L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti
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ock i Velvet la espansero riducendola alla sua ossatura: il beat, l’elettrico pulsare<br />
dell’anima del rock’n’roll. White Light/White Heat è il paradigma di questa<br />
musica. Solamente gli Stooges, i primi Modern Lovers, i Sex Pistols e i Clash gli<br />
si sono avvicinati, e nessuno di questi gruppi possedeva quella che si potrebbe<br />
definire l’elevata intelligenza spirituale dei Velvet – la loro consapevolezza, da<br />
apprendisti presso la bottega dell’arte con la A maiuscola, di quel che stavano<br />
facendo.<br />
Richard Mortifoglio, What Goes On n. 3, 1982.<br />
Forse il bravo Richard M. avrebbe dovuto ascoltarsi con molta attenzione<br />
Sandinista prima di buttar giù queste parole. La sua disamina è comunque<br />
rilevante poiché rende giustizia alle qualità musicali di Johnny Rotten e C.<br />
Noterete che non ho fatto ricorso al corsivo. Ci mancherebbe; quelle dei<br />
Sex Pistols sono canzoni!!! Ruvide sgraziate e iconoclaste finché si vuole,<br />
ma pur sempre pezzi rock, con un’articolazione e un impatto sonoro che<br />
nessun altro su questo sferoide è mai più riuscito a eguagliare – anche per<br />
merito della produzione “stratificata” di Chris Thomas e Bill Price, va<br />
detto. Nei brani di Never Mind The Bollocks le intro, i break e i middle<br />
eight sono assolutamente stupefacenti per una band di cosiddetti teppisti<br />
illetterati musicali. Ed è un disco all killer no filler, dodici colpi di frusta e<br />
nemmeno una sola caduta di tono. Qualcuno potrebbe obiettare: “Ma che<br />
diamine, hanno registrato soltanto quello!” Be’, per quanto mi riguarda,<br />
hanno detto più i Pistols in un solo album che i Pink Floyd in quattordici.<br />
Fermo restando che mi piace The Piper at the Gates of Dawn: del resto,<br />
piace pure a Captain Sensible.<br />
Torino, 12 luglio 2008, Parco della Pellerina, h 00.10 a.m. I Sex Pistols,<br />
autori di una performance micidiale, ritornano sul palco per un secondo<br />
inatteso encore. Johnny Rotten ha annunciato una vecchia canzone: Silver<br />
Machine. Io e Vito – my friend delirium! – con la quinta o sesta lattina di<br />
<strong>birra</strong> in mano, incrociamo gli sguardi. “Porca miseria, non sarà mica<br />
quella Silver Machine?” Il più grande hit punkadelico degli Hawkwind, la<br />
folle ciurma cosmica di Dave Brock.<br />
Steve Jones parte a tutto gas con un classico eight-bar rock’n’roll boogie<br />
riff, poi si apre una breccia nel tessuto spazio-temporale del palco e ne<br />
scaturisce un loop elettronico da vecchio film di fantascienza sovietico…<br />
ebbene sì, è proprio Silver Machine degli Hawkwind. Pensa tu che diavolo<br />
mi stanno suonando questi! In verità non sono poi così stupefatto: John<br />
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