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Abigail Tyler allo stesso modo in cui “JFK” (oh già, a proposito, ecco un altro “quasimockumentary”…<br />
o no?) pretendeva – su ben altra base ontologica, però! – di riaprire il caso Kennedy.<br />
Il “vero” e il “falso”<br />
A sinistra, un fotogramma da uno dei presunti “veri” filmati della dottoressa Tyler; a destra, la<br />
ricostruzione cinematografica (e perciò per definizione “falsa”) di una seduta. In realtà nel<br />
mockumentary vero e falso non si integrano e non si contrappongono, ma si confondono…<br />
Il problema di Osunsanmi – ma non solo suo, per carità: il problema del mockumentary<br />
contemporaneo di un certo tipo (il quarto forse…?) – è che in esso è impossibile discernere il vero dal<br />
falso, e questo – lungi dal rendere un buon servizio al genere e al film – non fa che intorbidare le acque<br />
per partorire falsi casi come quello degli studenti persi nel bosco e forse vittime di una terribile magia<br />
nera (The Blair Witch Project, of course…). Insomma, sembra che il film di fiction abbia bisogno di<br />
potenziarsi. Non basta più realizzare un bel film dell’orrore sul tema dei rapimenti alieni. No, oggi<br />
occorre sostenere l’idea dichiarando la “verità” di certi dettagli e di certi eventi.<br />
Peccato che poi si scopra che il film non è stato girato a Nome, Alaska, ma a Vitosha, Bulgaria (!); e<br />
che i filmati “veri” delle sedute psicanalitiche “vere” sono in realtà a loro volta scene di fiction,<br />
sapientemente girate con stile sporco e amatoriale; e, ancora, che la dottoressa Abigail Tyler manco si sa<br />
se esista veramente! E che quella che compare, smunta e slavata, nell’intervista realizzata dal regista è a<br />
sua volta un’attrice.<br />
Insomma, Osunsanmi, a che gioco giochiamo? E’ il<br />
gioco del “vero o falso”? O è una calcolata presa<br />
per i fondelli dello spettatore, indotto a credere a<br />
levitazioni misteriose, ad alieni che parlano sumero<br />
(sic!), a misteriose sparizioni di persone da una citta-<br />
dina che, lungi dall’essere l’angolino paradisiaco che<br />
si vede nel film, è un paesotto informe e sperduto<br />
nell’alta Alaska, quasi sullo stretto di Bering (andate La bellezza di Milla Jovovich.<br />
pure a dare un’occhiata su Google Earth, se non Ecco forse l’unico elemento indiscutibilmente VERO<br />
ci credete)? Vogliamo davvero credere che il rapi- del film di Osunsanmi<br />
mento da parte di alieni che parlano il sumero sia la<br />
più probabile causa di sparizione di una persona da Nome? Osunsanmi ha mai sentito parlare del rasoio<br />
di Ockham? Non è un particolare tipo di moviola, ma un principio filosofico che aiuterebbe nello<br />
strutturare (o nell’evitare di strutturare) certi mockumentary pretestuosi e profondamente disonesti.<br />
Assai più di quanto possa essere disonesto il più disonesto dei film di fiction!<br />
Ma alla fine, mock vuol comunque dire “falso” *** , per cui di che ci stiamo a preoccupare?<br />
*** Scusate l’eccesso di note in questo pezzo, ma è ovvio che – al di là del singolo film, che in questo caso è Il quarto<br />
tipo – è interessante occuparsi un po’ del “problema-mockumentary”. E proprio in questo numero della “Lanterna”<br />
pressoché interamente dedicato a James Ballard, non potevo farmi sfuggire l’occasione di chiudere con una appropriata<br />
citazione da La mostra delle atrocità, dove Ballard scrive: “I falsi cinegiornali di guerra […] mi hanno sempre intrigato.<br />
La mia versione di Platoon, Full Metal Jacket o Niente di nuovo sul fronte occidentale, sarebbe un montaggio di<br />
telegiornali, falso, ma così accurato che il pubblico si convincerebbe che è vero, pur continuando ad avere il dubbio che<br />
possa essere tutto inventato. Il grande esponente del neorealismo italiano, Roberto Rossellini, andò molto vicino a un<br />
risultato del genere con Roma città aperta e Paisà.”<br />
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