L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti

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21.05.2013 Views

L’orzo e il luppolo fra crescere, oh Signore in abbondanza e della qualità migliore. D’estate a lungo il tempo sia clemente in modo che assetata sia la gente; riesca bene sempre la fermentazione della birra che si trova in produzione. Fa che il birraio, per la sua sostanza non abbia grane con la Guardia di Finanza. La tua benedizione sul di lui fervore e un poco di fortuna concedigli, Signore e in fine fa che i clienti siano pronti a pagare birra senza sconti. Schranka 4

UNA BIRRA NON BASTA Una volta non basta di Jacqueline Susann: lessi questo libro a quindici anni, poco prima di bere la prima birrozza della mia vita. Fu mia sorella Danii a ordinarlo all’Euroclub. In quel tempo io ero un gracile capelluto timidissimo famelico consumatore di fantascienza, principalmente d’autori classici quali Isaac Asimov, Jack Williamson e Ray Bradbury, ma avevo appena scoperto Philip K. Dick. Sdraiato sul letto a gambe incrociate, i piedi nudi stracotti da interminabili partite a pallone giocate nelle strade del quartiere ispirandomi agli idoli del momento (Zico, D’Amico, Keegan, Woodcock), leggevo e rileggevo senza requie Millemondinverno 1975, supplemento a Urania n. 684 che includeva ben tre sconvolgenti romanzi completi dell’immenso scrittore americano: Cronache del dopobomba, La città sostituita e L’uomo dei giochi a premi, quest’ultimo recentemente ristampato da Fanucci Editore col titolo Tempo fuori squadra – traduzione pressoché fedele dell’originale Time out of joint. C’era già stato un libro di Jackie Susann in casa nostra: La macchina dell’amore, in edizione tascabile della Garzanti. Ma io l’avevo soltanto intravisto. Di tanto in tanto mio padre alleggeriva le librerie risparmiando, è ovvio, i classici a detrimento della “spazzatura battuta a macchina” – capirai, per ogni libro epurato n’acquistava due! Così mi era rimasta una fortissima curiosità per questa scrittrice di storie definite “a tinte forti”. Mi premeva sapere se vi fosse in questo mondo qualcuno capace di comporre un’opera più sporcacciona di Emmanuelle, di cui papà possedeva una rarissima copia fuorilegge: la risposta, naturalmente, è sì. Dopotutto io non conoscevo ancora Terry Southern, né Anaïs Nin… neppure Jackie Collins e Harold Robbins (due fangosissimi imbrattacarte ingrassati da immeritato successo, e al diavolo l’invidia), se è per quello. Candy (Candy) per me era uno smanceroso cartoon giapponese; come quasi tutti gli ultrà in erba, io sballavo per Lupin III. In ogni modo, non tutti i volumi in eccedenza finivano nei cassonetti della nettezza urbana: alcuni, diciamo le vaccate de luxe, scendevano giù in cantina a ingiallire tra scarti di maioliche e portabagagli risalenti all’epoca del boom economico. Passato circa un lustro che l’ebbi letto (per ben due volte, sarà stata la tempesta ormonale puberale), Una volta non basta fu infilato da papà in un sacchetto di plastica del PAM insieme con altri libracci e io non m’interessai minimamente al suo destino – intrippato 5

L’orzo e il luppolo fra crescere, oh Signore<br />

in abbondanza e della qualità migliore.<br />

D’estate a lungo il tempo sia clemente<br />

in modo che assetata sia la gente;<br />

riesca bene sempre la fermentazione<br />

della <strong>birra</strong> che si trova in produzione.<br />

Fa che il <strong>birra</strong>io, per la sua sostanza<br />

non abbia grane con la Guardia di Finanza.<br />

La tua benedizione sul di lui fervore<br />

e un poco di fortuna concedigli, Signore<br />

e in fine fa che i clienti siano pronti<br />

a pagare <strong>birra</strong> senza sconti.<br />

Schranka<br />

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