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celebrato come uno dei più valenti letterati del suo
secolo.
Si trovava a Macerata sul finire dell'aprile 1661,
quando, dalla Rota di Genova, gli fu destinato come
collega il più gran buon uomo, il più sublime
minchione che vantasse la Curia, certo Bonaventura
Arrighini di Lucca!
Fu a lui che il Lazzarelli dovette la sua Cicceide;
egli, il Bonaventura, protagonista, Don Ciccio. Pare
tuttavia che l'Arrighini non fosse totalmente
ignorante, essendosi addottorato in Pisa nel 1649 in
età di 25 anni, ed avendo per dieci anni esercitata la
curia in Roma.
I motivi che mossero il Lazzarelli ad inveire
contro l'Arrighini non furono certo l'invidia o i
disgusti di colleghi; ma piuttosto un certo qual modo
ridicolo di diportarsi dell'Arrighi, la sua deforme
figura e il suo ragionar puerile.
Né Gio. Francesco da prima ebbe intendimento di
fare sull'Arrighini un intiero poema da darsi alle
stampe; poiché, secondo glie se ne porgeva
occasione, egli componeva qualche sonetto su Don
Ciccio, per rallegrare gli amici; e ciò si rileva
chiaramente da’suoi stessi originali.
Il primo componimento è del 1663, così notato nel
secondo quinterno degli abbozzi di sue poesie, ed è il
sonetto duodecimo dell’edizione di Parigi, ove, nella
seconda quartina, è dipinto Don Ciccio con la faccia
come un polmone, un buffone, uno sciocco e
ridicolo.
Nell'anno 1669 egli scrive ad un Valerio Diplovatazio
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