Riassunto - Rinascite
Riassunto - Rinascite
Riassunto - Rinascite
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
<strong>Riassunto</strong><br />
Il presente abstract riassume il contenuto di «Dopo la Ragione. Eric Voegelin e Michael<br />
Oakeshott fra crisi del liberalismo e rinascita del pensiero conservatore».<br />
In queste pagine verrà offerto un quadro generale, sintetico ma quanto più possibile esausti-<br />
vo, di tematiche e problemi discussi nella versione estesa dell’elaborato. Onde facilitare la lettura,<br />
ed eventualmente la parallela consultazione della versione estesa, l’abstract manterrà inalterata la<br />
divisione in capitoli e paragrafi rinvenibili nella tesi. Per analoghe ragioni di praticità e di agilità<br />
nella lettura, vengono in questa sede eliminate le note a pie’ pagina. In conclusione è allegata copia<br />
della bibliografia integrale.<br />
Il lavoro risulta strutturato in cinque capitoli, ognuno di quali articolato in un numero variabile<br />
di paragrafi e di sottoparagrafi.<br />
Il primo capitolo costituisce un’introduzione incentrata sul problema del conservatorismo: la<br />
sua rilevanza storica nell’età contemporanea e l’importanza di una sua comprensione in termini ideologici.<br />
Il secondo capitolo verte sulla ricostruzione di un ventennio di vita intellettuale americana,<br />
identificato con l’espressione New Deal Order (1932-1952). In questa congiuntura storica, l’effetto<br />
combinato di alcuni fattori di natura socio-economica e di alcune influenti elaborazioni teoriche,<br />
contribuì ad avviare una profonda ridefinizione del discorso politico, soprattutto in seno al paradigma<br />
liberale: emerse un «nuovo liberalismo», razionalistico e costruttivistico, favorevole ad un incremento<br />
dell’intervento pubblico in campo economico, che presupponeva strette forme di collaborazione<br />
fra teoria politica e scienze sociali<br />
Il terzo capitolo analizza, in chiave comparata, alcuni contributi di autori appartenenti al filone<br />
liberale – Berlin, Talmon, Hayek, Niebuhr – che, nei primi anni ’50, adottarono tutti, sia pure<br />
con sensibilità e da prospettive diverse, una posizione critica nei confronti del «nuovo liberalismo»<br />
emerso nel ventennio precedente.<br />
Il quarto capitolo è dedicato al confronto tra alcune opere di Eric Voegelin (1901-1985) e<br />
Michael Oakeshott (1901-1990), attraverso l’individuazione di alcune tematiche rinvenibili negli<br />
scritti di entrambi. La prospettiva in cui sono esaminati gli scritti di Voegelin e Oakeshott rispecchia<br />
la ricostruzione svolta nei capitoli precedenti: particolare attenzione sarà dedicata alla critica, mossa<br />
da entrambi, alle scienze sociali avalutative di matrice positivistica e alla tradizione razionalistica<br />
(di cui il liberalismo è considerata emanazione). Pur nelle evidenti differenze, Voegelin e Oakeshott<br />
rappresentarono infatti due autorevoli voci destinate a influenzare in modo significativo la rinascita<br />
del pensiero conservatore moderno.<br />
1
Il quinto capitolo, infine, espone alcune riflessioni conclusive relative al rapporto esistente,<br />
all’interno del pensiero conservatore, fra difesa della tradizione e restaurazione dell’antico.<br />
Passiamo ora all’esposizione sintetica dei contenuti dei singoli capitoli.<br />
Cap. I. Introduzione. Conservatorismo: uno, nessuno, centomila<br />
I. Un secolo conservatore<br />
Autori come Robert S. Redmond, Anthony Sheldon, Stuart Ball, Gregory Schneider, Giuseppe<br />
Mammarella hanno tutti evidenziato l’enorme influenza esercitata dal conservatorismo sulla<br />
vita pubblica statunitense e britannica nel secolo XX. Empiricamente, si può riscontrare che in<br />
quattordici delle ventisei tornate elettorali il partito Tory ha conseguito una robusta maggioranza<br />
parlamentare, e in altre otto ha comunque beneficiato di una maggioranza relativa. Solo in quattro<br />
occasioni – 1906, 1945, 1966 e 1997 – la sua sconfitta è stata netta, e in appena tre casi la percentuale<br />
dei voti è scesa sotto il 40%. Per quanto concerne il Partito Repubblicano Americano – la formazione<br />
più sensibile ai valori del conservatorismo – , i dati sembrano meno univoci: esso ha espresso,<br />
fra il 1901 e il 2000, undici presidenti su diciotto, ma i democratici hanno controllato entrambi<br />
i rami del Congresso dal 1933 al 1947, dal 1955 al 1981 e dal 1987 al 1995. Nel XX secolo,<br />
un solo presidente repubblicano eletto dopo il New Deal – Ronald Reagan – ha goduto<br />
dell’appoggio del Senato per un intero mandato. Questi dati, tuttavia, vanno interpretati alla luce di<br />
alcune precisazioni: anzitutto, la cospicua rappresentanza conservatrice presente all’interno del Partito<br />
Democratico; in secondo luogo, l’esistenza di cleavages etnico-religiosi che impediscono ai<br />
partiti americani di rappresentare l’elettorato sulla base della semplice identificazione con una ideologia.<br />
Lo studio delle piattaforme, dei programmi e dei valori ispiratori delle forze in campo dimostra,<br />
invece, come – soprattutto fra il 1968 e il 2000 – gli Stati Uniti abbiano conosciuto un significativo<br />
radicamento della cultura conservatrice.<br />
II. Il potere delle idee<br />
Tale radicamento impone un chiarimento relativo ai fattori che l’hanno generato. Una parte<br />
importante – a nostro avviso – spetta alla variabile ideologica, la quale possiede una sua autonomia<br />
ed un suo peso. Non sono accettabili, pertanto, le tesi di quanti scorgono nel conservatorismo un fenomeno<br />
culturalmente sterile, incapace di incidere in profondità nella civic culture e di modificarne<br />
i presupposti. Numerose testimonianze – soprattutto di autorevoli esponenti della sinistra – hanno<br />
2
evidenziano come le figure di Thatcher e Reagan abbiano significativamente mutato l’orientamento<br />
dell’opinione pubblica su questioni di primaria rilevanza pubblica. In secondo luogo, vanno respinte<br />
le tesi che sottendono un’immagine, meno tranchant e pertanto più credibile, del conservatorismo<br />
come agglomerato di risposte locali a problemi locali, contraddistinte dalla valorizzazione, caso per<br />
caso, delle soluzioni maggiormente conformi al senso comune e agli usi autoctoni. Al contrario, il<br />
conservatorismo ha dimostrato – proprio con Reagan e Thatcher – la capacità di farsi messaggio po-<br />
tenzialmente “universale”, attecchendo in contesti socio-culturali assai diversi dal mondo anglosassone.<br />
Non ci si può accontentare, in conclusione, di una concezione che scorga nei successi di partiti<br />
e movimenti conservatori un prodotto di fattori meramente endogeni a singoli Paesi, e la contemporaneità<br />
di tali successi a mere giustapposizioni cronologiche. Per abbandonare un simile, ingiustificato<br />
riduzionismo, occorre aggiungere almeno un quid: e questo quid è rappresentato, per<br />
l’appunto, dall’ideologia.<br />
III. La definizione situazionale e i suoi limiti<br />
Definire il conservatorismo una ideologia non significa aderire, comunque, alla interpretazione<br />
situazionale formulata da Huntington. Secondo Huntington, il conservatorismo costituirebbe<br />
«quel sistema di idee utilizzato per giustificare ogni ordine sociale stabilito, indipendentemente da<br />
quando o dove esso trovi la propria origine, e utilizzato contro ogni sfida alle fondamenta di questo<br />
e della sua stessa esistenza, indipendentemente dalla parte da cui tale sfida provenga».<br />
Questa definizione, meramente formale ed esteriore, è però incapace di spiegare come mai<br />
partiti e forze conservatrice abbiano promosso – soprattutto sul fine degli anni ’70 – politiche di<br />
drastica cesura rispetto al passato. A nostro avviso, la tesi di Huntington va adeguatamente compresa<br />
all’interno del dibattito teorico degli anni ’50, e alla reazione dei liberal statunitensi nei confronti<br />
delle critiche della «New Right».<br />
IV. Alle radici dell’ideologia conservatrice<br />
In questo paragrafo, viene sottolineata l’importanza del contesto storico per comprendere la<br />
rinascita del pensiero conservatore. Lo sviluppo del liberalismo razionalistico, fra gli anni ’30 e gli<br />
anni ’50, rappresentò una fase di straordinario rilievo nella storia del pensiero politico contemporaneo.<br />
L’esperimento del New Deal costituì un tentativo inedito e, per molti versi, rivoluzionario di<br />
coniugare libertà individuale e sicurezza sociale. Quando quella formula politica e quel paradigma<br />
3
teorico si esaurirono – in parte a causa di fattori esogeni, riconducibili alla crescita economica e ai<br />
rapporti di forza internazionali; in parte sotto l’influsso di nuove interpretazioni del pensiero libera-<br />
le –, il conservatorismo ebbe modo di attecchire. La crisi de liberalismo progressista, quindi, è la<br />
precondizione ideologica ed istituzionale dell’affermazione thatcheriana e reaganiana negli anni<br />
’70.<br />
Cap. II. La vita e i tempi dell’ordine liberale<br />
I. Capire il New Deal: il ruolo delle idee<br />
Sulla base delle argomentazioni di Ellis W. Hawley, intese a valorizzare la componente ideologica<br />
alla base del New Deal, vengono criticate due posizioni storiografiche alternative. La prima<br />
è quella “consensualista” (o classica) dell’età rooseveltiana proposta da autori come Richard Hofstadter<br />
e Arthur M. Schlesinger Jr., interamente focalizzata sull’abilità strategica e la spregiudicatezza<br />
del Presidente, assistito da uomini descritti come pragmatici ed anti-ideologici; la seconda –<br />
riconducibile ad alcuni economisti e sociologi – secondo cui il New Deal rappresenterebbe il prodotto<br />
oggettivo e necessitato di determinati fattori, indipendenti dall’elaborazione teorica.<br />
Nel tentativo di elaborare un’interpretazione ideologica del New Deal, ci nel paragrafo si<br />
sottolinea l’abbandono, da parte dei liberal, della tradizione antistatalista e il loro impegno a favore<br />
di una più intensa attività di intervento pubblico in campo economico e sociale. Ciò implicherà, nei<br />
paragrafi successivi, l’assenza di riferimenti alle concrete realizzazioni della amministrazione Roosevelt,<br />
ed il ricorso a coordinate cronologiche diverse da quelle della storiografia evenemenziale.<br />
L’attenzione, in altri termini, non verterà sul New Deal in senso stretto, bensì sulla nascita e il consolidamento<br />
di quello che alcuni storici hanno definito New Deal Order, e che altri preferiscono<br />
chiamare Liberal Order, o Democratic Order. Nei sottoparagrafi successivi, verranno esposte le<br />
tesi di autori direttamente coinvolti nel, ovvero simpatizzanti del, New Deal, nel tentativo di offrire<br />
un quadro panoramico della cultura newdealista negli anni ’30.<br />
I.1 Contro l’economia classica: Adolf A. Berle e Rexford Tugwell<br />
Nel primo sottoparagrafo, vengono discusse le tesi di due newdealer, Adolf A. Berle e Rexford<br />
G. Tugwell, elaborate a breve distanza dal Grande Crollo del 1929. Critici entrambi verso la<br />
scuola economica classica, proposero forme di coordinamento del mercato basate su corporations<br />
4
autonome rispetto al potere politico, cogestite da imprenditori e sindacati, ovvero forme di pianifi-<br />
cazione parziale del mercato.<br />
I.2. Rinnovare il liberalismo: John Dewey e John Maynard Keynes<br />
Nel secondo sottoparagrafo, vengono trattate due figure cruciali – John Dewey e John Maynard<br />
Keynes – nella formulazione del «nuovo liberalismo».<br />
John Dewey distinse un liberalismo antico, dottrinario e pregiudizialmente antistatalista, da<br />
uno nuovo, pragmatico, riformatore e relativista. A suo giudizio, contrapporre individuo e Stato poteva<br />
avere un senso sotto un regime tirannico ed assolutista, ma risultava assurdo in democrazia, e<br />
finiva per gettare discredito sull’idea stessa di individualità, associata a comportamenti egoistici ed<br />
antisociali. Dovere del nuovo liberalismo era incoraggiare lo sviluppo dell’individualità. Per questo<br />
le istituzioni politiche non avrebbero dovuto meramente difendere la libertà esistente, bensì promuoverla<br />
e diffonderla attraverso nuove forme, e con nuovi metodi. I liberali, in particolare, avrebbero<br />
dovuto basarsi sulle indicazioni fornite dalle scienze sociali per garantire l’implementazione di<br />
riforme razionali, efficaci, incisive. Relativismo storico e sperimentalismo rappresentavano le stelle<br />
polari di un liberalismo che non si contrapponeva al radicalismo politico, ma sottolineava comunque<br />
l’importanza di un vasto consenso a sostegno delle trasformazioni socio-economiche da realizzare.<br />
Notevoli somiglianze con la proposta di Dewey sono rinvenibili in alcuni scritti di John Maynard<br />
Keynes, risalenti alla fine degli anni ’20.<br />
Ripercorrendo le principali tappe dell’affermazione del liberoscambismo come dottrina sociale,<br />
Keynes notava come gli economisti avessero svolto un ruolo di primo piano nel legittimare<br />
l’idea di un armonica combinazione fra interesse privato e benessere collettivo. Poiché tale assunto<br />
si era dimostrato, alla prova dei fatti, falso, si rendeva necessaria un’opera di smascheramento di<br />
pregiudizi, dogmi e luoghi comuni che ruotavano attorno al ruolo dello Stato nel settore economico.<br />
Proprio gli economisti avrebbero potuto individuare casi concreti in cui un più marcato intervento<br />
pubblico (tramite la creazione di enti pubblici autonomi , ovvero mediante il ricorso alla politica<br />
monetaria) avrebbe permesso di accrescere il benessere diffuso. Lo stesso Keynes, in una celebre<br />
lettera aperta, si rivolse a Roosevelt, definendolo il «vessillo di tutti coloro che in ogni paese cercano<br />
di correggere i mali della nostra condizione per mezzo di esperimenti ragionati, nel contesto<br />
dell’attuale sistema sociale». A suo giudizio, un capitalismo “organizzato”, non alternativo al sistema<br />
di mercato, ma in grado di stabilizzarne l’andamento, rispecchiava l’unica via d’uscita che<br />
5
permettesse nel contempo di mantenere la formula politica democratico-rappresentativa e di fuoriu-<br />
scire dalla crisi economica.<br />
I.3. La scienza politica al servizio della trasformazione: Charles E. Merriam<br />
L’elevata considerazione che autori come Dewey manifestavano nei confronti delle scienze<br />
– naturali e sociali – garantì un punto di contatto fra il liberalismo razionalistico e discipline come<br />
la sociologia o la scienza politica. Diversamente da quanto era avvenuto in Europa, negli Stati Uniti<br />
non si era un verificato un Methodenstreit fra sostenitori di un approccio umanistico tradizionale ed<br />
uno scientifico allo studio delle problematiche sociali: il ricorso a metodologie sperimentali, basate<br />
sulla verifica empirica, aveva anzi trovato nel pragmatismo un terreno di incontro tra filosofia e sapere<br />
operativo. Le simpatie statunitensi per l’«illuminismo applicato» – l’idea secondo cui la ragione<br />
poteva essere impiegata in modo rigoroso e sistematico per promuovere il benessere sociale –<br />
avevano, per giunta, un radicamento storico ed erano condivise da un vasto numero di intellettuali.<br />
L’isolamento in cui liberali progressisti e social scientists vennero a trovarsi, nel corso degli<br />
anni ’20, contribuì ad avvicinare le loro posizioni. Gli uni e gli altri, inoltre, erano accomunati dal<br />
concepire il problema dell’ordine politico in termini esclusivamente secolari, e tendevano a concepire<br />
la politica come un terreno di sperimentazione e di manipolazione – per fini più o meno moralmente<br />
lodevoli – della condotta umana.<br />
Tutto ciò si tradusse in una condivisione non soltanto di alcuni metodi di indagine e di ricerca,<br />
ma anche di valori: quelli incarnati dalla tradizione democratico-progressista americana, accompagnati<br />
dalla convinzione che un maggiore coinvolgimento di tecnici e di esperti nei processi di decision-making<br />
avrebbe significativamente elevato la qualità e l’efficacia delle policies.<br />
Charles E. Merriam fu uno dei massimi sostenitori dell’opportunità di questa cooperazione.<br />
