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Commento alla Prima Lettera di San Giovanni Apostolo - 'Apostolato ...

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LA PRIMA LETTERA DI<br />

GIOVANNI<br />

<strong>Commento</strong> simbolico e mistico<br />

proposto da D. Guido Abbà<br />

Cuneo - 2007


INTRODUZIONE<br />

I - PRESENTAZIONE DEL COMMENTO<br />

L'<strong>Apostolo</strong> ed Evangelista <strong>Giovanni</strong> scrive verso l'anno 100 questa lettera <strong>alla</strong> sua comunità <strong>di</strong><br />

Efeso, cioè ad una comunità formata <strong>alla</strong> scuola del suo Vangelo e, prima ancora, <strong>alla</strong> sublime<br />

scuola <strong>di</strong> Paolo (cfr. la lettera agli Efesini e Atti 19,1-20; 20,17-38). <strong>Giovanni</strong> aveva sicuramente<br />

arricchito tale Chiesa comunicandole la sua spiritualità particolare, espressa con un linguaggio<br />

mistico speciale, abituandola a giu<strong>di</strong>care gli eventi della vita con la tipica mentalità giovannea,<br />

che non conosce le mezze tinte o i toni sfumati, ma solo luce piena o tenebra totale.<br />

Riteniamo pertanto che la <strong>Prima</strong> <strong>Lettera</strong> <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> sia un'interessantissima testimonianza <strong>di</strong><br />

come una comunità, plasmata per un certo periodo dall'assiduo ascolto del Discepolo "che Gesù<br />

amava" e dal suo profondo e inconfon<strong>di</strong>bile lavoro pastorale, al <strong>di</strong> là dei problemi dovuti ai limiti<br />

umani e alle concrete <strong>di</strong>fficoltà sociali e culturali, viva la mistica comunione <strong>di</strong> grazia con il<br />

Padre per il Figlio nello Spirito <strong>San</strong>to, il quale viene sperimentato attivamente come Unzione<br />

consacrante e illuminante.<br />

Se qualcuno ci chiedesse: «In che cosa consistono questo linguaggio e questa dottrina<br />

speciale?», noi lo dovremmo in<strong>di</strong>rizzare verso la lettura del nostro commento al IV Vangelo<br />

dove tutto questo viene spiegato a lungo. Essendo però tale lavoro un ine<strong>di</strong>to, rispon<strong>di</strong>amo<br />

brevemente <strong>alla</strong> domanda posta:<br />

1° <strong>Giovanni</strong> riesce a capire con prontezza il valore dei simboli e dei segni, attraverso i quali il<br />

Signore Gesù parla e si manifesta. Ci insegna quin<strong>di</strong> a vivere simbolicamente, trasfigurando ogni<br />

esperienza terrena in una esperienza spirituale.<br />

2° L'Evangelista vede che i segni compiuti da Gesù sono opere pro<strong>di</strong>giose ed efficaci, nelle<br />

quali si manifesta la gloria <strong>di</strong> Dio: tutte queste opere trovano la loro continuazione nella vita<br />

della Chiesa, specie nei sacramenti del Battesimo e dell'Eucaristia.<br />

3° L'opera del Cristo si compie anche per <strong>Giovanni</strong> gradatamente nella storia e sarà completa<br />

solo nel giorno finale. Però l'Evangelista ha la tendenza a considerare come già compiuto in<br />

anticipo quello che avverrà in futuro. Così per lui il presente si riempie <strong>di</strong> grande spessore ed<br />

importanza. Per questo noi stu<strong>di</strong>ammo il Vangelo giovanneo con tre ottiche: quella simbolicaanalogica,<br />

quella operativa-sacramentale e quella anticipatrice-escatologica.<br />

Se facciamo un confronto tra il Vangelo <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> e questa <strong>Lettera</strong> troviamo quasi lo stesso<br />

stile letterario (fatto <strong>di</strong> parallelismi, <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorsi ciclici, <strong>di</strong> sintesi teologiche originali ed<br />

incisive...). Cambia solo lo scenario <strong>di</strong> fondo: nel Vangelo viene presentato il contrasto netto tra<br />

il Cristo insieme ai suoi <strong>di</strong>scepoli, da una parte, e gli avversari (i cosiddetti giudei o mondo<br />

ostile), dall'altra. Nella lettera il <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong>venta più complesso: non solo vi è il contrasto tra la<br />

