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cuore. Osvaldo si avvicinò. Lo vedevo per la prima<br />
volta. Per me era solo un barbone e pensai volesse<br />
chiedermi l’elemosina. Invece mi disse: “Ha visto<br />
quanti morti? Che bastardi…” Io annuì.<br />
“Che bastardi” ripeté, guardandomi come se cercasse<br />
approvazione. “Io c’ero quel giorno, ho scavato nelle<br />
macerie” allungò le braccia e mi mostrò le mani<br />
tozze, quasi che vi si potesse ancora scorgere tracce di<br />
sangue. All’inizio non compresi bene, forse lo guardai<br />
con aria interrogativa, perché lui ribadì:<br />
“Abbiamo lavorato fino a notte, abbiamo tirato fuori<br />
tanti cadaveri… ma anche gente viva. Non ho più<br />
rivisto nessuno.”Lo osservai meglio per capire se<br />
vaneggiava o diceva sul serio, se le affermazioni erano<br />
autentiche o solo frutto di qualche bicchiere in più.<br />
Gli occhi, soffocati dalle palpebre un poco rigonfie,<br />
sembravano sinceri.<br />
“Quando hanno ricostruito la sala d’aspetto”<br />
proseguì lui “mi sono sistemato là in fondo, vede?”<br />
accennò col dito all’angolo in alto a sinistra della sala<br />
“da lì osservo tutti, se qualcuno vuol fare il furbo e<br />
piazzare un’altra bomba, lo becco di sicuro.”<br />
Non potei fare a meno di sorridere. La sala d’aspetto<br />
era dotata di telecamere e di una sorveglianza rigida<br />
da parte di Polizia e personale della ferrovia.<br />
“È in partenza?” mi chiese.<br />
“No, sono venuto a prendere mio zio che arriva con<br />
il treno delle sedici e venticinque.” Mancavano<br />
appena cinque minuti.<br />
“Per caso viene da Roma?”<br />
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