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L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti

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Anch’io come John Shirley, scrittore di fantascienza punk autore del brano<br />

precedente, me ne innamorai appena ne sentii parlare. Altri, per la maggior<br />

parte pallosissimi radicali con barbe cespugliose e pantaloni di velluto a<br />

coste, li odiarono subito a morte. Erano quei tizi che picchettavano una<br />

mattina su dieci gli ingressi dei licei e degli istituti tecnici, “rimarremo<br />

piantati qua davanti fino a mezzogiorno, compagno”, ti dicevano, cosicché<br />

tu te n’andavi al centro a bighellonare felice e incosciente, ma il giorno<br />

dopo venivi a scoprire con raccapriccio che il picchetto era durato soltanto<br />

un’ora e mezza e i sedicenti contestatori si erano presentati puntualissimi e<br />

splendidamente preparati per l’interrogazione di algebra… morale della<br />

brutta favola, alla fine dell’anno scolastico loro promossi a pieni voti e tu<br />

bocciato come un fesso da corsa. Pure, ammettiamo che tra te e lo studio<br />

vi era la stessa distanza che fra la Terra e la Stella Polare… però…<br />

Per questi futuri parlamentari del PD (o gestori di locali alternativi, come<br />

Okudera) il punk era un rigurgito nichilista del fascismo. Ricordo bene un<br />

servizio trasmesso da una nota tv privata torinese che stigmatizzava “gli<br />

idioti degenerati del nazi-punk-rock”, mostrandoci le fotografie in bianco<br />

e nero di un grottesco ersatz piemontese dei Kiss (ma che c’entravano?),<br />

capelli alla Franco Causio e smorfie da adolescenti costipati sotto il trucco<br />

razziato ai beauty-case delle loro mammine. Il giornalismo disinformato e<br />

dozzinale è una piaga vecchia quanto l’umanità.<br />

Nessuno spiegò lo spirito di quel tempo meglio di Rat Scabies, vulcanico<br />

batterista dei Damned, in un’intervista del 1976: “Oggi il pubblico vuole i<br />

suoi propri eroi, non vecchi uomini noiosi. Doveva accadere; la scena<br />

musicale era diventata talmente stagnante che doveva cambiare.” E io,<br />

post-bambino coi capelli informi e il naso a patata piemu-siculo scimmiato<br />

per Doctor Who, mi bevevo quel mutamento come acqua sorgiva corretta<br />

con solfato di anfetamina seduto a gambe incrociate di fronte al nostro<br />

nuovissimo televisore a colori, i libri di scuola dimenticati sulla scrivania<br />

della mia cameretta: Anarchy in the U.K., London Calling, Plan 9 Channel<br />

7, Happy House…<br />

E ora, trent’anni e trenta chili dopo, i Sex Pistols venivano a suonare per la<br />

prima volta nella mia città. Wow.<br />

Trout Mask Replica, Song Cycle, Anthem of The Sun e Sgt. Pepper sono stati tutti<br />

nette ridefinizioni della musica popolare, ma White Light/White Heat dei Velvet<br />

Underground fa parte di una categoria tutta sua. Anziché infiltrare altri generi<br />

(blues acido, arrangiamenti classicheggianti, bluegrass, music hall) nella forma<br />

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