In numerosi contributi risalenti agli anni ’20, pur sottolineando gli importanti risultati conseguenti,<br />
Merriam continuò a lamentare l’ostracismo di larga parte del mondo accademico e della classe politica<br />
nei confronti di tale proposito.<br />
La crisi del 1929 rappresentò il punto di svolta, l’occasione in cui lo scetticismo e<br />
l’avversione verso una razionalizzazione e tecnicizzazione della vita politica cedettero il passo<br />
all’esigenza di riorganizzare il sistema produttivo. Nasceva l’ingegneria politica, ossia un metodo di<br />
risoluzione dei conflitti che presupponeva contiguità, sia fisica che ideologica, fra decisori politici e<br />
specialisti. Gli obiettivi su cui un gran numero di scienziati sociali e decisori politici ebbero occasione<br />
di convergere, dagli anni ’30 sino alla fine del decennio successivo, furono quelli del liberalismo<br />
progressista, formulato da autori come Dewey e Keynes, che a loro volta ben si conciliavano<br />
6
con la corporate economics delineata da Berle e Tugwell. L’apporto degli intellettuali al New Deal<br />
si basava tanto sulla condivisione ideologica quanto sulla garanzia di benefici materiali.<br />
L’amministrazione Roosevelt garantì posti di lavoro ed un significativo prestigio sociale a skilled<br />
workers che la crisi aveva espulso dal mercato: giornalisti, manager, giuristi, economisti, sociologi.<br />
Il coinvolgimento di questa élite all’interno della amministrazione non si arrestò col progressivo ral-<br />
lentamento della Depressione, ma proseguì ininterrottamente per tutti gli anni ’40.<br />
II. L’entrata in guerra: declino e tramonto della «Old Right»<br />
Nel corso degli anni ’30, la violenta opposizione, proveniente da destra, alle più audaci riforme<br />
sostenute dall’amministrazione Roosevelt le garantì alcune affermazioni. Dopo Pearl Harbor,<br />
tuttavia, il composito schieramento politico ed intellettuale anti-rooseveltiano entrò in crisi.<br />
L’entrata in guerra finì con lo screditare, anzitutto, quel complesso e contraddittorio conglomerato<br />
di posizioni passate alla storia sotto l’etichetta di «isolazionismo». Socialisti come Norman<br />
Thomas, elitisti come Lawrence Dennis e ammiratori del militarismo tedesco come Charles<br />
Lindbergh condividevano l’obiettivo, principalmente difensivo, di mantenere gli Stati Uniti al di<br />
fuori del reticolo di rapporti di forza, e alla logica di potenza ad essi sottesa, che reggeva le relazioni<br />
fra Stati in Europa e in Asia. Adottare un indirizzo isolazionista in politica estera non significava,<br />
tuttavia, propugnare la totale estraniazione degli Stati Uniti dallo scenario internazionale. Le amministrazioni<br />
Harding, Coolidge e Hoover – almeno sino alla crisi del 1929-1930 – avevano dimostrarono<br />
come il disimpegno verso la Società delle Nazioni, la sfiducia nei confronti dell’ordine internazionale<br />
emerso a Versailles, la rivendicazione dell’“eccezionalismo” statunitense fossero pienamente<br />
compatibili con una politica economica liberoscambista, in grado di imporre una sfera<br />
d’influenza americana nell’area asiatica. Il nesso fra libertà individuale, Stato minimo, apertura dei<br />
mercati internazionali ed isolazionismo era al centro della proposta teorica della cosiddetta Old<br />
Right, un agglomerato di intellettuali e uomini politici che ebbero in riviste come The Freeman e<br />
American Mercury il loro centro di aggregazione. Ad accomunarli, in prima istanza, era una profonda<br />
ostilità ed avversione nei confronti del potere del governo». All’intervento pubblico contrapponevano<br />
la difesa della libertà del singolo, e del libero mercato come istituzione più idonea a garantirne<br />
la libera scelta. Richiamandosi alla Scuola di Manchester di Bright e Cobden, i suoi esponenti<br />
ritenevano che un mercato internazionale deregolamentato avrebbe favorito il reciproco armonizzarsi<br />
degli interessi tra le nazioni, mentre la guerra rappresentava il logico corollario della centralità<br />
conferita agli apparati statuali nelle relazioni internazionali. Così, se da un lato rigettavano<br />
l’idea di una comunità internazionale costituita da monadi autarchiche, separate l’una dall’altra da<br />
7
dazi e barriere doganali, dall’altro rifiutavano l’idea wilsoniana di un “direttorio mondiale”, dietro<br />
cui scorgevano il tentativo di riprodurre a livello sopranazionale le medesime logiche di subordinazione<br />
ed oppressione che contraddistinguevano la politica interna.<br />
Ad indirizzare i teorici della Old Right verso l’opzione neutralista non era, però, soltanto la<br />
fiducia verso le potenzialità pacificatrici del libero commercio. A terrorizzarli era l’eventualità che<br />
gli Stati Uniti compissero a ritroso il cammino che Herbert Spencer giudicava proprio della civiltà<br />
moderna: divenendo cioè, da società industriale che erano, una società militare. L’artefice di questa<br />
involuzione aveva, ai loro occhi, un nome ed un cognome preciso: Franklin D. Roosevelt. Secondo<br />
John T. Flynn e molti suoi “compagni di strada”, esso condivideva con i regimi totalitari l’idea di<br />
riordinare la società creando un’economia pianificata e coercitiva, anziché libera, nella quale il<br />
mondo degli affari sarebbe stato riunito in grandi gilde od immense strutture corporative, combinando<br />
elementi di autogoverno o supervisione governativa con una politica economica nazionale di<br />
sostegno a queste strutture. Un’organizzazione di questo tipo, supportata dall’indebitamento pubblico<br />
perpetuo, da centri autonomi di pianificazione e dall’inarrestabile ampliamento della burocrazia,<br />
sarebbe sfociata nel militarismo. Esso, infatti, avrebbe garantito posti di lavoro, cospicui guadagni<br />
per le imprese del settore della difesa, coesione sociale.<br />
L’aggressione subita il 7 dicembre 1941 assestò il colpo di grazia alle pretese isolazioniste<br />
di mantenere gli Stati Uniti fuori dal conflitto. Al di là del casus belli, tuttavia, va evidenziato come<br />
dal 1939 in avanti l’amministrazione Roosevelt avesse intrapreso una massiccia opera di mobilitazione,<br />
diretta a sconfiggere gli umori neutralisti presenti nel Paese. La retorica presidenziale, culminata<br />
nella celeberrima enunciazione delle «quattro libertà», descriveva la lotta antinazista come la<br />
continuazione, su scala mondiale, della battaglia antischiavista di Lincoln. Il richiamo retorico poggiava,<br />
in realtà, su un duplice ordine di considerazione: da un lato, il richiamo al ruolo umanitario<br />
dell’azione statunitense in funzione antinazista; dall’altro, la consapevolezza che lo sviluppo tecnologico<br />
permetteva di colpire un numero crescente di obiettivi.<br />
Nello scontro fra due visioni antitetiche, l’una – quella della Old Right – che rivendicava la<br />
bontà dei mezzi tradizionali (a cominciare dalla cosiddetta «diplomazia del dollaro») per salvaguardare<br />
gli interessi americani; l’altra, di matrice rooseveltiana, che ne postulava l’inadeguatezza e non<br />
escludeva a priori la possibilità di un impegno diretto in Asia ed in Europa, a prevalere fu la seconda:<br />
e fu in particolare l’argomento tecnologico – fortemente supportato da alcuni social scientists –<br />
a fare breccia fra gli oppositori del Presidente. Nel secondo dopoguerra, il declino di figure come<br />
Robert A. Taft e il fallimento di campagne neoisolazioniste quali il Bricker Amendment segnarono<br />
la definitiva emarginazione della Old Right dallo scenario politico americano.<br />
8
III. Il secondo dopoguerra: il trionfo delle scienze sociali e l’esaurimento del riformismo<br />
Pur sancendo la definitiva sconfitta dei suoi oppositori, la guerra raffreddò gran parte<br />
dell’entusiasmo riformatore dei liberali newdealer. Il “nuovo liberalismo” dovette infatti affrontare<br />
le sfide di una società opulenta, che proiettava la propria ricchezza sull’intero globo. L’enorme crescita<br />
economica degli Stati Uniti dal 1945 in poi – una crescita in larga parte scaturita dalla partecipazione<br />
alla guerra – imponeva una riflessione: se la macchina produttiva aveva ripreso il proprio<br />
ricorso, se la disoccupazione era stata riassorbita, il liberalismo progressista avrebbe comunque continuato<br />
a esercitare fascino sull’elettorato? O non era vero piuttosto, come alcuni membri<br />
dell’amministrazione Truman sembravano ventilare, che il riformismo economico, risposta ad esigenze<br />
transitorie, avrebbe dovuto essere definitivamente archiviato?<br />
A questo interrogativo se ne aggiungeva un secondo, relativo ai rapporti internazionali.<br />
L’esito vittorioso della guerra aveva alimentato nei liberal la convinzione di poter instaurare un ordine<br />
internazionale pacifico e duraturo, ma l’emergere di un nuovo, potenziale conflitto con l’URSS<br />
impose di ridefinire le coordinate di politica estera. Ripresa produttiva e «guerra fredda» misero a<br />
dura prova il liberalismo progressista, che proponeva una definizione non economicistica della libertà<br />
e tendeva a trasferire il proprio ottimismo antropologico nel campo delle relazioni internazionali.<br />
Tale crisi non fu invece condivisa dalle scienze, che dal secondo conflitto mondiale avevano<br />
ricevuto un impulso ancor più forte di quello impresso loro dal New Deal, ed avevano individuato<br />
nuovi campi di applicazione e di studio.<br />
Il dialogo fra liberalismo progressista e scienze sociali proseguì, ma su binari diversi da<br />
quelli in risalenti agli anni ’30. Non erano più le scienze sociali a porsi al servizio di un’idea filosofica<br />
di libertà, bensì era la filosofia a dover accettare l’optimum di libertà che le scienze sociali le<br />
imponevano. I liberali tesero sempre più ad appropriarsi dello stile e della mentalità degli scienziati<br />
sociali, mentre questi tesero sempre più a professarsi liberali. Ne scaturì un clima di consensus, basato<br />
sulla scomparsa delle istanze più radicali dallo scenario politico, che contraddistinse il decennio<br />
successivo.<br />
IV. L’eredità del New Deal: il “liberal consensus”<br />
Gli anni ’50 possono essere definiti come una stagione di stabilità politica e di prosperità economica<br />
per la società americana. L’esplosione dei consumi, l’incremento della produttività, la rinascita<br />
della grande impresa contribuirono a creare un nuovo clima politico, meno ostile alla concentrazione<br />
economica rispetto alla stagione precedente.<br />
9
In seno al liberalismo emerse gradualmente un filone tecnocratico che scorgeva dello svi-<br />
luppo tecnologico la possibilità di armonizzare ogni latente conflittualità sociale. Non si trattava più<br />
– ha notato Michael J. Sandel – di difendere i diritti di cittadinanza dei piccoli proprietari, stritolati<br />
dal grande capitale e ostaggio delle grandi compagnie; andava, al contrario, garantita la loro libertà<br />
di scelta, la libertà di muoversi senza interferenze all’interno del mercato, che avrebbe offerto loro<br />
un numero crescente di beni e servizi. Autori come David Lilienthal o Stuart Chase guardarono con<br />
simpatia al rafforzamento dell’impresa privata e nella parallela crescita dell’apparato amministrati-<br />
vo. Un numero crescente di americani, pur non condividendo l’entusiasmo per la pianificazione coltivato<br />
da Chase ed altri tecnocrati liberal, condividevano però l’idea che un big government contraddistinto<br />
da una crescita degli investimenti in ricerca e sviluppo nei settori delle scienze naturali<br />
e sociali fosse indispensabile per assicurare agli Stati Uniti il ruolo di grande potenza, Il rapporto fra<br />
mondo accademico e potere politico si rafforzò notevolmente, permettendo ai più brillanti docenti e<br />
ricercatori universitari nel campo delle relazioni internazionali – da Henry Kissinger a Walt R. Rostow,<br />
da McGeorge Bundy a Samuel P. Huntington – di scalare i vertici dell’amministrazione in<br />
qualità di consiglieri o di consulenti.<br />
La novità rappresentata da questo legame era tanto eclatante da non lasciare indifferente<br />
nemmeno l’establishment. Il Farewell Address del Presidente uscente Dwight D. Einsenhower, che<br />
denunciava il rischio di un processo decisionale prigioniero degli insindacabili pareri degli “esperti”,<br />
prefigurava molte delle contraddizioni in seguito emerse, durante la gestione dell’impegno militare<br />
in Vietnam.<br />
L’egemonia della cultura liberal proseguì, ma finì per essere alimentata più dai trionfi del<br />
sapere applicativo, che non dall’affermazione di una idea «forte» di libertà, come era avvenuto nel<br />
corso del New Deal. Lo straordinario sviluppo delle scienze sociali, l’elaborazione di una politica<br />
estera condivisa, l’anticomunismo, il sostegno allo sviluppo economico favorirono il costituirsi di<br />
un’agenda politica condivisa, cui il liberalismo diede voce. Geodfrey Hodgson ha definito «liberal<br />
consensus» l’insieme questo insieme di precetti, che contrassegnavano il discorso pubblico statunitense<br />
ed erano condivisi da tutti i policy-makers: ai già citati si aggiungevano il primato del sistema<br />
americano, basato su un certo grado di equilibrio fra capitale e lavoro; la natura intrinsecamente<br />
democratica di questo modello; la possibilità di mettere fine alla povertà espandendo la classe media;<br />
l’utilità dell’ingegneria politica; l’anticomunismo; la fiducia della capacità, da parte del Mondo<br />
Libero, di esportare il proprio messaggio e le proprie istituzioni La raffigurazione più efficace della<br />
nuova collocazione dei liberal nello spettro politico fu fornita da Arthur M. Schlesinger Jr. e dal suo<br />
«centro vitale». Esso non indicava né un progetto definito, né un programma politico, bensì un luo-<br />
10
go, un punto di contatto fra moderati di diversi partiti, intenzionati a conservare il modello di vita<br />
americano, proteggendolo dagli opposti estremismi.<br />
Da un punto di vista più generale, va sottolineato l’atteggiamento distaccato e quasi indiffe-<br />
rente con cui numerosi esponenti del liberalismo degli anni ’50 e ’60 assistettero al manifestarsi di<br />
fenomeni antichi e nuovi, contrastanti con l’immagine di una realtà armonica, equilibrata e secolare.<br />
Pochi si accorsero del lento riapparire di una religiosità «orientata alla famiglia, assai consapevole<br />
della guerra fredda ed intimamente tradizionalista; ancora meno contrastarono la tesi secondo cui<br />
«libertà dal bisogno» significava possibilità di consumare ed accrescere il proprio standard di vita<br />
senza interferenze da parte dello Stato. La scarsa capacità, da parte dei liberal, di comprendere i<br />
fermenti culturali provenienti da destra e da sinistra finì per esporli ad una duplice offensiva.<br />
Alla loro sinistra emerse la cosiddetta New Left, un eterogeneo movimento reso coeso dal<br />
“gran rifiuto” della società industriale, della quale contestavano le pratiche repressive e guerrafon-<br />
daie, il disprezzo per l’individualità, la celebrazione della sensibilità piccolo-borghese. A destra, sin<br />
dai primi anni ’50, la pubblicazione di opere come Conservatism Revisited: the Revolt Against the<br />
Revolt 1815-1949 (1949) di Peter Viereck, The Conservative Mind (1953) di Russell Kirk o A Quest<br />
for Community: a Study in Ethics of Order and Freedom (1953) di Robert Nisbet prefigurarono una<br />
stagione di rinnovamento e di mobilitazione.<br />
Il capitolo seguente si concentra su autori che, pur rimanendo nel solco della tradizione libe-<br />
rale, percepirono distintamente la difficoltà, da parte del «nuovo liberalismo», di affrontare le nuove<br />
sfide, pratiche e teoriche, che la società occidentale era chiamata ad affrontare.<br />
Cap. III. Liberalismo rivisitato: Berlin, Talmon, Hayek, Niebuhr<br />
I. Liberalismo realista e liberalismo critico<br />
Nel presente paragrafo, si introduce la distinzione fra liberalismo realista e liberalismo critico,<br />
che permette di cogliere un avvicinamento, da parte di influenti autori liberali, nei primi anni<br />
’50, alla sensibilità realista.<br />
Tanto il liberale realista quanto il liberale critico sono favorevoli ad istituzioni politiche basate<br />
