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L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti

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DIECIMILA ANNI DI SBRONZE<br />

La <strong>birra</strong> è quasi certamente la più vecchia bevanda alcolica del mondo. I<br />

Babilonesi e gli Egizi la fabbricavano più di 6000 anni fa. Gli Egei presero<br />

la ricetta dagli Egizi. La fabbricazione della <strong>birra</strong> si diffuse poi in tutto il<br />

Mediterraneo. Anche i Britanni, come no, facevano <strong>birra</strong> e ale: il 5000<br />

a.C. è la data cui risalgono i reperti di <strong>birra</strong> “fossile” ritrovati nelle isole<br />

Orcadi e quelli a Stonehenge. Nell’antica Cina, la <strong>birra</strong> era importante nei<br />

culti religiosi, funerali e altri rituali delle dinastie Xia, Shang e Zhou<br />

(2100-256 a.C.), ma dopo la dinastia Han essa perse la sua prominenza a<br />

vantaggio del huangjiu, il “vino giallo”: la produzione della <strong>birra</strong> non fu<br />

reintrodotta in Cina fino alla fine del XIX secolo, quando la Russia costruì<br />

una fabbrica ad Harbin, nel sud-est del paese.<br />

In Giappone, fatto culturalmente singolare, la <strong>birra</strong> era sconosciuta fino a<br />

due secoli fa: furono gli Olandesi ad aprirvi le prime birrerie per i marinai<br />

che sfacchinavano sulla rotta mercantile fra la Terra del Sol Levante e<br />

l’Impero Olandese. Ora i giapponesi trincano <strong>birra</strong> a torrenti, la fabbricano<br />

e la esportano in tutto il globo. Ne ho assaggiate alcune marche e non sono<br />

malvage: la Asahi, per citarne una. Fermo restando che c’è chi ritiene il<br />

sakè una <strong>birra</strong>.<br />

Il festino, o la festina, come dicono certi miei amici vicentini (specialisti<br />

nell’organizzazione di baccanali memorabili: le loro Feste del Recioto<br />

sono storia consacrata del Triveneto), è innato nella razza umana. Molto<br />

prima dell’invenzione delle bevande fermentate, che secondo uno studio<br />

condotto da un team di brillanti archeologi dell’Università di Manchester<br />

risalirebbe al 9000 a.C., l’uomo utilizzava le piante allucinogene per<br />

provocare una sorta d’ebbrezza conviviale; alcune pitture del Paleolitico<br />

superiore rappresenterebbero, a parere d’alcuni interpreti, delle visioni<br />

provocate dall’uso di queste piante. Un giorno o l’altro qualche esuberante<br />

archeologo britannico ritroverà in Siberia una bottiglia di <strong>birra</strong> pressoché<br />

intatta con l’etichetta stampata in una lingua sconosciuta incastonata in<br />

uno strato geologico risalente a duecentomila e rotti anni fa, testimonianza<br />

dell’esistenza di una remota civiltà altamente sviluppata, cancellata <strong>forse</strong><br />

da un terribile conflitto nucleare. Mi hanno sempre affascinato le storie<br />

post-atomiche; il secondo romanzo dell’antologia di Zelazny, La pista<br />

dell’orrore, è una delle più belle mai scritte. Hell Tanner, ex membro di<br />

una gang motociclistica, parte da Los Angeles per Boston per portarvi una<br />

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