Chiesa ed il mondo, ma anche all’interno della stessa Chiesa vi è una contrapposizione tra i veri<br />

credenti ed i falsi credenti, che ingannano non solo gli altri, ma perfino se stessi. Molti falsi<br />

credenti, poi, restano in qualche modo ancora uniti <strong>alla</strong> comunità, pur manifestando gravi lacune<br />

nella loro vita, e altri si separano <strong>di</strong> fatto fondando altri gruppi non più in comunione con gli<br />

apostoli, cosicché <strong>Giovanni</strong> li può qualificare come pseudoprofeti o, ad<strong>di</strong>rittura, come anticristi.<br />

L'<strong>Apostolo</strong> in<strong>di</strong>ca con chiarezza quali siano i criteri per <strong>di</strong>stinguere gli uni dagli altri e in tal<br />

modo rivela alcune leggi fondamentali della vita cristiana: non sono sufficienti le parole, ma ci<br />

vogliono i fatti, vale a <strong>di</strong>re: non basta affermare <strong>di</strong> sapere, bisogna anche operare, bisogna<br />

conservare il deposito originale e primitivo della fede senza alterazioni, bisogna scoprire quali<br />

conseguenze pratiche ha per il credente il fatto inau<strong>di</strong>to dell'Incarnazione della Parola <strong>di</strong>vina,<br />

bisogna che la vita cristiana abbia, nello stesso tempo, una <strong>di</strong>mensione trinitaria e una ecclesiale<br />

2


(sia, cioè, una vera comunione vissuta pienamente nella <strong>di</strong>rezione verticale [Dio] e in quella<br />

orizzontale [i fratelli]).<br />

Per questo motivo viene dato da <strong>Giovanni</strong> particolare risalto <strong>alla</strong> virtù dell'amore, come<br />

sintesi e culmine dell'esperienza <strong>di</strong> fede: Dio è Amore e noi, che da lui siamo amati, lo dobbiamo<br />

amare, amandoci tra <strong>di</strong> noi con amore perfetto.<br />

In questo nuovo stu<strong>di</strong>o, che completa quello da noi fatto precedentemente sul IV Vangelo, ci<br />

proponiamo <strong>di</strong> leggere la <strong>Prima</strong> <strong>Lettera</strong> <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> con un duplice intento:<br />

1° comprendere tutta l'attualità dell’esperienza e del messaggio <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> per il nostro<br />

tempo, dopo 2000 anni, in una Chiesa che, pur sempre stimolata da profeti della fede e della<br />

carità, ha preferito spesso le <strong>di</strong>spute dottrinali e le pratiche devozionali ed ha perso a volte alcune<br />

occasioni importanti per un rinnovamento coraggioso nel campo della vita spirituale e delle<br />

relazioni interpersonali e comunitarie.<br />

2° <strong>alla</strong> luce <strong>di</strong> questa lettera giovannea cogliere i suggerimenti veramente fondamentali<br />

(specie quelli sulla carità e sul <strong>di</strong>scernimento) per impostare una vita spirituale ed ecclesiale, non<br />

più sugli schemi rigi<strong>di</strong> derivanti da una teologia speculativa nata sovente a tavolino nel corso dei<br />

secoli, ma sull'azione <strong>di</strong>retta dello Spirito <strong>San</strong>to, rinnovatore impreve<strong>di</strong>bile della vita comunitaria<br />

e personale.<br />

II - UN BREVE SOMMARIO<br />

Forse è opportuno presentare uno schema del nostro lavoro per consentire una veloce visione<br />