sul consenso. Tale consenso deve basarsi su preferenze espresse da individui singoli, universalmente<br />
concepiti come indistinguibili l’uno dall’altro. Sennonché le due tipologie liberale non<br />
concordano sulle modalità di accertamento di tale consenso. A detta del realista, le istituzioni sono<br />
giustificate dal consenso effettivo e reale di chi le vive nel loro ambito; è estremamente arduo – per<br />
11
non dire impossibile – sostituire un consenso ipotetico a quello concretamente riscontrabile<br />
all’interno di comunità esistenti ed operanti. Da qui l’insistenza sui limiti e la fallibilità della conoscenza<br />
umana. A ciò si aggiunge una scarsa fiducia nell’altruismo e l’individuazione dell’interesse<br />
privato come motore primario dell’agire umano.<br />
Al contrario, secondo il liberale critico, è possibile ed auspicabile cercare di andare oltre le<br />
preferenze effettuali. Diventa prioritario comprendere il contesto entro cui le preferenze effettive si<br />
sono formate, poiché condizioni di vita improprie o discriminazioni possono averle rese non autentiche<br />
o scarsamente rappresentative. Si può, pertanto, giungere a sostituire il consenso concreto con<br />
uno ipotetico, puramente razionale, che riproduca ciò che gli individui avrebbero realmente scelto,<br />
se posti in condizioni di eguaglianza. Un simile sforzo sottende, come è ovvio, un certo grado di fiducia<br />
nella razionalità individuale, un minor pessimismo epistemologico ed una connessione più<br />
stretta fra etica e politica. Tutto ciò si ripercuote sul diverso atteggiamento dei liberali nei confronti<br />
delle altre culture politiche. Mentre il liberalismo realista si avvicina al conservatorismo, il liberalismo<br />
critico dialoga più facilmente col radicalismo: per quest’ultimo, è la sfera pubblica, e non la<br />
privata, a rappresentare l’ambito primario entro cui individui e comunità possono emanciparsi o autorealizzarsi,<br />
al di là della mera soddisfazione di interessi reciproci.<br />
Negli anni ’50, alcuni liberali sottoposero ad un riesame serrato la cultura illuminista settecentesca.<br />
Poiché il comunismo – diversamente dal nazionalsocialismo – non poteva essere liquidato<br />
come un puro e semplice cedimento alla barbarie, diveniva essenziale inquadrarne le origini<br />
all’interno della tradizione filosofica occidentale. Comprensibilmente, l’attenzione fu attratta dalla<br />
Rivoluzione francese e dalla sua involuzione terroristica sotto Robespierre. Il giacobinismo venne<br />
interpretato come l’antecedente più prossimo del leninismo, mentre la dittatura della Comitato di<br />
Salute Pubblica segnò, simbolicamente, il punto di rottura fra liberalismo costituzionale e radicalismo<br />
egualitario. In modo pressoché consequenziale, i liberali classici riscoprirono la figura di Edmund<br />
Burke. Egli era stato, sì, l’inflessibile censore degli avvenimenti del 1789-1790, ma aveva anche<br />
simpatizzato per la rivoluzione americana – una «rivoluzione costituzionale», basata sulla difesa<br />
di antiche guarentigie e poteri locali, e non un salto nel buio compiuto sulla base di teorie puramente<br />
astratte. Burke, inoltre, forniva solidi strumenti epistemologici contro il razionalismo “forte”.<br />
La visione burkeana dello sviluppo istituzionale si ispirava a principi scettici e fallibilisti, ed era naturalmente<br />
diffidente verso ogni tentativo di “direzione cosciente” dell’ordine sociale. Nel contempo,<br />
i liberali realisti teorizzato l’abbandono di un’antropologia ottimistica e di ogni concezione che<br />
vedesse nella politica un campo aperto al dispiegamento di forze compiutamente razionali. Il problema<br />
del male, associato alla corruzione della natura umana, assunse un peculiare rilievo nella trat-<br />
12
tazione delle relazioni internazionali, alle cui sfide l’idealismo liberaldemocratico pareva offrire ri-<br />
sposte inadeguate.<br />
Con ciò, la transizione del mainstream liberale dal polo critico al polo realista poteva dirsi<br />
compiuta. L’interesse prioritario dei teorici si concentrò sull’individuazione del livello minimo di<br />
coercizione richiesta per il mantenimento di una società libera: un’impostazione che, enfatizzando il<br />
rapporto oppositivo fra individuo e Stato, si riallacciava al costituzionalismo ottocentesco. Anche i<br />
presupposti universalistici del liberalismo vacillarono, come dimostra il coevo riemergere della tradizione<br />
pluralista.<br />
I paragrafi successivi sono dedicati all’analisi di alcune opere di tali autori, tutte risalenti al<br />
1952.<br />
II. C’est la faute à Rousseau: la critica all’Illuminismo giacobino<br />
II.1 Isaiah Berlin e i nemici della libertà umana<br />
Nell’ambito di un ciclo di conferenze radiofoniche della BCC, intitolato Freedom and Its<br />
Betrayal, Isaiah Berlin fornì un’interpretazione del razionalismo settecentesco destinato ad influenzare<br />
profondamente la cultura politica conservatrice e liberale moderata. Pur non credendo che il totalitarismo<br />
novecentesco fosse diretta conseguenza della filosofia dei Lumi, Berlin non esitava ad<br />
individuare nell’illuminismo una concezione monista – ossia basata sull’idea che esista una e una<br />
sola risposta valida al problema dell’organizzazione sociale – dell’etica e della politica, dalle latenti<br />
implicazioni autoritarie. L’autore che più di ogni altro aveva declinato in senso autoritario il proprio<br />
razionalismo era, a detta di Berlin, Jean-Jacques Rousseau. La dottrina della volontà generale, secondo<br />
cui l’uomo poteva scegliere secondo ragione, optando per una soluzione integralmente compatibile<br />
con quella di tutti gli altri uomini, fu l’espediente unanimistico con cui Rousseau tentò di<br />
conciliare libertà e coercizione, fondendo l’una dell’altra. Così facendo, tuttavia, rigettò l’ipotesi<br />
che il dissenso ed il conflitto fossero in qualche modo aspetti connotanti ogni società umana, e fornì<br />
un formidabile armamentario teorico ai sostenitori dell’autocrazia.<br />
II.2 Jacob L. Talmon e la democrazia totalitaria<br />
Un’interpretazione ampiamente convergente con quella di Berlin venne proposta dallo storico<br />
israeliano Jacob Talmon in The Origins of Totalitarian Democracy. Secondo Talmon, mentre la<br />
democrazia empirica e liberale procede sulla base del trial and error, senza pretendere di realizzare<br />
13
una completa eguaglianza in ogni sfera dell’esistenza umana, la democrazia totalitaria opera in mo-<br />
do dogmatico, applicando rigidamente alla realtà principi dottrinari e astratti, affinché, presto o tar-<br />
di, un ordine definitivo ed immanente, compiutamente armonico e depoliticizzato, si instauri fra gli<br />
uomini. Così, mentre la democrazia liberale si batte per la riduzione della coercizione, la democra-<br />
zia totalitaria non lesina l’imposizione forzata dei propri scopi, considerando a portata di mano il<br />
Paradiso Terrestre.<br />
Ripercorrendo la genesi della teoria democratico totalitaria – i nomi ricorrenti sono quelli di<br />
Helvétius, Holbach, Morelly, Mably e, con particolare enfasi, Rousseau – Talmon evidenziò come il<br />
non aver adeguatamente tenuto conto delle tradizioni locali e l’aver sopravvalutato compiti e fun-<br />
zioni della sfera collettiva ha contribuito ad alimentare nei democratici totalitari l’illusione<br />
dell’onnipotenza della politica. Simili difetti erano parimenti riscontrabili nel marxismo, che della<br />
democrazia totalitaria rappresentava soltanto l’ultima configurazione. Il modo migliore per contrastare<br />
quest’ultimo consisteva nel liberarsi dall’approccio perfezionista al problema della natura umana<br />
e sottolineare l’importanza del diritto al dissenso. Il pericolo che l’edificazione di nuove istituzioni<br />
ad opera di una ristretta cerchia di “eletti” finisse per annichilire la spontaneità della vita sociale<br />
era per Talmon ancora attuale nell’epoca del Welfare State. Spettava agli intellettuali vigilare<br />
affinché lo Stato assistenziale, che pure rispondeva a necessità a bisogni reali, non degenerasse in<br />
una nuova struttura autoritaria, in grado di annichilire la spontaneità e la vitalità (anche economica)<br />
dei singoli.<br />
III. Commercianti contro ingegneri: Friedrich A. Von Hayek<br />
Friedrich A. Von Hayek – molto meno benevolo di Talmon verso lo Stato sociale – pubblicò<br />
in quello stesso anno The Counter-Revolution of Science, raccolta di saggi scritti nel corso degli<br />
anni ’40. La prima parte del testo può essere considerata un manifesto intellettuale contro lo scientismo<br />
(definibile come l’acritico trasferimento dei metodi propri delle scienze naturali nel campo delle<br />
scienze sociali). L’atteggiamento scientista comportava, secondo Hayek, l’occultamento di almeno<br />
una diversità sostanziale tra scienze naturali e scienze sociali: quella relativa ai rispettivi oggetti<br />
d’indagine. Mentre gli scienziati naturali si occupano di corpi inanimati, e dunque possono – anzi,<br />
debbono – emanciparsi da pregiudizi e credenze fallaci comunemente nutrite nei confronti della natura,<br />
le scienze sociali (o morali) non possono trascurare idee e motivazioni che spingono gli uomini<br />
ad orientare la propria condotta in un modo anziché in un altro. L’approccio scientista, che tendeva<br />
a trascurare l’importanza delle idee costitutive – quelle che effettivamente orientano l’opera degli<br />
14
attori–, paradossalmente finiva per accogliere in modo acritico quelle speculative, frutto<br />
dell’elaborazione post hoc da parte dei filosofi sociali.<br />
La simpatia scientista per tutto ciò che è coscientemente diretto, progettato, pianificato indu-<br />
ce ad accostare la figura del decisore politico a quella dell’ingegnere. Hayek evidenziava come, in<br />
realtà, proprio il modello efficientisco incarnato dall’ingegnere fosse, in qualche misura, un prodot-<br />
to dell’azione del mercato: se l’ingegnere poteva dedicarsi in modo esclusivo ed integrale alla pro-<br />
pria specifica attività, ciò lo si doveva al sistema economico, che indirettamente gli forniva stru-<br />
menti – informazioni e beni materiali – con cui orientare la propria condotta. In secondo luogo,<br />
l’ingegnere era chiamato a compiere le proprie scelte in un momento cronologicamente anteriore<br />
alla realizzazione della propria opera; non così il decisore politico, che operava in un contesto pe-<br />
rennemente instabile, e continuamente reattivo alle eventuali prese di posizione da parte dei deciso-<br />
ri. Il parallelismo, pertanto, poteva dirsi fuorviante.<br />
Alla figura dell’ingegnere poteva essere contrapposta quella del commerciante, più coerente<br />
col paradigma individualista patrocinato da Hayek. Questi svolge una professione più “sociale”,<br />
maggiormente interconnessa con quella di altri uomini. Il suo obiettivo è utilizzare al meglio i mezzi<br />
particolari di cui dispone, e la conoscenza su cui può basarsi – benché circostanziale, mai riassumibile<br />
in enunciati generali, né sempre valida – non è meno utile di quella scientifica, malgrado il<br />
discredito gettato su di essa dal razionalismo costruttivista. Soltanto i singoli commercianti, infatti,<br />
sanno sfruttare al meglio le risorse effettivamente presenti nel mercato, e benché ciascuno di essi<br />
disponga di una quota estremamente ridotta d’informazione, la loro interazione garantisce<br />
un’allocazione più efficiente di quanto non potrebbe fare un singolo pianificatore.<br />
IV. Il disincanto di una superpotenza: Reinhold Niebuhr<br />
Se pensatori come Berlin e Talmon avevano segnalato la tentazione autoritaria insita nel liberalismo<br />
razionalistico e Hayek aveva aspramente polemizzato contro i sostenitori della “direzione<br />
cosciente” dei processi sociali, nessuno quanto Reinhold Niebuhr – teologo e pastore protestante –<br />
denunciò i pericoli che ottimismo ed idealismo creavano nel campo delle relazioni internazionali.<br />
L’intera riflessione filosofica e teologica di Niebuhr ruotava attorno al problema della natura umana<br />
e della sua corruzione. Il “salto nella fede” imponeva una visione più profonda e problematica della<br />
persona umana di quella suggerita dal protestantesimo liberale, nonché l’elaborazione di un messaggio<br />
potenzialmente in grado di operare in modo critico ed oppositivo nei confronti delle strutture<br />
socio-economiche esistenti. Su questo terreno si consumò una precoce frattura con John Dewey ed i<br />
liberali razionalisti, con cui Niebuhr condivideva l’avversione per i guasti prodotti dal mercato de-<br />
15
egolamentato. Se, per Dewey, le contraddizioni della società moderna potevano essere superate<br />
mediante un “nuovo liberalismo”, pragmatico e costruttivista, in grado di rimuovere le cause della<br />
conflittualità fra gruppi ed interessi, per Niebuhr tutto ciò si riduceva ad uno sterile esercizio di uto-<br />
pismo, poiché trascurava un elemento cruciale: l’innato egoismo umano, che impediva di fissare un<br />
limite universale e condiviso ai bisogni di ciascuno. La vena agostiniana, sempre presente nel pen-<br />
siero di Niebuhr, lo indusse ad assumere posizioni antiutopistiche, divenendo, tra l’altro, un precoce<br />
critico ed acuto interprete del marxismo.<br />
L’opera di Niebuhr come teorico delle relazioni internazionali ruota attorno a due saggi, The<br />
Children of Light and the Children of Darkness (1944), e The Irony of American History (1952).<br />
Nel primo, Niebuhr formulava un vero e proprio atto d’accusa verso la tradizione idealistica, che si<br />
era illusa di poter superare gli egoismi tradizionali tramite un semplice richiamo alla ragione. Ricorrendo<br />
alla metafora biblica dei figli della luce e dei figli delle tenebre, Niebuhr elaborava in modo<br />
compiuto una teoria della democrazia basata su un pessimismo antropologico temperato, secondo<br />
cui nessuna conquista civile – ivi compresa una maggiore eguaglianza economica – poteva considerarsi<br />
definitivamente acquisita, e la possibilità di un ordine pacifico fra le nazioni sarebbe dipesa<br />
dalla capacità, da parte dei sistemi democratici, di contrapporsi in modo efficace e, se necessario,<br />
drastico a chi li minacciava. Nella seconda delle opere citate, Niebuhr ricorreva alla categoria<br />
dell’ironia per spiegare il paradosso degli Stati Uniti, una nazione che percepiva se stessa come naturale<br />
depositaria degli ideali di pace e giustizia,ma costretta a servirsi della minaccia nucleare per<br />
poter affermare la propria sopravvivenza storica. L’ironia della storia americana rifletteva, per Niebuhr,<br />
un’ironia più profonda e superiore, che coinvolgeva ogni essere umano. L’uomo pecca non<br />
perché vi sia costretto, né perché liberamente scelga di farlo, ma poiché, essendo imperfetto, non è<br />
in grado di prevedere appieno le conseguenze delle proprie azioni. Egli usa in modo improprio le<br />
facoltà di cui dispone, e ciò spesso lo conduce a situazioni paradossali.<br />
Benché Niebuhr non sia mai stato un apologeta della politica estera statunitense, è innegabile<br />
che il suo desiderio di emancipare la politica dall’utopia rispecchiasse la condizione di profonda<br />
crisi ed incertezza in cui versavano gli intellettuali progressisti. La grande popolarità di Niebuhr può<br />
essere considerata il punto di non ritorno dell’egemonia liberale. La piattaforma liberal, il substrato<br />
che aveva contraddistinto la vita pubblica americana per circa un ventennio, aveva orami confini<br />
quanto mai incerti e porosi. Uomini che avevano sostenuto il New Deal e il Fair Dear, che si erano<br />
identificati con Dewey e Tugwell, eleggevano a loro mentore un pensatore neoagostiniano, che aveva<br />
trascorso gran parte della propria vita a contestarli e che, proprio in The Irony of American History,<br />
aveva descritto le comunità politiche come entità «soggette ad una crescita organica» assai<br />
più che ad una razionale: espressioni ed argomentazioni, queste, che avvicinavano Niebuhr alla sen-<br />
16
sibilità conservatrice. Il prestigio di cui godette Niebuhr nel corso degli anni ’50 rappresentò il pun-<br />
