L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti
L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti
unendo le rispettive forze, essi lanciarono il tavolino. Nel bene e nel male, gli inglesi sono unici. Il grosso “problema” è che appena finisce la Semana Grande/Aste Nagusia Donostiarra (12-19 agosto) si parte in tromba con quella di Bilbao/Bilbo. Il primo venerdì dopo Ferragosto, dal balcone del Comune, il pregonero (“banditore”) e la chupinera, colei che fa deflagrare il petardo indossando un’uniforme dai toni rossi che rammenta quella delle truppe carliste che assediarono e bombardarono Bilbao nel 1835, danno il via ufficiale a un vero tour de force alcolico, musicale e gastronomico che si concluderà due domeniche dopo con la despedida di Marijaia, il simbolo della festa: una signora grassottella con le braccia levate al cielo in segno di giubilo. Come un Johnny Mnemonico nato e cresciuto in riva al Po, ho centinaia di gigabyte di ricordi bilbaini nella memoria: dovessi scaricarli tutti su queste pagine vi manderei il cervello in crash. Per questo mi limiterò alle mie (e non solo) esperienze con la bevanda più psichedelica che esista al mondo: il patxaran. Il patxaran o pacharán, dal basco baso aran (“prugna selvatica”) è un liquore dal sapore di prugnole d’origini navarre ma comunemente bevuto in tutta la Spagna. Si fa mettendo a bagno le prugnole in anisetta con una piccola quantità di chicchi di caffè e un baccello di vaniglia per diversi mesi. Il risultato è un liquore dolce color rossastro-marrone trasparente, intorno ai 25-30% d’alcol per volume. In Navarra si dice che mangiare le prugnole dopo la macerazione può portare alla pazzia. Io ci credo ciecamente. Ho sperimentato di persona gli effetti psicotropi di questo liquore. Una sera di tanti anni fa che in un locale di Portugalete, un sobborgo di Bilbao, eccedetti nel berlo, mi scatenai in un’imitazione del Gabibbo davanti alla postazione del DJ. Niente, in confronto a ciò che è successo a certi miei seguaci. Uno perse realmente il senno per alcune ore. Ululava le proprie frustrazioni alla luna e alle galassie e sulla strada per il ritorno all’agriturismo di Lezama dov’eravamo alloggiati tutt’a un tratto spalancò la portiera della mia auto e si lanciò fuori. Per fortuna io andavo piano e lui atterrò su un’aiuola. Lì vi rimase a braccia spalancate, come un crocifisso a faccia in giù. Accostò un Ford Transit tutto rappezzato e gli occupanti ne smontarono domandandoci se avessimo bisogno di sostegno e che diavolo fosse successo al nostro collega. Io li tranquillizzai: “Nada, ha solo bevuto troppo patxaran.” Josetxo o Garikoitz, dimensioni e accento da orso dei Pirenei, lapidario: “Vaya, se non è navarro non lo beva!” 50
Scoppiammo a ridere. Ma le escandescenze paciaranesche dell’individuo non finivano lì. Stufatici, lo lasciammo a rantolare chiuso in macchina nel parcheggio dell’agriturismo e salimmo in camera a dormire la sbronza. Il mattino dopo, pallide ombre di noi stessi in una splendida giornata di sole, le verdi colline della Bizkaia tutt’intorno, fummo messi in riga e cazziati da Don Iñaki Bilbao, proprietario dello stabilimento turistico nonché capo della sezione locale della Policia Municipal: “Tenemos que hablar” esordì, freddo come l’inverno russo, cipiglio da Aguirre furore di Dio. Porca troia. Neanche dodici ore che avevamo disfatto le valigie e già ci eravamo fatti riconoscere piantando casino di notte. Purtuttavia io feci un tale sfoggio di diplomazia, lanciando simultaneamente occhiate al curaro in direzione di my friend delirium – ridotto una merda, è ovvio – che alla fine Iñaki si convinse che eravamo delle paste di ragazzi e a poco a poco ci prese in simpatia… anche se per un paio di giorni ci toccò la deportazione in un altro agriturismo di gran lunga meno confortevole