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Riassunto - Rinascite

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II. La cecità della scienza politica contemporanea<br />

La prima problematica affrontata, congiuntamente trattata da Voegelin e Oakeshott, consiste<br />

nella critica alle scienze sociali di matrice positivistica.<br />

Il principale bersaglio polemico di Voegelin è l’elaborazione, da parte weberiana, di una<br />

scienza «libera da valori». A suo avviso, non può esistere una scienza che si ponga, rispetto alla realtà,<br />

in una posizione metastorica, trattando gli eventi come «oggetti», del tutto autonomi rispetto<br />

all’osservatore. Né è desiderabile introdurre un’artificiosa distinzione fra giudizi di fatto e giudizi di<br />

valore, poiché – come dimostrano le opere di Platone, Aristotele, e quelli della tradizione tomistica<br />

– gli uni e gli altri coesistono fianco a fianco nel processo di comprensione critica dell’attività umana<br />

(che, Voegelin ribadisce, è sempre un’esistenza storica). Voegelin afferma l’esigenza di una restaurazione<br />

della scienza politica antica: non da un punto di vista contenutistico, bensì metodologico.<br />

Ciò implica la riaffermazione dell’antropologia filosofica, ossia della metafisica in senso greco,<br />

come dimensione imprescindibile nella riflessione teorica sull’uomo in società.<br />

In sintesi, si può dire che per Voegelin il positivismo sia: a) una negazione della scienza<br />

dell’ordine classica e cristiana; b) un atteggiamento di «chiusura» verso la trattazione dei princìpi, e<br />

l’approdo ad un’antropologia filosofica in grado di problematizzare, ad un livello metafisico,<br />

l’esistenza umana; c) l’indebito tentativo di imporre alle scienze umane i metodi propri delle scienze<br />

naturali. Le sue conseguenze sono relativistiche, sotto il profilo gnoseologiche, e nichilistiche,<br />

sotto quello politico.<br />

In Michael Oakeshott manca una discussione critica della metodologia positivistica paragonabile<br />

a quella di Voegelin; eppure, è possibile individuare, in alcuni passi dei suoi scritti, una profonda<br />

avversione alla commistione fra attività scientifica ed attività politica, nonché fra storiografia<br />

e sapere applicativo. Voegelin avversa l’epistemologia positivistica in sé e per sé, come obnubilamento<br />

dei princìpi primi e della riflessione meta-empirica; Oakeshott contesta, principalmente, la<br />

presunzione scientifica – connessa al positivismo – di inglobare ed imprigionare il reale, facendo<br />

della scienza il criterio ultimo di valutazione della condotta umana. Pur con differenze significative,<br />

tanto Voegelin quanto Oakeshott scorgono in un certo modo di intendere la scienza una forma di<br />

υβρις: per Voegelin, essa risiede nella negazione della trascendenza; per Oakeshott, in quella della<br />

pluralità delle sfere conoscitive che caratterizzano l’esistenza.<br />

Lungi dal potere essere assolutizzata, la conoscenza scientifico-naturalistica costituisce infatti<br />

soltanto una delle possibili modalità di comprensione del reale. La storia, in particolare, non si<br />

presta ad essere concepita come terreno privilegiato per l’applicazione di generalizzazioni teoriche<br />

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