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2.8 La porta dell’infanzia<br />
di Antonio Giordano<br />
Si dice che i vecchi abbiano memoria corta e che la<br />
tarda età cancelli fatti e avvenimenti come se fossero<br />
scritti nella mente con l’inchiostro simpatico. Non è<br />
così. Noi vecchi, legati come istintivamente siamo alla<br />
vita e ai nostri passati, serbiamo gelosamente le<br />
nostre infanzie, gli episodi della fanciullezza come<br />
patrimonio vivo, presente e non perduto.<br />
No, non ditemi che sono vecchio. Io sono un<br />
bambino come voi e adesso ho cinque anni. C’è la<br />
guerra. Tutti abbiamo paura, tanta paura. Gli<br />
americani fanno cadere tante bombe, ammazzano<br />
tante persone e io, che ho appena imparato a leggere,<br />
ho interpretato qualche volantino che un aereo getta<br />
prima di cominciare i massacri, prima di uccidere<br />
tante persone, di distruggere chiese, ospedali, di<br />
seminare la morte in luoghi affollati. “Ogni italiano<br />
vittima dei bombardamenti muore per Hitler”. Così<br />
scrivevano quei monellacci allegri e pimpanti, oggi<br />
tanto imitati, che toglievano la vita ai civili indifesi, ai<br />
bambini, alle donne, ai vecchi, ai malati.<br />
Ma io avevo una forza; ero sicuro e sapevo che<br />
questa forza mi avrebbe protetto e non mi avrebbe<br />
lasciato morire come altri bambini che avevo visto<br />
dilaniati, immobili per sempre nelle strade di Palermo.<br />
Nonno Antonio era la mia forza. Questo signore alto,<br />
ancora muscoloso con un ciuffetto di capelli bianchi<br />
sulla testa era la mia sicurezza. Mamma non voleva<br />
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