La profonda avversione di Voegelin per il «progressismo» aiuta a comprendere il notevole fascino che la sua figura esercitò all’interno del panorama conservatore americano. Possono essere individuate affinità, non del tutto superficiali, fra alcune sue argomentazioni e punti programmatici della destra religiosa. Ma ciò dimostra, nel contempo, quanto profonda sia la distanza intercorrente fra questa prospettiva e quella di Oakeshott. Oakeshott è animato dal desiderio di arginare, tempera- re, smorzare il nuovo; Voegelin aspira a rifondare l’antico. Se il primo può fare riferimento ad usi e costumi esistenti, ad equilibri istituzionali già instauratisi – forte è il richiamo, abbiamo visto, al ru- le o law inglese –, il secondo non può che ragionare in termini di restaurazione e di rovesciamento. II. Conservatorismo: una prospettiva di indagine Quest’ultimo paragrafo ripercorre, sulla scorta dell’efficace sintesi di Alan Brinkley, l’affermazione della destra neoconservatrice nel panorama nordamericano durante il XX secolo, sottolineando l’influsso delle diverse anime e i differenti contributi teorici che hanno contribuito ad animarla. Nel paragrafo viene sollevato un ultimo interrogativo: può esistere una teoria politica conservatrice in senso proprio? Il conservatorismo è davvero un’opzione alternativa, ma analoga nella sua articolazione concettuale, al liberalismo, al socialismo, al nazionalismo, e alle altre elaborazioni dottrinali che hanno caratterizzato «l’epoca delle ideologie»? Una possibile risposta, sollecitata dalla lettura delle opere di Voegelin e Oakeshott, può essere la seguente. In termini descrittivi, il conservatorismo può essere definito come un’ideologia in senso debole, poiché costituisce un insieme di idee e di valori riguardanti l’ordine politico e avente la funzione di guidare i comportamenti politici collettivi. Guidare, però, non significa progettare. Da un punto di vista normativo, infatti, il conservatorismo è radicalmente ostile all’ideologia in senso forte: rifiuta cioè il pensiero sistemico, basato su inferenze da postulati indimostrabili; rigetta l’utopismo, ossia la pretesa di edificare società pacificate e perfette; respinge la possibilità di un cambiamento cosciente dell’organizzazione sociale con metodi puramente razionali. L’ordine politico, nella concezione conservatrice, non può prescindere da una qualche fonte di legittimazione extra-individuale ed extra-razionale: sia essa la tradizione, la trascendenza, o qualsiasi altra forza che prescinda dal volontario consenso formulato da individui liberi e responsabili. La Ragione perde quel ruolo attivo, creativo e costruttivo che le ha conferito larga parte della tradizione moderna. La politica cessa di essere un terreno neutro di sperimentazione, in cui la natura umana trova compiuta armonizzazione in un dato assetto istituzionale, sia esso lo Stato costituzionale, la società senza classi, la Nazione o l’Impero. L’ordine non è il prodotto dell’attività consapevole di alcuni indivi- 26
dui; sono gli individui che, al contrario, appartengono a qualche forma di ordine, cui partecipano in modo più o meno consapevole, e con cui – più o meno consapevolmente – convivono. Il conservatore può assumere un atteggiamento radicale (reattivo) allorché tale ordine è mi- nacciato dall’espansione delle ideologie razionalistiche. Il paragrafo si conclude sottolineando l’importanza di un incontro fra la prospettiva d’inda- gine storico-istituzionale e quella più propriamente filosofica. 27
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