18 Altri Autori [10] consigliano riposo a letto per 2-5 giorni; se il dolore persiste dopo 2-3 settimane, può essere indossato un corsetto, rigido o semirigido, ma sempre per un breve periodo di tempo. Esercizi di rinforzo muscolare e incremento della resistenza dei muscoli estensori della colonna, degli addominali e dei muscoli respiratori andrebbero iniziati al più presto, anche durante il trattamento con corsetto. Da quanto emerge dalla letteratura, vediamo come sia ancora in corso il dibattito sull’opportunità e sulle modalità di utilizzo del corsetto <strong>ortopedico</strong>, e di quale corsetto, dibattito che si svolge nella stridente assenza di dati di evidenza scientifica. Esiste infatti un solo studio clinico randomizzato controllato che dimostra l’efficacia di un tutore <strong>ortopedico</strong> sul controllo del dolore, sulla riduzione della disabilità e sul miglioramento della postura in un gruppo di pazienti con fratture vertebrali non recenti [11]. Non vi è invece alcuno studio sugli effetti in pazienti con frattura vertebrale recente. Nell’ultimo decennio ha assunto un ruolo sempre più importante il trattamento chirurgico delle fratture vertebrali, con lo sviluppo di tecniche quali vertebroplastica (VP) e cifoplastica (KP). Entrambe queste tecniche chirurgiche hanno ottimi risultati sul dolore, con una diminuzione dell’87% nella VP e del 95% nella KP [12]. Risultati altrettanto buoni ottengono nella riduzione della disabilità (50% in VP e KP) [13]. Vertebroplastica e cifoplastica possono essere considerate una possibile alternativa al trattamento conservativo, in pazienti selezionati e con indicazioni la cui definizione non rientra negli scopi di questo articolo [14]. Dall’esame della letteratura a oggi disponibile, possiamo evincere che il trattamento di fratture vertebrali recenti deve essere finalizzato al raggiungimento di tre obiettivi: il controllo del dolore con riposo a letto e analgesici, la prevenzione dell’aggravamento della deformità indossando un tutore <strong>ortopedico</strong> rigido e il precoce recupero funzionale tramite esercizi per la correzione della postura, la stabilizzazione del rachide e il recupero del decondizionamento. In questa prospettiva, di particolare interesse nel panorama attuale ci sembra la proposta di Frost [15]. Secondo l’Autore, la storia naturale delle fratture vertebrali va suddivisa in tre fasi: la prima fase “acuta” di tre settimane, una seconda fase di “guarigione ossea” di sei settimane, e infine la fase del recupero della durata media di 3 settimane. Nella prima settimana è indicato il riposo a letto, seguito nella seconda settimana dalla possibilità per il paziente di alzarsi con l’applicazione di un tutore rigido per 10 minuti 10 volte al giorno, fino ad arrivare a 20 minuti per 10 volte al giorno nella terza settimana. Nella fase della guarigione ossea il paziente può riprendere la stazione eretta con tutore e viene previsto un riposo a letto di 20 minuti ogni 2 ore (Intermittent Horizontal Rest Regimen, IHRR). Nella fase del recupero, il paziente deve gradualmente abbandonare il corsetto, rimuovendolo 3 ore prima di dormire nella prima settimana, poi 6 e 9 ore nelle 2 settimane successive. Tale protocollo di trattamento è destinato alle fratture acute con una significativa sintomatologia, mentre può essere semplificato nei casi con deformità o sintomi di entità più ridotta. La proposta di Frost ha il pregio di riferirsi a una tempistica razionale con proposte adeguate. Inoltre, nella nostra esperienza, la proposta dell’IHRR può risultare molto utile anche nei soggetti con dolore cronico per esiti di cedimenti vertebrali multipli. Siamo comunque concordi sull’importanza attribuita alla chinesiterapia precoce, effettuata anche durante il trattamento con corsetto rigido a tre punti. In corsetto, il paziente ha la possibilità di mantenere il tono muscolare, con esercizi di tonificazione degli estensori del rachide, degli addominali, dei glutei e dei gruppi muscolari degli arti inferiori. Lo svezzamento dal corsetto avviene mediamente in 3-4 settimane. Una volta abbandonato il corsetto, il paziente dovrebbe essere invitato a effettuare ginnastica antalgica e decontratturante con esercizi di rilassamento ed esercizi in estensione, nonché esercizi di rieducazione posturale al fine di migliorare l’assetto sagittale della colonna e permettere posture in estensione. Nei pazienti affetti da osteoporosi che già una volta sono andati incontro a frattura vertebrale, appare di grande rilievo un programma chinesiterapico di tipo cognitivo, educativo e comportamentale, per per- archivio di Ortopedia e Reumatologia mettere al soggetto di svolgere tutte le quotidiane attività evitando movimenti e posture a rischio per nuove fratture vertebrali, e soprattutto programmi terapeutici tesi a diminuire il rischio di nuove cadute. Gestione del paziente con rachialgia cronica La rachialgia cronica si presenta frequentemente nei soggetti che sono andati incontro a una o più fratture vertebrali. La prevalenza di presentazione di rachialgia cronica è infatti del 40-89% nei pazienti con almeno una pregressa frattura vertebrale, mentre è presente solo nel 21-42% in assenza di fratture vertebrali. Nei