L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti
L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti
“cavernicoli sottomarini”. Una definizione calzante per come mi sentivo io quando toccammo terra celtica: col viso dal pallore cadaverico, lo sguardo stralunato e la tremarella alle gambe, parevo proprio un discendente dei Fomoriani. Sembra che nel 1610 nella sola città di Dublino, abitata allora da 4000 famiglie, esistessero quasi 1200 birrerie. Non so dirvi quanti pub fossero censiti nel 1991; certo è che ne visitammo in abbondanza, specialmente nella zona di Temple Bar. Cominciavamo a sbevazzare già a colazione e finivamo giusto un attimo prima della pedante scampanata che annunciava agli avventori la chiusura del pub. Il rituale di versamento della Guinness mi rapiva, e mi rapisce, ogni volta. Il barista mantiene il boccale inclinato a 45°, sotto la spina, che si spinge in avanti in modo che lo spesso liquido scuro vada a innaffiare il retro del boccale. Una volta riempito per tre quarti, il bicchiere è lasciato decantare affinché il liquido più pesante vada a depositarsi sul fondo, lasciando in superficie la schiuma cremosa e più leggera. Passati due minuti circa si completa il riempimento, ma questa volta il rubinetto è spinto all’indietro, di modo che the pint of plain si colmi solo d’inchiostro. E dopo è tutta vita. Da buoni animali notturni, non potevamo accontentarci di un turbinio di birre e doppi, un juke-box coi vecchi pezzi dei Thin Lizzy e l’immancabile concerto di sean nos (motivi tradizionali irlandesi). Ma quando una sera provammo a entrare in un locale storico di Dublino, McGonagles, la cui programmazione musicale da noi letta nel tardo pomeriggio su un flyer prometteva scintille (sound del 1977 e derivati), fummo rimbalzati come palline da squash per “non avere il look adatto”. Figuratevi: due skinhead, un modernista e uno sbirro infiltrato nella mala irlandese di Hell’s Kitchen (il sottoscritto, che prima di partire si era sparato Stato di grazia in Vhs fino alla nausea. Adoro Sean Penn, Ed Harris e Gary Oldman. Ma anche Robin Wright…). Più adatti di così! Ciò nondimeno i due buttafuori dallo spiccato accento brogue ebbero il cavalleresco dettaglio d’informarci che la soirée sucessiva sarebbe stata più appropriata alle nostre tendenze: baggy e shoegazer… ah ah ah ah. In qualunque modo ci ripresentammo e fu divertente, per me un’autentica epifania musicale. Divenni un fan di quella roba psico-rock-danzereccia edonistica: EMF, Carter USM, Jesus Jones, Soup Dragons, Ride, My Bloody Valentine, The Wonder Stuff, Curve, Stone Roses, Happy Mondays… e Black Grape. Gli Happy Mondays non furono soltanto esponenti celeberrimi del “Madchester” 36
che scosse la Gran Bretagna negli anni Novanta, ma furono anche rappresentativi delle sue origini sociali. Formati nel 1981 dal delinquente e tossicodipendente Shaun Ryder, gli Happy Mondays rappresentavano l’alienazione dei giovani sottoproletari delle zone industriali (come appunto Manchester) durante il periodo conservatore di Lady Margaret Thatcher. Man mano che le discoteche rimpiazzavano i pub come luogo di perdizione per i giovani, il techno di Detroit soppiantava il vecchio rhythm and blues dei pub, e parallelamente l’ecstasy detronizzava l’alcol. (…) Ryder tornera` a galla alla testa dei Black Grape nel 1995, formazione con due rapper (Ryder e Paul Leveridge), la chitarra bruciante di Paul Wagstaff e un’orchestrina di fiati e tastiere. Il ballabile poliedrico (funk, hip-hop, jungle, house, reggae e heavy metal) di It’s Great When You’re Straight (Radioactive, 1995) sfodera l’impeto scanzonato dei Red Hot Chili Peppers e la coralità epica dei Clash, dallo shuffle indiavolato di Reverend Black Grape alla giostra raga-psichedelica di In The Name Of The Father, dalla filastrocca decadente e spaziale di Kelly’s Heroes al rap con organo soul di Little Bob. Album senza pretese, che continua semplicemente la vena “folle” di Madchester, ma che segna anche un ritorno alla grande per Ryder. Piero Scaruffi, Storia della musica rock. Andavo avanti a birra, whisky e tramezzini al salmone. Secondo un mito irlandese, il salmone Fintan mangiò le Nocciole della Conoscenza prima di nuotare fino a una pozza nel fiume Boyne. Là fu pescato dal druido Finegas e dato a Fionn Mac