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N° 6 - Giovanni Ficetola

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metaforica ed esistenziale; la metamorfosi di Seth Brundle è invece conseguenza, se vogliamo,<br />

di un atto di hýbris, di una inopinata trasgressione alle “leggi della carne”.<br />

La trasformazione (come già i vermoni di “Il demone sotto la pelle”) intacca Seth Brundle<br />

anche a livello psichico. Il mostro in Cronenberg non è mai solo un mostro fisico, ma anche<br />

psichico. Fino alla parziale redenzione finale quando, ridotto ad un ammasso orrendo di<br />

carne sanguinolenta, egli induce Veronica a sparargli, ponendo così fine a questa epopea della<br />

degradazione della carne, a questa terrificante INVOLUZIONE del fu essere umano Seth<br />

Brundle.<br />

“Sono un insetto che aveva sognato di essere un uomo e gli era<br />

piaciuto. Ma adesso il sogno è finito.”, dice lo stesso Brundle, nella<br />

battuta forse più bella e significativa del film. Battuta che può<br />

indubbiamente essere connessa con quella che chiude il notevole<br />

“M.Butterfly” (id., 1993): “Sono un uomo che ha amato una donna<br />

creata da un uomo”, dice René Gallimard (Jeremy Irons), prima di<br />

suicidarsi.<br />

Il raffinamento del cinema di Cronenberg è indicato qui anche dal<br />

fatto che il regista non ha più bisogno dell’horror per esprimere la sua<br />

idea di orrore, e di tragedia. Gallimard vive la stessa illusione di<br />

successo e di completezza di Seth Brundle, ma tutto crolla quando si<br />

accorge che la donna cui aveva sacrificato ogni cosa è in realtà un<br />

uomo. L’inganno del corpo è totale, definitivo, assoluto. E non resta<br />

che la constatazione del proprio esistere insignificante. Brundle addirittura afferma di essere un<br />

insetto che si era creduto uomo: così dicendo, egli in fondo “retrodata” la metamorfosi, se ne<br />

prende ogni responsabilità e la trasforma in condizione esistenziale, piuttosto che in evento<br />

fuori dell’ordinario. In questo, Cronenberg sembra effettivamente riavvicinarsi a Kafka.<br />

L’horror sembra una sovrastruttura estetica e narrativa di cui il suo cinema può ora liberarsi.<br />

E’ innegabile infatti che il percorso artistico e creativo del regista canadese consista in un<br />

progressivo affrancamento dagli stilemi dell’horror, o meglio, in un raffinamento di tali stilemi,<br />

che approda a risultati come “Pasto nudo”, “Crash”, “M.Butterfly” e soprattutto<br />

all’impressionante “Spider” (id., 2002).<br />

INTERLUDIO. CRONENBERG TRA BURROUGHS E BALLARD<br />

Qualche parola a parte meritano due titoli in particolare della filmografia cronenberghiana, sia<br />

per le loro dirette ascendenze letterarie, sia per l’importanza nello sviluppo del pensiero<br />

cinematografico del regista. Il primo di questi due titoli è “Pasto nudo”, del 1991, tratto<br />

dall’omonimo romanzo di William Burroughs.<br />

Naked Lunch, per la verità, è un romanzo intraducibile sullo schermo. Cronenberg, non a caso,<br />

per il suo film non si è basato soltanto sul testo di Burroughs (completandolo peraltro con<br />

suggestioni da un altro suo celebre libro, “Sterminatore” [Exterminator!, 1960]), ma ha tratto<br />

materiale anche dalla vita dello scrittore che, com’è noto, è caratterizzata da lunghi anni di<br />

tossicodipendenza e dalle più disparate avventure, anche tragiche (tra cui l’omicidio della<br />

moglie, compiuto da Burroughs sotto l’effetto degli stupefacenti). Insomma Cronenberg, grazie<br />

a quell’impressionante libro che è “Pasto nudo”, vera e propria trascrizione dei deliri di un<br />

tossicomane, riflette ancora una volta, a fondo, sulla connessione corpo-mente e sulla<br />

possibilità che uno dei due fattori prenda il sopravvento. Come il protagonista del successivo<br />

“Spider”, del quale si parlerà tra poco, il protagonista di “Pasto nudo” vive un delirio tutto suo,<br />

fatto di agenti segreti di misteriose potenze aliene, di macchine per scrivere che si trasformano<br />

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