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La catena umana giunge su Piazza Medaglie d’Oro,<br />
dove l’autobus 37 si trasforma in carro funebre. La<br />
corsa pazza delle auto verso l’Ospedale Maggiore,<br />
verso il Malpighi…<br />
Una lunga giornata trascorsa a mangiare polvere e<br />
rabbia.<br />
Osvaldo non si concede un attimo di respiro. Come<br />
gli altri, come formichine laboriose assaltano il<br />
cumulo di macerie. Pezzo a pezzo, mattone dopo<br />
frammento, la catasta orribile viene smembrata e<br />
disfatta.<br />
Smembrati, i corpi vengono estratti in fretta. Per loro<br />
non c’è più niente da fare, meglio scavare veloce,<br />
forse per qualcuno è rimasto un anfratto d’aria, là<br />
sotto, si può salvare.<br />
Al calar della notte lo sgombero è concluso. I morti<br />
sono negli obitori, i feriti sono soccorsi. Si sparge<br />
ammoniaca. Finalmente si può cominciare a piangere.<br />
Si contano i morti. 50, 60… forse 100. No, solo 85.<br />
Solo ottantacinque. Una bambina di tre anni, un<br />
anziano di ottantasei. Nel mezzo, tutti gli altri.<br />
A tarda notte di quel mercoledì 2 agosto, Osvaldo<br />
ritorna alla sua panchina sulla Montagnola. Di colpo,<br />
tutta la stanchezza della giornata gli crolla addosso.<br />
Ha le braccia dolenti e la schiena non va d’accordo<br />
col legno della panchina. Non riesce a trovar sonno.<br />
Davanti agli occhi gli ripassano le immagini macabre.<br />
Quei corpi stravolti, amputati. Molti però erano<br />
ancora vivi, li hanno salvati. Quel ragazzo biondo, per<br />
esempio. Gemeva e sputava sangue, ma era vivo. E<br />
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