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N° 6 - Giovanni Ficetola

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sostituisce il “fuori” della guerra, anzi, si fa esso stesso “guerra” o rappresentazione della guerra<br />

(che nella realtà del racconto dura pochi minuti: appena uno scambio di missili tra U.S.A. e<br />

URSS!).<br />

Ad ogni modo, scrivendo di un libro come La mostra delle atrocità, l’impressione che si ha è che si<br />

tratti di un’opera incredibilmente e volutamente AMBIGUA, la cui ambiguità anzi non è<br />

risolvibile. Il libro, come suggerisce lo stesso Ballard in una nota, è fatto di “promemoria<br />

segreti”. Tali promemoria sono forniti dalla magmatica materia dei media. Nell’appendice,<br />

Ballard propone alcune descrizioni cliniche di operazioni di chirurgia estetica. “Quello che<br />

sembra più strano” – chiosa – “è che questi resoconti neutrali di procedure operative […]<br />

possano trasformarsi radicalmente con la semplice sostituzione del nome di una celebrità<br />

all’anonimo «paziente»; come se la letteratura e la scienza non fossero che una grande<br />

pornografia dormiente, in attesa di essere svegliata dalla magia della fama” (pag. 168).<br />

E chi crea la fama se non i media, la televisione, i giornali? “I televisori” – dice sempre Ballard –<br />

“ci fornivano uno sfondo interminabile di immagini agghiaccianti e scioccanti, l’assassinio di<br />

Kennedy, il Vietnam, la guerra civile in Congo, il programma spaziale… […] Nel loro<br />

complesso, esse hanno aperto la via al paesaggio dei nostri giorni, e forniscono anche l’ambigua<br />

materia prima di questo libro…” (pag. 108).<br />

Come si nota, l’Autore è lucidissimo nel presentare la sua stessa opera, e nel riconoscerne le<br />

ispirazioni e le motivazioni. Attenzione: non i significati! Non a caso, egli stesso nel brano citato<br />

poco sopra definisce “ambigua” la materia del libro…<br />

Si può spingersi allora ad affermare che la serrata dialettica interno/esterno ne “La mostra delle<br />

atrocità” è da estendere anche al “paesaggio dei media”? Insomma, alla difficoltà che ha il<br />

lettore ne capire se si trova dentro un “promemoria segreto” o fuori da esso, in uno spazio – per<br />

quanto poco ciò voglia dire – vergine? La nostra mappa mentale, ci dice Ballard, è sempre più<br />

disegnata dai media, dalle loro immagini, dai loro accostamenti e dalle loro tesi. 4<br />

La maestria di Ballard si rivela soprattutto nell’esteriorizzazione di queste mappe mentali.<br />

Anche in altre opere dello scrittore britannico si ritrova questa ossessione. Prendiamo Il<br />

condominio (1975), con la meravigliosa e inquietante similitudine tra lo skyline di Londra e<br />

“l’encefalogramma di uno psicotico”. Oppure L’isola di cemento (1974), nell’attraversare la quale<br />

al protagonista, il “naufrago urbano” Robert Maitland, “sembrava di seguire le proprie<br />

circonvoluzioni cerebrali. […] Pensò alla strana frase che aveva mormorato nel delirio: l’isola<br />

sono io.” 5<br />

L’area attorno alla clinica de “La mostra delle atrocità” si carica, negli attraversamenti compiuti<br />

da T. nelle sue molteplici configurazioni, di luoghi e costruzioni “mentali”: i bunker, il poligono<br />

di tiro, i cartelloni pubblicitari con le gigantografie frammentarie di corpi femminili… In questo<br />

4 E, aggiunge in una nota, “tutta la nostra vita è percorsa sotterraneamente da compiti già assegnati: le coincidenze non<br />

esistono”. Affermazione inquietante al massimo grado, teorema “dimostrato” – se vogliamo – proprio da La mostra<br />

delle atrocità, con scientifica precisione…<br />

5 James G. BALLARD L’isola di cemento (Feltrinelli, 2007). Questo interessantissimo romanzo, meno conosciuto di altri<br />

testi ballardiani, merita attenzione proprio per la profondità che in esso raggiunge il concetto della esteriorizzazione<br />

degli spazi interiori e, soprattutto, cerebrali. L’inner space ballardiano raggiunge qui una delle sue vette. Ed è<br />

impossibile, credo, non pensare all’affascinante parallelo con il Kubrick di Shining e di Full Metal Jacket. Tanto<br />

l’Overlook Hotel quanto la spettrale città di Hue invasa (ma non dominata) dai soldati americani sono a loro volta<br />

“paesaggi cerebrali”, rappresentati – a mo’ di mise en abyme – dalla figura del labirinto, presente in entrambi i film e,<br />

in entrambi i casi, fatale ai personaggi che vi si trovano all’interno.<br />

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