itmicità con cui le disavventure cadono addosso al povero Larry a costituire, come si diceva, la cifra stilistica, o, se si preferisce, il sigillo inconfondibile dei due autori sul film. A serious man, come Fargo, al quale è per molti versi assai vicino (anche se senza i risvolti tragici del film del 1996) – ma si può pensare anche a L’uomo che non c’era, a Il grande Lebowsky o a Burn after reading – ci racconta le disavventure di un uomo che, senza accorgersi e senza volerlo, si ritrova al centro di una serie di vicende che vanno ben al di là delle sue possibilità di comprensione e di gestione: se però altrove tutto è innescato da comportamenti quanto meno discutibili, nel nostro caso Larry appare propriamente una vittima delle circostanze. Ed è questa condizione (incarnazione dell’eterna condizione dell’ebreo perseguitato?) che consente ai Coen di impostare il film su quell’alternanza di registri cui facevamo cenno: da una parte Larry è spinto o costretto dal mutare degli eventi ad ingegnarsi (se ne deve andare di casa, dando quasi corpo alla figura, ancora una volta metastorica, dell’ebreo errante), ma dall’altra le sue esitazioni, la sua titubanze, i suoi tentennamenti (evidenti anche nell’atteggiamento che tiene con lo studente coreano che tenta di corromperlo) lo inducono a interrogarsi continuamente, anche forse contro la sua volontà (come sembrano ricordargli i sogni: anche Freud era ebreo, in fondo), sul senso di quello che gli sta accadendo e sulle reazioni che sarebbe opportuno manifestare. Salvo scoprire però che la religione offre più domande che risposte: il consulto con i tre rabbini, che scandisce la parte centrale del film, si risolve in un nulla di fatto. Le storie interrotte (e in questa categoria s’inserisce anche quella narrata nel prologo) sono così l’espressione di un’ambiguità che, in fondo, è affermata chiaramente nel Libro ebraico per eccellenza. Ogni parola è, al tempo stesso, fonte di conoscenza e di dubbio, di timore e di speranza: la parola di Dio è la stessa che può creare e distruggere, benedire e maledire, salvare e condannare. Le poche certezze che Larry sembra avere gli derivano dalla scienza (solo quando insegna fisica Larry pare a suo agio), ma anche qui s’insinua il dubbio, nella forma del paradosso del gatto di Schrödinger e del principio di indeterminazione di Heisenberg che vediamo illustrati dal protagonista ai suoi allievi durante le sue lezioni universitarie. Si potrebbe dire dunque che la prospettiva di Il protagonista, con un’espressione osservazione della realtà coincide con la sua interpretazione, o, sempre tra vittimistico e attonito, meglio, con le sue, potenzialmente infinite, interpretazioni: lo tra interrogativo e rassegnato spaesato Larry si ritrova così a scoprire che ogni tentativo di trovare indicazioni concrete su come comportarsi con la moglie (ma anche con l’amante-collega, con i figli, con il fratello, con la vicina di casa o con lo studente) è una questione di punti di vista. Più questi si moltiplicano, più la verità sfugge. E nell’incertezza non resta che rinviare, riprovare (come in un esperimento fisico) e, soprattutto, aspettare: il bellissimo finale del film, con la duplice attesa dell’uragano che si sta abbattendo sulla città e la telefonata di Larry con il medico che lo invita a passare a ritirare di persona gli esami, lasciando in sospeso lo spettatore (come facevano, ci ripetiamo, già il prologo o il racconto dei denti del non ebreo), sembra voler lasciare fuori campo la possibile tragedia. La morale non passa attraverso precetti astratti, giudizi a priori, indicazioni immutabili, non è un messaggio preconfezionato che si può applicare ad ogni situazione; essa, al contrario, si rivela misteriosamente, a posteriori, nella concretezza delle mille azioni che facciamo, ma, ancor di più, dei fatti ai quali assistiamo. Il pessimismo degli autori non potrebbe essere su questo punto più radicale. Oltre la tranquilla apparenza della pro- vincia americana, i Coen, facendoci salire con Larry sul tetto della sua casa, ci invitano a guardare le cose da altre prospettive, per scoprire magari che la vicina prende il sole completamente nuda, ma ci ricordano altresì che la moralità dello sguardo è relativa (basti vedere come ciò che Larry giudica corruzione non sia considerato tale dallo studente I registi Ethan e Joel Coen coreano), passeggera e soprattutto non è garanzia di suc- 48
cesso e, men che meno, di felicità. I tentativi di Larry di diventare un “mensch”, un “uomo serio” sono determinati non dalle sue scelte, ma dalla considerazione degli altri (così come la sua promozione non è decisa dai suoi meriti, ma dalla credibilità delle maldicenze sul suo conto): “ogni azione ha delle conseguenze” – ricorda all’inizio il protagonista allo studente che prova a corromperlo – ma queste non sono né prevedibili (specie se il nostro sguardo sulle cose non coincide con quello altrui), né controllabili (e infatti Larry deciderà di cedere e di correggere il voto incriminato). Non resta, come recita la frase che compare sullo schermo dopo il prologo, che affidarsi a una saggezza spicciola e pragmatica: “Prendi con semplicità tutto ciò che ti accade”, perché le parole, che sembrano dare un senso alla vita, sono le prime a perdere senso di fronte all’uragano che avanza o agli esami clinici da ritirare. 49 (“A serious Man” di Ethan e Joen Coen)