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primo afflusso della “antica madre” in Italia 16 . E’ certamente molto curiosa infatti l’insistenza di Virgilio nel richiamare<br />
cacozeliamente l’isola di Creta e i suoi retaggi.<br />
Il fatto di dover privilegiare il modello romano non impedì a Virgilio o al suo ispiratore Mecenate (a cui certamente bruciava<br />
la recente perdita d’indipendenza della natia Arezzo) di inserire nel racconto frammenti di altre leggende, specialmente<br />
etrusche, cosicchè un lettore assai erudito avrebbe potuto considerare, tra sé e sé, che la “storia” prodotta dal regime<br />
augusteo non era quella vera. Il modello romano venne pesantemente contaminato da quello etrusco, a partire dal Libro VIII,<br />
col deliberato intento dell’ultimo più famoso etrusco, Mecenate, di vendicare l’Etruria facendo apparire Roma come un parto di<br />
quella stessa civiltà che, con la partenza di Dardano da Corito, avrebbe dato vita a Troia. Tuttavia Virgilio non poteva far<br />
apparire con immediatezza la leggenda etrusca poiché nei Romani era ancora viva l’avversione e il conflitto con quel popolo,<br />
specie per la città-stato di Tarquinia, né potevasi ammettere che l’impero di Roma derivasse da loro (anche se Orazio…);<br />
pertanto operò all’interno dell’Eneide delle vere e proprie distorsioni di dati mitici. Secondo gli Etruschi, la “antica madre” di<br />
Enea era la città di Tarquinia, fiera nemica dell’Urbe, ma Virgilio non poteva nominarla con quel nome, e così utilizzò un<br />
toponimo poco noto, Corito, utilizzato anche per altre città come Cortona, Crotone e, in Grecia, Corinto e Gortyna. Inoltre<br />
cercò di non menzionare direttamente il fiume Linceo/Mignone, quello dello sbarco secondo la leggenda etrusca; sostituì<br />
Tarconte, capo dell’esercito etrusco, con Enea, mascherando così antiche conquiste e sbarchi tarquiniesi nel Lazio; tacque del<br />
contributo militare di Corito sotto le spoglie del guerriero Asture, e minimizzò e ridicolizzò la figura di Tarconte. In tal modo<br />
non urtava la suscettibilità romana (anche se toccava quella greca, giustificando il silenzio sdegnoso di Dionisio di<br />
Alicarnasso) 17 . E’ ben evidente, infatti, che nella prima parte del poema Virgilio accredita la leggenda magnogreca dopodichè,<br />
con delle contraddizioni troppo palesi e che forse la morte gli impedì di sanare, adduce quella etrusca filoellenica. E.<br />
Palmucci ha fatto acutamente osservare in proposito che i passi filoetruschi del poema vennero snobbati dai commentatori<br />
romani di Virgilio: “prova ne sia che Elio Donato e Servio si soffermarono a commentare tutti i personaggi dell’Eneide, e a<br />
fornire notizie anche dei pù secondari, ma non utilizzarono una sola parola per illustrare la figura di Tarconte, né il suo<br />
rapporto con l’economia dell’Eneide. Eppure, si trattava di uno dei personaggi principali della seconda parte del poema” 18 .<br />
Virgilio non si peritò poi di inserire anche delle note di vero e proprio sberleffo nei confronti dei canoni augustei,<br />
naturalmente ben mimetizzate, come fece più tardi anche Ovidio, forse con minore prudenza. Fu ciò indubbiamente che ispirò<br />
quest’ultimo a scrivere, avendo in mente Venere Genitrice: Stella gravis nobis, Lucifer [Venere, astro a noi fatale] 19 .<br />
L’influsso di Mecenate ci pare innegabile ed è da rimpiangere la mancanza di elementi documentari più comprovanti, i quali<br />
tuttavia non hanno impedito anche a chi vede favorevolmente il mito augusteo, di intuire, forse esagerando l’apporto ebraico,<br />
una realtà non disponibile: “…non ci siamo soffermati se non di sfuggita sulla figura di Mecenate, «etrusco de sanguine<br />
