L'ultima birra e andiamo a casa (forse) (.pdf) - Maurizio Ferrarotti
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talmente bello e con una tale potenzialità di durare nel tempo, perfino più<br />
di Young Americans, che mi sbilancio a dire: penso che Bowie abbia<br />
finalmente prodotto il suo (primo) capolavoro.”<br />
Me, me stesso e io. L’uomo che cadde sulla Terra. Ho letto il libro e visto<br />
il film: pregevole il primo, non completamente riuscito ma lo stesso<br />
affascinante il secondo. Nel 1976 un critico cinematografico scrisse al<br />
proposito su Robot che David Bowie non faceva molta fatica a recitare se<br />
stesso: anche se avevo soltanto undici anni, fui sostanzialmente d’accordo<br />
con lui. Mi è rimasta stampata in testa soprattutto questa scena: una donna<br />
e un uomo a letto, nudi bruchi; lei è una giovanissima bruna all-American<br />
sfrontata e opulenta, di quelle che ti scoperesti tutti i giorni dal tramonto<br />
all’alba, che dormono con la lingua fra le tue palle pelose e ingoiano tutto<br />
quello che c’è da ingoiare, sempre; lui è il dottor Nathan Bryce, libidinoso<br />
professore di college con un’inclinazione per le diciottenni e affascinato<br />
morbosamente dalla World Enterprises, la potente compagnia che Thomas<br />
Jerome Newton, l’alieno venuto sulla Terra da un pianeta morente di sete,<br />
ha creato dal nulla; parlano parlano, finché lei vogliosa non gli circonda i<br />
fianchi con quelle cosce sode da cheerleader spronandolo: “Avanti, fammi<br />
sentire quanto sei uomo!” Yummy.<br />
Young Americans mi serve come lassativo quando tralascio di assumere<br />
fibre vegetali. Station To Station ce l’ho in CD. La fotografia in copertina,<br />
di Steve Shapiro, è tratta da L’uomo che cadde sulla Terra. Le foto<br />
all’interno, sempre di Steve Shapiro e Jayne Fincher, dovrebbero essere<br />
mostrate ai giovinetti della plug generation nell’ambito di una campagna<br />
contro l’abuso di cocaina, soprattutto a Roma, laddove ultimamente il Cnr<br />
ha rintracciato la magica polverina perfino nell’aria: eppure, dato che è<br />
sniffata a tutto spiano perfino in Parlamento, non è considerata una vera<br />
emergenza. Ma lo è, diocristo.<br />
Sono d’accordo con Lester: Station To Station è un masterwork. La titletrack<br />
riprende brillantemente l’idea alquanto datata della suite, mentre<br />
TVC 15 è in effetti un gran pezzo, rozzo e sgangherato – a quanto pare il<br />
titolo deve molto a una storia raccontata a David da Iggy Pop nel 1975 a<br />
proposito della ragazza di Iggy inghiottita da una set televisivo… ahi,<br />
Sorella Morfina! Sono ottimamente congegnate le dinamiche funky-rock<br />
di Golden Years e Stay. Wild Is The Wind e Word On A Wing eccedono<br />
<strong>forse</strong> un tantino in pathos ducale, ma la seconda mi piace moltissimo, con<br />
quella vaporosa nota di sintetizzatore all’inizio che richiama realmente<br />
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