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N° 6 - Giovanni Ficetola

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delle succitate star, restituisce ai personaggi un’aura di “normalità” che conferisce al film (per quanto il<br />

discorso sia in fondo un po’ aleatorio, com’è facile capire, e meriterebbe maggiore approfondimento)<br />

un maggiore grado di “verità”.<br />

In fondo, la medesima scelta fece Stanley Kubrick per Full Metal Jacket, dove gli attori più noti erano<br />

Matthew Modine (che solo dopo sarebbe veramente decollato) e Vincent D’Onofrio.<br />

Abbiamo citato il sergente Will James, artificiere esperto<br />

quanto temerario, protagonista del film. E allora a questo<br />

punto occupiamoci anche dell’aspetto più “filosofico”<br />

del lavoro della Bigelow: la considerazione della guerra<br />

come una droga cui diventa impossibile resistere (la<br />

cosiddetta “tesi” del film, dichiarata esplicitamente da<br />

una didascalia che compare all’inizio).<br />

Tema non nuovo: già Apocalypse Now (Coppola, 1979) lo<br />

introduceva perfettamente, in una celeberrima battuta<br />

affidata al capitano Willard: “Quando ero a casa dopo il<br />

mio primo viaggio era anche peggio. Mi svegliavo e c’era<br />

Piccole parti per i volti noti: Ralph Fiennes il vuoto. […] Quando ero qui volevo essere là. Quando<br />

ero là non potevo pensare ad altro che a tornare nella<br />

giungla.”<br />

La Bigelow raffigura la guerra (ma, va detto, non una guerra qualsiasi bensì la particolare guerra in Iraq)<br />

come uno stato di tensione continuo, che ha la sua indubbia efficacia cinematografica e che – viene<br />

suggerito dal film – allo stesso modo può finire per rappresentare una condizione di vita non solo<br />

accettabile, ma addirittura desiderabile per un soldato. Chiariamo un equivoco in cui certa critica è<br />

caduta: Hurt Locker non è un film “di destra” perché esalta la guerra. E’ da mentecatti pensare che sia<br />

“di destra” esaltare la guerra e “di sinistra” esecrarla.<br />

Il sergente Will James (Jeremy Renner), “drogato” dalla guerra serpeggiante<br />

nelle strade insidiose di Baghdad<br />

Katryn Bigelow non esalta e non esecra: si limita a mostrare, con una strana e a suo modo riuscita<br />

commistione fra action e realismo, la guerra serpeggiante per le strade di Baghdad. L’asciuttezza del film<br />

si fa apprezzare soprattutto in quelli che sono i cosiddetti “passaggi obbligati” del genere cui appartiene:<br />

il cameratismo tra soldati, rappresentato in poche efficaci sequenze, e soprattutto il racconto del<br />

disadattamento del soldato rientrato a casa. Anche in questo caso, nulla di particolarmente nuovo.<br />

Torniamo al Coppola di Apocalypse Now, che liquida questa tematica con una semplice, meravigliosa<br />

battuta in voce off: “A mia moglie non dissi una parola fino a quando non dissi sì al divorzio”. Così il<br />

capitano Willard di Coppola e di John Milius (sceneggiatore), così anche il sergente James di Katryn<br />

Bigelow, assuefatto alla guerra, realizzato in essa, volontario (nel finale) per un’altra rotazione in Iraq.<br />

Questo fa di The Hurt Locker una esaltazione della guerra? No: soltanto un film meno ipocrita di altri,<br />

che in fondo ha il coraggio di interrogarsi non solo sugli orrori della guerra stessa (fin troppo facilmente<br />

rappresentabili ed esecrabili, non ne convenite?) ma anche, e soprattutto, sulla sua attrattiva.<br />

Questa, sì, inquietante.<br />

(“The Hurt Locker” di Katryn Bigelow)<br />

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