua mano sinistra, non puoi notare nel frattempo<br />
quel che invece sta combinando la sua mano destra".<br />
ANSA - ROMA 24/08/2005, 09:52<br />
Occidentali e orientali vedono il mondo in modo diverso, dando peso a<br />
differenti aspetti della stessa realtà. E' quanto dimostrato da Richard Nisbett<br />
dell'Università del Michigan ad Ann Arbor, in un lavoro pubblicato<br />
sui Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS). Di fronte alla<br />
stessa immagine un gruppo di americani si concentra più su dettagli e<br />
oggetti in primo piano, mentre un gruppo di cinesi ha una visione più complessiva<br />
della foto, concentrandosi maggiormente sul contesto generale<br />
in cui gli oggetti sono ripresi, piuttosto che sugli oggetti stessi.<br />
"Vi sono molte evidenze aneddotiche di come occidentali ed orientali ab-
iano discordanti visioni del mondo – dichiara Nisbett; abbiamo quindi<br />
voluto allestire un esperimento per verificare se ciò sia traducibile in reali<br />
differenze in cosa effettivamente vedono".<br />
Per farlo, i ricercatori hanno coinvolto due gruppi di studenti, uno di nascita<br />
americana e con antenati di origine europea, un altro di cinesi. A<br />
tutti loro, il team di psicologi ha chiesto di osservare delle fotografie.<br />
Le immagini mostravano sempre un oggetto in primo piano con uno sfondo<br />
ad esso accoppiato, per esempio una tigre nella giungla. I ricercatori<br />
si occupavano nel frattempo di seguire i movimenti oculari degli studenti.<br />
E' emerso che questi movimenti sono molto diversi: gli "occhi americani"<br />
si soffermano più sul protagonista della foto (la tigre), quelli "cinesi"<br />
più sul contesto (la giungla). "Gli americani eseguono una disamina<br />
attenta e dettagliata delle cose – afferma Nisbett – focalizzando l'at-<br />
LA MEDICINA BIOLOGICA GENNAIO - MARZO <strong>2007</strong><br />
tenzione nel collocare i singoli oggetti in categorie e cercando di capire<br />
le sottostanti regole".<br />
Al contrario, i cinesi sposano una filosofia olistica osservando un oggetto<br />
in relazione al tutto. Secondo Nisbett questi due distinti schemi di visione<br />
si sono sviluppati per le differenti concezioni del mondo alla base<br />
di queste due culture: "l'armonia è un'idea centrale per i popoli orientali;<br />
in occidente, invece, la vita è incentrata sul raggiungimento degli<br />
obiettivi che ci si prefigge". Differenze simili sono già state individuate<br />
in altri ambiti come nell'apprendimento del linguaggio – fanno notare<br />
gli psicologi.<br />
"Capire che esiste una differenza reale nel modo in cui persone di diverse<br />
origini pensano – conclude Nisbett – dovrebbe formare la base<br />
per il rispetto reciproco". <br />
UNO STRUMENTO DI LAVORO E DI RICERCA<br />
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