del suo. Raquel Menéndez Goyenolea, che mi buttò giù dal letto alle 23.15 di un classico lunedì da sclero per dirmi che mi lasciava, mi fece conoscere un altro beveraggio demoniaco, il licor de manzana. Le sere che uscivamo insieme a Bilbao riuscivamo a berne anche cinque a testa, rigorosamente con ghiaccio perché puro è da coma epatico: le meravigliose scopate che ci facevamo quand’eravamo bombati di quel veleno alla mela verde! Ma il primo amore (ad alta gradazione) non si scorda mai. Così una notte stappai la buta di Etxeko che tenevo sul comodino e cosparsi di liquore i seni della mia amante per poi leccarmelo goccia a goccia. Rico… suave… Throwing Copper dei Live in sottofondo. Lacrimuccia. La sera del 21 agosto 1993 occupammo un bar di Santutxu, il Blues, per assistere alla finale di Supercoppa Italiana Torino-Milan che si giocava a Washington a mo’ di spot promozionale per gli imminenti Mondiali di calcio U.S.A. Cioncammo cerveza e patxaran a secchiate sotto lo sguardo mezzo divertito e mezzo perplesso del gestore e degli habitué, che peraltro conoscevano già le nostre inclinazioni dipsomaniache. Il Toro perse 0-1 ma noi non smettemmo di sbevazzare. Quando il Blues chiuse i battenti rotolammo giù ad Aste Nagusia – Santutxu, uno dei quartieri a più alta densità di popolazione d’Europa, ha la sua origine in un eremo – e tra la borrachera che avevamo addosso e la spaventosa concentrazione d’anime lesse come noi e anche più ci separammo come cosmonavi in fuga da un pianeta il cui sole fosse sul punto di esplodere. Giovanni, detto Giuà l’Attaccapanni, fu ritrovato il mattino dopo riverso in un’aiuola sofferente 51
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non finivano lì. Stufatici, lo lasciammo a rantolare chiuso in macchina nel<br />
parcheggio dell’agriturismo e salimmo in camera a dormire la sbronza. Il<br />
mattino dopo, pallide ombre di noi stessi in una splendida giornata di sole,<br />
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Neanche dodici ore che avevamo disfatto le valigie e già ci eravamo fatti<br />
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Raquel Menéndez Goyenolea, che mi buttò giù dal letto alle 23.15 di un<br />
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insieme a Bilbao riuscivamo a berne anche cinque a testa, rigorosamente<br />
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ci facevamo quand’eravamo bombati di quel veleno alla mela verde! Ma il<br />
primo amore (ad alta gradazione) non si scorda mai. Così una notte stappai<br />
la buta di Etxeko che tenevo sul comodino e cosparsi di liquore i seni della<br />
mia amante per poi leccarmelo goccia a goccia. Rico… suave… Throwing<br />
Copper dei Live in sottofondo. Lacrimuccia.<br />
La sera del 21 agosto 1993 occupammo un bar di Santutxu, il Blues, per<br />
assistere alla finale di Supercoppa Italiana Torino-Milan che si giocava a<br />
Washington a mo’ di spot promozionale per gli imminenti Mondiali di<br />
calcio U.S.A. Cioncammo cerveza e patxaran a secchiate sotto lo sguardo<br />
mezzo divertito e mezzo perplesso del gestore e degli habitué, che peraltro<br />
conoscevano già le nostre inclinazioni dipsomaniache. Il Toro perse 0-1<br />
ma noi non smettemmo di sbevazzare. Quando il Blues chiuse i battenti<br />
rotolammo giù ad Aste Nagusia – Santutxu, uno dei quartieri a più alta<br />
densità di popolazione d’Europa, ha la sua origine in un eremo – e tra la<br />
borrachera che avevamo addosso e la spaventosa concentrazione d’anime<br />
lesse come noi e anche più ci separammo come cosmonavi in fuga da un<br />
pianeta il cui sole fosse sul punto di esplodere. Giovanni, detto Giuà<br />
l’Attaccapanni, fu ritrovato il mattino dopo riverso in un’aiuola sofferente<br />
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