Cumhail da cucinare. Fionn, uno dei più celebrati eroi della mitologia irlandese, si scottò il pollice con la carne del pesce girando lo spiedo, se lo succhiò e in quel modo acquisì la saggezza. Non per niente, dopo tutto quel salmone al mio ritorno a Torino cominciai a scrivere racconti. Al terzo o quarto giorno di bed & breakfast mi si produsse una fobia per i chambermaids, che alle dieci inesorabili venivano a battere alla porta per rassettare la camera. “No, thanks, I want to sleep”, mugolavo sempre in risposta, rumore bianco nella testa rintanata sotto il cuscino. Una mattina l’amico Steve si spacciò per uno di loro imitandone la tiritera in maniera maccheronica e al mio ormai cronicizzato lamento ribatté in piemontese: “Sun mi, gadan! Bogia, ch’a l’è tard!” (“Sono io, fessacchiotto! Muoviti, che è tardi!”) Che simpatico. Se invece di un aspirante scrittore di finzione speculativa fossi stato un chitarrista dissoluto come Larry Wallis dei Pink Fairies, avrei colto le possibilità fottitorie della situazione piuttosto che lagnarmi – nel 1973 quest’ingiustamente trascurato gruppo proto-punk londinese scrisse un brano travolgente proprio sulle cameriere d’albergo, 37
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che scosse la Gran Bretagna negli anni Novanta, ma furono anche rappresentativi<br />
delle sue origini sociali. Formati nel 1981 dal delinquente e tossicodipendente<br />
Shaun Ryder, gli Happy Mondays rappresentavano l’alienazione dei giovani<br />
sottoproletari delle zone industriali (come appunto Manchester) durante il<br />
periodo conservatore di Lady Margaret Thatcher. Man mano che le discoteche<br />
rimpiazzavano i pub come luogo di perdizione per i giovani, il techno di Detroit<br />
soppiantava il vecchio rhythm and blues dei pub, e parallelamente l’ecstasy<br />
detronizzava l’alcol. (…) Ryder tornera` a galla alla testa dei Black Grape nel<br />
1995, formazione con due rapper (Ryder e Paul Leveridge), la chitarra bruciante<br />
di Paul Wagstaff e un’orchestrina di fiati e tastiere. Il ballabile poliedrico (funk,<br />
hip-hop, jungle, house, reggae e heavy metal) di It’s Great When You’re Straight<br />
(Radioactive, 1995) sfodera l’impeto scanzonato dei Red Hot Chili Peppers e la<br />
coralità epica dei Clash, dallo shuffle indiavolato di Reverend Black Grape alla<br />
giostra raga-psichedelica di In The Name Of The Father, dalla filastrocca<br />
decadente e spaziale di Kelly’s Heroes al rap con organo soul di Little Bob.<br />
Album senza pretese, che continua semplicemente la vena “folle” di Madchester,<br />
ma che segna anche un ritorno alla grande per Ryder.<br />
Piero Scaruffi, Storia della musica rock.<br />
Andavo avanti a <strong>birra</strong>, whisky e tramezzini al salmone. Secondo un mito<br />
irlandese, il salmone Fintan mangiò le Nocciole della Conoscenza prima<br />
di nuotare fino a una pozza nel fiume Boyne. Là fu pescato dal druido<br />
Finegas e dato a Fionn Mac Cumhail da cucinare. Fionn, uno dei più<br />
celebrati eroi della mitologia irlandese, si scottò il pollice con la carne del<br />
pesce girando lo spiedo, se lo succhiò e in quel modo acquisì la saggezza.<br />
Non per niente, dopo tutto quel salmone al mio ritorno a Torino cominciai<br />
a scrivere racconti.<br />
Al terzo o quarto giorno di bed & breakfast mi si produsse una fobia per i<br />
chambermaids, che alle dieci inesorabili venivano a battere alla porta per<br />
rassettare la camera. “No, thanks, I want to sleep”, mugolavo sempre in<br />
risposta, rumore bianco nella testa rintanata sotto il cuscino. Una mattina<br />
l’amico Steve si spacciò per uno di loro imitandone la tiritera in maniera<br />
maccheronica e al mio ormai cronicizzato lamento ribatté in piemontese:<br />
“Sun mi, gadan! Bogia, ch’a l’è tard!” (“Sono io, fessacchiotto! Muoviti,<br />
che è tardi!”) Che simpatico. Se invece di un aspirante scrittore di finzione<br />
speculativa fossi stato un chitarrista dissoluto come Larry Wallis dei Pink<br />
Fairies, avrei colto le possibilità fottitorie della situazione piuttosto che<br />
lagnarmi – nel 1973 quest’ingiustamente trascurato gruppo proto-punk<br />
londinese scrisse un brano travolgente proprio sulle cameriere d’albergo,<br />
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