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1 – L’ineluttabile estinzione del pessimismo<br />
ROBERTO MANDILE<br />
Uno degli equivoci più pervicaci del nostro tempo riguarda l’idea del pessimismo, diventata ormai<br />
pressoché un tabù non per un atteggiamento scaramantico (non solo), ma per un qui pro quo di<br />
fondo che investe tutto quanto può evocare un che di contraddittorio, di ambiguo.<br />
L’ottimismo è qualcosa di più di una filosofia di vita: è l’oggettivazione di un modo di essere e di essere<br />
alla moda. Fin qui nulla di strano (e di nuovo). Colpisce però la condanna senz’appello del<br />
pessimismo, vittima di una lotta senza quartiere volta alla rimozione di una visione della vita complessa<br />
e tanto radicata nella cosiddetta cultura occidentale. Il pessimismo sembra ormai assorbito<br />
irrimediabilmente nell’ambito del catastrofismo, una concezione delle cose condannabile perché<br />
ispirata ad una totale sfiducia nella possibilità del cambiamento, esecrabile in quanto negazione recisa<br />
del progresso, una forma di conservatorismo intollerabile sé e per sé. Il motto (ancora rivoluzionario?)<br />
secondo il quale “tutti possiamo e dobbiamo fare qualcosa per cambiare il mondo” pare resistere ad<br />
ogni crollo di ideologie e, superata indenne ogni epoca, vive e lotta insieme a noi. Certo, come ogni<br />
slogan, ha finito per svuotarsi di significato, per diventare non il riassunto di un’idea (pro)positiva e<br />
veramente sentita, bensì un frammento di discorso ripetuto.<br />
Ma probabilmente l’estinzione del pessimismo era un destino ineluttabile, l’inevitabile risultato di<br />
un’implosione del pensiero stesso: cos’altro ci si poteva aspettare ostinandosi a vedere il bicchiere<br />
mezzo vuoto? Ancora una volta aveva capito tutto Eugenio Montale: «Credi che il pessimismo / sia<br />
davvero esistito? Se mi guardo / d’attorno non ne è traccia. / Dentro di noi, poi, non una voce / che si<br />
lagni. Se piango è un controcanto / per arricchire il grande / paese di cuccagna ch’è il domani. /<br />
Abbiamo grattato col raschino / ogni eruzione del pensiero. Ora / tutti i colori esaltano la nostra<br />
tavolozza, / escluso il nero» (Il raschino, in Satura, 1970).<br />
2 – Della differenza tra “dato di fatto” e “verità”<br />
MATTEO FONTANA<br />
Werner Herzog, in quel mirabile libretto che è La conquista dell’inutile, traccia la differenza (in campo<br />
cinematografico) tra “dato di fatto” è “verità”, e giunge alla conclusione che il cosiddetto “cinemaverità”<br />
si basa, paradossalmente, su dati di fatto messi pedissequamente in sequenza, e non è per questo<br />
in grado di ricavare verità alcuna; il documentario herzoghiano si costruisce, invece, sulla ricerca della<br />
“verità estatica”, una condizione che può derivare anche e soprattutto dalla non assoluta fedeltà ai fatti.<br />
Questo mi fa andare col pensiero ad una celebre affermazione di François Truffaut, secondo la quale il<br />
cinema non si limita a mostrare dei fatti, ma ne rivela una realtà più profonda. Come dire che il totale non<br />
è dato necessariamente dalla somma delle singole parti che lo compongono.<br />
Robert Musil, intervistato da Oskar Maurus Fontana (30 aprile 1926): “I fatti per lo più sono sempre<br />
scambiabili. A me interessa ciò che è spiritualmente tipico, vorrei addirittura dire: la dimensione<br />
spettrale dell’accadere.”<br />
Ora: Werner Herzog, per definire la conoscenza banalmente fattuale, parla spregiativamente di “verità<br />
dei contabili”: una “verità” superficiale, che può accontentare soltanto (con tutto il rispetto per la<br />
categoria) chi è abituato a fare di conto, ovvero a sommare le parti e ad ottenere un totale. I conti<br />
tornano, ma non torna la verità.<br />
Fin qui l’ambito cinematografico (Herzog, Truffaut) e letterario (Musil).<br />
E nella realtà? La domanda che mi pongo (e vi pongo…) è: valgono le medesime, interessanti<br />
considerazioni? Siccome non sono solito nascondermi vi dico: secondo me sì. Anche nella realtà, i fatti<br />
senza interpretazioni sono la verità dei contabili. O dei cretini. Vedete un po’ voi…<br />
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