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Cattivo zelo 2 - ANTICA MADRE

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suoi discendenti erano divenuti una grossa potenza potevano ben rivendicare il possesso degli antichi domini. In più Augusto<br />

che, almeno nella vita pubblica, era uno strenuo difensore della prisca morale romulea, volle che nell’Eneide comparissero tutti<br />

quei valori morali e religiosi con i quali stava uniformando l’intera società romana 5 . Circa il retaggio troiano, prima di lui i<br />

governanti romani si erano appoggiati non solo alle leggende elìme da loro riprese al momento dell’occupazione della Sicilia<br />

occidentale ma si avvalsero anche dell’interessato appoggio degli intellettuali al servizio del re Attalo di Pergamo, che di<br />

Roma aveva bisogno: “Cultori solidali della leggenda di Enea, Roma e Attalo potevano dichiararsi parenti e fondare la loro<br />

intesa su una comunanza d’origine più onorevole che la semplice comunanza d’interessi. Fatti minuscoli, ma certi, provano<br />

che gli eruditi pergameni della fine del III secolo, abili nello scoprire antenati illustri alle città e alle famiglie oscure,<br />

lusingarono il gusto della grande repubblica amica e della sua aristocrazia per le genealogie troiane; è verosimile pensare che<br />

il contemporaneo annalista Fabio Pittore abbia largamente utilizzato le loro invenzioni”. 6<br />

Si convenne che il poeta più capace fosse Publio Virgilio Marone ma questi era un poeta elegiaco, cioè brillante nella<br />

stesura di brevi componimenti di natura amorosa e di gusto alessandrino. Non è solo un inciampo di natura letteraria: un<br />

poeta elegiaco è per sua natura ben distante dalla rigida morale augustea. L’ostacolo venne superato sia per la<br />

condiscendenza di Virgilio che per la sua capacità di saccheggiare l’intera letteratura precedente e saperla assommare in un<br />

lunghissimo componimento di quasi diecimila esametri. Tuttavia Virgilio, che amava la vita spensierata e agreste dei pastori e<br />

dei bovari, nonché le forme imberbi di procaci giovinetti, pur facendo di necessità virtù e pur godendo di un patrimonio di<br />

dieci milioni di sesterzi, di una villa sull’Esquilino e di una tenuta in Campania, non sembra che abbia accettato supinamente<br />

l’incarico del suo magnate politico, e “infarcì” l’Eneide con tutta una serie di velati richiami verso un’ideologia antiaugustea.<br />

Non solo; in subordine, riuscì anche a dare qualche colpetto a Mecenate, punendo il suo desiderio di vedere esaltate le<br />

glorie etrusche. Fu un’operazione estremamente sottile e delicata, una vera e propria vendetta. Nel testo emergono infatti<br />

elementi che fanno intravedere una rappresaglia ideologica di Virgilio rispetto ad Augusto e sono proprio questi elementi che<br />

comporranno la sostanza del presente studio. Un’ombra sulla sua fedeltà ad Augusto è gettata da un’espressione che Agrippa<br />

disse a riguardo di Virgilio: “sottomesso a Mecenate”. Ora, credendo di poter dimostrare in questo nostro lavoro la cacozelia<br />

latens di Virgilio, in quanto sottomesso a Mecenate, automaticamente quest’ultimo figura come il mandante di questa stessa e<br />

Virgilio un semplice esecutore, cosa che si accorda assai bene con il suo carattere mansueto e schivo. Certo, è curioso il<br />

fatto che nell’Eneide non ci sia un richiamo, neanche indiretto, a Mecenate, quando Virgilio ne mise diversi a favore di altri<br />

personaggi importanti. La spiegazione di ciò non può che ravvisarsi nel fatto che il patrono etrusco era caduto in disgrazia<br />

agli occhi di Augusto. Virgilio si adeguò e, come fece per Gallo, cancellò il riferimento che aveva tenuto in serbo per<br />

Mecenate 7 . Non ci pare trascurabile poi la relazione che c’è tra la figura di Giunone nell’Eneide ed il fatto che il cognato di<br />

Mecenate, il congiurato Licinio Murena, fosse uno dei patroni del santuario lanuvino della Dea…<br />