soggetti con rachialgia cronica da pregresse fratture vertebrali su base osteoporotica il dolore viene definito di livello moderatograve nel 50% dei casi. Assolutamente da non sottovalutare sono le conseguenze che il dolore cronico porta nei soggetti che ne sono affetti. Secondo Ismail e coll. [6], nei soggetti con pregresse fratture vertebrali la disabilità diviene significativa nel 10- 15% dei pazienti. Tale disabilità si presenta con diverse caratteristiche, variabili da soggetto a soggetto, ma costanti nella popolazione in esame. I problemi più frequentemente riscontrati vanno dai disturbi del sonno, alla difficoltà nel lavarsi o nel vestirsi, all’incertezza nella deambulazione. Alla rachialgia spesso si associano addominalgia, disturbi della digestione e dell’alvo. Alla luce di tutto questo, è facile comprendere come il problema della rachialgia cronica porti il paziente a una progressiva diminuzione della mobilità e delle attività quotidiane, con elevata tendenza all’astenia e alla depressione, isolamento sociale, perdita dell’autostima e della motivazione. Il dolore cronico comporta, come noto, una sovrastrutturazione del dolore che arriva a condizionare pesantemente la vita quotidiana dei pazienti. L’esperienza soggettiva del dolore, la memoria ed episodi ricorrenti di dolore sensibilizzano l’individuo a prevenirlo e ne innescano il timore, fino a instaurare comportamenti tesi a evitare il dolore. Il paziente è perciò portato all’astensione, alla rinuncia per timore dell’esperienza dolore. Il problema del “pain-avoidance behavior” è ben descritto in numerosi studi [16, 17]. Per la complessità di questo quadro clinico, è evidente come l’approccio al paziente debba essere multidisciplinare, per poter controllare non solo il dolore, ma anche tutti i diversi e numerosi problemi che ne derivano. Secondo Sinaki [18], l’obiettivo primario deve essere il miglioramento della postura, quando possibile, e per questo consiglia anche l’utilizzo di un PTS (“posture training support”, una piccola ortesi con spalline) al fine di diminuire l’inappropriato stiramento dei legamenti. Inoltre suggerisce di evitare attività fisiche che incrementino le forze di compressione sui somi vertebrali e di istituire invece un solido programma di esercizi mirati. A questo andrebbe associata anche un’adeguata terapia medica. Alcuni Autori [19] considerano il deficit di forza degli estensori una concausa di rachialgie e deformità. La postura in flessione, tipica della cifosi dorsale, è in grado di causare disabilità, indipendentemente dalla presenza o meno di fratture vertebrali. Di conseguenza è la postura in flessione la causa di dolore cronico, depressione e perdita della motivazione. Anche in questa visione, la causa strettamente ortopedica porta a una condizione multidimensionale che coinvolge negativamente il soggetto in diversi ambiti. In una gestione ragionata del paziente con rachialgia cronica, gli obiettivi da perseguire sono tre: gestire il dolore, stabilizzare la deformità e curare disabilità e depressione. Per spezzare il circolo vizioso che esita nel “pain-avoidance behavior” dobbiamo innanzitutto controllare il dolore, da un lato con un’adeguata terapia medica e dall’altro con l’IHRR e con l’eventuale utilizzo di un tutore <strong>ortopedico</strong> per permettere una stabilizza- Variazione Media 1 0,8 0,6 0,4 0,2 0 -0,2 zione della deformità. Per ridurre la componente posturale della deformità e il decondizionamento del dolore cronico, non si può prescindere dalla programmazione di un solido programma di esercizi di rinforzo muscolare e di rieducazione posturale. Infine, anche per curare gli aspetti psicologici del paziente affetto da rachialgia cronica, è fondamentale perseguire una valorizzazione funzionale e un rinforzo muscolare associati a una terapia di tipo cognitivo-comportamentale. L’esercizio fisico non deve essere teso, come si potrebbe pensare, ad aumentare la densità minerale ossea, bensì, attraverso un miglioramento dello stato di forma generale (aumento della forza e della resistenza) e un graduale recupero dell’autonomia funzionale, deve mirare a risolvere la disabilità e a migliorare la qualità di vita dei pazienti. In uno studio randomizzato controllato [20] due gruppi di 37 pazienti ciascuno, tutte donne in post-menopausa con almeno una frattura vertebrale, sono stati sottoposti a un regime di esercizi domiciliari di “stretching”, allenamento della forza e attività aerobiche una volta al giorno per 3 volte alla settimana per 6 mesi. A 6 mesi i risultati sono ottimi, con riduzione della sintomatologia dolorosa, miglioramento della situazione psicologica e della funzione fisica, nonché un conseguente miglioramento della vita sociale (Fig. 1). Risultati analoghi e ben evidenti anche a 22 mesi di follow-up sono stati ottenuti da Malmros e coll. [21] con esercizi eseguiti ambulatorialmente e al domicilio, comprendenti esercizi di allenamento isometrico degli estensori e flessori del tronco, allenamento dell’equilibrio, associati a esercizi di rilassamento e stretching (Fig. 2). Risultati del OQLQ a 6 mesi * * * * Symptoms Emotion Physical Function ADL Leisure/Social Total control exercise (* = p
Variazione Media 8 6 4 2 0 -2 -4 -6 (p