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LE IDEE PER BATTERE LA CRISI - Shopping24 - Il Sole 24 Ore

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<strong>Il</strong> dibattito del <strong>Sole</strong> <strong>24</strong> <strong>Ore</strong><br />

smo tardo kennediano, un po’ più di spesa pubblica, un po’ più di stato, un po’ più<br />

di buona volontà e tutto andrà a posto.<br />

Non più. Perché quel 1989 segnò anche l’era della globalizzazione, aperta dal<br />

grande Deng Xiao Ping che dice ai cinesi di arricchirsi e riscopre le virtù classiche<br />

asiatiche del lavoro e della comunità e dalla foga con cui piccoli affamati paesi,<br />

dalla Sud Corea a Hong Kong, sperano di vincere negli affari. Nei garages di Silicon<br />

Valley ragazzini come Jobs e Wozniak intuiscono che il computer, inventato<br />

per triturare numeri per gigantesche burocrazie può invece comunicare parole<br />

per individui e che la Darpanet, sistema nervoso militare via cavo progettato per<br />

resistere alle bombe termonucleari russe, può evolvere in internet e diffondere<br />

notizie, ricette della nonna, bilanci d’azienda e lettere d’amore. Nel tumultuoso<br />

passare di una generazione un miliardo di esseri umani muove dalla fame a un<br />

lavoro decente e mezzo miliardo di loro, tra India e Cina muta da contadini a ceto<br />

medio. Ieri una ciotola di riso era il sogno, oggi una borsa Fendi.<br />

La velocità del mutamento travolge gli esperti. Nel saggio “The end of work”<br />

del 1995 Jeremy Rifkin preconizza fosco un mondo senza lavoro, giusto mentre<br />

Robert Rubin, segretario del Tesoro con il presidente Bill Clinton e veterano di<br />

Goldman Sachs, contribuisce a creare una dozzina di milioni di posti negli Usa e<br />

il pianeta intero lavora con una furia senza precedenti. È la speranza di un nuovo<br />

ordine mondiale che viene però<br />

L’EUFORIA GLOBA<strong>LE</strong><br />

Dalla Cina al Sudamerica<br />

milioni di esseri umani<br />

si arricchiscono (e si indebitano)<br />

a velocità tumultuosa<br />

<strong>Il</strong> <strong>Sole</strong> <strong>24</strong> <strong>Ore</strong> <strong>LE</strong>ZIONI <strong>PER</strong> IL FUTURO<br />

spezzata dalle fiamme su Washington<br />

e New York dell’11 settembre<br />

2001, culminate nelle guerre in Afghanistan<br />

e Irak mentre la Russia,<br />

ricca di petrolio, e la Cina, ricca di<br />

lavoro, tornano protagoniste.<br />

Nel contesto di queste idee,<br />

di questi dubbi e angosce matura<br />

e scoppia la crisi finanziaria<br />

e economica del 2008. Provare a<br />

spiegarla solo in base a criteri moralistici, gli americani cicale il resto del mondo<br />

formiche (e, se mai, gli americani interpretavano negli anni del boom la favola<br />

antica in modo bizzarro, consumando sì da cicale ma sgobbando da formiche!),<br />

o solo economici e giuridici è fallace. La corsa di quello che il consigliere di Reagan,<br />

il falco Luttwak, per primo chiamò “turbocapitalismo” dalle colonne della<br />

“London Review of books” e la mancanza di regole per il lassismo di Rubin e del<br />

presidente della Federal Reserve Alan Greenspan si spiegano solo partendo dall’equilibrio<br />

precario della geopolitica 2000. Certo, d’intesa con Greenspan, già nel<br />

1997 Rubin contrastò i freni ai derivati proposti da Brooksley Born, la giurista a<br />

capo della Commodity Futures Trading Commission: ma davvero qualcuno ritiene<br />

che quei poveri legacci alla piena della storia ne avrebbero fermato il corso?<br />

Orfani di ideologie, angosciati dalla crisi industriale e dal nuovo terrorismo, milioni<br />

di esseri umani trovarono forza e slancio nella globalizzazione, arricchendosi<br />

in Occidente, o indebitandosi per consumare come se fossero ricchi, cambiando<br />

status sociale in Oriente e America Latina dopo secoli di sofferenze. Ma nessuna<br />

istituzione, nessuno stato, nessun sistema economico, nessuna dottrina politica offriva<br />

riparo davanti alla crescita tumultuosa, e alla sua tumultuosa versione dell’azzardo<br />

“turbofinanziario”. Fallito l’ordine di Bush padre, esaurita la globalizzazione<br />

del boom di Clinton e impantanata a Kabul e Baghdad l’America di Bush figlio, il

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