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Cattivo zelo 2 - ANTICA MADRE

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è un’invenzione di Dionisio; essa è copiosamente attestata, e fin da un’età molto antica (…) è fuor di dubbio che i Troiani<br />

erano una di quelle popolazioni preelleniche insediate da tempi antichissimi nell’Ellade e che dovettero in parte emigrare,<br />

quando arrivarono i Greci veri e propri, verso nuove terre, soprattutto nella Troade” 58 . Oltre all’Arcadia, anche Creta fu vista<br />

come patria d’origine di Dardano. Ma la versione iù attendibile ci pare un’altra. Secondo una versione, i “Troiani” sarebbero<br />

approdati nelle loro peregrinazioni anche in Puglia, dando origine alla stirpe dei Dardi o Dardani e fondando la città di<br />

Dardano; Solino riferisce esplicitamente che questi Dardi sarebbero stati troiani. Questo dato è interessante se si considera<br />

che di fronte alla Puglia, in Albania, Kosovo e Macedonia settentrionale, era stanziata la popolazione illirica dei Dardani.<br />

Appiano di Alessandria, nella sua Storia Romana, riferisce che questi dardani derivavano dal famoso Dardano che però era<br />

figlio di…Illirio! “Nel mondo greco e in quello romano, gli umili dardani amanti della musica stanziati nelle lontane valli oltre la<br />

Macedonia finirono con l’essere collegati a un popolo dell’Asia Minore nord-occidentale che aveva il loro stesso nome e lo<br />

trasmise alla regione della Dardania, da cui deriva la denominazione moderna di Dardanelli. Altre coincidenze di nomi etnici,<br />

come quello degli abitanti della Misia, in Asia Minore e della Mesia balcanica, o dei frigi e dei brigi, sono state utilizzate a<br />

sostegno della teoria che esistesse un legame tra i Balcani e l’Asia Minore. Secondo una tesi alquanto diffusa il presumibile<br />

contesto di tale legame sarebbe rappresentato dal movimento su larga scala di popoli alla fine dell’età del bronzo (intorno<br />

alla fine del 1200 a.C.), quando alcune delle potenze affacciate sul Mediterraneo orientale furono colpite dagli attacchi dei<br />

cosiddetti ‘popoli del mare’. Al tempo di Roma, la natura del legame tra i dardani balcanici e quelli asiatici era una<br />

questione molto più delicata, che venne spiegata con un movimento nella direzione opposta, attribuendo l’insediamento dei<br />

dardani ad occidente dei traci a un certo Dardano, che governava su numerose tribù dell’Asia Minore ed era, secondo la<br />

tradizione, il fondatore della casa regnante troiana. Il fatto non è trascurabile se si considera che all’epoca i re di alcune<br />

delle grandi potenze del mondo antico, come l’Epiro, la Macedonia e Roma, rivendicavano la propria discendenza dalla stirpe<br />

troiana. Ma se Dardano e la sua gente avessero avuto origine dal popolo balcanico, i modi notoriamente rozzi di quest’ultimo<br />

avrebbero provocato un qualche imbarazzo, e pertanto nella versione corrente i dardani erano un popolo imparentato con i<br />

troiani e regredito nella nuova patria a uno stato di barbarie” 59 .║Quae te tam laeta tulerunt saecula? Quale l’epoca cotanto<br />

felice che ti prescelse?”. Questa frase forse troppo laudatoria in bocca ad un “romano” potrebbe essere un altro dei versi<br />

occulti di Virgilio per esaltare un’epoca remota nella quale vigeva un ordinamento non patriarcale, quello stesso che ricordava<br />

i tempi felici decantati nelle Bucoliche.║Un altro verso analogo per significato al precedente è questo: semper honos<br />

nomenque tuum laudesque manebunt sempre ricorderò il tuo nome, il tuo onore e la tua gloria. Sembra quasi che sia<br />

Virgilio in persona e non Enea a volersi impegnare nel rendere immortale Didone, ovvero Cleopatra, cioè il mito dell’Oriente.<br />

Nella descrizione dello scudo di Enea (8, 671-713), come vedremo, vi è una chiara definizione dell’antitesi Oriente-<br />