regum», secondo la formula di Properzio. Certi misteriosi legami fra Mecenate, Virgilio e Pollione ci avrebbero condotti in una<br />
zona incerta, al limitare di un confraternita esoterica che si può solo supporre, ma non provare. È anche per questo che<br />
non abbiamo voluto affrontare un problema già posto dal grande Ettore Paratore: nel periodo della fortuna di Antonio, nella<br />
casa di Pollione venivano ospitati gli ambasciatori di Erode i quali, presumibilmente, trasmisero qualche elemento dottrinale sul<br />
messianismo ebraico. Ora, è un caso che a Roma esisteva una colonia ebraica stabilitasi col beneplacito di Cesare; che a<br />
Napoli, la città in cui Virgilio studiò e che amò molto più della stessa Roma e dove pare componesse alcune egloghe, fosse<br />
presente una folta comunità israelitica, una delle più floride d'Italia? E ancora, quali furono i veri rapporti con Cornelio Gallo,<br />
che ritroveremo in altre opere di Virgilio, e la cui disgrazia e «damnatio memoriae» potrebbe essere ricondotta ad una ripresa<br />
di elementi dottrinali di origine egizia che in Antonio erano stati sconfitti?” 20 .<br />
L’opera, come ricorda Servio citando il suo biografo Elio Donato, venne commissionata (propositam) direttamente da Augusto<br />
nel 29 a.C. ad Atella, allorchè Virgilio gli stava leggendo il III libro delle Georgiche. Successivamente, dalla Spagna, Augusto<br />
si preoccuperà di richiedere dal poeta la visione del primo abbozzo dell’opera. Stando ad un frammento di corrispondenza fra<br />
Virgilio ed Augusto riferito da Macrobio, il vero titolo dell’opera potrebbe essere stato, almeno all’inizio, Enea e non Eneide 21 :<br />
“Per quanto riguarda il mio Enea se, per Ercole, lo ritenessi già degno delle tue orecchie, te lo manderei volentieri…”. Servio<br />
invece (VI, 752) scrisse che il nome primitivo del poema sarebbe dovuto essere “Gesta del Popolo Romano” – forse su<br />
consiglio di Augusto poiché quest’ultimo scrisse poi le “Res Gestae Divi Augusti”. Infatti “Virgilio si accinse alla composizione<br />
dell’Eneide senza entusiasmo, perchè costretto dal debito di riconoscenza che aveva verso Augusto, e buttò giù il materiale<br />
16 J. Bérard (cit. p.483) ha dimostrato come già nel XV° secolo a.C. esistessero dei rapporti commerciali fra Creta e le isole Eolie.<br />
17 A. Palmucci: ATTI E MEMORIE DELLA ACCADEMIA NAZIONALE VIRGILIANA DI MANTOVA, n° 56 e 58. “Sembra proprio che Virgilio, nello<br />
schema narrativo della seconda parte dell’Eneide, segua e mascheri in chiave romana una tradizione etrusca o filoetrusca” (…) “Virgilio, che era<br />
impegnato a cantare l’epica di Roma e non quella di Tarquinia, cercò di eludere, nell’Eneide, i riferimenti all’antica soggezione dei Romani ai Tarquini,<br />
ed, in ogni caso, li mascherò o li ridusse a quel minimo indispensabile che bastasse per rivendicare a Roma soltanto i vantaggi che le venivano<br />
dalle origini etrusche che egli stesso le conferiva”.<br />
18 Cit. supra.<br />
19 TRISTEZZE, I, 3,72.<br />
20 N. D’Anna: VIRGILIO E LE RIVELAZIONI DIVINE, p.123. Ecig, Genova 1989.<br />
21 Un autorevole studioso ottocentesco di Virgilio, Domenico Comparetti, più volte al posto di Eneide usa “la saga di Enea”, che sarebbe un modo<br />
forse più preciso per tradurre il titolo in italiano, anche se, in questo caso, può esser vero quanto ha scritto Geoffrey Kirk: “la parola scandinava<br />
saga denota un racconto con fondamento storico, cosa che non si attaglia di certo a molti racconti eroici greci che non contengono in pratica alcun<br />
riferimento alla storia” (G. Kirk: LA NATURA DEI MITI GRECI. p.19, Laterza, Bari 1993).