L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti

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“Tessera? Quale tessera?” replicai, con occhi da agnellino. “AICS. Per entrare qui ci vuole la teffera AICS.” “Io ce l’ho” disse Alex, spalleggiandomi. Io allargai le braccia al tempo che ammisi: “A me invece è scaduta. Posso rinnovarla qui, no?” “Ma certamente. Prego.” Okudera si fece da parte per lasciarci passare. Repressi a dura pena lo sgurz di chiedergli notizie della biondina, essendo comunque già ampiamente a conoscenza che si era sposata col campione di pallavolo del liceo.“Eccolo qui, sempre col quel fetusissimo pullover grigiastro infeltrito”, pensai guardandolo in tralice mentre compilavo il modulo apposito coi miei dati personali. “Per di più padrone, o perlomeno socio di un circolo. Certo che il mondo è proprio uno scherzo!” Dal banco delle tessere mediante una doppia rampa di scale si scendeva al locale vero e proprio: pareti lattescenti, luci soffuse, tavolini ovunque. La musica era prevalentemente negroide, ma il posto non sembrava fatto per ballare. Tuttavia quando il DJ mise su Dance Little Sister di Terence Trent D’Arby la stragrande maggioranza degli avventori si scosse dall’atavico bogianenismo e discostando bruscamente tavoli e sedie improvvisò una piccola pista da ballo dove scatenarsi. Il tutto sotto lo sguardo recisamente contrariato di Mr. Pullover Grigio. Tié. I miei gusti musicali si stavano evolvendo. Sotto naja mi ero rimpinzato di Stooges, Metallica, Aerosmith, Zodiac Mindwarp & The Love Reaction, Cult, New York Dolls, Joy Division, Alice Cooper, Celibate Rifles e Died Pretty – Free Dirt era il disco che ascoltavo più volentieri quand’ero stonato di qualsiasi cosa, apprezzavo moltissimo la disinibizione con cui quel gruppo australiano passava da tenebrosi ammodernamenti dei Doors a canzoni nettamente più ottimistiche effondenti una stupenda sensazione d’immensità solatia. Ora mi sorprendevo a battere il piedino ascoltando Terence Trent D’Arby, Sly & The Family Stone e Prince. Portavo i capelli più corti in un facsimile del taglio di Gigi Lentini ai suoi scintillanti esordi nel Torino FC, pantaloni attillati di velluto, stivali di finto pitone, pullover a girocollo e giubbotti di pelle. Bevevo sempre più birra e superalcolici. Al Protex Blue spillavano la Tennent’s Super. Prodotta a Edimburgo dalla Tennent Caledonian, questa bevanda di color giallo intenso con riflessi ramati può essere considerata come l’antesignana di tutte le strong lager scozzesi. Dolciastra all’inizio in bocca, poi fa sentire tutta la sua forza alcolica. E come. Uscivamo dal locale sempre storti, ridendo come degli imbecilli per la recidiva dabbenaggine dei baristi. 24

Eh sì. Già dal nostro primo ingresso avevamo percepito con la nostra sensibilità stradaiola come costoro, un folletto dagli occhi perennemente arrossati e una tizia tutta riccioli e spigoli, non fossero ciò che si dice dei prodigi d’attenzione: cosa piuttosto penalizzante, dovendo essi occuparsi altresì della cassa. D’altro canto noi eravamo basilarmente regolari: vale a dire, pagavamo ogni nostro giro alla consegna dei boccali. Una sera però quegli alternativi erano talmente stressati dalla ressa che già alla primera ronda non ci diedero retta e neppure alla seconda, come dicendo “non ora, siamo troppo indaffarati, pagateci dopo.” Allora Alex saltò su: “Cazzarola, ma se gli fanno tanto cagare i miei sudatissimi deca, gli pago soltanto una birra e basta. Che ne dite, eroi?” Bravi ragazzi o no, fummo tutti d’accordo. La manovra uscì così liscia che stentavamo a crederci. Quei due avevano veramente la testa nella nebulosa di Andromeda. Finimmo per approfittarne. Sarò bastardo, ma la spassavo un mondo alle spalle da passero di Mr. Pullover Grigio. In tre arrivammo a stabilire il record di quattro spumeggianti birre medie scolate pro capite senza sganciare una lira, appiccicandoci una ronda di tequila sunrise, che però pagammo – a mo’ di copertura, non fosse la volta buona che quei babbei trendisti se la intagliavano. Poi sghignazzanti, irriverenti, sbronzi, uscimmo dal Protex Blue per andare alla conquista di una notte ancora giovane. Forse può suonare come un’esagerazione da scrittore affermare che la mia città cambiò nel tempo che io stetti via per “servire la patria”; alcuni bei locali esistevano già prima – il Big, il Dottor Sax, il Metro, lo Studio 2. Nondimeno fu dal 1987 in avanti che a Torino avvenne l’esplosione del nightclubbing, finanche per il consistente incremento dell’offerta. Oggi la chiamano movida e nelle serate di fine settimana è un’impresa attraccare al molo di qualsiasi bar del centro per ordinare da bere, ma nei primi anni Ottanta la gente usciva di sera assai meno che adesso e i ritrovi per giovani si contavano a dura pena sulle dita di due mani. Discoteche per tamarri comprese. Il locale che tutti i quarantenni e ultra torinesi ricordano con più piacere è senz’altro lo Studio 2. Non voglio dilungarmi in una commossa ricordanza di un posto in cui ho passato alcuni tra i momenti più divertenti della mia vita: ci ha già pensato alcuni anni fa un altro concittadino novelliere, per quanto da un punto di vista esistenziale alquanto differente dal mio. (Lui vi organizzava serate per rampolli di buona famiglia, io li detestavo ma vi 25

