L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti
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Ripetere quattro volte e spalmarsi sul lettuccio come burro d’arachidi. Ci<br />
vediamo venerdì prossimo, Charlie.<br />
La sonda Phoenix ha scoperto che dalle nubi di Marte cade neve. Uno<br />
strumento laser progettato per raccogliere indizi su come l’atmosfera e la<br />
superficie marziana interagiscono ha “visto” cadere la fiòca dalle nuvole a<br />
circa due chilometri e mezzo d’altezza sopra il luogo d’atterraggio della<br />
nave spaziale. I dati mostrano che la neve vaporizza prima di raggiungere<br />
il suolo, ma gli scienziati stanno cercando di capire se in talune condizioni<br />
essa possa raggiungere il terreno. Ve li immaginate gli astronauti della<br />
NASA nelle loro immacolate tute spaziali plasmare un pupazzo di neve,<br />
ficcandoci a mo’ di naso una carota modificata geneticamente, sotto quel<br />
cielo brunastro?<br />
Ho un’altra fantasia futurista. Grazie alla <strong>birra</strong> che ho bevuto durante tutta<br />
la vita e un trattamento anti-apoptosi che ho potuto permettermi con le<br />
royalties intascate per il successo eccezionale nonché durevole ottenuto da<br />
questo libro (saranno fallaci sogni, ma lasciatemeli), ho visto l’alba del<br />
ventiduesimo secolo e, quantunque vizzo e incanutito, m’incammino verso<br />
mezzogiorno. Percival I, la prima riuscita spedizione umana sul Pianeta<br />
Rosso, ha scoperto in una oscura caverna di Cydonia un lievito che è stato<br />
subito battezzato Saccharomyces martianensis. Per somma grazia astrale,<br />
una volta portata sulla Terra la sostanza non si è scatenata a solidificare il<br />
sangue nelle vene agli americani né a copulare con ogni essere vivente su<br />
questo pianeta – eccetto gli scarafaggi – come la “cosa disgustosa”<br />
protagonista del racconto di Harlan Ellison Com’è la vita notturna su<br />
Sissalda? Se n’è stata lì tranquilla, grigiastra e silente, a farsi esaminare in<br />
qualsiasi modo concepito dalla scienza del 2100, risultando quasi del tutto<br />
simile a un lievito terrestre. Come prima epocale prova dell’esistenza di<br />
vita al di là del nostro pianeta, era alquanto deludente.<br />
Poi quel genialoide di scienziato irlandese, Liam O’Moloney, ha avuto la<br />
pazzesca pensata di affogare qualche cellula di quella roba in un tino pieno<br />
di mosto: diamine, poteva scaturirne qualsiasi cosa, una melma onnivora,<br />
una lacerazione nel continuum spaziotemporale, una rockstar impegnata in<br />
nobili cause ma allergica alle tasse. Sono pazzi questi figli di San Patrizio.<br />
Invece…<br />
Ne è scaturito ciò che sto gustando ora, seduto sulla mia sedia a dondolo<br />
davanti all’olovisione: Mars Stout, la <strong>birra</strong> scura del Pianeta Rosso. Nera<br />
come lo spazio profondo, è sormontata dall’inconfondibile nebulosa di<br />
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