Abbiamo già citato il passo di Donato con le parole che Agrippa disse a riguardo di Virgilio e che anche Jérôme Carcopino<br />

ha intuito, peraltro senza alcuno sviluppo 8 . Esaminiamole più partitamente: M. Vipsanius a Maecenate eum suppositum<br />

appellabat novae cacozeliae repertorem, non tumidae nec exilis, sed ex communibus verbis, atque ideo latentis. Innanzitutto<br />

Agrippa dice che Virgilio era sottomesso (suppositum) a Mecenate. Non si tratta certo di una sottomissione di natura stilistica<br />

o metrica, poiché l’astro letterario di Virgilio era già alto e lo stesso Mecenate, modesto verseggiatore, non poteva certo<br />

rivaleggiare con lui. Quindi si tratta di una sottomissione ideologica, come riconobbe lo stesso Virgilio scrivendo di “ordini”<br />

ricevuti 9 . Tuttavia se si fosse trattato di una sottomissione normale, cioè quella che si auspicava tutti quanti avessero per il<br />

regime augusteo, Agrippa, che era l’alter ego di Augusto, non avrebbe avuto motivo di rimarcarlo. La sottomissione a<br />

Mecenate era quindi connessa a qualcosa riferibile al periodo in cui questi cadde in disgrazia agli occhi di Augusto. In<br />

secondo luogo, Agrippa dice che Virgilio era diventato l’inventore (repertorem) di una nuova cacozelia. Cosa significa questo<br />

grecismo? Si tratta di una parola composta da kakòs cattivo e zelìa, <strong>zelo</strong>, affettazione. In pratica, non si trattava del solito<br />

modo di scrivere che simulava un atteggiamento laudatorio che, per quanto artificiale, era quello che l’autorità politica si<br />

aspettava da ogni letterato, ma di uno <strong>zelo</strong>, di un’affettazione quantomeno strana, poiché per venire espressa adoperava non<br />

delle espressioni ampollose (tumidae) o scarne (exilis) com’era di prammatica, ma del tutto semplici e normali. Cosicchè, per<br />

Agrippa, il fatto di adoperare delle parole normali in una composizione laudatoria, le faceva diventare subdole (latentis), in<br />

grado di avere un significato riposto 10 . Ci pare chiaro che Agrippa associasse questo significato nascosto alla sottomissione di<br />

Virgilio verso Mecenate. Ma quest’ultimo cosa si proponeva di far dire a Virgilio? Nient’altro, a nostro giudizio, che attaccare<br />

la concezione religiosa e “fatale” con la quale il Princeps voleva legittimare la sua azione di governo. Vedremo più avanti<br />

5 “Nonostante tutti gli sforzi per collegarsi alle vestigia del passato, non si poteva però riportare in vita un mondo ormai tramontato con i suoi valori<br />

religiosi” (F. Altheim: STORIA DELLA RELIGIONE ROMANA, p.179. Il Settimo Sigillo, Roma 1996). Basti pensare che al tempo di Augusto non si<br />

riusciva a trovare un Flamine Diale da 75 anni a causa delle vessazioni tabuistiche che tale carica comportava ed era difficile trovare tra le famiglie<br />

nobili chi acconsentisse a far divenire monaca (vestale) una figlia.<br />

6 Dumézil, cit. p.418.<br />

7 P. Grimal, cit. p.121 apporta al contrario una spiegazione risibile. Del resto questo autore ha scritto la biografia di Virgilio avendo cura di non<br />

scalfirne minimamente il mito artefatto!<br />

8 “Egli ha coltivato, nell’Eneide e nelle Georgiche, l’anfibologia concertata come un mezzo di conciliazione segreta e profonda tra dati che i profani,<br />

nella loro ignoranza, giudicavano contraddittori” (J. Carcopino: VIRGILIO E IL MISTERO DELLA IV EGLOGA, p.140 n. 65. Ed. dell’Altana, Roma 2001)<br />

9 In questo caso si trattava però di ordini conformi ai dettati augustei; resta comunque il fatto.<br />

10 Per rendersi conto di ciò ci si può leggere uno dei tanti “panegirici” della letteratura greco-romana.

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