“Tessera? Quale tessera?” replicai, con occhi da agnellino.<br />

“AICS. Per entrare qui ci vuole la teffera AICS.”<br />

“Io ce l’ho” disse Alex, spalleggiandomi.<br />

Io allargai le braccia al tempo che ammisi: “A me invece è scaduta. Posso<br />

rinnovarla qui, no?”<br />

“Ma certamente. Prego.” Okudera si fece da parte per lasciarci passare.<br />

Repressi a dura pena lo sgurz di chiedergli notizie della biondina, essendo<br />

comunque già ampiamente a conoscenza che si era sposata col campione<br />

di pallavolo del liceo.“Eccolo qui, sempre col quel fetusissimo pullover<br />

grigiastro infeltrito”, pensai guardandolo in tralice mentre compilavo il<br />

modulo apposito coi miei dati personali. “Per di più padrone, o perlomeno<br />

socio di un circolo. Certo che il mondo è proprio uno scherzo!”<br />

Dal banco delle tessere mediante una doppia rampa di scale si scendeva al<br />

locale vero e proprio: pareti lattescenti, luci soffuse, tavolini ovunque. La<br />

musica era prevalentemente negroide, ma il posto non sembrava fatto per<br />

ballare. Tuttavia quando il DJ mise su Dance Little Sister di Terence Trent<br />

D’Arby la stragrande maggioranza degli avventori si scosse dall’atavico<br />

bogianenismo e discostando bruscamente tavoli e sedie improvvisò una<br />

piccola pista da ballo dove scatenarsi. Il tutto sotto lo sguardo recisamente<br />

contrariato di Mr. Pullover Grigio. Tié.<br />

I miei gusti musicali si stavano evolvendo. Sotto naja mi ero rimpinzato di<br />

Stooges, Metallica, Aerosmith, Zodiac Mindwarp & The Love Reaction,<br />

Cult, New York Dolls, Joy Division, Alice Cooper, Celibate Rifles e Died<br />

Pretty – Free Dirt era il disco che ascoltavo più volentieri quand’ero<br />

stonato di qualsiasi cosa, apprezzavo moltissimo la disinibizione con cui<br />

quel gruppo australiano passava da tenebrosi ammodernamenti dei Doors<br />

a canzoni nettamente più ottimistiche effondenti una stupenda sensazione<br />

d’immensità solatia. Ora mi sorprendevo a battere il piedino ascoltando<br />

Terence Trent D’Arby, Sly & The Family Stone e Prince. Portavo i capelli<br />

più corti in un facsimile del taglio di Gigi Lentini ai suoi scintillanti esordi<br />

nel Torino FC, pantaloni attillati di velluto, stivali di finto pitone, pullover<br />

a girocollo e giubbotti di pelle. Bevevo sempre più <strong>birra</strong> e superalcolici.<br />

Al Protex Blue spillavano la Tennent’s Super. Prodotta a Edimburgo dalla<br />

Tennent Caledonian, questa bevanda di color giallo intenso con riflessi<br />

ramati può essere considerata come l’antesignana di tutte le strong lager<br />

scozzesi. Dolciastra all’inizio in bocca, poi fa sentire tutta la sua forza<br />

alcolica. E come. Uscivamo dal locale sempre storti, ridendo come degli<br />

imbecilli per la recidiva dabbenaggine dei baristi.<br />

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