to di massimo scostamento della cultura progressista dalle proprie radici ottimistiche, razionalisti-<br />
che, costruttivistiche.<br />
V. Conclusioni<br />
La polemica contro-illuministica di Talmon e Berlin, la denunzia dell’ingegneria sociale fatta<br />
da Hayek, la rifondazione antropologica del progressismo sollecitata da Niebuhr testimoniano un<br />
profondo malessere verso il liberalismo critico, così come esso era stato declinato in Occidente dagli<br />
anni ’30 in avanti. Proprio perché tali autori, con modi e finalità differenti, rimarcarono in più<br />
occasioni rimarcato la propria distanza dalla destra, il loro lascito intellettuale non si sottrae ad un<br />
paradosso: decisi a rifondare la tradizione di cui si sentivano parte e con cui dialogavano, riorientandola<br />
verso nuove necessità teoriche e pratiche, paradossalmente contribuirono ad affossarla.<br />
I loro argomenti, infatti, funsero da stimolano a quanti non volevano emendare o restaurare il liberalismo,<br />
ma superarlo – dando vita ad un ordine politico radicalmente alternativo a quello vigente.<br />
Probabilmente non esiste un solo pensatore conservatore vivente, in Europa o negli Stati Uniti, che<br />
non abbia un debito verso Berlin, Talmon, Hayek o Niebuhr.<br />
Cap. IV. Verso un ordine post-liberale: Eric Voegelin e Michael Oakeshott a confronto<br />
I. Le ragioni di un confronto<br />
Premesse alcune nitide differenze – di natura biografica prima ancora che teorica – fra Eric<br />
Voegelin e Michael Oakeshott, il paragrafo sottolinea l’utilità di una comparazione della loro opera,<br />
evidenziando significativi punti di contatto nella rispettiva riflessione filosofica. Viene quindi sottolineata<br />
l’importanza dell’elemento temporale: gran parte della critica, mossa da entrambi, al razionalismo<br />
politico moderno venne elaborata tra la fine degli anni ’40 e i primi anni ’50 – al termine,<br />
cioè, del ciclo politico progressista che ha avuto inizio negli anni ’30. L’inserimento di un pensatore<br />
inglese come Oakeshott in una ricostruzione sinora incentrata sugli Stati Uniti si spiega con due<br />
motivazioni: in primo luogo, l’aver guardato alla situazione americana come ad un punto<br />
d’osservazione privilegiato sulle principali tendenze filosofico-politiche dell’epoca; in secondo luogo,<br />
il parallelismo fra la situazione statunitense degli anni ’30 e quella britannica successiva al<br />
1945, in virtù della costruzione del Welfare State da parte laburista dopo il 1945. Il paragrafo chiarisce,<br />
infine, le modalità di comparazione seguite nel proseguo della trattazione.<br />
17
II. La cecità della scienza politica contemporanea<br />
La prima problematica affrontata, congiuntamente trattata da Voegelin e Oakeshott, consiste<br />
nella critica alle scienze sociali di matrice positivistica.<br />
Il principale bersaglio polemico di Voegelin è l’elaborazione, da parte weberiana, di una<br />
scienza «libera da valori». A suo avviso, non può esistere una scienza che si ponga, rispetto alla realtà,<br />
in una posizione metastorica, trattando gli eventi come «oggetti», del tutto autonomi rispetto<br />
all’osservatore. Né è desiderabile introdurre un’artificiosa distinzione fra giudizi di fatto e giudizi di<br />
valore, poiché – come dimostrano le opere di Platone, Aristotele, e quelli della tradizione tomistica<br />
– gli uni e gli altri coesistono fianco a fianco nel processo di comprensione critica dell’attività umana<br />
(che, Voegelin ribadisce, è sempre un’esistenza storica). Voegelin afferma l’esigenza di una restaurazione<br />
della scienza politica antica: non da un punto di vista contenutistico, bensì metodologico.<br />
Ciò implica la riaffermazione dell’antropologia filosofica, ossia della metafisica in senso greco,<br />
come dimensione imprescindibile nella riflessione teorica sull’uomo in società.<br />
In sintesi, si può dire che per Voegelin il positivismo sia: a) una negazione della scienza<br />
dell’ordine classica e cristiana; b) un atteggiamento di «chiusura» verso la trattazione dei princìpi, e<br />
l’approdo ad un’antropologia filosofica in grado di problematizzare, ad un livello metafisico,<br />
l’esistenza umana; c) l’indebito tentativo di imporre alle scienze umane i metodi propri delle scienze<br />
naturali. Le sue conseguenze sono relativistiche, sotto il profilo gnoseologiche, e nichilistiche,<br />
sotto quello politico.<br />
In Michael Oakeshott manca una discussione critica della metodologia positivistica paragonabile<br />
a quella di Voegelin; eppure, è possibile individuare, in alcuni passi dei suoi scritti, una profonda<br />
avversione alla commistione fra attività scientifica ed attività politica, nonché fra storiografia<br />
e sapere applicativo. Voegelin avversa l’epistemologia positivistica in sé e per sé, come obnubilamento<br />
dei princìpi primi e della riflessione meta-empirica; Oakeshott contesta, principalmente, la<br />
presunzione scientifica – connessa al positivismo – di inglobare ed imprigionare il reale, facendo<br />
della scienza il criterio ultimo di valutazione della condotta umana. Pur con differenze significative,<br />
tanto Voegelin quanto Oakeshott scorgono in un certo modo di intendere la scienza una forma di<br />
υβρις: per Voegelin, essa risiede nella negazione della trascendenza; per Oakeshott, in quella della<br />
pluralità delle sfere conoscitive che caratterizzano l’esistenza.<br />
Lungi dal potere essere assolutizzata, la conoscenza scientifico-naturalistica costituisce infatti<br />
soltanto una delle possibili modalità di comprensione del reale. La storia, in particolare, non si<br />
presta ad essere concepita come terreno privilegiato per l’applicazione di generalizzazioni teoriche<br />
18
di tipo simil-scientifico, né va intesa come fonte primaria di insegnamenti morali. Il «razionalismo<br />
in politica», di cui tratteremo nei paragrafi successivi, costituisce per Oakeshott una ignoratio elen-<br />
chi, ossia un travisamento epistemologico operato da chi ritiene possibile trasformare la conoscenza<br />
umana in una «enciclopedia di informazioni» a fini costruttivistici e manipolativi.<br />
III. La rappresentanza distorta<br />
Tanto Voegelin quanto Oakeshott criticano, in secondo luogo, l’interpretazione più diffusa<br />
della nozione di rappresentanza democratica.<br />
Voegelin distingue, anzitutto, una rappresentanza definita elementare da una definita esistenziale.<br />
L’una non necessariamente si contrappone all’altra; la seconda, tuttavia, è precondizione<br />
per il corretto esercizio della prima. La rappresentanza in senso elementare può essere descritta<br />
come il processo scaturente dal rispetto di alcune norme formali volte a garantire un rapporto fiduciario<br />
fra elettore ed eletto; essa costituisce, per così dire, la componente esteriore del funzionamento<br />
di un ordine politico. Ad un livello più profondo, però, esiste un secondo tipo di rappresentanza,<br />
definita esistenziale, derivante dalla capacità, da parte di una società, di articolarsi politicamente,<br />
ossia di esercitare al proprio interno alcune funzioni fondamentali che le garantiscano la sopravvivenza<br />
storica. Vale la pena di rimarcare il carattere necessario di tale articolazione. Una società o è<br />
articolata o non è. Affinché sia «pronta per l’azione», una società ha bisogno che le azioni di alcuni<br />
– i “rappresentanti” – siano imputate alla società nel suo complesso. Ciò implica, in altre parole, che<br />
queste azioni detengano una «forza obbligante» nei confronti dei restanti membri della società. Allorché<br />
tale forza obbligante viene meno, per ragioni materiali ovvero spirituali, l’ordine politico si<br />
disgrega.<br />
Voegelin non critica la rappresentanza elementare in sé e per sé, ciò che contesta è il dogmatismo<br />
con cui – a suo avviso – la teoria politica moderna affronta il tema della rappresentanza, interpretandolo<br />
da un punto di vista meramente orizzontale. Contrariamente a quanto credono positivisti<br />
e liberali, il problema della rappresentanza ha anche una componente religiosa: nessuna filosofia<br />
politica confinata all’immanenza comprende il modo adeguato il processo di articolazione alla<br />
base dell’affermazione di un ordine politico.<br />
L’opposizione trascendenza e immanenza è invece estranea alla riflessione oakeshottiana. Se<br />
Aristotele e Platone sono i punti di riferimento dichiarati di Voegelin, Oakeshott si muove entro una<br />
prospettiva saldamente terrena: il suo punto di riferimento è Hobbes, in cui non scorge – come fa<br />
invece Voegelin – l’espressione di un razionalismo degenerato, scaturito dagli sconvolgimenti prodotti<br />
dalle guerre di religione, bensì un pensatore scettico, influenzato dalla tradizione epicurea, in<br />
19
cui è impossibile trovare «qualsiasi idea del governo come strumento di perfezionamento o di mi-<br />
glioramento umano». Sul punto, quindi, la distanza fra i due autori non potrebbe essere maggiore.<br />
Oakeshott contesta, comunque, la nozione di rappresentanza democratica da un du-<br />
plice punto di vista. Essa, anzitutto, non deve occultare l’origine non contrattuale dell’obbligazione<br />
politica. Per Oakeshott, la democrazia si identifica con l’estensione a tutti i membri della comunità<br />
politica delle guarentigie dal rule of law di derivazione medievale. In secondo luogo, rappresentare<br />
non deve comportare il pervertimento del compito primario dello Stato, consistente nel salvaguarda-<br />
re condizioni giuridiche che garantiscano il perseguimento di una pluralità di fini all’interno della<br />
società civile. Il governo – che Oakeshott assimila, per funzioni, ad un giudice-arbitro – non deve<br />
mirare al perseguimento di interessi di parte. La distorsione più frequente, impressa da liberali ra-<br />
zionalisti e socialisti, al concetto di rappresentanza democratica consiste appunto nel volere conferi-<br />
re al governo un fine specifico, da perseguire mediante gli strumenti coercitivi di cui lo Stato dispo-<br />
ne.<br />
IV. Razionalismo e liberalismo<br />
Abbiamo sin qui rilevato come tanto Voegelin quanto Oakeshott si schierino contro la metodologia<br />
positivistica ed evidenziato ciò che li separa dalla concezione “progressista” della democrazia<br />
rappresentativa. Sulla scorta di quanto detto, è possibile esaminare, in modo più approfondito, le<br />
critiche di entrambi alla tradizione liberale.<br />
L’uno e l’altro si professano oppositori della forma mentis ideologica, che identificano con<br />
la proliferazione degli “ismi” nel discorso politico. Oakeshott analizza, in particolare, i tratti salienti<br />
della mentalità razionalistica – un modo di intendere la politica che innerva diverse tradizioni intellettuali,<br />
dal comunismo al liberalismo progressista –. Il razionalismo di cui scrive Oakeshott è postrinascimentale,<br />
ed affonda le proprie radici in una precisa condizione antropologica, che si riflette in<br />
campo politico, gnoseologico, morale e religioso.<br />
È razionalista, secondo Oakeshott, l’individuo che predica l’indipendenza di pensiero ed il<br />
rifiuto di ogni autorità, al di fuori di quella conferita alla ragione. Scettico verso tutto ciò che è proviene<br />
dal passato, non lo è nei confronti della possibilità di separare con sicurezza il vero dal falso,<br />
di liberarsi dai preconcetti e dalle imperfezioni. Il razionalista limita le esperienze a quelle che può<br />
compiere di persona; non riconosce validità alle altrui. L’esperienza, a suo avviso, non si accumula<br />
di generazione in generazione e, di conseguenza, il passato è soltanto un fardello. Egli manca sia di<br />
negative capability – la capacità di accettare l’esistenza di misteri insondabili tramite l’esperienza –<br />
che di negative enthusiasm – il gusto per l’ignoto e la sfera non razionale. Introducendo un termine<br />
20
che, negli scritti di Voegelin, diverrà centrale, Oakeshott definisce «gnostica» l’impostazione mentale<br />
del razionalista, per il quale la ragione si riduce ad uno «strumento neutrale, finemente messo a<br />
punto» mediante cui costruirsi un’identità finalmente libera da tutto ciò che è imposto o tramandato.<br />
Poiché l’unica forma di cambiamento che accetta è quella indotta e cosciente, il razionalista<br />
tende a concepire la decisione politica come l’affermazione di una verità , assai più che come il raggiungimento<br />
di un compromesso. Egli non distingue fra conoscenza tecnica e conoscenza pratica; le<br />
uniche regole di condotta che ritiene lecite sono quelle dimostrabili razionalmente. Tutto ciò si riflette<br />
nella visione razionalistica dell’educazione, intesa come training in vista dell’esercizio del potere<br />
da parte di un’élite tecnocratica.<br />
Possiamo quindi concludere che, per Oakeshott, il razionalismo: a) è il modo predominante<br />
di concepire la politica nel mondo contemporaneo; b) si basa sull’erronea riduzione della conoscenza<br />
alla conoscenza tecnica; c) tende ad affermarsi in tutti i campi dell’attività umana; d) è una minaccia<br />
per una corretta educazione; e) conosce formulazioni molteplici, a seconda dei principi professati<br />
dall’ideologia razionalistica di turno: nel novero di tali formulazioni, figura anche il liberalismo.<br />
Voegelin condivide con Oakeshott la tesi secondo cui il liberalismo razionalistico consiste<br />
in una forma di ribellione contro l’autorità. Sennonché l’emancipazione liberale descritta da Oakeshott<br />
è principalmente una rivolta contro il passato, le usanze tramandate, le consuetudini plurisecolari,<br />
e la practical kwnoledge che recano con sé; mentre la rivolta delineata da Voegelin è essenzialmente<br />
spirituale, volta a immanentizzare la ragione e a ripudiare la dimensione trascendente.<br />
Ciò rende la posizione liberale estremamente fragile al cospetto del totalitarismo. Criticando due<br />
opere coeve, rispettivamente di Ernest Cassirer e di Hannah Arendt, Voegelin contesta al razionalismo<br />
liberale la tendenza a concepire il progresso come una liberazione dal mito. A suo avviso, inoltre,<br />
liberali e totalitari, confinando la riflessione politica all’immanenza, finiscono per condividere<br />
col totalitarismo un humus comune, a cominciare dalla convinzione di poter manipolare la natura<br />
umana. Come egli scrive, «la vera linea divisoria della crisi contemporanea non corre fra liberali e<br />
totalitari, ma fra i trascendentalisti religiosi e filosofici da un lato e i settari immanentisti liberali e<br />
totalitari dall’altro».<br />
V. Gnosticismo e politica della fede<br />
Per Voegelin, è impossibile comprendere le carenze del pensiero liberale senza inquadrarne<br />
le origini in un processo più vasto, risalente al Medioevo: l’affermazione dello gnosticismo. Con tale<br />
termine, Voegelin indica una forma degenerata di pensiero derivante da un rapporto distorto con<br />
21
la religione: lo gnostico condivide con l’uomo di fede la propensione all’escatologia; egli la colloca,<br />
tuttavia, nella dimensione immanente, concependo la politica come lo strumento più adatto alla rea-<br />
lizzazione di una compiuta e definitiva società giusta. Gnostico è colui il quale volta le spalle alla<br />
trascendenza e si cala in modo compiuto in una dimensione intramondana. Per lui, la realtà non ha<br />
una struttura stabile, immodificabile dall’uomo – quella che Voegelin definisce, sulla scia di Plato-<br />
ne, metaxy – bensì è malleabile; si presta ad essere alterata e manipolata. Egli, inoltre, è incapace di<br />
praticare la metafisica, o di intuire il rapporto esistente fra politica ed antropologia filosofica. Voe-<br />
gelin conia il termine «logofobia» per descrivere il disprezzo con cui lo gnostico tratta i problemi<br />
ontologici. Per Voegelin, tale approccio al problema dell’ordine costituisce una reazione alla de-<br />
divinizzazione della realtà introdotta dal cristianesimo. Voegelin si rifà direttamente ad Agostino e<br />
alla sua distinzione fra Civitas Dei e Civitas hominum, chiarendo la rigida demarcazione esistente,<br />
nella prospettiva cristiana, fra storia sacra e storia profana. Gli gnostici, al contrario, rifiutano questa<br />
