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Cattivo zelo 2 - ANTICA MADRE

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il loro culto, gli antichi avrebbero agevolato la reincarnazione delle anime 144 .║(*) La seconda porta, quella attraverso cui<br />

passano i pochi che da vivi hanno attraversato l’Ade, è invece di candenti elephanto biancheggiante elefante, cioè d’avorio.<br />

Da essa i mani inviano agli uomini falsa insomnia i sogni falsi. Qui non si capisce bene perché Enea debba sortire da una<br />

porta che manda ai mortali sogni sbagliati, a meno di non leggervi una sfacciata cacozelia antiaugustea, poiché in Omero<br />

(Od.: XIX, 562) si legge: “Due sono le porte dei sogni impalpabili: una ha battenti di corno, l’altra d’avorio; QUELLI CHE<br />

ESCONO DAL CANDIDO AVORIO, AVVOLGONO DI INGANNI LA MENTE, PORTANDO VANE PAROLE; invece quelli che<br />

vengono fuori attraverso la porta di lucido corno presentano cose vere”. Tutto il sogno di grandezza romana che Anchise ha<br />

descritto ad Enea è quindi per Virgilio – considerando che storicamente il sogno si stava avverando proprio con Augusto –<br />

del tutto effimero da un punto di vista spirituale e ideologico. Si tratta del più grande messaggio che Virgilio abbia mai<br />

lanciato di opposizione spirituale a Roma!║Caietae litore abbandonata subito Cuma, dopo una breve navigazione gli Eneadi<br />

gettano l’ancora sul litorale di Gaeta, per celebrare le esequie della vecchia nutrice di Enea, che dà appunto il nome a<br />

quella costa. Altri autori però la fanno nutrice di Ascanio o addirittura di Euridice, la moglie di Enea morta a Troia.<br />

Considerando però l’abitudine cacozelica di Virgilio di alludere spesso alle versioni scartate di un mito all’interno di quella da<br />

lui accolta, si potrebbe vedere in Caieta non una donna ma il richiamo al verbo greco kaièto (io ho bruciato) e ad una<br />

delle tante leggende di flotte greche bruciate da prigioniere troiane, oppure al fratello di Circe, Eete (in greco Aiètas)<br />

connesso con un’altra famosa peregrinazione, quella degli Argonauti 145 , che in Apollonio Rodio navigano anche il Tirreno.<br />

LIBRO SETTIMO - “NEL LAZIO”<br />

(1-817)<br />

1<br />

Sbarcato nel golfo di Gaeta, Enea perde l’anziana nutrice, in cui onore denomina la località. Celebrate le esequie ed eretto<br />

il tumulo funebre, gli Eneadi riprendono la rotta in direzione del Capo Circeo ma qui il dio Nettuno fedele alla promessa<br />

fatta a Venere al termine del Quinto Libro, suscita un forte vento che allontana il figlio della Dea dai pericoli in cui sarebbe<br />

incorso se fosse sbarcato, poiché la terra circea era il dominio della maga figlia del Sole che mutava i maschi in animali.<br />

Nettuno fece però di più: il vento calò esattamente nel luogo dove il Destino voleva che i troiani approdassero<br />

definitivamente: al largo della foce del Tevere, dove, risalito il fiume per brevissimo tratto, allestiscono un accampamento<br />

fortificato. A sud del fiume regnava Latino, figlio di Fauno e della ninfa Marica; questi aveva una figlia, Lavinia, promessa in<br />

sposa a Turno re dei Rutuli, tuttavia portenti divini avevano indicato che quelle nozze non erano benedette dai numi.<br />

Consultato l’oracolo di suo padre, Latino seppe che la figlia doveva andare in sposa ad un eroe straniero. Quando gli<br />

Eneadi, dopo aver compreso da un evento (vaticinato dall’arpia Celeno) che erano giunti nella terra fatale, presero contatto<br />

pacificamente col re Latino nella capitale Laurento, questi fu ben felice di offrire ad Enea le nozze con Lavinia. I troiani<br />

assumono un basso profilo, affermano di non volere assoggettare alcun popolo ma di voler solo rientrare nelle antiche sedi<br />

della loro stirpe. A sugellare la promessa e in segno di sottomissione, offrono al re latino i simboli del potere regale di<br />

Priamo: lo scettro, la tiara e il mantello di porpora. Intanto Giunone non si dà per vinta e, pur abbandonata da Nettuno, si<br />

rivolge ad una delle più tristi divinità infernali, Aletto, figlia della Notte, invitandola a suscitare odi e discordie là dove prima<br />

c’erano pace e concordia, al fine di gettare di nuovo nel sangue e nei lutti i Troiani. Dapprima Aletto si insinua nell’animo<br />

già predisposto di Amata, moglie di Latino, la quale non venendo assecondata dal marito nasconde la figlia Lavinia nei<br />

boschi e, in preda a frenesia bacchica, trascina con sé anche tutte le donne latine; in seguito Aletto si reca ad Ardea,<br />

capitale del regno rutulo, e si insinua nell’animo del giovane re Turno, che decide di muovere guerra ai Troiani. Infine,<br />

suscita un incidente, facendo sì che Ascanio uccida un cervo sacro dei Latini: ne nasce una zuffa con morti e feriti.<br />

Giunone, soddisfatta, congeda Aletto dal suo incarico. Rutuli e Latini, intanto, assediano re Latino nella sua reggia per indurlo<br />

a dichiarare formalmente guerra ai Troiani. Il vecchio re, ben conoscendo i destini, nega il suo consenso e si ritira. A<br />

scatenare la tempesta ci pensa quindi Giunone in persona, scardinando le porte del tempio di Giano: è il segno che<br />

avevano i Latini per dichiarare l’inizio di una guerra. Da tutta Italia accorrono quindi a battaglia i più valorosi combattenti<br />

ausoni per unirsi nella guerra contro gli stranieri.<br />

2<br />

La cacozelia di questo settimo libro si connota per la cattiva volontà di Virgilio di elaborare la leggenda della venuta di<br />

Enea nel Lazio in maniera coerente e lineare. Basti pensare all’incredibile contraddizione di attribuire ad Anchise la profezia<br />

delle mense mangiate, mentre in realtà era stata vaticinata da Celeno alle Strofadi (III, 255)! Al contrario, invece, per far<br />

emergere tutta l’artificiosità del mito troiano, il poeta mantiene nel corso della narrazione ben tre filoni mitici: quello<br />

magnogreco, quello etrusco e quello romano; i quali si confondono ma non al punto da impedire che un lettore accorto<br />

meditasse sulla discrepanza dei dati mitici riscontrabili in letteratura. Il dato più “allarmante” è che i Troiani non sbarcano<br />

affatto nel territorio della avita Corito né la loro vicenda si sviluppa in quei paraggi. Sarebbe questa la leggenda etrusca su<br />

144 Cfr. le interessanti note sul simbolismo delle ossa di R.B. Onians: LE ORIGINI DEL PENSIERO EUROPEO, p.291. Adelphi, Milano 1998.<br />

145 Nelle Argonautiche di Apollonio Rodio (IV, 661) gli Argonauti sbarcano “nel lido di Eea (Aiaies, Caieta)… qui trovarono Circe”.

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