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N° 6 - Giovanni Ficetola

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Dio perdona, Tarantino no!<br />

MATTEO FONTANA<br />

Quentin Tarantino, si sa, è un regista “rischioso”, nel senso che è in grado di alternare a capolavori<br />

conclamati come Pulp Fiction (1994) lavori imbarazzanti come Grindhouse - Death Proof (2007), o non<br />

pienamente convincenti come il bipartito Kill Bill (2003-2004). Enfant prodige fin dal suo folgorante<br />

esordio (Le iene, 1992), Tarantino persegue ostinatamente un cinema che fa del citazionismo e della<br />

contaminazione la sua principale cifra stilistica. Ovviamente, questo modo di fare cinema – come scritto<br />

in tante occasioni – si espone ad un rischio evidente: quello de manierismo. E Quentin nella maniera ci<br />

è già caduto più volte, l’ultima con l’impresentabile Grindhouse – Death Proof, sorta di barzelletta doppia e<br />

tirata per le lunghe. Oltretutto, le recenti e francamente un po’ esagerate lodi nelle quali si è profuso il<br />

nostro nei riguardi di certo cinema italiano anni ’70 fanno pensare, e inducono a guardare con (pur<br />

benevolo) sospetto il suo lavoro.<br />

La frequentazione assidua della “Blaxploitation” aveva prodotto il non perfetto ma interessante Jackie<br />

Brown (1997); il kung fu movie aveva portato a quell’oggetto attraente e furbo che è Kill Bill; cosa sarà<br />

mai questo Inglourious Basterds, anticipato da indiscrezioni su una trama divertitamente contro-storica e<br />

da un titolo volutamente gergale, “sporco” e di bassa ambizione?<br />

Ebbene, Inglourious Basterds è la sorpresa che non ti aspetti, è la contaminazione finalmente riuscita,<br />

senza se e senza ma, tra generi e stilemi. Tarantino è mai stato un regista puramente “drammatico”?<br />

Neanche per idea. Né è mai stato un regista propriamente commediale, o d’azione, o horror, o<br />

thriller… Tarantino è ed è sempre stato INTERGENERICO, e in questo risiede la sua fondamentale<br />

essenza post-moderna. Come i Coen, Tarantino attraversa i generi, li usa e li piega con una sapienza<br />

cinematografica indiscutibile; la differenza è che mentre il lavoro dei Coen non prescinde mai (o quasi<br />

mai…) dal contenuto, quello di Tarantino vi prescinde sempre (o quasi sempre…), finendo troppo<br />

spesso per accontentarsi del lato ludico del fare/proporre cinema.<br />

Con questo sgombriamo il campo dal Tarantino precedente e vediamo perché, a modesto parere di chi<br />

scrive, Bastardi senza gloria funziona, principalmente come meccanismo (meta)cinematografico.<br />

Tarantino – contrariamente ai succitati fratelli Coen – ha un modo peculiare di raccontare, che era già<br />

ampiamente visibile in Pulp Fiction. Egli divide tutto in UNITA’ NARRATIVE (spesso con tanto di titoli<br />

e divisione in capitoli) di notevole solidità, che rimandano l’una all’altra, si intrecciano o si<br />

sovrappongono fino a strutturare l’intera caleidoscopica narrazione del film. Pulp Fiction era tripartito,<br />

ma era anche anulare grazie alla cornice rappresentata dalla rapina nel diner di Tim Roth e Amanda<br />

Plummer; Kill Bill era rigorosamente diviso in capitoli, come anche Bastardi senza gloria. Ogni capitolo è<br />

fondamentalmente un piccolo film a sé stante, controllatissimo nei tempi e nei ritmi, e spesso<br />

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