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N° 6 - Giovanni Ficetola

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“ridotta capacità motoria” e via dicendo. La volontà di comprendere tutto ci porterà a non fare<br />

più nessuna distinzione, il mondo si contrae e si accartoccia come un’auto schiantatasi a 160<br />

Km/h contro un muro di cemento armato (e, in questo senso, il campo scelto da Ballard per la<br />

sua poderosa metafora del mondo della razza umana, in Crash, è perfettamente consono:<br />

l’automobile come mondo a sé stante, come feticcio, come guscio, come involucro e come<br />

microcosmo che riflette, sulle autostrade affollate, le meccaniche sociali: chi ha l’auto più<br />

potente fa la voce grossa, chi va più veloce è più rispettato, e via dicendo…).<br />

Aprendo una piccola parentesi sul tema della comunicazione, sempre più interlacciata e fitta, tra<br />

gli esseri umani, varrà la pena di citare un passo di uno scrittore per certi aspetti sottovalutato, a<br />

livello critico: Michael Crichton, l’autore di Jurassic Park. Non che Crichton arrivi a vette<br />

ballardiane con la sua scrittura, intendiamoci. Peraltro, si tratta di un autore piuttosto<br />

discontinuo, capace di buoni lavori onestamente narrativi (Andromeda) come di saghe<br />

francamente noiose (Timeline, giusto per citarne una).<br />

Un passo de Il mondo perduto (1995), però, merita di essere citato, per la chiarezza con la quale<br />

espone una problematica che anche Ballard ha più volte toccato nel suo lavoro.<br />

La battuta è attribuita da Crichton al personaggio di Ian Malcolm, il matematico-caosologo che,<br />

nei romanzi della saga Jurassic Park, ricopre il ruolo dello scettico, ed è insomma la “voce della<br />

coscienza scientifica” contrapposta ai facili entusiasmi del miliardario Hammond.<br />

“Io personalmente” – dice Malcolm – “ritengo che il cyberspazio 2 rappresenti la fine della<br />

nostra specie […] perché implica la fine dell’innovazione. Quest’idea di un mondo interamente<br />

collegato via cavo significa morte di massa. Qualunque biologo sa che piccoli gruppi isolati si<br />

evolvono più rapidamente degli altri. Metti mille uccelli su un’isola in mezzo all’Oceano e la<br />

loro evoluzione sarà rapida. Mettine diecimila su un grande continente, e la loro evoluzione<br />

rallenterà. Ora, per la nostra specie, l’evoluzione avviene principalmente attraverso il<br />

comportamento. Noi creiamo nuovi comportamenti per adattarci. E chiunque sulla Terra sa<br />

che l’innovazione avviene solo nei piccoli gruppi. Metti tre persone in un comitato, e qualcosa<br />

riusciranno a fare. Metti dieci persone, e già le cose si fanno più difficili. Trenta persone, e tutto<br />

si blocca. Trenta milioni, e tutto diventa impossibile. Questo è l’effetto dei Mass Media…<br />

impediscono a qualunque cosa di accadere. I Mass Media soffocano la diversità. Rendono<br />

uguali tutti i posti, da Bangkok a Tokyo a Londra… Le differenze regionali spariscono. Tutte le<br />

differenze svaniscono. In un mondo dominato dai Mass Media, tutto scarseggia, tranne i dieci<br />

libri, i dieci dischi, i dieci film e le dieci idee in cima alla classifica. La gente si preoccupa della<br />

perdita di varietà nelle specie della foresta pluviale. Ma che dire della diversità intellettuale? […]<br />

Sta scomparendo più rapidamente degli alberi. Ma noi non l’abbiamo ancora capito , così<br />

stiamo pianificando di collegare cinque miliardi di persone tutte insieme nel cyberspazio. E<br />

questo congelerà tutta la specie. Tutto si bloccherà. Tutti penseranno le stesse cose nello stesso<br />

momento. Uniformità globale!”<br />

Ora, Crichton non ha necessariamente ragione, ma il suo discorso – soprattutto sul ruolo<br />

“congelante” dei mass media – è assai interessante, e rispecchia certe riflessioni di Ballard in<br />

romanzi come Crash e Il condominio.<br />

2 E’ ovvio che il tema del cyberspazio meriterebbe più ampia trattazione, soprattutto sulla base di una accurata disamina<br />

del lavoro di William Gibson, che riconosciutamente è il padre letterario di questo termine e di questo genere. E’<br />

altrettanto ovvio, però, che in questa sede non ci sia consentito dilungarci più di tanto, visto che, oltretutto, sarebbe<br />

impossibile ignorare altresì l’opera di Philip Dick e di altri… Insomma, chiediamo venia per l’evidente lacuna e<br />

rinviamo a future trattazioni per un adeguato approfondimento.<br />

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