distinzione e concepiscono l’esistenza intramondana dell’uomo come campo primario del perfezio-<br />
namento morale, luogo ideale in cui realizzare la profezia millenaristica della fine della Storia (He-<br />
gel, Marx).<br />
La figura di Agostino ha un ruolo di primo piano anche negli scritti di Oakeshott. Della sua<br />
opera, Oakeshott enfatizza la componente antiutopistica e antiperfezionistica. Agostino è contrap-<br />
posto a Pelagio nella formulazione dell’opposizione dicotomica fra politics of faith e politics of<br />
scepticism. La prima, di cui Pelagio fu il precursore e che venne successivamente teorizzata da Ba-<br />
cone, dai puritani e dall’illuminismo, percepisce l’attività di governo come funzionale al persegui-<br />
mento di un fine oggettivo, identificato nel contempo come la massima forma di perfezione cui<br />
l’uomo può legittimamente ambire. La politica della fede, quindi, pur scaturendo da una sensibilità<br />
religiosa, è prettamente anti-religiosa nel concepire la dimensione intramondana come quella idonea<br />
a risolvere il problema della condizione umana. Per bilanciarne gli effetti più perniciosi, Oakeshott<br />
rivendica la dignità di un’altra tradizione intellettuale, identificata con lo scetticismo. Secondo<br />
quest’ultima, il governo non ha altri fini che la preservazione di un ordine “superficiale”, basato sul-<br />
la capacità di garantire ai singoli il perseguimento di fini molteplici. Politica e morale restano, così<br />
distinte; e porre limiti all’attività dei governanti diverrà prioritario, onde garantire che i detentori del<br />
potere non abusino del proprio ruolo, distruggendo il quadro giuridico che garantisce la sopravvi-<br />
venza di una società libera.<br />
VI. Gli spazi perduti della politica: balzo nell’essere e conversazione<br />
22
In questo paragrafo viene affrontato il problema della pars costruens nella filosofia di Voe-<br />
gelin e Oakeshott, relativa al problema politico. Quale spazio, in particolare, essi intendono conferi-<br />
re alla politica? Essa manterrebbe la predominanza che il razionalismo “gnostico” le ha conferito?<br />
Ovvero verrebbe sopravanzata da forme differenti di azione o di condotta?<br />
Vengono qui sottolineati due elementi, presenti negli scritti di Voegelin e Oakeshott, che la-<br />
sciano intravedere nuovi “spazi politici” in senso lato, nuovi ambiti in cui individuo e comunità<br />
possano recuperare un momento di interazione e di (precario) equilibrio.<br />
Per Voegelin, questo spazio è costituito dal «salto nell’essere» (leap in being), ossia dalla<br />
capacità, da parte del singolo, di fare esperienza diretta della trascendenza. Questa esperienza, lungi<br />
dall’essere meramente individuale, può coinvolgere interi popoli. Voegelin così interpreta l’Esodo<br />
israelitico dall’Egitto alla Terra Promessa, o il viaggio intrapreso dai pellegrini olandesi ed inglesi<br />
verso il Nuovo Mondo. Del tutto analogo, del resto, è l’impatto della filosofia socratica sull’ordine<br />
della polis: una radicale ridiscussione delle pratiche quotidiane di vita. L’esperienza della trascen-<br />
denza crea una condizione di tensione fra individuo e comunità, che può tradursi in una ridefinizio-<br />
ne delle istituzioni politiche. Si travisa però la natura del leap in being se lo si intende come un pro-<br />
gramma d’azione, un insieme di proposizioni normative vincolanti. Il leap in being è l’opposto delle<br />
imposture intellettuali gnostiche, perché non cristallizza il problema dell’ordine, non imprigiona<br />
l’umanità in una simbologia perpetua, non sbarra la strada a nuove aperture verso l’Essere. Non esi-<br />
sterà mai un leap in being definitivo, una manifestazione storicamente determinata dell’Essere che<br />
precluda alla coscienza nuove esplorazioni, destinate a riflettere in nuove articolazioni sociali. Tutto<br />
ciò avvicina, e molto, la filosofia di Voegelin al misticismo: una vena che emergerà con forza negli<br />
ultimi anni dell’attività speculativa dell’autore.<br />
L’insistenza voegeliniana sulla componente anche estetica che l’apertura alla trascendenza<br />
comporta lo avvicina idealmente a Oakeshott. Secondo il pensatore britannico, è nelle arti che<br />
l’uomo può riscoprire il valore dell’individualità, ma anche della riflessione non teleologica, della<br />
meditazione, dell’incertezza. Nel contempo, la politica – intesa nella forma più elevata – può essere<br />
assimilata alla conversazione (anch’essa una forma d’arte). Se, per Voegelin, è la trascendenza a<br />
sottrarre il filosofo dai pericoli della “vita inautentica”, Oakeshott scorge nella conversazione una<br />
dimensione esistenziale di gratuità estrema, del tutto scevra da interessi materiali e da propositi te-<br />
leologici. Essa è un viaggio avventuroso, ma privo di meta; non prevede che alcuni siano sconfitti<br />
né che alcuni vincano; non è del tutto ironica, né completamente seria. Al buon conversatore manca<br />
il desiderio di dominare gli altri; non c’è pensiero che provi la validità di alcunché, nessuna tesi da<br />
dimostrare, nessun piano da seguire. Conversare significa entrare in un rapporto di intimità e di em-<br />
23
patia con l’altro-da-sé; significa accettarne l’alternità, sottraendosi al desiderio di imporre i propri<br />
princìpi e la propria visione del mondo.<br />
Se l’alternativa all’ingegnere razionalista risiede, per Voegelin, nel mistico, nel “poeta”, nel<br />
pensatore, Oakeshott opta per la figura del conversatore. Pur con notevoli differenze, mistico e con-<br />
versatore condividono alcune somiglianze non superficiali. Non hanno verità a portata di mano da<br />
diffondere, né società perfette da edificare. Non ritengono la ragione umana uno strumento autosuf-<br />
ficiente con cui orientarsi nel reale. Partecipano ad un flusso di eventi che non possono, né intendo-<br />
no padroneggiare appieno. Considerano i sistemi chiusi come una paralisi del pensiero. Rigettano<br />
come materialista le interpretazioni utilitaristiche dell’azione individuale. Hanno un atteggiamento<br />
critico verso la modernità, che – almeno in parte – identificano con un tentativo di alterare i caratteri<br />
più profondi della natura umana. Sono antiutopisti. Accettano la democrazia liberale, ma ne scorgo-<br />
no i fraintendimenti e le debolezze. La loro percezione dell’universo è caratterizzata da un senso di<br />
incertezza; la condotta umana sempre segnata dalla consapevolezza del limite.<br />
La filosofia di Voegelin e Oakeshott non può essere definita «politica»in senso stretto, eppu-<br />
re è densa di implicazioni politiche, poiché frontalmente configge con le modalità più diffuse con<br />
cui la politica è stata teorizzata e praticata in Occidente nel secolo XX.<br />
VII. Epilogo: un breve incontro<br />
L’ultimo paragrafo esamina la recensione che Michael Oakeshott dedicò a The New Science<br />
of Politics di Eric Voegelin. Attraverso l’analisi del testo, emerge il diverso atteggiamento tenuto<br />
dai due autori nei confronti della tradizione intellettuale anteriore alla diffusione del razionalismo.<br />
Secondo Oakeshott, il limite di Voegelin consiste nella sottovalutazione della vitalità<br />
dell’agostinismo politico (ossia della politica dello scetticismo). Questo filone non si è esaurito; sopravvive<br />
e può vanificare, o quantomeno arginare l’entusiasmo dei razionalisti. Ma ciò che Voegelin<br />
non desidera, appunto, è ancorare la propria filosofia a qualche elaborazione teorica preesistente.<br />
La ricerca dell’ordine è un processo sempiterno, mai concluso, che impone sforzi teoretici inediti,<br />
nuovi. Non è possibile riproporre acriticamente una dottrina del passato; il problema dell’ordine<br />
impone uno sforzo di ridefinizione concettuale incentrato sull’apertura dell’anima alla dimensione<br />
trascendente.<br />
Cap. V. Conclusione. Il conservatorismo fra difesa e reazione<br />
24
I. Preservare o rifondare?<br />
Sulla base della comparazione svolta nel capitolo precedente, questo paragrafo approfondisce<br />
il modo in cui Oakeshott e Voegelin intesero affrontare il problema della pervasività delle ideologie<br />
razionalistiche, nonché l’impatto deteriore di esse sull’ordine politico.<br />
Per Oakeshott, una possibile soluzione è incarnata dalla «disposizione» conservatrice, che<br />
trae origine alcune connotazioni psicologiche e comporta un atteggiamento prudente, restio ad accettare<br />
in modo indiscriminato l’innovazione. Essa rifiuta la prospettiva morale degli utilitaristi, secondo<br />
cui rapporti fra individui sono sempre e comunque classificabili come rapporti di scambio in<br />
vista della massimizzazione delle utilità individuali. Politicamente, il conservatorismo consiste nel<br />
trasferimento di questa sensibilità – prudente, scettica, refrattaria a rapporti dettati da ragioni meramente<br />
utilitaristiche o strumentali – dalla sfera privata alla sfera pubblica. Per il conservatore,<br />
l’attività di governo è essenziale ma circoscritta: essa consiste nell’applicare, in modo quanto più<br />
rigoroso e imparziale, le norme maturate nel corso dell’esperienza storica, garantendo così un quadro<br />
giuridico di riferimento (vinculum juris) in cui pratiche diverse, svolte con fini diversi, possano<br />
civilmente coesistere. Diversamente dal razionalista, il conservatore non concepisce il governare<br />
come un’attività teleologica, in vista della realizzazione di qualche forma di “bene pubblico”, ma<br />
come l’arte di instaurare equilibri precari fra interessi divergenti.<br />
Il conservatorismo di cui scrive Oakeshott può, entro certi limiti, essere ricondotto al tradizionalismo:<br />
in base a tale visione, esistono regole di condotta, scaturenti dalla pratica, che le istituzioni<br />
pubbliche sono chiamate a riconoscere e salvaguardare; essere conservatori significa arginare<br />
la pretesa di alterare o di negare l’esistenza di tali regole da parte dei razionalisti (che vorrebbero<br />
introdurne di nuove). Ma che fare quando una tradizione è stata pesantemente intaccata, e sostituita<br />
da un nuovo corpus teorico? Che fare quando le stesse categorie del discorso politico sono state corrotte<br />
da forme distorte di pensiero, manipolate dai demolitori della tradizione intellettuale preesistente?<br />
Questa è la condizione in cui si trovò ad operare Eric Voegelin, nell’America liberal e<br />
positivista degli anni ’50.<br />
È possibile cogliere, negli scritti di Voegelin, un abbozzo di teoria della reazione, culminate<br />
nella «rifondazione della sostanza spirituale» della classe dirigente». Poiché il rigetto dall’esperienza<br />
trascendente, l’espulsione del sacro della sfera pubblica, il trionfo della razionalità pragmatica<br />
costituiscono niente più che un oscuramento, un mito politico negante l’ordine dell’Essere, compito<br />
del filosofo sarà contribuire allo sforzo collettivo di liberazione dall’imprigionamento che il razionalismo<br />
illuministico impone alla realtà, chiarendo concetti e ribadendo – con la propria testimonianza<br />
– che esistono altri modi, altri metodi di interpretare il rapporto trascendenza/immanenza.<br />
25
La profonda avversione di Voegelin per il «progressismo» aiuta a comprendere il notevole<br />
fascino che la sua figura esercitò all’interno del panorama conservatore americano. Possono essere<br />
individuate affinità, non del tutto superficiali, fra alcune sue argomentazioni e punti programmatici<br />
della destra religiosa. Ma ciò dimostra, nel contempo, quanto profonda sia la distanza intercorrente<br />
fra questa prospettiva e quella di Oakeshott. Oakeshott è animato dal desiderio di arginare, tempera-<br />
re, smorzare il nuovo; Voegelin aspira a rifondare l’antico. Se il primo può fare riferimento ad usi e<br />
costumi esistenti, ad equilibri istituzionali già instauratisi – forte è il richiamo, abbiamo visto, al ru-<br />
le o law inglese –, il secondo non può che ragionare in termini di restaurazione e di rovesciamento.<br />
II. Conservatorismo: una prospettiva di indagine<br />
Quest’ultimo paragrafo ripercorre, sulla scorta dell’efficace sintesi di Alan Brinkley,<br />
l’affermazione della destra neoconservatrice nel panorama nordamericano durante il XX secolo,<br />
sottolineando l’influsso delle diverse anime e i differenti contributi teorici che hanno contribuito ad<br />
animarla.<br />
Nel paragrafo viene sollevato un ultimo interrogativo: può esistere una teoria politica conservatrice<br />
in senso proprio? Il conservatorismo è davvero un’opzione alternativa, ma analoga nella<br />
sua articolazione concettuale, al liberalismo, al socialismo, al nazionalismo, e alle altre elaborazioni<br />
dottrinali che hanno caratterizzato «l’epoca delle ideologie»?<br />
Una possibile risposta, sollecitata dalla lettura delle opere di Voegelin e Oakeshott, può essere<br />
la seguente. In termini descrittivi, il conservatorismo può essere definito come un’ideologia in<br />
senso debole, poiché costituisce un insieme di idee e di valori riguardanti l’ordine politico e avente<br />
la funzione di guidare i comportamenti politici collettivi. Guidare, però, non significa progettare. Da<br />
un punto di vista normativo, infatti, il conservatorismo è radicalmente ostile all’ideologia in senso<br />
forte: rifiuta cioè il pensiero sistemico, basato su inferenze da postulati indimostrabili; rigetta<br />
l’utopismo, ossia la pretesa di edificare società pacificate e perfette; respinge la possibilità di un<br />
cambiamento cosciente dell’organizzazione sociale con metodi puramente razionali. L’ordine politico,<br />
nella concezione conservatrice, non può prescindere da una qualche fonte di legittimazione extra-individuale<br />
ed extra-razionale: sia essa la tradizione, la trascendenza, o qualsiasi altra forza che<br />
prescinda dal volontario consenso formulato da individui liberi e responsabili. La Ragione perde<br />
quel ruolo attivo, creativo e costruttivo che le ha conferito larga parte della tradizione moderna. La<br />
politica cessa di essere un terreno neutro di sperimentazione, in cui la natura umana trova compiuta<br />
armonizzazione in un dato assetto istituzionale, sia esso lo Stato costituzionale, la società senza<br />
classi, la Nazione o l’Impero. L’ordine non è il prodotto dell’attività consapevole di alcuni indivi-<br />
26
dui; sono gli individui che, al contrario, appartengono a qualche forma di ordine, cui partecipano in<br />
modo più o meno consapevole, e con cui – più o meno consapevolmente – convivono.<br />
Il conservatore può assumere un atteggiamento radicale (reattivo) allorché tale ordine è mi-<br />
nacciato dall’espansione delle ideologie razionalistiche.<br />
Il paragrafo si conclude sottolineando l’importanza di un incontro fra la prospettiva d’inda-<br />
gine storico-istituzionale e quella più propriamente filosofica.<br />
27
Bibliografia 1<br />
Volumi:<br />
AA.VV., America in the 20 th Century, North Baltimore, Marshall Cavendish Corporation 2003.<br />
ABBOTT, P., The Exemplary Presidency: Franklin D. Roosevelt and the American Political Tradition,<br />
Amherst, University of Massachusetts Press 1990.<br />
ADAMS, I., Ideology and Politics in Britain Today, Manchester, Manchester University Press 1998.<br />
ALDOBRANDINI, G., The Wishful Thinking. Storia del pacifismo inglese nell’Ottocento, Roma,<br />
LUISS University Press 2009.<br />
ANDERSON, P., Spectrum. From Left to Right in the World of Ideas, London, Verso 2005.<br />
ANTISERI, D., Ragioni della razionalità. Proposte teoriche, Soveria Mannelli, Rubbettino 2004.<br />
ARNDT, H. W. (ed.), The Economic Lessons of the Nineteen-Thirties, London, Oxford University<br />
Press 1944.<br />
ARENDT, H., La menzogna in politica. Riflessioni sui Pentagon Papers, Genova, Marietti 2006.<br />
ARENDT, H., Vita Activa. La condizione umana, Milano, Bompiani 2003.<br />
ARON, R., Introduzione alla filosofia politica. Democrazia e rivoluzione, Lungro di Cosenza, Costantino<br />
Marco 2005.<br />
AUGHEY, A., JONES, G., RICHES, W. T. M., The Conservative Political Tradition in Britain and the<br />
United States, Pinter, London 1992.<br />
BASSANI, L. M., Il pensiero politico di Thomas Jefferson. Libertà, proprietà, autogoverno, Milano,<br />
Giuffré 2002.<br />
