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Tarantino il cinema assume un’importanza narrativa di grande rilievo, visto che è all’interno<br />
della sala cinematografica parigina di proprietà di Shosanna che si tiene la prima del film nazista<br />
L’orgoglio della nazione alla quale partecipano Hitler in persona e tutti i gerarchi tedeschi; nel film<br />
di Mann, invece, Dillinger viene ucciso all’uscita di un cinema di Chicago, dove aveva assistito<br />
alla proiezione di Manhattan Melodrama (in italiano Le due strade), pellicola di W.S. Van Dyke con<br />
Clark Gable, William Powell e Myrna Loy.<br />
Molto differente è tuttavia il ruolo che il cinema assume nelle due opere: in Bastardi senza gloria<br />
la vicenda riprodotta sullo schermo è il riflesso istintivo, immediato, anche se, com’è ovvio, con<br />
un aggravio di retorica celebrativa, della situazione storica. C’è un rispecchiamento totale tra il<br />
cinema e la realtà, al punto che i gerarchi nazisti partecipano alla visione con incitamenti, risate,<br />
sguardi tronfi di soddisfazione (sembra che l’estetica nazista si esprima, ennesimo paradosso, in<br />
una sorta di neorealismo alla rovescia!): ed è per questo che, quando Shosanna, interrompendo<br />
il film, compare sullo schermo per dichiarare il suo proposito di vendetta, cui viene data<br />
immediata attuazione, si produce una sorta di corto circuito in virtù del quale il cinema si<br />
arroga, per così dire, il diritto di decidere la realtà, anche se questo avviene in dispregio di ogni<br />
verosimiglianza, anzi di ogni verità storica.<br />
Il cinema dunque riscrive la storia, ci dice il cinefilo<br />
Tarantino, perché in fondo il suo universo<br />
claustrofobico è totalizzante: e infatti dalla sala<br />
cinematografica non esce vivo quasi nessuno. Non<br />
c’è, in altri termini, realtà al di fuori del cinema. A<br />
fronteggiarsi, nel finale, restano solo il cacciatore di<br />
ebrei Hans Landa e i ‘bastardi’ cacciatori di nazisti,<br />
ai quali Tarantino pare affidare il compito di far<br />
procedere la Storia, anche se non sappiamo<br />
immaginare come. Di certo però la frase conclusiva<br />
Il cinema che riscrive la Storia, in cui si del film, “Questo potrebbe essere il mio capolavoro”,<br />
chiude “Bastardi senza gloria” con la quale il luogotenente Aldo Raine commenta la<br />
svastica che ha inciso, a perpetua memoria, sulla<br />
fronte di Landa, è tutt’altro che casuale ed è sicuramente inutile sottolinearne la chiara valenza<br />
metacinematografica. Tutto finisce dunque per essere inghiottito da una realtà altra, ma è il<br />
cinema, in ogni senso, che ha reso possibile questo stravolgimento: siamo sì in presenza di una<br />
riscrittura della Storia, ma questa a sua volta, nello spazio assoluto del cinema, è l’unica storia<br />
possibile, persino l’unica storia verosimile (altro che L’orgoglio della nazione!) che è stata<br />
raccontata.<br />
In Nemico pubblico invece il cinema assume un significato diverso: prima del finale, cui abbiamo<br />
accennato, esso compare anche in precedenza, in una scena in cui, mentre Dillinger, all’apice<br />
della sua fama, si trova in una sala, la sua immagine viene proiettata sullo schermo e una voce<br />
invita il pubblico a guardarsi intorno perché il “nemico pubblico” potrebbe essere tra loro.<br />
Tutti gli spettatori si voltano, prima a destra e poi a sinistra, tranne Dillinger che resta<br />
immobile; ovviamente nessuno lo riconosce. Poi, come detto, è proprio all’uscita di un cinema<br />
che il gangster verrà ucciso. Mann insiste, nella scena ambientata all’interno della sala dove si<br />
proietta Manhattan Melodrama ad accostare, all’interno della stessa inquadratura, i volti di<br />
Dillinger e di Clark Gable, che nel film interpreta un gangster che finirà sulla sedia elettrica (si<br />
dice anzi che l’attore si sia ispirato proprio al “nemico pubblico n. 1” per il proprio<br />
personaggio). L’accostamento è da leggersi all’interno della rilettura che, secondo quanto<br />
abbiamo detto, Mann vuole proporre della figura di Dillinger: il regista ci fa vedere come il mito<br />
del gangster romantico sia stato, in buona misura, alimentato anche (se non soprattutto) dal<br />
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