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È insomma dal tentativo di obliterare la natura attraverso la tecnologia, attraverso i comfort del<br />
condominio, che diventa mondo a sé, un universo autosufficiente, volto a soddisfare tutti i<br />
bisogni materiali dei suoi abitanti (ma in realtà, come dice lo stesso Ballard, il condominio è<br />
costruito per mantenere in vita sé stesso!), che si genera il corto circuito (reale e metaforico) in<br />
grado di mettere davvero in crisi la società separata del condominio. Ballard sembra in altri<br />
termini voler offrire in questo romanzo una materializzazione degli incubi e delle ossessioni<br />
della modernità, alle quali altrove ha dato espressioni in forme diverse e, in alcuni casi (penso<br />
soprattutto a The Atrocity Exhibition, in ital. La mostra delle atrocità, 1970), sicuramente più radicali.<br />
Spogliata di ogni traccia di anomalia evidente, inserita in una cornice in apparenza rassicurante,<br />
privata di motivazioni esterne, la crisi è qui, a differenza di quanto accade in altri romanzi dello<br />
stesso Ballard (penso soprattutto ai romanzi della cosiddetta “tetralogia degli elementi” The<br />
Wind from Nowhere [1962], The Drowned World [1962], The Drought [1964], The Crystal World<br />
[1966]), vista nella sua essenzialità, in quanto concentrata all’interno di un microcosmo<br />
autonomo e separato, che tuttavia diventa paradigma e modello potenzialmente estensibile,<br />
come dimostrano alcune considerazioni di Royal e come lascia intravedere il finale del libro. Ha<br />
scritto Antonio Caronia:<br />
Nel suo essere una città in miniatura, il condominio incuba in sé una crisi che non viene<br />
da nient’altro, in ultima analisi, se non dall’oblio dei limiti del linguaggio, dal rifiuto della<br />
componente extralinguistica dell’esperienza, dalla pretesa astratta di costruire un<br />
linguaggio (una città, un palazzo) che sia integralmente trasparente. 10<br />
La crisi è dunque tanto più angosciante perché non scaturisce da eventi catastrofici e non è<br />
nemmeno realmente circoscrivibile e controllabile: la sua tragicità deriva dalla parvenza di<br />
normalità di cui è figlia e che, allo stesso tempo, genera. Questa sorta di normalità (si veda<br />
ancora l’incipit), della quale nessuno pare davvero rendersi pienamente conto 11, si rivela come<br />
profonda distorsione, cupo stravolgimento, aberrazione dalle allarmanti conseguenze e il cui<br />
esito è inevitabilmente l’autodistruzione, l’implosione. È anche in questo caso la “morte degli<br />
affetti”, vero e proprio Leitmotiv dell’opera dello scrittore inglese, a produrre il massimo di<br />
inquietudine. Non è insomma una proiezione (dolorosa, preoccupata, ansiosa) sul futuro, ma il<br />
ripiegamento del tempo su sé stesso a creare gli effetti perversi descritti nel romanzo. Questa,<br />
senza dubbio, è l’essenza della fantascienza ballardiana, una fantascienza che dunque si presenta<br />
a sua volta come distorta, una fantascienza che, secondo quanto affermava lo stesso autore, non<br />
potendo più costruire altri mondi (ossia guardare al futuro), si pone per contro l’obiettivo<br />
d’inventare la realtà (concependo ipotesi sul presente e verificandole alla luce dei fatti) 12.<br />
10 A. Caronia, Le radici, cit.<br />
11 Viene in mente l’inconsapevolezza con cui il mondo assiste alla Terza guerra mondiale nel racconto Storia segreta<br />
della Terza guerra mondiale (compreso ne La mostra delle atrocità): “La seconda eccezionale caratteristica della Terza<br />
guerra mondiale è che io sono praticamente l’unica persona al mondo a sapere che essa ha avuto luogo”.<br />
12 Sono considerazioni esposte dallo stesso Ballard nella citata postfazione a Crash: cfr. Postfazione, pp. 202-204: “Le<br />
nostre concezioni del passato, del presente e del futuro vanno sempre più, forzatamente, modificandosi. […] Il futuro<br />
sta […] cessando di esistere, divorato dall’onnivoro presente. Questo futuro noi l’abbiamo annesso al nostro presente,<br />
facendone una delle molteplici alternative a noi offerte. […] Allo scrittore in particolare è quindi sempre meno<br />
necessario inventare il contenuto fantastico del proprio romanzo. L’invenzione fantastica essendo già data, il suo<br />
compito è l’invenzione della realtà. […] Il suo ruolo è quello dello scienziato che, in safari o in laboratorio, si trovi<br />
davanti a un territorio o argomento del tutto sconosciuto. In tale situazione, tutto ciò che può fare è concepire ipotesi e<br />
verificarle alla luce dei fatti”.<br />
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