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N° 6 - Giovanni Ficetola

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Il mondo delle possibilità<br />

A proposito di alcune interessanti affermazioni di J.G. Ballard<br />

MATTEO FONTANA<br />

In calce a quell’abissale romanzo che è Crash (1973), l’autore James Ballard ha posto alcune<br />

notazioni volte a contestualizzare il romanzo stesso e le sue ambizioni concettuali e filosofiche.<br />

Posto che Crash è un romanzo piuttosto sconvolgente, soprattutto se si pensa che è stato scritto<br />

nel lontano 1973, trovo che, al di là della indubbia qualità letteraria del romanzo stesso, siano<br />

molto interessanti anche queste notazioni, che non si limitano a riflettere sul libro (né<br />

tantomeno lo “spiegano”) ma si estendono a temi ben più vasti come il ruolo della fantascienza<br />

nell’ambito della letteratura del XX secolo e, soprattutto, l’affermarsi del “mondo delle<br />

possibilità”.<br />

E’ evidente che il mondo d’oggi, grazie al progresso delle comunicazioni e alla sempre maggiore<br />

velocità degli spostamenti, abbia moltiplicato le possibilità d’azione degli individui (perlomeno<br />

nel cosiddetto “mondo civilizzato”). Di più: abbia moltiplicato le ambizioni e le aspirazioni.<br />

Gli status symbols attraggono e fanno agire in funzione dell’ottenimento di oggetti che, da soli,<br />

dovrebbero qualificare una persona: automobile, cellulare, computer; divano, televisore, vasca<br />

da bagno, persino casa; orologio, vestito, scarpe eccetera… Impossibile non pensare al Chuck<br />

Palahniuk di Fight Club (1996), uno dei tanti scrittori di grande successo (meritato, per carità)<br />

anticipati dal lavoro di Ballard. 1<br />

Ballard si spinge oltre, teorizzando con pornografica lucidità il connubio uomo-macchina sul<br />

piano del sesso, altro aspetto oggidì assai diffuso. Il crollo delle differenze di valori tra le cose, il<br />

“multi-tutto”(multiculturalismo, multietnicità, eccetera…) impera, di nulla si può più affermare:<br />

non è valido. Casomai: ha il suo valore, diverso (aggettivo abusatissimo) da quello di altre cose,<br />

ma non per questo meno dignitoso. E così siamo al “diversamente abile”, al “non vedente”, alla<br />

1 Nella oramai piuttosto vasta produzione di Chuck Palahniuk, se il citato Fight Club resta il romanzo più celebre e<br />

noto, non vanno dimenticati perlomeno altri due titoli che propongono, attraverso una interessante rielaborazione<br />

stilistica, tematiche squisitamente ballardiane. Uno è Invisible monsters, poco lucida ma graffiante satira del mondo<br />

della pubblicità e dell’apparenza. Alla sua protagonista, la bellissima modella Shannon McFarland, Palahniuk fa dire:<br />

“Ormai, quando sul giornale vedo la foto di una ventenne che è stata rapita e sodomizzata e derubata e poi uccisa e<br />

accanto c’è una foto a tutta pagina di lei giovane e sorridente, invece di pensare che questo sia un crimine grande e<br />

triste, la mia reazione istintiva è, wow, sarebbe una gran fica se non avesse quel nasone. La mia seconda reazione è che<br />

io abbia pronto qualche bel primo piano di me nel caso venga rapita e sodomizzata a morte. La mia terza reazione è,<br />

be’, almeno così si riduce la competizione.” (Chuck PALAHNIUK Invisible monsters Mondadori 2000, pag. 11). Il fatto<br />

– un assassinio, uno stupro, o quel che si vuole – non è più l’elemento centrale: è la comunicazione del fatto ad essere<br />

centrale, e fondamentalmente pornografica. Essa fonda un mondo parallelo – fatto di linguaggio giornalistico e foto<br />

sensazionalistiche – che il Ballard de La mostra delle atrocità esplora con inaudita profondità e lucidità. Palahniuk, in<br />

questo senso (e non se ne abbia a male!), è un “ripetitore” un po’ più virulento di tematiche ballardiane.<br />

L’altro titolo su cui porre l’accento è il notevole Lullaby (2002), uscito in Italia, sempre per Mondadori, col titolo<br />

“Ninna nanna”. Qui la riflessione di Palahniuk si radicalizza vieppiù e si concentra sul proliferare spropositato<br />

dell’informazione e della comunicazione (mass)mediatica. Libro sarcastico e ghignante, Lullaby ha non a caso per<br />

protagonista un giornalista disilluso che sembra intenzionato a corrodere, dall’interno, il meccanismo stesso di cui egli<br />

non è altro che un ingranaggio: quello dell’informazione e della comunicazione mediatica.<br />

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