BAUMAN, Z., L’Europa è un’avventura, Bologna, Il Mulino 2006.<br />
BELL, D., The End of Ideology: On the Exhaustion of Political Ideas in the Fifties, Cambridge, Harvard<br />
University Press 2000.<br />
BELL, D. (ed.) , The Radical Right, New Brunswick, Transactions Publishers 2002.<br />
BELL, J., The Liberal State on Trial: the Cold War and American Politics in the Truman Years, New<br />
York, Columbia University Press 2004.<br />
BELLOW, S., Il dono di Humboldt, Milano, Rizzoli 1976.<br />
BERLIN, I., Personal Impressions, New York, Viking Press 1981, tr. it. Impressioni personali, Milano,<br />
Aldelphi 1988.<br />
1 Si cita, in questa sede, la versione direttamente utilizzata, che non necessariamente coincide con quella originale. Laddove<br />
un’opera in lingua non italiana compare con titolo italiano, è stata quest’ultima versione ad essere utilizzata. Laddove<br />
compaiono entrambi i titoli, sono state utilizzate entrambe le versioni.<br />
28
BERLIN, I., Libertà, Milano, Feltrinelli 2005.<br />
BERLIN, I., La libertà e i suoi traditori. Sei nemici della libertà umana, Milano, Adelphi 2005.<br />
BERLIN, I., Il potere delle idee, Milano, Adelphi 2003.<br />
BREINES, W., Community and Organization in the New Left, 1962-1968: the Great Refusal, New<br />
Brunswick, Rutgers University Press 1989.<br />
BIGGS, B., Hedge Hogging, Hoboken, Wiley 2006.<br />
BJERRE-POULSEN, N., Right face: organizing the American conservative movement 1945-65, Copenhagen,<br />
Museum Tusculanum 2002.<br />
BINNING, W.C., ESTERLY, L. E., SCRACIC, P.A., Encyclopaedia of American Parties, Campaigns,<br />
and Elections, Westport, Greenwood Publishing Group 1999.<br />
BIRD, K., The Color of Truth: McGeorge Bundy and William Bundy, Brothers in Arms: a Biography,<br />
New York, Simon & Schuster 1998.<br />
BOBBIO, N., Politica e cultura, Torino, Einaudi 2005.<br />
BORGOGNONE, G., La destra americana. Dall’isolazionismo ai neocons, Roma-Bari, Laterza 2004.<br />
BRENNAN, M.C., Turning Right in the Sixties: The Conservative Capture of the GOP, Chapel Hill,<br />
University of North Carolina Press 1995.<br />
BRINKLEY, A., The End of Reform: New Deal Liberalism in Recession and War, New York, Knopf<br />
1995.<br />
BROWN, C. C., Niebuhr and His Age : Reinhold Niebuhr’s Prophetic Role and Legacy, Harrisburg,<br />
Trinity Press International 2002.<br />
BURNHAM, J., The Struggle for the World, New York, The John Day Company 1947.<br />
BUTLER, G., Friedrich A. Hayek, Pordenone, Studio Tesi 1986.<br />
CAILLÉ, A., Trenta Tesi per la Sinistra, Roma, Donzelli 1997.<br />
CAMPBELL, B. C., The Growth of American Government: Governance from the Cleveland Era to the<br />
Present, Bloomington, Indiana University Press 1995<br />
CAMPBELL, J., Understanding John Dewey: Nature and Cooperative Intelligence, Chicago, Open<br />
Court 1995.<br />
CANDREVA, D., The Enemies of Perfection: Oakeshott, Plato and the Critiche of Rationalism, Lanham,<br />
Lexington Books 2005<br />
CARR, E. H., Utopia e realtà. Un’introduzione allo studio della politica internazionale, Soveria<br />
Mannelli, Rubbettino 2009.<br />
29
CHASE, S., Studio dell’umanità. Inchiesta per una scienza delle relazioni umane, Milano, Bompiani<br />
1952.<br />
CLARKE, P., The Keynesian Revolution in the Making, 1924-1936, Oxford, Oxford University Press<br />
1988.<br />
CLELLAN III, J. E., DORN, H. , Science and Technology in World History: an Introduction, Baltimore,<br />
Johns Hopkins University Press 2006.<br />
CLEVA, G. D., Henry Kissinger and the American Foreign Policy, Lewisburg, Bucknell University<br />
Press 1989.<br />
COATS, JR., W. J., Oakeshott and His Contemporaries: Montaigne, St. Augustine, Hegel, et al., Selinsgrove,<br />
Susquehanna University Press 2000.<br />
COOK, B. J., Burocracy and Self-Government: Reconsidering the Role of Public Administration in<br />
American Politics, Baltimore, Johns Hopkins University Press 1996.<br />
COONEY, T. A., The Rise of the New York Intellectuals: Partisan Review and Its Circle, 1934-1945,<br />
Madison, University of Wisconsin Press 1996.<br />
COREY, E. C., Michael Oakeshott on Religion, Aesthetics, and Politics, Columbia, University of<br />
Missouri Press 2006.<br />
COTELLESSA, S., Il ragionevole disaccordo. Hayek, Oakeshott e le regole “immotivate” della società,<br />
Milano, Vita e Pensiero 1999.<br />
CRAIGE, B. J., American Patriotism in a Global Society, Albany, State University of New York<br />
Press 1996.<br />
CRICK, B., The American Science of Politics: Its Origins and Condition, Berkeley, University of<br />
California 1964.<br />
CROWDER, G., Isaiah Berlin: Liberty and Pluralism, Cambridge, Polity 2004.<br />
CRUNDEN, R. M., A Brief History of American Culture, Armony, North Castle Books 1996.<br />
CUBEDDU, R., Atlante del liberalismo, Roma, Ideazione 1997.<br />
CUBEDDU, R., Friedrich A. Von Hayek, Roma, Borla 1995.<br />
CURTI, M., Storia della cultura e della società americana, Venezia, Neri Pozza 1959.<br />
DAHRENDORF, R., Società e sociologia in America, Bari, Laterza 1967.<br />
DAHRENDORF, R., La società riaperta. Dal crollo del muro alla guerra in Iraq, Roma-Bari, Laterza<br />
2005.<br />
DE GRAZIA, V., Irresistible Empire. America’s Advance through 20th Century Europe, Cambridge,<br />
The Belknap Press of Harvard University 2006.<br />
30
DE LILLO, D., Americana, Milano, Il Saggiatore 2000.<br />
DEL PERO, M., Libertà e impero. Gli Stati Uniti e il mondo, Roma-Bari, Laterza 2008.<br />
DE SANCTIS, F. M., Tempo di democrazia: Alexis de Tocqueville, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane<br />
1986.<br />
DE TOCQUEVILLE, A., De la Démocratie en Amérique, Paris, Pagnerre 1848, parte II°, cap. XXI, tr.<br />
it. La democrazia in America, Milano, Rizzoli 1982.<br />
DILLARD, D. D., The Economics of John Maynard Keynes; The Theory of Monetary Economy , New<br />
York, Prentice-Hall 1948.<br />
DI NOLFO, E., Dagli imperi militari agli imperi tecnologici. La politica internazionale dal XX secolo<br />
ad oggi, Roma-Bari, Laterza 2008.<br />
DI NOLFO, E., Storia delle relazioni internazionali. Dal 1918 ai giorni nostri, Roma-Bari, Laterza<br />
2008.<br />
DI NUOSCIO, E., Il mestiere dello scienziato sociale. Un’introduzione all’epistemologia delle scienze<br />
sociali, Napoli, Liguori 2006.<br />
DIPPEL, H., Geschichte der Usa, Beck, Műnchen 1996, tr. it. Storia degli Stati Uniti, Carocci 2002.<br />
DOENECKE, J., Storm on the Horizon: The Challenge to American Intervention, 1939-1941, Lanham,<br />
Rowman & Littlefield Publishers, 2000.<br />
DONNO. A., Barry Goldwater. Valori americani e lotta al comunismo, Firenze, Le Lettere 2008.<br />
DONNO, A., In nome della libertà. Conservatorismo americano e guerra fredda, Firenze, Le Lettere<br />
2004.<br />
DONOHUE, K., Freedom from Want: American Liberalism and the Idea of Consumer, Baltimore,<br />
Johns Hopkins University 2003<br />
DRUCKER, P. F., The Ecological Vision: Reflections on the American Condition, New Brunswick,<br />
Transaction Publisher 1993.<br />
DUBOFSKY, M., The State & Labor in Modern America, Chapel Hill, University of North Carolina<br />
Press 1994.<br />
DUNN J., Il mito degli uguali. La lunga storia della democrazia, Milano, Egea-Università Bocconi<br />
Editore 2006.<br />
DUROSELLE, J., Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni, Milano, LED 1998.<br />
DUSO (a cura di), G., Filosofia e pratica del pensiero: Eric Voegelin, Leo Strauss, Hannah Arendt,<br />
Milano, Franco Angeli 1988<br />
FRANCO, P., Michael Oakeshott: an Introduction, New Haven, Yale University Press 2004.<br />
31
GALLI, G., Contingenza e necessità nella ragione politica moderna, Roma-Bari, Laterza 2009.<br />
EDWARDS, L., The Conservative Revolution: The Movement that Remade America, New York, Free<br />
Press 1999.<br />
ELLWOOD, R. S., The Fifties Spiritual Marketplace: American Religion in a Decade of Conflict,<br />
New Brunswick, Rutgers University Press 1997.<br />
EVANS, E. H., The Hidden Campaign: FDR’s Health and the 1944 Election, Armonk, M. E. Sharpe<br />
2002.<br />
FABER, D., Chicago ’68, Chicago, Chicago University Press 1988.<br />
FABBRINI, S., Neoconservatorismo e politica americana. Attori e processi politici in una società in<br />
trasformazione, Bologna, Il Mulino 1986.<br />
FELDMAN, J., Universities in the Business of Repression : the Academic-Military-Industrial Complex<br />
and Central America, Boston, South End Press 1989.<br />
FELICE, F., Prospettiva neocon. Capitalismo, democrazia, valori nel mondo unipolare, Soveria<br />
Mannelli, Rubbettino 2005.<br />
FISICHELLA, F., Politica e mutamento sociale, Lungro di Cosenza, Costantino Marco Editore 1999.<br />
FONES-WOLF, E. A., Selling Free Enterprise: the Business Assault on Labor and Liberalism, 1945-<br />
1960, Urbana, University of Illinois Press 1994.<br />
FOREMAN, J. (ed.), The Other Fifties: Interrogating Midcentury American Icons, Urbana, University<br />
of Illinois Press 1997<br />
FORNER, E., Storia della libertà americana, Roma, Donzelli 2000.<br />
FRANCIS, S. T., Beautiful Losers. Essays on the Failure of American Conservatism, Columbia,<br />
University of Missouri Press 1993.<br />
FREDERICKSON, K., The Dixiecrat Revolt and the End of the Solid South, 1932-1968, Chapel Hill,<br />
North Carolina University Press 2001.<br />
FREEDEN, M., Ideologie e teoria politica, Bologna, Il Mulino 2000.<br />
FRIEDMAN, M., The Neoconservative Revolution. Jewish Intellectuals and the Shaping of a Public<br />
Policy, Cambridge, Cambridge University Press 1999.<br />
GAMBLE, G., Friedrich A. Von Hayek, Bologna, Il Mulino 2005.<br />
GALBRAITH, J. K., La società opulenta, Torino, Boringhieri 1972.<br />
GARDNER, L. C., GETTINGER, T. (ed.), The Search for Peace in Vietnam, 1964-1968, College<br />
Station, Texas A&M University Press 2004.<br />
32
GENTILE, E., Le religioni della politica. Fra democrazie e totalitarismi, Roma-Bari, Laterza 2001.<br />
GERSCHENKRON, A., Economic backwardness in historical perspective, a book of essays, Cambridge,<br />
Belknap Press of Harvard University Press, 1962<br />
GIGLIO, J. N., RABE, S. G., Debating the Kennedy Presidency, Lanham, Rowman & Littlefield Publishers<br />
2003.<br />
GILMAN, N., Mandarins of the Future: Modernization Theory in Cold War America , Baltimore,<br />
Johns Hopkins University Press 2003.<br />
GIMPEL, J. G., Separate Destinations: Migration, Immigration, and the Politics of Places, Ann Arbor,<br />
University of Michigan Press 1999.<br />
GOULD, J. D., Economic Growth in History: Survey and Analysis, London, Methuen 1972.<br />
GRAEME, G., Counter-enlightenments: From the Einghteenth-Century to the Present, London-New<br />
York, Routledge 2006.<br />
GRAY, J., Hayek on Liberty, Oxford-New York, Blackwell 1986.<br />
GRAY, J., Post-liberalism, Studies in Political Thought, London, Routledge 1993.<br />
GREEN, E. H. H., Ideologies of Conservatism: Conservative Political Ideas in the Twentieth Century,<br />
Oxford, Oxford University Press 2004.<br />
GROSSMAN, A. D., Neither Dead nor Red, London, Routledge 2001.<br />
GUTTMANN, A., The Conservative Tradition in America, New York, Oxford University Press 1967.<br />
HALLIWELL, M., The Constant Dialogue. Reinhold Niebuhr & American Intellectual Culture, Lanham,<br />
Rowman & Littlefield 2005.<br />
HAMBY, A. L., Beyond the New Deal: Harry S. Truman and American Liberalism, London-New<br />
York, Columbia University Press 1973<br />
HANEY, D. P., The Americanisation of Social Science: Intellectuals and Public Responsibility in the<br />
Post War United States, Philadelphia, Temple University Press 2008.<br />
HANSEN, A., The American Economy, New York, McGraw-Hill 1957.<br />
HENNESSY, P., Never Again: Britain 1945-51, London, Jonathan Cape 1992.<br />
HERNDON, E., Eric Voegelin and the Problem of Christian Political Order, Columbia, University of<br />
Missouri Press 2007.<br />
HILLGRUBER, A., Storia della Seconda Guerra Mondiale. Obiettivi di guerra e strategia delle grandi<br />
potenze, Roma-Bari, Laterza 1987.<br />
33
HIMMELFARB, G:, Lord Acton: a Study in Conscience and Politics, Chicago, University of Chicago<br />
Press 1952.<br />
HIMMELFARB, G., The Roads to Modernity: the British, French, and American Enlightenments, New<br />
York, Knopf 2004.<br />
HIMMELSTEIN, J. L., To the Right: the Transformation of American Conservatism, Berkeley, University<br />
of California Press 1990.<br />
HODGSON, G., America in Our Time: From World War II to Nixon, Princeton-Oxford, Princeton<br />
University Press 2005.<br />
HOFSTADTER, R., The American Political Tradition and the Men who Made it, New York, Knopf<br />
1948.<br />
HOFSTADTER, R., Società e intellettuali in America, Torino, Einaudi 1968.<br />
HOLMES, D. L., The Faith of the Founding Fathers, Oxford-New York, Oxford University Press<br />
2006.<br />
HUGHES, G., The Politics of the Soul: Eric Voegelin on the Religious Experience, Lanham, Rowman<br />
& Littlefield Publishers 1999<br />
IGNIATIEFF, M., Isaiah Berlin. Ironia e libertà, Roma, Carocci 2003.<br />
JAMES, P., International Relations and Scientific Progress: Structural Realism Reconsidered, Columbus,<br />
Ohio State University Press 2002.<br />
JAMES, W., Writings 1902-1910, New York, Literary Classics of the United States 1987.<br />
JONES, M. A., Storia degli Stati Uniti: dalle prime colonie inglesi ai giorni nostri, Milano, Bompiani<br />
2002.<br />
KAZIN, M., MCCARTIN, J. A. (a cura di), Americanism: New Perspectives on the History of an Ideal,<br />
Chapel Hill, University of North Carolina 2006.<br />
KENNEDY, P., Ascesa e Declino delle Grandi Potenze, Milano, Garzanti 1989.<br />
KEYNES, J. M., Come uscire dalla crisi, Bari, Laterza 1983.<br />
KIRK, R., The Conservative Mind, from Burke to Santayana, London, George W. Allen 1954<br />
KISSINGER, H., L’arte della diplomazia, Milano, Sperling & Kupfer 1996.<br />
KLEINMAN, M. L., A World of Hope, a World of Fear: Henry A. Wallace, Reinhold Niebuhr, and<br />
American Liberalism, Columbus, Ohio State University Press 2008.<br />
KOLKO, G., Main Currents in Modern American History, New York, Harper 1976.<br />
KOYZIS, D. T., Political Visions and Illusions: A Survey and Christian Critique of Contemporary<br />
Ideologies, Downers Grove, InterVarsity Press 2003.<br />
34
KRISTOL, I., Neoconservatism: the autobiography of an idea, Chicago, Ivan R. Dee Publisher 1999.<br />
LAMI, G., Introduzione a Eric Voegelin: dal mito teo-cosmogonico al sensorio della trascendenza:<br />
la ragione degli antichi e la ragione dei moderni, Milano, Giuffré 1993.<br />
LASCH, C., Il paradiso in terra. Il progresso e la sua critica, Milano, Feltrinelli 1992.<br />
LASLETT, P. (ed.), Philosophy, Politics and Society, Oxford, Blackwell 1956.<br />
LEUCHTENBURG, W., Franklin D. Roosevelt and the New Deal, New York, Harper & Row 1963.<br />
LICHTMAN, A. J., White Protestant Nation. The Rise of American Conservative Movement, New<br />
York, Athlantic Monthly Press 2008.<br />
LILIENTHAL, D., Big Business: a New Era, New York, Arno Press 1973.<br />
LORA, R., LONGTON, W. H., (ed.), The Conservative Press in Twentieth-Century America, Westport,<br />
Greenwood Press 1999.<br />
MAMMARELLA, G., Destini incrociati. Europa e Stati Uniti 1900-2003, Roma-Bari, Laterza 2003.<br />
MAMMARELLA, G., Liberal e Conservatori: l’America da Nixon a Bush, Roma-Bari, Laterza 2004.<br />
MAMMARELLA, G., Storia degli Stati Uniti dal 1945 ad oggi, Roma-Bari, Laterza 1993.<br />
MANNHEIM, K., Ideologia e utopia, Bologna, Il Mulino 1972<br />
MARCUSE, H., L’uomo ad una dimensione. L’ideologia della società industriale avanzata, Torino,<br />
Einaudi 1967.<br />
MARTEL, G. (ed.), American Foreign Relations Reconsidered: 1890-1993, New York, Routledge<br />
1994.<br />
MAZOWER, M., Dark Continent: Europe’s Twentieth Century, New York, Alfred A. Knopf 1999.<br />
MCALLISTER, T., Revolt against Modernity. Leo Strauss, Eric Voegelin & the Search for a Post-<br />
Liberal Order, Lawrence, University of Kansas 1995.<br />
MCGRATH, P. J., Scientists, Business and the State, 1890-1960 , Chapel Hill, University of North<br />
Carolina Press 2002.<br />
MCILWAIN, C. H., Costituzionalismo antico e moderno, Bologna, Il Mulino 1990.<br />
MCKENNA, G., The Puritan Origins of American Patriotism, New Haven, Yale University Press<br />
