L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti
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ingollo una prima, cauta sorsata.<br />
Bleah. E questa sarebbe la bevanda alcolica più antica del mondo? Cristo,<br />
che brutti gusti abbiamo noi umani!<br />
Seconda sorsata, ancor più guardinga della prima. Be’, insomma, sembra<br />
di bere Orzoro frammisto a ghiaccio estratto dai poli di Marte brulicante di<br />
microbi con le antenne e le pistole a raggi, ma non è poi così male… bella<br />
fresca. Mi sa che appena finita questa me ne faccio un’altra.<br />
Così è questa l’ubriachezza. Ogni cosa deformata come nel tunnel degli<br />
specchi al luna-park, compresi i pensieri. Che spasso. Averlo fatto prima,<br />
cazzarola! Sempre a farmi paranoie su paranoie per qualsiasi scoreggia. A<br />
proposito, adesso ne tiro una bella. Prrrr. Tu che cazzo c’hai da guardare?<br />
Problemi, perplessità? Ah, sei crucco. Non capire, nein? Mo’ te ne becchi<br />
un’altra più forte. Prrrrrrrrrr. E col saluto romano se vedemo, Rommel.<br />
Approdo in campeggio alla tenda famigliare neanche io so come. I miei<br />
non ci sono, torneranno tardi da Ravenna con tutta la banda. La testa mi<br />
gira come un frullatore Girmi. “Porca puttana troia, sono proprio ubriaco”<br />
biascico, tentando di accendermi una sigaretta, malfermo sulle zampette di<br />
pollo. “Sbronzo in questa maledetta pineta marittima infestata di zanzare.”<br />
“Se vuoi ti faccio un caffè” bisbiglia qualcuno dalla semioscurità della<br />
veranda di fronte, la tenda di quei bresciani che non riescono mai, dico<br />
mai a pronunciare una frase senza includervi un vocabolo sconcio o una<br />
bestemmia. Dei villani di prima categoria…<br />
“Un bel caffè forte.”<br />
“Come?”<br />
“Sssh, non urlare, diocristo, che è tardi.” Dev’essere la figlia di quegli<br />
ignoranti, Marcella mi sembra che si chiami. È tracagnotta, ma ben dotata<br />
e sempre tutta sculettante nel suo bikini color carta da zucchero; ora però<br />
avrei bisogno di un paio d’occhiali ai raggi infrarossi per apprezzarne le<br />
tette. “Lo vuoi questo caffè o no? Sei ridotto uno straccio. Se i tuoi ti<br />
vedono così ti scomunicano.”<br />
Senti chi parla: la figlia di Belzebù. O di Rasputin, dato l’accento. “Sì…<br />
va bene. Grazie.” Getto la sigaretta a terra senza neppure averla accesa. Se<br />
la fumeranno le formiche sottoterra. Eh eh, ne avranno per un anno intero.<br />
Qualche minuto o secolo dopo mi ritrovo disteso su un materasso ad aria;<br />
Marcella, o per meglio dire la sua formosa silhouette (probabilmente era<br />
destino che il mio sverginamento dovesse avvenire in condizione precarie<br />
di visibilità e stato mentale) incombe su di me. Ho l’inguine allo scoperto.<br />
“Ehi, ma…” protesto debolmente. E il caffè? Non ne sento il gusto in<br />
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