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Benvenuti nel fantastico mondo del mockumentary<br />
MATTEO FONTANA<br />
Da Wikipedia (che, senza affidarsene troppo, presa – diciamo – a piccole dosi, è assai utile): «Con falso<br />
documentario o mockumentary (dalla fusione delle parole inglesi mock = finto/simulato/ironico/derisorio e<br />
documentary = documentario) si indica quel genere cinematografico o televisivo […] nel quale degli<br />
eventi fittizi appositamente realizzati per la trama sono presentati come reali o comunque creati per lo<br />
scopo della narrazione.»<br />
Bene. Un film come Il quarto tipo, del regista afro-americano dal curioso nome di Olatunde Osunsanmi,<br />
rientra pienamente nel genere “mockumentary”. Ma attenzione a non incorrere nell’equivoco, invero<br />
drammatico, di considerare questo film come un apripista, o come qualcosa di sperimentale e mai<br />
azzardato in precedenza.<br />
Prima di entrare nel merito, ovvero prima di dire due parole sul valore o non-valore del film,<br />
ripercorriamo in breve la storia di questo bizzarro genere cinematografico, che negli ultimi anni ha<br />
conosciuto – è vero – un’impennata, ma che era nato già nel 1965 con un film di Peter Watkins,<br />
intitolato The War Game. Una guerra nucleare contro la Gran Bretagna vi veniva raccontata con stile<br />
documentaristico, come un fatto realmente accaduto.<br />
Altri “mockmentary ante litteram” (se ci passate la definizione) sono gli alleniani Prendi i soldi e scappa<br />
(Take the Money and run, 1969) e Zelig (id., 1983), nonché il celeberrimo F for Fake di Orson Welles (id.,<br />
1974) che, per la verità, più che un mockumentary, è una riflessione ante-litteram sul mockumentary. *<br />
In anni più recenti, vanno ricordati L’ignoto spazio profondo (The Deep Blue Yonder, Werner Herzog ** , 2005),<br />
il discutibile The Blair Witch Project (id., Daniel Myrick e Eduardo Sanchez, 1999), filmetto da due soldi<br />
gonfiato a fenomeno cinematografico, e il recentissimo Cloverfield (id., Matt Reeves, 2008).<br />
* A proposito di Orson Welles, peraltro, è impossibile non citare il celebre dramma radiofonico, da lui diretto e<br />
interpretato, tratto da La guerra dei Mondi di H.G. Wells, e trasmesso il 30 ottobre 1938. Nonostante prima della<br />
trasmissione un comunicato avesse avvertito gli ascoltatori che quanto seguiva era frutto di fantasia, lo stile recitativo di<br />
Welles e, soprattutto, la particolare forma del testo (che riproduceva un notiziario allarmistico la cui notizia-bomba era<br />
l’invasione aliena) indussero molti ascoltatori a credere vero il contenuto del dramma! Da cui le celebri scene di panico<br />
per le strade. A buon titolo, io considero questa trasmissione radiofonica il vero archetipo del mockumentary. Ma<br />
vogliamo spingerci ancora più in là ed entrare prepotentemente nel campo della letteratura? Allora bisognerebbe<br />
considerare “mockumentaria” tutta quella letteratura che si basa sul presunto ritrovamento di un (falso) manoscritto<br />
precedente del quale l’autore del libro altri non è che il curatore e il rabberciatore… Vi dice niente questo impianto di<br />
trama? Per citare giusto tre titoli che non possono suonare nuovi: I promessi sposi (Alessandro Manzoni); La coscienza<br />
di Zeno (Italo Svevo); Il manoscritto trovato a Saragozza (Jan Potocki). E vi assicuro che si potrebbe andare avanti! Per<br />
quanto, naturalmente, questo non sia che un giochino un po’ intellettualistico ed erudito…<br />
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