2007.<br />
MERCADANTE, F., La democrazia plebiscitaria, Milano, Giuffré 1974.<br />
MILLER, D. T., NOVAK, M., The Fifties: The Way We Really Were, Garden City, Doubleday 1977.<br />
35
MILLS, A. C., Cia Off Campus: Building the Movement Against Agency Recruitment an Research,<br />
Boston, South End Press 1991.<br />
MINK, G., The Wages of Motherhood: Inequality in the Welfare State, Ithaca, Cornell University<br />
Press 1995.<br />
MISCAMBLE, W. D., From Roosevelt to Truman: Postdam, Hiroshima and the Cold War, Cambridge-New<br />
York, Cambridge University Press 2007.<br />
MONGARDINI, C., MANISCALCO, M. L. (a cura di), Il pensiero conservatore. Interpretazioni, giustificazioni<br />
e critiche, Milano, Franco Angeli 1999.<br />
MORANDI, E., La società accaduta: tracce di una nuova scienza sociale in Eric Voegelin, Milano,<br />
Franco Angeli 2000.<br />
MORGAN, I. W., Beyond the Liberal Consensus: a Political Hisoty of the United States since 1965,<br />
New York, St. Martin’s Press 1994.<br />
MORISON, S. E., COMMAGER, H. S., Storia degli Stati Uniti d’America, Firenze, La Nuova Italia<br />
1974.<br />
MOSER, J. M., Right Turn: John T. Flynn and the Transformation of American Liberalism, New<br />
York, New York University Press 2005.<br />
MORISSEY, M. P., Consciousness and Trascendence: the Theology of Eric Voegelin, Notre Dame-<br />
London, University of Notre Dame Press 1994.<br />
MULLER, J. Z., Conservatism: an Anthology of Social and Political Thought from David Hume to<br />
the Present, Princeton, Princeton University Press 1997.<br />
MUMFORD, L., Tecnica e Cultura, Milano, Net 1995.<br />
NASH, G., The Conservative Intellectual Movement in America since 1945, Wilmington, ISI Books<br />
1998.<br />
NIEBUHR, R., The Irony of American History, Chicago, Chicago University Press 2008.<br />
NIEBUHR, R., I figli della luce e i figli delle tenebre. Il riscatto della democrazia e critica della sua<br />
difesa tradizionale, Roma, Gangemi 2002.<br />
NIEBUHR R., Uomo morale e società immorale, Milano, Jaca Book 1968.<br />
NOVAK, M., On Cultivating Liberty: Reflections On Moral Ecology, Lanham, Rowman & Littlefield<br />
1999.<br />
NDIAYE, P. A., Nylon and Bombs: DuPont and the March of Modern America, Baltimore, Johns<br />
Hopkins University Press 1997.<br />
NEUSNER, J., NEUSNER, N. M., The Price of Excellence: Universities in Conflict during the Cold<br />
War Era, New York, Continuum 1995.<br />
36
NICHOLSON, P. Y., Labor’s Story in the United States, Philadelphia, Temple University Press 2004.<br />
NOVAK, R., Unmeltable Ethnics. Politics & Culture in American Life, New Brunswick, Transaction<br />
Publishers 1996.<br />
OAKESHOTT, M., Experience and its Models, London, 1933.<br />
OAKESHOTT, M., Hobbes on Civil Association, Oxford, Blackwell 1975.<br />
OAKESHOTT, M., On History and Other Essays, Indianapolis, Liberty Fund 1999.<br />
OAKESHOTT, M., The Politics of Faith and the Politics of Scepticism, New Haven-London, Yale University Press 1996.<br />
OAKESHOTT, M., Rationalism in Politics and Other Essays, Indianapolis, Liberty Fund 1991.<br />
OAKESHOTT, M., What is History ? And Other Essays, Exeter-Charlottesville, Imprint Academics<br />
2004.<br />
O’CONNOR, B., A Political History of the American Welfare System: When Ideas Have Consequences,<br />
Lanham, Rowan & Littlefield 2003.<br />
OREN, I., Our Enemies and US: America’s Rivalries and the Making of Political Science, Ithaca,<br />
Cornell University Press 2003.<br />
O’SULLIVAN, L., Oakeshott on History, Exeter-Charlottesville, Imprint Academic 2003.<br />
PATTERSON, J., Grand Expectations: the United States 1945-1974, New York, Oxford University<br />
Press 1996.<br />
PEMBERTON, W. E., Exit With Honor: the Life and Presidency of Ronald Reagan, Armony, M. E.<br />
Sharp 1997.<br />
PETRIGNANI, R., L’era americana. Gli Stati Uniti da Franklin D. Roosevelt a George W. Bush, Bologna,<br />
Il Mulino 2001.<br />
PICCININI, M., Corpo politico, opinione pubblica, società politica. Per una storia dell’idea inglese<br />
di costituzione, Torino, Giappichelli 2000.<br />
PIPER, J. R., Ideologies and Institutions: American Conservative and Liberal Governance Prescriptions<br />
since 1933, Lanham, Rowman & Littlefield 1997.<br />
POMPER, G. M., The Election of 1980: Reports and Interpretations. New York, Chatham 1980.<br />
POLSBY N. W., How Congress Evolves: Social Bases of Institutional Change, New York, Oxford<br />
University Press 2004.<br />
POWASKI, R. E., Toward an entangling alliance: American isolationism, internationalism and Europe,<br />
1901-1950, New York, Greenwood press 1991.<br />
RAE, N. C., Southern Democrats, New York, Oxford University Press, 1994.<br />
R. RANCINARO (a cura di), Ordine e storia in Eric Voegelin, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane<br />
1988.<br />
37
REGNERY, A. S., Upstream: the Ascenance of American Conservatism, New York, Thhreshold Editions<br />
2008.<br />
RESPINTI, M. (a cura di), Ronald W. Reagan. Un americano alla Casa Bianca, Soveria Mannelli,<br />
Rubbettino 2005<br />
RICE, D. F., Reinhold Niebuhr and John Dewey: an American Odyssey, Albany, State University of<br />
New York Press 1993.<br />
RIESMAN, D., Abundance for What?, New Brunswick, Transaction 1993.<br />
ROCKEFELLER, N., The Future of Federalism, Cambridge, Harvard University Press 1962.<br />
RODGERS, D., Atlantic Crossings: Social Politics in a Progressive Age, Cambridge, Belknap Press<br />
of Harvard University Press 1998.<br />
ROMASCO, A., The Politics of Ricovery: Roosevelt’s New Deal, New York, Oxford University Press<br />
1983.<br />
ROSS, D., The Origins of American Social Science, Cambridge-New York, Cambridge University<br />
Press 1991.<br />
ROSENMAN, S. I. (ed), The Public Papers and Addresses of Franklin D. Roosevelt, New York, Random<br />
House 1938-1950, vol. 13.<br />
ROTHBARD, M., For a New Liberty. The Libertarian Manifesto, Auburn, Ludwig Von Mises Institute<br />
2006.<br />
RUSHEFSKY, M., Public Policy in the United States: at the Dawn of the Twenty-First Century, Armony,<br />
M.E. Sharpe 2003.<br />
RUBBOLI, M., Politica e religione negli Usa. Reinhold Niebuhr e il suo tempo (1892-1971), Milano,<br />
Franco Angeli 1986.<br />
RUSSELL, E. D., New Deal Banking Reforms and Keynesian Welfare State Capitalism, New York,<br />
Routledge 2008.<br />
SAID, E., Dire la verità. Gli intellettuali e il potere, Milano, Feltrinelli 1995.<br />
SANDEL, M., Democracy’s Discontent: America in Search of a Public Philosophy, Cambridge, Belknap<br />
Press of Harvard University 1996.<br />
SANDOZ, E., Republicanism, Religion and the Soul of America, Columbia, University of Missouri<br />
Press 2006.<br />
SARTORI, G., Democrazia e definizioni, Bologna, Il Mulino 1957.<br />
SARTORI, G., Elementi di teoria politica, Bologna, Il Mulino 1987.<br />
SCHLESINGER JR., A. M., The Age of Roosevelt, Boston, Houghton Miffin 1957.<br />
38
SCHLESINGER JR., A. M., The Cycles of American History, Boston, Houghton Mifflin Books 1999.<br />
SCHLESINGER JR. A. M., Il mio secolo americano: ricordi di una vita, 1917-1950, Rizzoli, Milano 2002.<br />
SCHLESINGER JR, A. M., The Vital Center: The Politics of Freedom, Boston, Houghton Miffin 1949.<br />
SCHNEIDER, G., The Conservative Century: from Reaction to Revolution, Lanham, Rowman & Littlefield Publisher,<br />
2008.<br />
SCHOENWALD, J. A., A Time for Choosing: The Rise of Modern American Conservatism, Oxford, Oxford University<br />
Press 2001.<br />
SCHRECKER, E. (ed.) The Age of McCarthysm. A Brief History with Documents, New York, Palgrave 2002.<br />
SCHUMPETER, J., Capitalismo, socialismo e democrazia, Milano, Etas Kompass 2001.<br />
SCHWAB, L. M., The Illusion of a Conservative Reagan Revolution, New Brunswick, Transaction Publishers 1991.<br />
SCRUTON, R., Gentle Regrets: Thougths From a Life, London-New York, Continuum 2005.<br />
SCRUTON, R., A Political Philosophy, London-New York, Continuum 2006, p. VIII-IX, tr. it. Manifesto dei conservatori,<br />
Milano, Raffaello Cortina Editore 2007.<br />
SEEGER, P. (ed.), Woody Guthrie Folk Songs, London-New York, Berkeley Books 1973.<br />
SEIDELMAN, R., HARPHAM, E. J., Disenchanted Realists: Political Science and the American Crisis, 1884-1984, Albany,<br />
State University of New York Press 1985.<br />
SKINNER, Q.. Meaning and Understanding in the History of Ideas, in Visions of Politics, vol I., Cambridge, Cambridge<br />
University Press 2002.<br />
SPERLING MCAULIFFE, M., Crisis On the Left: Cold War Politics and American Liberals, 1947-1954, Amherst, University<br />
of Massachusetts Press 1978.<br />
SPIGEL, L., Make Room for TV: Television and the Family in Ideal in Postwar America, Chicago, Chicago University<br />
Press 1992.<br />
STEELE, R. W., Free Speech in the Good War, New York, St. Martin’s Press 1999.<br />
STOPPINO, M., Potere e teoria politica, ECIG, Genova 1983.<br />
STRAUSS, L., An Introduction to Political Philosophy: Ten Essays, Detroit, Wayne University Press 1989.<br />
STRAUSS, L., Liberalism Ancient and Modern (1a ed. 1968), Chicago, University of Chicago Press 1995.<br />
SULLIVAN, A., The Conservative Soul, New York, Harper 2006.<br />
SELDON, A., BALL, S. A Conservative Century: the Conservative Party since 1900, Oxford, Oxford<br />
University Press 1994.<br />
SINGLETON, J., The American Dole: Unemployment Relief and the Welfare State in the Great Depression,<br />
Westport, Greenwood Press 2000.<br />
SINYAI, C., Schools of Democracy: a Political History of the American Labor Movement, Ithaca,<br />
ILR Press 2006.<br />
SMITH, R. N., The Life and Legend of Robert R. McCormick, 1880-1955, Boston, Houghton Miffin<br />
Company 2003.<br />
39
STEINBECK, J., Sweet Thursday, Quel fantastico giovedì, Milano, Mondadori 1965.<br />
STONE, R. H., Professor Reinhold Niebuhr: a Mentor to the Twentieth Century, Louisville, Westminster<br />
/ John Knox Press 1992.<br />
TALMON, J. L., Le origini della democrazia totalitaria, Bologna, Il Mulino 2000.<br />
THOMAS, J. L., La nascita d una potenza mondiale, Bologna, Il Mulino 1988.<br />
TRAVERSO, E., Il totalitarismo. Storia di un dibattito, Milano, Bruno Mondadori 2002.<br />
TRILLING, L., The Liberal Imagination, Garden City, Doubleday Anchor 1950.<br />
TRUMPBOUR, J. (ed.), How Harvard Rules: Reason in the Service of Empire, Boston, South End<br />
Press 1989.<br />
URBINATI, N., Individualismo democratico. Emerson, Dewey e la cultura politica americana, Roma,<br />
Donzelli 1997.<br />
VON HAYEK, F. A., L’abuso della ragione, Firenze, Vallecchi 1967.<br />
VIERECK, P., Unadjusted Man in the Age of Overadjustment: Where History and Literature Intersect,<br />
New Brunswick, Transaction Publishers 2004.<br />
VOEGELIN, E., Autobiographical Reflections , Baton Rouge, Louisiana State University 1989, p. 18<br />
(cfr. tr. it. Riflessioni Autobiografiche, Milano, Giuffré 1993.<br />
VOEGELIN, E., Dall’illuminismo alla rivoluzione, Roma, Gangemi 2007.<br />
VOEGELIN, E., The New Science of Politics, an Introduction, Chicago, University of Chicago Press<br />
1952, tr. it. La nuova scienza politica, Borla, Roma 1999.<br />
VOEGELIN, E., Order and History, Louisiana State University Press 1956.<br />
VOEGELIN, E., Science, Politics, Gnosticism, Willington, ISI Books 2002.<br />
VON HAYEK, F. A., Hayek on Hayek. An Autobiographical Dialogue, Chicago, University of Chicago<br />
Press 1994.<br />
VON HAYEK, F. A., Individualismo: quello vero e quello falso, Soveria Mannelli, Rubbettino 1997.<br />
VON MISES, L., Liberalism: the Classical Tradition, Indianapolis, Liberty Fund 2005.<br />
WADDELL, B., The War Against the New Deal: World War II and American Democracy, DeKalb,<br />
Northern Illinois University Press, 2006.<br />
WALIGORSKI, C., Liberal Economics and Democracy: Keynes, Galbraith, Thurow, and Reich, Lawrence,<br />
University Press of Kansas 1997<br />
WALTZ, K., Teoria della politica internazionale, Bologna, Il Mulino 1987.<br />
40
WEIL, S., Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale, Milano, Adelphi 1983.<br />
WERTH, N., Storia dell'Unione Sovietica: dall'impero russo alla Comunità degli Stati Indipendenti,<br />
1900-1991, Bologna, Il Mulino 1993.<br />
WESTBROOK, R. B., John Dewey and American Democracy, Ithaca, Cornell University Press 1991.<br />
WILLIAMS, M. C., The Realist Tradition and the Limits of International Relations, Cambridge, Cambridge<br />
University Press 2005.<br />
WILSON, F. G., Il pensiero politico americano, Venezia, Neri Pozza 1959.<br />
WOLIN, S., Politics and Vision, Princeton, Princeton University Press 2004.<br />
WUNDERLIN, C. E., Robert A. Taft: Ideas, Tradition and Party in U.S. Foreign Policy, Lanham, SR<br />
Books 2005.<br />
WRIGHT, L. B., The Democratic Experience: a Short American History, Chicago, Scott Foresman<br />
1963.<br />
ZANETTI, G., La trascendenza e l’ordine. Saggio su Eric Voegelin, Bologna, Clueb 1989.<br />
ZORZI, G., Il realismo cristiano di Reinhold Niebuhr, Bologna, EDB 1984.<br />
Articoli, discorsi e saggi in volumi collettanei:<br />
ALLEN, J., The Place of Negative Morality, in Political Theory, vol. 29, n. 3, 2001.<br />
ALMOND, G. A., VERBA, S., Un approccio allo studio della cultura politica, in G. SARTORI (a cura<br />
di), Antologia di scienza politica, Bologna, Il Mulino 1970, pp. 215-222.<br />
ANDERSON, C.W., Liberalismo pragmatico, in AA.VV., 1980-2000. Vent’anni di cultura liberale<br />
nelle pagine di «Bdl»: un’antologia, vol. I, Biblioteca della Libertà, XXXIX, n. 173-175, 2004.<br />
ANTISERI, D., Friedrich A. Von Hayek e il compito delle scienze sociali teoretiche, in U. TERNO-<br />
WETZ (a cura di), Friedrich A. Von Hayek e la Scuola Austriaca di Economia, Rubettino, Soveria<br />
Mannelli 2003.<br />
ARIELI, Y., Jacob L. Talmon. An Intellectual Portrait, in Y. ARIELI, N. ROTENSTREICH (ed.), Totalitarian<br />
Democracy and After : International Colloquium in Memory of Jacob L. Talmon, Jerusalem,<br />
21-24 June 1982, Jerusalem, Magnes Press-Hebrew University 1984.<br />
BERLE JR. A. A., The Social Economics of the New Deal, in F. VILLARI (a cura di), La Grande Crisi<br />
e le riforme di Roosevelt, Roma, Gangemi 2007.<br />
BIRNER, J., F. A. Hayek’s Research Programme, in U. TERNOWETZ (a cura di), Friedrich A. Von<br />
Hayek e la Scuola Austriaca di Economia, Soveria Mannelli, Rubbettino 2003.<br />
BONAZZI, T., Il New Deal e il Leviatano: la cultura politica della tradizione riformatrice americana,<br />
in T. BONAZZI, M. VAUDAGNA (a cura di), Ripensare Roosevelt, Milano, Franco Angeli 1986.<br />
41
BONAZZI, T., Storia e scienze sociali: il lavoro dello storico come professione negli Stati Uniti, in<br />
N. TRANFAGLIA (a cura di), Il mondo contemporaneo. Gli strumenti della ricerca, vol. 10, Firenze,<br />
La Nuova Italia 1983.<br />
BOYNTON, G. R., Southern Conservatism: Constituency Opinion and Congressional Voting, in The<br />
Public Opinion Quarterly, vol. 29, n. 2, 1965.<br />
BRINKLEY, A., The New Deal and the Idea of State, in . FRASER, G. GERSTLE (ed.), The Rise and<br />
Fall of the New Deal Order: 1930-1980, Princeton, Princeton University Press 1989.<br />
BRINKLEY, A., The Problem of American Conservatism, in The American Historical Review, vol. 9,<br />
n. 2, 1994, pp. 409-429<br />
BRINKLEY, A., Richard Hofstadter’s the Age of Reform: a Reconsideration, in Reviews in American<br />
History, vol. 13, n. 3, 1985.<br />
BUCKLEY, B., Up for Conservatism, in The American Conservative, I, 2009.<br />
BUCKLEY Jr., W. F., A Young Republican View, in Commonweal, 25 Jan. 1952.<br />
CAVALLARI, G., Introduzione a J. DEWEY, Scritti politici, Roma, Donzelli 2003.<br />
CONOVER, P. J., FELDMAN, S., The Origins and Meaning of Liberal/Conservative Self-<br />
Identifications, in American Journal of Political Science, vol. 25, n. 4, 1981.<br />
COOPER, J. W., Reviving the Legaci of Reinhold Niebuhr, in Teaching Political Science, 16:1, 1988.<br />
CRICK, B., The Strange Quest for an American Conservatism, in Review of Politics, vol. 17, n. 3,<br />
1955.<br />
CRICK, B., The World of Michael Oakeshott, or The Lonely Nihilist, in Ecounter, 20, 1963, pp. 65-<br />
74.<br />
CRITCHLOW, D., The Conservative Ascendancy, in D. CRITCHLOW, N. MACLEAN, Debating the American<br />
