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metaforica ed esistenziale; la metamorfosi di Seth Brundle è invece conseguenza, se vogliamo,<br />
di un atto di hýbris, di una inopinata trasgressione alle “leggi della carne”.<br />
La trasformazione (come già i vermoni di “Il demone sotto la pelle”) intacca Seth Brundle<br />
anche a livello psichico. Il mostro in Cronenberg non è mai solo un mostro fisico, ma anche<br />
psichico. Fino alla parziale redenzione finale quando, ridotto ad un ammasso orrendo di<br />
carne sanguinolenta, egli induce Veronica a sparargli, ponendo così fine a questa epopea della<br />
degradazione della carne, a questa terrificante INVOLUZIONE del fu essere umano Seth<br />
Brundle.<br />
“Sono un insetto che aveva sognato di essere un uomo e gli era<br />
piaciuto. Ma adesso il sogno è finito.”, dice lo stesso Brundle, nella<br />
battuta forse più bella e significativa del film. Battuta che può<br />
indubbiamente essere connessa con quella che chiude il notevole<br />
“M.Butterfly” (id., 1993): “Sono un uomo che ha amato una donna<br />
creata da un uomo”, dice René Gallimard (Jeremy Irons), prima di<br />
suicidarsi.<br />
Il raffinamento del cinema di Cronenberg è indicato qui anche dal<br />
fatto che il regista non ha più bisogno dell’horror per esprimere la sua<br />
idea di orrore, e di tragedia. Gallimard vive la stessa illusione di<br />
successo e di completezza di Seth Brundle, ma tutto crolla quando si<br />
accorge che la donna cui aveva sacrificato ogni cosa è in realtà un<br />
uomo. L’inganno del corpo è totale, definitivo, assoluto. E non resta<br />
che la constatazione del proprio esistere insignificante. Brundle addirittura afferma di essere un<br />
insetto che si era creduto uomo: così dicendo, egli in fondo “retrodata” la metamorfosi, se ne<br />
prende ogni responsabilità e la trasforma in condizione esistenziale, piuttosto che in evento<br />
fuori dell’ordinario. In questo, Cronenberg sembra effettivamente riavvicinarsi a Kafka.<br />
L’horror sembra una sovrastruttura estetica e narrativa di cui il suo cinema può ora liberarsi.<br />
E’ innegabile infatti che il percorso artistico e creativo del regista canadese consista in un<br />
progressivo affrancamento dagli stilemi dell’horror, o meglio, in un raffinamento di tali stilemi,<br />
che approda a risultati come “Pasto nudo”, “Crash”, “M.Butterfly” e soprattutto<br />
all’impressionante “Spider” (id., 2002).<br />
INTERLUDIO. CRONENBERG TRA BURROUGHS E BALLARD<br />
Qualche parola a parte meritano due titoli in particolare della filmografia cronenberghiana, sia<br />
per le loro dirette ascendenze letterarie, sia per l’importanza nello sviluppo del pensiero<br />
cinematografico del regista. Il primo di questi due titoli è “Pasto nudo”, del 1991, tratto<br />
dall’omonimo romanzo di William Burroughs.<br />
Naked Lunch, per la verità, è un romanzo intraducibile sullo schermo. Cronenberg, non a caso,<br />
per il suo film non si è basato soltanto sul testo di Burroughs (completandolo peraltro con<br />
suggestioni da un altro suo celebre libro, “Sterminatore” [Exterminator!, 1960]), ma ha tratto<br />
materiale anche dalla vita dello scrittore che, com’è noto, è caratterizzata da lunghi anni di<br />
tossicodipendenza e dalle più disparate avventure, anche tragiche (tra cui l’omicidio della<br />
moglie, compiuto da Burroughs sotto l’effetto degli stupefacenti). Insomma Cronenberg, grazie<br />
a quell’impressionante libro che è “Pasto nudo”, vera e propria trascrizione dei deliri di un<br />
tossicomane, riflette ancora una volta, a fondo, sulla connessione corpo-mente e sulla<br />
possibilità che uno dei due fattori prenda il sopravvento. Come il protagonista del successivo<br />
“Spider”, del quale si parlerà tra poco, il protagonista di “Pasto nudo” vive un delirio tutto suo,<br />
fatto di agenti segreti di misteriose potenze aliene, di macchine per scrivere che si trasformano<br />
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