Occidente.║circumtextum croceo velamen acantho abito orlato di biondo acanto: l’acanto è la pianta ornamentale per<br />

eccellenza del mondo greco. Secondo un mito l’acanto che sorse sotto una lastra posta a protezione delle offerte votive della<br />

tomba di una fanciulla, ispirò un architetto nella creazione del famoso capitello corinzio. In realtà la pianta veniva ammirata<br />

per le forme variegate e la simmetria dei fiori. Qui i fiori sono detti biondi (crocei) probabilmente perché sono tessuti in filo<br />

d’oro. Il fiore dell’acanto in natura è bianco. Dal punto di vista medicinale le sue proprietà sono analoghe a quelle della<br />

malva. Secondo Servio (VII 188) quest’abito faceva parte delle sette cose fatali il cui possesso avrebbe garantito per sempre<br />

a Roma il dominio universale. 60 ║Helenae Elena, figlia di Leda e Giove mutatosi in cigno, è colei che per la sua bellezza<br />

fu causa della guerra di Troia. Nell’Iliade (III,180) Omero la fa autodefinirsi: kunopidos, ”faccia di cagna”… 61 ║(*) Ecco un’altra<br />

Troiani, si rifaceva ad una tradizione che fino ad allora non aveva contemplato la figura di Dardano (…) I cippi della Tunisia potrebbero esser<br />

posteriori alle prime letture che Virgilio faceva del poema che andava componendo”.<br />

58 J. Bérard: LA MAGNA GRECIA, p.347, Torino 1973.<br />

59 J. Wilkes: GLI ILLIRI p.144. Ecig, Genova 1998. Questo Autore dà una spiegazione di carattere estetico e non si avvede del problema ideologico<br />

che noi abbiamo segnalato. Tuttavia la sua citazione conforta comunque la nostra tesi.<br />

60 E’ curioso notare come Servio (VII, 188…”velum Ilionae”) non si accorga che nel testo virgiliano l’abito non è di Iliona ma di Leda che lo donò poi<br />

ad Elena e non è un “velum” (velo) ma appunto un “velamen” (abito). Precedentemente, commentando il verso 649 del I libro, cioè la parola<br />

virgiliana “velamen”, Servio la riconosce come tale e infatti specifica: “cycladem significat” cioè “si tratta di una ciclade” (tipica veste femminile di<br />

lusso). Dal momento che Servio è l’unico autore antico assieme a Rutilio Namaziano a parlarci di questi sette oggetti fatali dell’antica Roma (pur<br />

commettendo l’erorre di confondere l’Agdus, il simulacro litico della grande Madre con un acus, un ago…) tale equivoco – un velo al posto di un abito<br />

e Leda/Elena al posto di Ilione – getta un’ombra sulla genuinità di tutta questa storia! Di tale confusione (ago compreso) non sembra essersi voluto<br />

accorgere un moderno e dotto continuatore della religione augustea: Marco Baistrocchi (ARCANA URBIS p.312, Ecig, Genova 1987). Tralasciamo poi la<br />

sua pietas allorchè scrive contro ogni buon senso che “dal passo di Servio si dovrebbe presumere che il velo fu trasferito a Roma, probabilmente a<br />

seguito dell’espugnazione di Cartagine, ma si ignora in quale tempio fosse custodito” (cit. p.324, n.44). Baistrocchi non si è accontentato delle sette<br />

paria quae imperium Romanum tenent di Servio ed è convinto che ce ne siano molte di più (cit. p.319, n.3) e che, anzi, c’è chi le custodisce –<br />

alcune almeno - tutt’ora (cit. p.308)! “Chi più ne ha più ne metta” verrebbe da dire, e allora perchè non aggiungervi quei Libri Sibillini che secondo<br />

Rutilio Namaziano (IL RITORNO II, 52-56) erano anch’essi dei pignora imperii? Traducendo correttamente il passo di Namaziano si legge infatti che<br />

Stilicone distrusse oltre ai Libri Sibillini tutti gli altri pignora imperii così come più tardi Vitige e Teia distruggeranno fisicamente gli ultimi patrizi di<br />

Roma; non c’è spazio per quell’ingenua ipotesi del nostro autore che vorrebbe una sopravvivenza sia degli oggetti che delle famiglie fino ai nostri<br />

giorni, poiché Rutilio era testimone contemporaneo. Inoltre il cristiano Prudenzio proclamò poco dopo con superbia che questi non si sarebbero più<br />

potuti usare (Apoth. 4, 39). Ma ecco il passo di Rutilio: “…bruciò i responsi d’aiuto della Sibilla (…) e volle distruggere i fatali pegni di eterno<br />

dominio e i fusi avvolti [del Destino di Roma; nel senso che non era posto un termine a quest’ultimo]”.<br />

61 Questa suppergiù la traduzione data dagli studiosi. Noi però vogliamo ricordare l’espressione: kunotòs “orecchio di cane”, che era un tipo di lancio<br />

coi dadi, poiché Elena fu tratta a sorte, in una variante del suo mito (Plutarco: Teseo, 31), fra Teseo e Piritoo. Ai dadi fu vinta dal dio Ercole

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