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Rimanga sempre a quel medesmo segno,
E capace non sia d' accrescimento:
Come pur anche reputo, e 'l sostegno
Con la ragion, che quel temperamento,
Di cui l'alma Natura il fece degno.
Resti qual fu nel suo concepimento:
Ciò che poi si racconta di Cimone,
Io l' ho per una fola, e a parer mio
Non si dà sì notabil mutazione.
Vediamolo in Don Ciccio. Ei quando uscio
Da l'utero materno, era un C...,
Un C... visse, ed un C... morio.
280. - Nel medesimo soggetto della
morte di Don Ciccio.
Al signor conte Ronchi.
Ahi, ahi, Giuseppe, ahi, me ne crepa il cuore !
Né trovo alcun valevole conforto
A render men penoso il mio dolore:
Ahi, ahi ! Don Ciccio, il poverello, è morto.
E' morto, e 'l ciel non si colmò d'orrore
Nel fare al mondo tutto un sì gran torto !
Torto per cui se n' ode alto il clamore
Da l' Indo al Mauro, e da l'occaso a l'orto.
A me però di sua morta sciagura
E la novella rea sopravvenuta
Improvvisa così, quant' ella è dura.
E da chi può tal cosa esser creduta,
Che un C..., fatto sol da la Natura
Per dar la vita altrui, l'abbia perduta ?
28l. - La morte di Don Ciccio, e dell'unico
suo figliuolo.
Al signor canonico Malatesta.
Signor, morto Don Ciccio, e poco appresso
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