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N° 6 - Giovanni Ficetola

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La domanda inquietante che mi pongo, e vi pongo, cari lettori, sulla base delle riflessioni<br />

ballardiane, è dunque questa (ancora una volta, molto krausiana!): il Progresso si può definire<br />

come una moltiplicazione selvaggia delle possibilità? A mio parere, la risposta è affermativa,<br />

tanto che (come appunto suggeriva Kraus) il progresso tecnologico che tanto bene ha fatto<br />

all’Umanità, ha al contempo portato alla costruzione delle armi più terribili e devastanti. Le<br />

possibilità non proliferano solo in senso positivo, ovvero costruttivo, ma anche in ambito<br />

negativo, ovvero distruttivo! Provate a pensarci. La penicillina a fianco dell’iprite; il cinema<br />

sottobraccio alla bomba atomica; e si potrebbe continuare all’infinito, o quasi.<br />

La descrizione che dà James Ballard del nostro mondo mi pare del resto perfetta: un mondo<br />

“governato da fantasie di ogni specie: promozione di prodotti di massa, pubblicità, politica<br />

esercitata come una branca della pubblicità, volgarizzazione immediata di scienza e tecnologia<br />

in immagini popolari, confusione e fusione di identità nel settore dei beni di consumo,<br />

svuotamento di ogni libera o originale risposta immaginativa all’esperienza da parte della<br />

televisione. Viviamo insomma” – concludeva Ballard – “all’interno di un enorme romanzo.”<br />

E’ la confusione tra finzione e realtà su cui sempre più si basano le meccaniche dello spettacolo:<br />

si pensi all’imporsi dei reality show. Illusioni di realtà ricreate a beneficio del mezzo televisivo, che<br />

non ha più un linguaggio capace di coinvolgere e che si contamina col reale, un reale<br />

ovviamente fasullo, se mi è consentito l’ossimoro. Non si prescinde più dall’ESPERIENZA. La<br />

costruzione intellettuale, la riflessione, l’invenzione pura non vanno più bene: il pubblico vuole<br />

esperienze, pezzi di vita altrui offerti sull’altare di quello che una volta si chiamava “Villaggio<br />

Globale” (ricordate l’espressione?). Una specie di mostruosa agape a cui tutti partecipano,<br />

volenti o nolenti, ingoiando il loro pezzo di “realtà” (o di “reality”), sia che si tratti della<br />

ricostruzione del delitto di Cogne su un plastico, o delle intercettazioni ambientali degli<br />

assassini di Erba, o l’ennesimo reality, o la confessione libresca o televisiva del tal VIP o del tal<br />

personaggio mediatico.<br />

La letteratura sembra adeguarsi, come scrive anche Ballard: “Io sento che il ruolo dello scrittore<br />

[…] è radicalmente cambiato. Sento che, in un certo qual modo, lo scrittore non sa più nulla.<br />

Lo scrittore non ha più una posizione morale: offre al lettore i contenuti del proprio cervello,<br />

sotto forma di una serie di possibilità, di alternative fantastiche.”<br />

Io direi: lo scrittore non può più avere una posizione morale! Perché non c’è più, forse, uno<br />

sguardo che possa comprendere il mondo delle possibilità infinite, un mondo virtuale nel quale<br />

il reale si interscambia con la fiction, e nel quale ciò che può accadere ha più peso di ciò che<br />

accade.<br />

Il mondo delle possibilità si configura insomma come il mondo della perdita di ogni differenza.<br />

Attenzione: non di ogni diversità. Anzi, non si perde occasione di proclamare la propria o la<br />

altrui diversità, ma la differenza di valori è abolita. Ogni cosa va salvaguardata, tutto è<br />

importante, col risultato che alla fine niente riesce più ad esserlo veramente.<br />

E’ il rischio che sta correndo l’Arte: se tutto è Arte, niente è Arte, perché non c’è più modo di<br />

distinguere un traliccio dell’alta tensione da un’installazione artistica.<br />

Il medesimo discorso si potrebbe svolgere anche per la letteratura. Oggidì, in tanti (troppi?)<br />

tendono a considerarsi scrittori, e si rischia che non ci sia più modo di distinguere nettamente<br />

Robert Musil dall’ultimo scribacchino di un gialletto italiano… All’origine di tutto, sarei tentato<br />

di porre il venir meno della definizione oggettiva del Bello, ma temo – anzi, sono sicuro – che<br />

proseguire su questa strada ci porterebbe troppo lontano, perciò mi fermo e, con scelta forse<br />

non garbatissima, mi limito a lanciare il sasso… non nascondendo però la mano!<br />

Anche Ballard si interroga accuratamente sul ruolo dello scrittore: “Possiede ancora, lo<br />

scrittore, l’autorità morale che lo legittimi a inventare un mondo autosufficiente e conchiuso, a<br />

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