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Cattivo zelo 2 - ANTICA MADRE

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laetum sociis, abluta caede, remisit il Dio del fiume, Tiberino, che all’inizio del Libro aveva incoraggiato Enea, stavolta si dà<br />

pena di salvare Turno dall’annegamento: quello col suo mulinello biondo lo accolse, sulle tenere onde lo sollevò e lieto ai<br />

compagni, mondo di strage, restituì. L’inopinato bagno, l’aveva anche purificato dalle uccisioni. Un servizio completo dal parte<br />

del fiume “compaesano”. E’ evidente qui, come in tanti altri passi, come Virgilio dia un colpo al cerchio ed uno alla botte,<br />

non volendo concedere ad Augusto nulla senza prendersi una cacozelica rivincita letteraria║<br />

LIBRO DECIMO - “L’ira di Enea”<br />

(1-908)<br />

1<br />

Giove chiama a raccolta gli Dei e li rimprovera di essersi schierati con i diversi contendenti. Aspettate - lui dice - che<br />

vengano i tempi in cui Roma combatterà contro Cartagine; allora sì che potrete dar sfogo al vostro cuore ma per ora<br />

rimanete neutrali. Venere però si rivolge al Padre degli Dei lamentando che i suoi protetti, i Troiani, subiscono l’incalzare dei<br />

nemici e degli Dei che li sostengono nonostante che Enea ed i suoi assecondino piamente i voleri del Fato. Se dunque<br />

essi devono perire che si salvi almeno suo nipote Ascanio che lei nasconderà, deposta ogni voglia di rivalsa, in uno dei<br />

luoghi a lei sacri nel Mediterraneo. Giunone, non sopportando l’intervento di Venere, la apostrofa ricordandole che l’origine di<br />

tutte queste disgrazie non è stata causata da lei e dai vari avversari che i Troiani hanno incontrato nei loro percorsi, ma<br />

dall’empietà stessa della stirpe di Dardano e dai misfatti che questa ha compiuto fin dal tempo del rapimento di Elena, e<br />

dall’aver prestato fede agli incerti vaticini della pazza Cassandra che additava erroneamente l’Italia quale antica madre dei<br />

fuggiaschi. Giove pone fine al convegno stabilendo che sarà il Fato a decidere di tutto. Nel frattempo continua l’assalto rutulo<br />

al campo troiano ma all’improvviso Enea, che era partito dal porto di Cere al comando di una flotta etrusca di soccorso,<br />

sbarca alle spalle dell’accampamento e affronta in campo aperto gli avversari. Turno non si perde d’animo e a sua volta<br />

muove contro i nuovi arrivati. Nei combattimenti sanguinosi che seguono trovano la morte moltissimi combattenti, compreso il<br />

giovane Pallante, figlio del re Evandro, che viene ucciso da Turno. Giunone però, presaga dei fati, implora Giove di differire<br />

la morte del suo protetto. Accontentata, opera un prodigio: assume le sembianze di Enea e si fa inseguire da Turno a<br />

bordo di una nave che salpa l’ancora e lo riporta ad Ardea, fuori dalla lotta. Intanto Enea, grazie alle armi divine<br />

procurategli da sua madre fa strage di nemici, uccidendo a sua volta Mezenzio e suo figlio Lauso, e cercando Turno a<br />

gran voce.<br />

2<br />

In questo Decimo Libro le omissioni di Virgilio sono un’unica cacozelia inespressa. Egli infatti è costretto a far dimenticare ai<br />

lettori comuni l’ubicazione dell’antica madre secondo la leggenda etrusca, la città di Corito – cioè Tarquinia e il suo territorio<br />

-, e non far capire (sempre e solo ai lettori comuni) che si riallaccia con intenti sospetti all’antica invasione tarquiniese<br />

dell’ager romanus del 356 a.C., lasciando solo un elemento, quello del “bellissimo Asture” e del suo cavallo, ai pochissimi<br />

che potevano capirlo, per alludere comunque a Tarquinia. L’aiuto fornito dagli Etruschi ai Troiani è una cacozelia usata da<br />

Virgilio per esaltare i primi (ma molto più probabilmente per il solo desiderio di Mecenate), poiché dal punto di vista<br />

narrativo non vi era alcun bisogno di tirare in ballo gli Etruschi. Si sarebbe potuto far combattere Enea contro Rutuli e Latini<br />

ingaggiando qualche altro alleato o potenziando la consistenza degli Arcadi di Evandro. E’ ben noto il fatto che Orazio fu<br />

molto più intimo di Virgilio con Mecenate. Ecco spiegato il perché nel poeta di Venosa la leggenda etrusca è avvallata in<br />

modo pieno e lineare, rispetto alle volute incertezze del mantovano! Da segnalare anche, nel contesto “antiromuleo”, il<br />

discorso disfattista di Venere di fronte a Giove…<br />

║(*) Aeneas sane ignotis iactetur in undis Di fronte all’incalzare delle armi rutule, Venere si rivolge al padre degli Dei e lo<br />

implora che se tutto deve venire sconvolto, che si salvi almeno Ascanio, suo nipote, e che vada pure in malora il suo<br />

stesso figliolo: Enea venga pure trascinato per mari ignoti. Sembra incredibile che Virgilio abbia messo in bocca all’alma<br />

Venere, protettrice di Enea e della stessa Roma, una determinazione che stravolge i decreti del Fato, eppure è così. Né si<br />

deve pensare che salvando Ascanio essa pensi a salvare i destini di Roma. No, lei stessa dice, tre righe più sotto, che<br />

possiede alcune amene località del Mediterraneo dove Ascanio potrebbe trascorre indolenti e oziose giornate! 178 Oltre alla beffa<br />

delle righe finali del precedente Libro, adesso viene il danno: Virgilio - ma ricordiamo sempre che dietro di lui c’è il<br />

compatriota etrusco Caio Cilnio Mecenate - dà del debosciato ad un Eneade 179 ║(*) Cassandrae impulsus furiis Giunone,<br />

178 Per l’esattezza dice positis inglorius armis exigat hic aevom deposte senza gloria le armi trascorra qui la vita.<br />

179 La descrizione che subito dopo Virgilio fa delle truppe etrusche che muovono sotto il comando di Enea è talmente enfatica da non permettere di<br />

escludere che si tratti di una voluta celebrazione a posteriori delle tramontate glorie etrusche, da cui Virgilio e Mecenate discendono. Non a caso fra

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