Conservative Movement: 1945 to the Present, Lanham, Rowman & Littlefield 2009.<br />
CUBEDDU, R., Hayek tra Menger e Mises in U. TERNOWETZ (a cura di), Friedrich A. Von Hayek e la<br />
Scuola Austriaca di Economia, Soveria Mannelli, Rubbettino 2003.<br />
DALTON, M. M., I Love Lucy: Television and Gender in Postwar Domestic Ideology, in M. M. DAL-<br />
TON, L. R. LINDER (ED.), The Sitcom Reader: America Viewed and Skewed, Albany, State of New<br />
York University Press 2005.<br />
DAVIS, A. F., Reform and World War I, in American Quarterly, vol. 19, n. 3, 1967.<br />
DENNIS, M. A., Reconstructing Sociotechnical Order: Vannevar Bush and US Science Policy, in S<br />
.JASANOFF (ed.), States of Knowledge: the Co-Production of Science and Social Order, London-<br />
New York, Routledge 2004.<br />
DEWEY, J., The Future of Liberalism, in The Journal of Philosophy, vol. 32, n. 9, 1935.<br />
42
DRAY, W. H., William Oakeshott’s Theory of History, in P. KING, B. C. PAREKH (ed.), Politcs and<br />
Experience: Essays Presented to Professor Michael Oakeshott On the Occasion of His Retirement,<br />
Cambridge, Cambridge University Press 1968.<br />
DIGGINS, J., Flirtation with Fascism: American Pragmatic Liberals and Mussolini’s Italy, in The<br />
American Historical Review, vol. 71, n. 2, 1966.<br />
DOENECKE, J. D., Isolationism, in AA. VV., American Conservatism. An Encyclopedia, Washington,<br />
ISI Books 2006.<br />
EASTON, D., The Current Meaning of “Behavioralism”, tr. it in AA. VV., Teorie e metodi in scienza<br />
politica, Bologna, Il Mulino 1971.<br />
FARR, J., John Dewey and American Political Science, in American Journal of Political Science,<br />
vol. 43, n. 2, 1999.<br />
FEAVER, G., Regimes of Liberty. Michael Oakeshott on Representative Democracy, in C. ABEL, T.<br />
FULLER (ed.), The Intellectual Legacy of Michael Oakeshott, Exeter-Charlottesville, Imprint Academic<br />
2005.<br />
FISHER, J. T., “A World Made Safe for Diversity”. The Vietnam Lobby and the Politics of Pluralism,<br />
1945-1963, in C. G. APPLY, Cold War Constructions: the Political Culture of United State Imperialism,<br />
1945-1966, Amherst, University of Massachusetts Press 2000.<br />
FISHMAN, E., The Prudential FDR, in M. J. ROZELL, W. D. PEDERSON, FDR and the Modern Presidency:<br />
Leadership and Legacy, Westport, Praeger 1997.<br />
FOHLEN C., Il New Deal negli Stati Uniti, in N. TRANFAGLIA, M. FIRPO (a cura di), La storia. Il<br />
mondo attuale (1919-1981), vol. III, Torino, Utet 1986.<br />
FOSTER, T., The Inevitability of Government, in Challenge, vol. 40, n. 4, 1997.<br />
FRIEDRICH, C. J., Instruction and Research: Political Science in the United States in Wartime, in<br />
The American Political Science Review, vol. 41, n. 5, 1947.<br />
FULLER, T., The Poetics of Civil Life, in J. NORMAN, The Achievement of Michael Oakeshott, London,<br />
Duckworth 1993.<br />
GALE, R. William James (1842-1910) and John Dewey (1859-1952): the Odd Couple, in P. A.<br />
FRENCH, H. K. WETTSTEIN (ed.), The American Philosophers, Boston, Blackwell 2004.<br />
GALSTON, W., Two Concepts of Liberalism, in Ethics, vol. 105, n. 3, 1995.<br />
GAUSTAD, E. S., On Jeffersonian Liberty, in J. C. BRAUER (ed.), The Lively Experiment Continued,<br />
Macon, Mercer University Press 1987.<br />
GAZELL, J. A., Arthur H. Vandenberg, Internationalism and the United Nations, in Political Science<br />
Quarterly, vol. 88, n. 3, 1973.<br />
GIORGINI, G., L’avventura filosofica di Michael Oakeshott, in Filosofia Politica, n. 2, anno I, 1987.<br />
43
GRAY, J., Agonistic Liberalism in G. W. SMITH (ed), Liberalism: Critical Concepts in Political Theory,<br />
vol. 4, London-New York, Routledge 2002.<br />
GRAY, J., From Post-Liberalism to Pluralism, in G. W. SMITH (ed), Liberalism: Critical Concepts<br />
in Political Theory, vol. 4, London-New York, Routledge 2002.<br />
GRAY, T., Herbert Spencer’s Liberalism – from Social Statics to Social Dynamics, in R. BELLAMY<br />
(ed.), Victorian Liberalism: Nineteenth Century Political Thought and Practice, London, Routledge<br />
1990.<br />
HACOHEN, M., Jacob Talmon Between Zionism and Cold War Liberalism, in History of European<br />
Ideas, vol. 34, n. 2, 2008.<br />
HANSON, M., HENTZ J. J., Neocolonialism and Neoliberalism in South Africa and Zambia, in Political<br />
Science Quarterly, vol. 114, n. 3, 1999.<br />
HAWLEY, E. W., La scoperta e lo studio di un liberalismo corporativo, in M. VAUDAGNA (a cura<br />
di), Il New Deal, Bologna, il Mulino 1981.<br />
HIGHAM, J., Review at The Irony of American History, in The Mississippi Valley Historical Review,<br />
vol. 39, n. 2, 1952<br />
HILDEBRAND, G. H., Consumer Sovereignty in Modern Times, in American Economic Review, vol.<br />
41. n. 2, 1951.<br />
HIRSCH, S. E., No Victory at the Work Place: Women and Minorities at Pullman during World War<br />
II, in L. A. ERENBERG, S. E. HIRSCH (ed.), The War in American Culture: Society and Consciousness<br />
during World War II, Chicago, University of Chicago Press 1996.<br />
HOLT, J., The New Deal and the American Anti-Statist Tradition, in J. BRAEMAN, R. H. BREMNER,<br />
D. BRODY (ed.), The New Deal: the National Level, Colombus, Ohio State University Press 1975.<br />
HOOK, S., The New Failure of Nerve, in Partisan Review, vol. 10, n. 1, 1943.<br />
HUNTINGTON, S. P., Conservatism as an Ideology, in The American Political Science Review, vol.<br />
51, n. 2, 1957.<br />
JEFFRIES, J. W., The “New” New Deal: FDR and American Liberalism, 1937-1945, in Political Science<br />
Quarterly, vol. 105, n. 3, 1990.<br />
JONAS, M., Isolationism, in A. DE CONDE (ed.), Encyclopaedia of American Foreign Policy: Studies<br />
of the Principal Movements and Ideas, New York, Scribner’s 1978.<br />
KAUFMAN-OSBORN, T. V., John Dewey and the Liberal Science of Community, in The Journal of<br />
Politics, vol. 46, n. 4, 1984.<br />
KELLNER, D., Introduction: Radical Politics, Marcuse and the New Left, in H. MARCUSE, The New<br />
Left and the 1960’s, New York-London, Routledge 2005.<br />
44
KEYNES, J. M., La fine del laissez-faire, in Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della<br />
moneta, Torino, Utet 2005.<br />
KEYNES, J. M., Sono un liberale?, in Esortazioni e profezie, Milano, Il Saggiatore 1994.<br />
KNOKE, D., FELSON, R. B., Ethnic Stratification and Political Cleavage in the United States 1952-<br />
1968, in The American Journal of Sociology, Vol. 80, No. 3, 1974.<br />
KRAVITZ, I., Work Time Required to Buy Food, 1937-1950, in Monthly Labor Review, 70, 1951.<br />
LAYBOURN, K. (ed.), Modern Britain Since 1906: a Reader, London, I. B. Tauris 1999.<br />
LEONI, B., La polemica “liberista” contemporanea negli Stati Uniti, in Il pensiero politico moderno<br />
e contemporaneo, Macerata, Liberilibri 2008.<br />
LEUCHTENBURG, W., The New Deal and the Analogue of War, in J. BRAEMAN, R. H. BREMNER, E.<br />
WALTERS (ed.), Change and Continuity in Twentieth Century, Columbus, Ohio State University<br />
Press 1965.<br />
LEUCHTENBURG, W. E., The New Deal at the End of the Twentieth Century, in S. M. MILKIS, J. M.<br />
MILEUR (ed.), The New Deal and the Triumph of Liberalism, Amherst, University of Massachusetts<br />
Press 2002.<br />
LIPSET, S. M., Why Is There No Socialism in the United States? in S. SLUZAR (ed.), Sources of Contemporary<br />
Radicalism, Boulder, Westview Press 1977, pp. 31-149.<br />
LOWI, T., The New Public Philosophy: Interest-Group Liberalism, in T. FERGUSON, J. ROGERS, The<br />
Political Economy: Reading in the Politics and Economics of American Public Policy, Armony, M.<br />
E. Sharpe 1984.<br />
LLYOD, G. (ed.), The Two Faces of Liberalism: How the Hoover-Roosevelt Debate Shapes the 21th<br />
Century, Salem, M&M Scrivener Press 2006.<br />
LUCE, H. R., The American Century, in Life Magazine, n. 10, 1941, in M. J. HOGAN (a cura di), The<br />
Ambiguous Legacy: U.S. Foreign Relations in the "American Century", Cambridge, Cambridge<br />
University Press 1999.<br />
MAFFETTONE, S., Liberalismo filosofico contemporaneo, in S. MAFFETTONE, S. VECA (a cura di),<br />
Manuale di filosofia politica, Roma, Donzelli 1996.<br />
MANICAS, P., John Dewey and American Social Science, in L. A. HICKMAN, Reading Dewey: Interpretations<br />
for a Postmodern Generation, Bloomington, Indiana University Press 1998.<br />
MATTEUCCI N., Friedrich A. Von Hayek alla ricerca di un ordine spontaneo, in Filosofi politici<br />
contemporanei, Bologna, Il Mulino 2001.<br />
MATTEUCCI, N., Il liberalismo in un mondo in trasformazione, Bologna, Il Mulino 1972.<br />
MAY, H. F., A Meditation on an Unfashionable Book, in Christianity and Crisis, XXVIII, n. 9,<br />
1968.<br />
45
MERRIAM, C. E., Politics in Its Place, in International Journal of Ethics, vol. 46, n. 2, 1936.<br />
MERRIAM, C. E., Progress in Political Research, in The American Political Science Review, vol. 20,<br />
n. 1, 1926.<br />
MERRIAM C., State of the Study of Politics, in The American Political Science Review, vol. 15, n. 2,<br />
1921.<br />
MEIER, C. S., The Politics of Productivity: Foundation of American International Economic Policy<br />
After World War II, in International Organization, vol. 31, n. 4, 1977.<br />
MEYER, F. S., Freedom, Tradition and Power, in F. S. MEYER (ed.), What is Conservatism?: a Timely,<br />
Important and Provocative Examination of American Conservatism by Twelve Leading Conservative<br />
Thinkers and Spokesman, New York, Holt, Rinehart & Winston 1964.<br />
NARDIN, T., Oakeshott’s Philosophy of the Social Science, in C. ABEL, T. FULLER (ed.), The Intellectual<br />
Legacy of Michael Oakeshott, Exeter-Charlottesville, Imprint Academic 2005.<br />
NIEBUHR, R., Liberalism and Conservatism, in Christianity and Society, n. 20, 1954-1955.<br />
NISBET, R., Conservatism and Sociology, in The American Journal of Sociology, vol. 58, n. 2, 1952.<br />
OAKESHOTT, M., Contemporary British Politics, in The Cambridge Journal, I, 1947-1948, pp. 474-<br />
490.<br />
O’ BRIEN, D. P., Hayek as an Intellectual Historian, in J. BIRNER, R. VAN ZIJP (ed.), Hayek, Coordination<br />
and Evolution: His Legacy in Philosophy, Politics, Economics, and the History of Ideas,<br />
London, Routledge 1994.<br />
OPITZ, P. J., Le tesi sullo gnosticismo. Osservazioni sull’interpretazione della modernità del mondo<br />
occidentale in Eric Voegelin, in Filosofia Politica, XIII, n. 2, 1999.<br />
PAGE SMITH, C., Review at The Irony of American History, in The William and Mary Quarterly,<br />
vol. 9, n. 3, 1952.<br />
PANEBIANCO, A., Le scienze sociali e i limiti dell’illuminismo applicato, in A. PANEBIANCO (a cura<br />
di), L’analisi della politica. Tradizioni di ricerca, modelli, teorie, Bologna, Il Mulino 1989.<br />
PODOKSIK, E., The Voice of Poetry in the Thought of Michael Oakeshott, in The Journal of History<br />
of Ideas, vol. 63, n. 4, 2002<br />
PRANDSTRALLER, G. P., L’intellettuale-tecnico, Milano, Edizioni di Comunità 1968.<br />
REDMOND, R. S., A Conservative Century, in Contemporary Review, vol. 275, 1999.<br />
RIBUFFO, L. P., United States Vs. Williams: the Roosevelt Administration and the Far Right, in M.<br />
R. BELKNAP (ed.), American Political Trials, Westport, Greenwood Press 1994.<br />
ROBINSON, J. P., Public Reaction to Political Protest: Chicago 1968, in The Public Opinion Quarterly,<br />
vol. 34, n. 1, 1970.<br />
46
ROOSEVELT, F. D., The Public Papers and Addresses of Franklin D. Roosevelt, Random House,<br />
New York 1938-1950, vol. 9.<br />
ROOSEVELT, F. D., Rendezvous with destiny; addresses and opinions of Franklin Delano Roosevelt,<br />
selected and arranged with factual and historical references and summaries by J.B.S. Hardman,<br />
New York, The Dryden Press 1944.<br />
ROSENHOF, T., Freedom, Planning and Totalitarianism: The Reception of F. A. Hayek’s «Road to<br />
Serfdom», in Canadian Review of American Studies, n. 5, 1974.<br />
ROTHBARD, M., The Foreign Policy of the Old Right, in Journal of Libertarian Studies, vol. 2, n. 1,<br />
1978.<br />
ROTHBARD, M., Life in the Old Right, in J. SCOTCHIE, The Paleoconservatives: New Voices of the<br />
Old Right, New Brunswick, Transaction Publishers 1999.<br />
RUDOLPH, F., The American Liberty League, 1934-1940, in The American Historical Review, vol.<br />
56, n. 1, 1950.<br />
SAMUELSON, R., John Adams and the Republic of Laws, in B. P. FROST, J. SIKKENGA (ed.), History<br />
of American Political Thought, Lanham, Lexington Books 2003.<br />
SANDOZ, E., The Voegelinian Revolution, New Brunswick, Transaction Publishers 2000.<br />
SAVAGE, S. J., FDR’s Party Leadership, in M. J. ROZELL, W. D. PEDERSON, FDR and the Modern<br />
Presidency: Leadership and Legacy, Westport, Praeger 1997.<br />
SABINE, G., The Two Democratic Traditions, in Philosophical Review, n. 61, 4, 1952.<br />
SCHLESINGER JR., A. M., The Politics of Nostalgia, in Reporter, vol. 2 (1955), pp. 9-12, ora in A. J.<br />
SCHLESINGER Jr., The Politics of Hope and the Bitter Heritage: American liberalism in the 1960s,<br />
Princeton-Oxford, Princeton University Press 2008.<br />
SCHLESINGER JR., A. M., Reinhold Niebuhr’s Role in American Political Thought and Life, in C. W.<br />
KEGLEY, R. W. BRETALL (ed.), Reinhold Niebuhr: His Religious, Social and Political Thought, New<br />
York, Macmillan 1956.<br />
SCOTT, E. W. (ed.), Applied Research in the United States; Report of the National Academy of<br />
Sciences, National Research Council to the Mutual Security Agency, under project TA-OEEC-83,<br />
March 1 st 1952.<br />
SCRUTON, R., Review of “Conservatism” by T. Honderich, in The Philosophical Quarterly, vol. 41,<br />
n. 163, 1991.<br />
SHKLAR, J. , Liberalism of Fear in N. ROSENBLUM, Liberalism and the Moral Life, Cambridge, Harvard<br />
University Press 1989<br />
SHKLAR, J., Redeeming American Political Theory, in American Political Science Review, vol. 85,<br />
n. 1, 1991.<br />
47
SKOCPOL, T., America’s Incomplete Welfare State: the Limits of New Deal Reforms and the Origins<br />
of the Present Crisis, in M. REIN, G. ESPRING-ANDERSEN, L. RAINWATER (ed.), Stagnation and Renewal<br />
in Social Policy: the Rise and Fall of Policy Regimes, Armonk, M. E. Sharpe 1987.<br />
SILVER, B. J., SLATER, E., The Social Origins of World Hegemonies, in G. ARRIGHI, B. J. SILVER, I.<br />
AHMARD (ed), Chaos and Governance in the Modern World System, Minneapolis, University of<br />
Minnesota Press 1999.<br />
SMITH, T. V., Political Liberty Today: Is it Being Restricted or Enlarged by Economic Regulation?,<br />
in American Political Science Review, n. 31, 1937, pp. 243-252.<br />
SMITH, T. W., Liberal and Conservative Trends in the United States Since World War II, in The Public<br />
Opinion Quarterly, vol. 54, n. 4, 1990.<br />
STROUT, C., Niebuhr’s Irony and American History, in American Quarterly, vol. 5, n. 2, 1953.<br />
TAYLOR, C., Cosa c’è che non va nella libertà negativa, in I. CARTER, M. RICCIARDI (a cura di),<br />
L’idea di libertà, Milano, Feltrinelli 1996.<br />
TUGWELL, R. G., The Industrial Discipline and the Governmental Arts, tr. it. in F. VILLARI (a cura<br />
di), La Grande Crisi e le riforme di Roosevelt, Roma, Gangemi 2007.<br />
VAUDAGNA, M., A Checkered History; The New Deal, Democracy, and Totalitarianism in Transatlantic<br />
Welfare States, in L. MOORE, M. VAUDAGNA (ed.), The American Century in Europe , Ithaca,<br />
Cornell University Press 2003.<br />
VOEGELIN, E., Liberalism and Its History, in The Review of Politics, vol. 36, n. 6, 1974.<br />
VON HAYEK, F. A., Liberalism, in New Studies in Philosophy, Politics, Economics and the History of<br />
Ideas, Chicago, University of Chicago Press 1978.<br />
WALZER, M., On Negative Liberalism, in B. YACK (ed.), Liberalism Without Illusions: Essays on<br />
Liberal Theory and the Political Vision of Judith N. Shklar, Chicago, University of Chicago Press<br />
1996.<br />
WESTBROOK, R. B., Tribute of the Technostructure: The Popular Economics of Stuart Chase, in<br />
American Quarterly, vol. 32, n. 4, 1980.<br />
WILLIAMS, W. A., The Legend of Isolationism in the 1920’s, in «Science & Society», vol. 18, 1954.<br />
WILSON, F., A Theory of Conservatism, in The American Political Science Review, vol. 35, n. 1,<br />
1941.<br />
WORTHINGTON, G., Michael Oakeshott and the City of God, in Political Theory, vol. 28, 3, 2000.<br />
48