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N° 6 - Giovanni Ficetola

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Il realismo action di Katryn Bigelow<br />

MATTEO FONTANA<br />

Per quanto lo si possa esecrare (e chi scrive lo ha più volte fatto, nel corso degli anni) in quanto premio<br />

non attendibile, eccessivamente spettacolarizzato, dettato più dalle passioni momentanee che<br />

dall’effettiva valutazione storica del valore delle opere, l’Academy Award (per gli amici “Oscar”) rimane<br />

un mito imprescindibile per chi si occupa di cinema; ed è dunque difficile, volendo scrivere qualche<br />

notarella su The Hurt Locker, non partire dal primo Oscar per la migliore regia vinto da una donna,<br />

Katryn Bigelow (classe 1951). Premio giusto? Premio sbagliato? Riconoscimento eccessivo? Checché se<br />

ne dica, un film premiato con la statuetta dorata acquisisce comunque uno status superiore, nella<br />

percezione degli spettatori.<br />

La storia di Hurt Locker, per la verità, è più travagliata della media dei film vincitori di Oscar. Film<br />

“vecchio” e fatto rientrare nella decade (eh sì, quest’anno addirittura dieci!) dei film nominati più per<br />

risarcire la regista, maltrattata a Venezia dove perse il derby americano contro The wrestler, che per<br />

effettiva convinzione, esso sembrava destinato a sicura sconfitta contro il kolossal dei kolossal,<br />

quell’Avatar che a detta dei più avrebbe dovuto reinventare il cinema (hai detto poco!). In più, elemento<br />

gossiparo che non fa mai male, la Bigelow e James Cameron sono stati sposati fino al 1991, e dunque la<br />

sfida dal terreno squisitamente cinematografico (e quindi artistico) si trasferiva sul piano personale,<br />

nonostante le distese dichiarazioni dei due ex-coniugi alla vigilia della premiazione.<br />

Insomma, mai come quest’anno la Cerimonia degli Oscar si è “arricchita” di elementi extracinematografici,<br />

quegli elementi che in fondo la rendono divertente, fermo restando che nessun critico<br />

serio partirebbe mai dalla vittoria di un Oscar per osannare un film. Pensate che il sottoscritto per anni<br />

non ha nemmeno voluto sapere chi avesse vinto!<br />

Ma allora, che film è The Hurt Locker? E’ possibile avvicinarsi ad esso obiettivamente, senza farsi sviare<br />

dalla sua curiosa storia produttiva e distributiva? Proviamoci.<br />

Anzitutto, va detto che Katryn Bigelow è una notevole regista d’azione. A tutt’oggi, la sua miglior prova<br />

a mio giudizio rimane un film squisitamente di genere: Point Break (1991), serrato poliziesco incentrato<br />

su un gruppo di rapinatori che agiscono mascherandosi da ex-Presidenti degli U.S.A. e che basano la<br />

loro amicizia e la loro attività sulla vagamente superomistica “filosofia del surf”.<br />

A un’incollatura, il millenarista Strange Days (1995), action forse più maturo sul piano filosofico, ma<br />

caratterizzato da un “eccesso di trama” che finisce per spostarlo di genere, riconducendone gli<br />

interessanti discorsi su temi come il valore del ricordo e la conservabilità (o meno) del passato ad un<br />

gialletto smunto con tanto di spiegazioncina finale.<br />

Insomma, prima di Hurt Locker la Bigelow, pur tecnicamente molto brava, non è mai parsa una autrice a<br />

tutti gli effetti. Ottima mestierante, non certo priva di talento, pagava però la sua appartenenza ad un<br />

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