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Prefazione<br />
di Mauro Bramardi<br />
Secondo noi l'atto della scrittura resta una delle<br />
ultime testimonianze di libertà pura all'interno del<br />
grande formicaio. Anche il prigioniero, nella sua cella,<br />
è libero di scrivere una poesia, diceva Aragon.<br />
La creazione poetica e letteraria presuppone la facoltà<br />
di esistere nella dimensione dell'immaginario, il vero<br />
elemento naturale della libertà. Non importa quanto<br />
reazionario sia, lo scrittore sarà sempre il cantore di<br />
una qualche forma di libertà.<br />
Prendiamo il caso di Flaubert. Jean Paul Sartre, che<br />
per tutta la vita rimase affascinato dall'ostinato rifiuto<br />
dell'impegno politico da parte dell'autore di Madame<br />
Bowary, ha detto tutto ciò che c'era da dire sul<br />
Flaubert antidemocratico, ostile alla Comune di<br />
Parigi, piccolo borghese, percettore di rendita.<br />
Eppure la stessa persona che considerava il suffragio<br />
universale la vergogna dello spirito umano, che<br />
vomitava tutto il suo disprezzo per il periodo nel<br />
quale viveva, parlava anche della sola autentica libertà<br />
che contasse per lui, ovvero la libertà della scrittura,<br />
diventata la sua religione e la sua salvezza: “Il vero<br />
poeta è per me come un sacerdote”. Ogni tanto gli<br />
capitava addirittura di esprimersi, se non proprio da<br />
libertario, perlomeno da accanito negatore<br />
dell'autorità. In una lettera del 1879 a Maupassant,<br />
troviamo un pungente epigramma:<br />
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