L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti

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21.05.2013 Views

alla colonna sonora di Breathless con il brano omonimo, scritto e portato al successo dal grandissimo Jerry Lee Lewis nel 1958. Lo potete ascoltare mentre scorrono i titoli di coda. Questo gruppo straordinario, formatosi nel 1978, esordì a 33 giri due anni dopo con Los Angeles, prodotto dall’ex tastierista dei Doors Ray Manzarek. Molti giudicano L.A. il capolavoro del punk californiano, benché sia arduo tranciare giudizi con antagonisti quali Damaged dei Black Flag, Fresh Fruit For Rotten Vegetables dei Dead Kennedys, Group Sex dei Circle Jerks, G.I. dei Germs e Adolescents. Nondimeno L.A. stravince, non fosse per altro motivo che contiene la più bella canzone sul doposbronza mai scritta da una rock band: Nausea. Musicalmente Nausea suona come Soul Kitchen dei Doors funestata dai Black Sabbath e dagli Stooges. Fu vagamente ispirata da una bettola punk conosciuta come il Plunger Pit che era situata dietro una libreria per adulti nel Santa Monica Boulevard. Il beverone della casa era gin con soda alla fragola – un miscuglio criminale che provocava dei postumi apocalittici. La camaleontica front-woman Exene Cervenka ce li racconta così: Oggi starai male, oh così male. Sorreggerai la tua fronte sul lavandino dicendo oh Cristo oh Gesù Cristo la mia testa sta facendo crack come una banca. Stasera ti addormenterai nei tuoi panni frusti come una barretta di cioccolato incartocciata per pranzo. Questo è tutto ciò che hai da gustare… miseria e saliva. Miseria e saliva. Parli disarmonicamente. Non riesci a ricordare quello che dici. Dacci un taglio. Ti senti ritardata. Prendi le forbici e taglia via la testa. Nausea, occhi iniettati di sangue vai con la nausea, occhi arrossati vai con la nausea, occhi infiammati vai a dormire. Difficile non riconoscervisi. Io mi ci riconosco al 100%. La cosa certa è che se il mio lavandino e la tazza guadagnassero per miracolo il dono della favella, mi vomiterebbero addosso una quantità d’insulti diecimila volte superiore alla quantità di succhi gastrici che ho vomitato dentro ambo gli impianti igienici nel corso degli ultimi venticinque anni. Eppure non mi considero uno di stomaco debole. È che molto spesso ho passato il limite. E continuo a farlo, seppure con un quanto di coscienza in più. Oliver Reed da lassù farebbe uno sciocco sorriso consapevole: “Yes, man, sai il fatto tuo. Ma non sei più un giovanotto. Forse è meglio che ti dia una regolata, se non vuoi venire quassù a farmi compagnia prima del tempo.” In una di quelle disastrose mattinate post-Studio 2, aprii gli occhi e gemei oh Cristo o Gesù Cristo almeno sette volte. Rivolsi uno sguardo di polpo 30

alla sveglia: le nove e venticinque. Ero rientrato da quattro ore scarse, ma d’altronde l’eccesso d’alcol mi ha sempre fatto dormire poco. Poco dopo giunse la prima nausea. Guizzai via dal letto e, tappandomi la bocca con una mano, corsi verso il bagno. Era occupato, cristiddio. Retrocedetti in camera soffocando un’imprecazione e il secondo conato. «Dove diamine sbocco adesso? Porca troia, farò la fine di Jimi Hendrix!» La terza nonché decisiva nausea scatenò una fuoriuscita torrenziale di succhi gastrici misti a birra chiara e scura – Guinness del Charisma Pub! – e residui della cena che fu accolta provvidenzialmente da uno shopper di Rock’n’Folk, il mio negozio di dischi preferito. Dopodiché m’infilai di nuovo sotto le coperte e caddi istantaneamente in un coma profondo fino all’ora di pranzo, rimovendo totalmente dalla mia memoria il ricordo del sacchetto. Passati due giorni, di ritorno da un’altra giornata allucinogena nel campo di concentramento di Viale Puglia 35, trovai mia madre piantata al centro della cameretta. “Maurizio, cosa accidenti è quello?” mi chiese in tono inquisitorio neanche n’ebbi oltrepassata la soglia, puntando l’indice verso lo shopper R’n’F appeso a un appendiabiti da muro, mezzo pieno del mio rigurgito che cinquantasette ore di giacenza avevano fermentato in una nuova innovativa marca di lager stout. 31

alla sveglia: le nove e venticinque. Ero rientrato da quattro ore scarse, ma<br />

d’altronde l’eccesso d’alcol mi ha sempre fatto dormire poco. Poco dopo<br />

giunse la prima nausea. Guizzai via dal letto e, tappandomi la bocca con<br />

una mano, corsi verso il bagno. Era occupato, cristiddio. Retrocedetti in<br />

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sbocco adesso? Porca troia, farò la fine di Jimi Hendrix!»<br />

La terza nonché decisiva nausea scatenò una fuoriuscita torrenziale di<br />

succhi gastrici misti a <strong>birra</strong> chiara e scura – Guinness del Charisma Pub! –<br />

e residui della cena che fu accolta provvidenzialmente da uno shopper di<br />

Rock’n’Folk, il mio negozio di dischi preferito. Dopodiché m’infilai di<br />

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all’ora di pranzo, rimovendo totalmente dalla mia memoria il ricordo del<br />

sacchetto.<br />

Passati due giorni, di ritorno da un’altra giornata allucinogena nel campo<br />

di concentramento di Viale Puglia 35, trovai mia madre piantata al centro<br />

della cameretta. “<strong>Maurizio</strong>, cosa accidenti è quello?” mi chiese in tono<br />

inquisitorio neanche n’ebbi oltrepassata la soglia, puntando l’indice verso<br />

lo shopper R’n’F appeso a un appendiabiti da muro, mezzo pieno del mio<br />

rigurgito che cinquantasette ore di giacenza avevano fermentato in una<br />

nuova innovativa marca di lager stout.<br />

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