panoramica <strong>di</strong> tutto il commento:<br />

I - IL PROLOGO<br />

L'ESPERIENZA DELLA VITA E DELLA LUCE (Unità 1) 1,1-7<br />

L'annuncio che la Parola è Vita e che Dio è Luce<br />

II - PRIMA PARTE: LE CONDIZIONI PER CAMMINARE NELLA LUCE<br />

1 a CONDIZIONE: ROMPERE CON IL PECCATO (Unità 2) 1,8-2,2<br />

Riconosciamoci umilmente peccatori<br />

2 a CONDIZIONE: OSSERVARE I COMANDAMENTI (Unità 3) 2,3-11<br />

Praticare soprattutto la carità<br />

3 a CONDIZIONE: VINCERE IL MALIGNO E IL MONDO (Unità 4) 2,12-17<br />

Conoscere e amare il Padre e fare la sua volontà<br />

4 a CONDIZIONE: CONFESSARE IL FIGLIO E IL PADRE (Unità 5) 2,18-28<br />

Abbiamo ricevuto il Crisma e conosciamo la verità<br />

III - SECONDA PARTE: LE CONDIZIONI PER VIVERE DA FIGLI DI DIO<br />

1 a CONDIZIONE: PRATICARE LA GIUSTIZIA (Unità 6) 2,29-3,10<br />

Siamo figli del Padre, perciò non facciamo il peccato<br />

2 a CONDIZIONE: AMARE I FRATELLI E CREDERE IN CRISTO (Unità 7) 3,11-24<br />

Osservare il suo comandamento<br />

3 a CONDIZIONE: DISCERNERE LE ISPIRAZIONI (Unità 8) 4,1-10<br />

Vincere lo spirito del mondo e conoscere Dio che è Amore<br />

4 a CONDIZIONE: RIMANERE NELL'AMORE PERFETTO (Unità 9) 4,11-21<br />

Se confessiamo Gesù e ci amiamo, Dio <strong>di</strong>mora in noi<br />

5 a CONDIZIONE: CREDERE IN GESÙ, FIGLIO DI DIO (Unità 10) 5,1-13<br />

Il Cristo, venuto con acqua e sangue, ci dà la Vita eterna<br />

3


IV - CONCLUSIONE<br />

PREGHIAMO SECONDO IL VOLERE DI DIO (Unità 11) 5,14-21<br />

Preghiamo per il fratello che pecca e cre<strong>di</strong>amo nel vero Dio.<br />

III – LA LETTERA DELLA CARITÀ E DELLA VERITÀ<br />

Molto a ragione la prima lettera <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> è stata definita la lettera dell’amore. Contiene<br />

molti altri insegnamenti su altri argomenti: su Cristo e sul suo Spirito, sulla fede e sul<br />

<strong>di</strong>scernimento, sulla preghiera e sul perdono… Ma forse il tema che più ci colpisce è proprio<br />

quello della carità, dell’amore santo. Infatti con grande convinzione l’Evangelista annuncia che<br />

Dio è Amore (4,8) e che ci ha amati fino al dono del Figlio suo (4,10) ed esclusivamente per<br />

amore ci ha resi suoi figli (3,1). Con altrettanta insistenza invita i lettori ad amare con i fatti Dio<br />

(2,5) e il prossimo come garanzia dell’autenticità del nostro amore verso Dio (3,11.14.18.23;<br />

4,11.21). Anche Gesù ci ha amati fino al dono della sua vita (3,16) e noi lo dobbiamo imitare <strong>alla</strong><br />

perfezione.<br />

Per approfon<strong>di</strong>re il tema dell’amore santo <strong>di</strong> Dio da un punto <strong>di</strong> vista teologico dobbiamo<br />

chiederci: che cosa vuol <strong>di</strong>re che Dio è Amore? Ci troviamo <strong>di</strong> fronte al mistero insondabile <strong>di</strong><br />

Dio, tuttavia cercheremo <strong>di</strong> balbettare qualche cosa. La vera natura <strong>di</strong> Dio è essere Amore<br />

infinito e perfettissimo. L’amore è la ragione per cui Dio esiste necessariamente: Dio c’è perché<br />

l’Amore perfetto non può non esistere. L’Amore infinito esiste per energia propria. L’amore <strong>di</strong><br />

Dio, ovvero l’amore che è Dio, ha perciò delle caratteristiche impreve<strong>di</strong>bili e stupende: Dio<br />

innanzi tutto ama infinitamente se stesso, perché non può amare nulla che sia inferiore a se<br />

stesso, cioè nulla che sia inferiore <strong>alla</strong> Carità <strong>di</strong>vina. Questo fatto, lungi dall’essere un’azione<br />

egoistica, è la forma <strong>di</strong> amore più santa e più pura che possa esistere. Dio è Amore che ama<br />

l’Amore. Se io amo solo me stesso, resto chiuso nel cerchio del mio io e mi dà fasti<strong>di</strong>o il tu degli<br />

altri. Per Dio non è così: amando se stesso, l’Io <strong>di</strong> Dio <strong>di</strong>venta anche Tu. Nel momento in cui egli<br />

<strong>di</strong>ce: Io amo me stesso, con sorpresa si ritrova a <strong>di</strong>re: Io amo te. Scopre con gioia <strong>di</strong> avere in sé<br />

un altro Tu, non inferiore a sé. Amando questo Altro, egli ama <strong>di</strong>vinamente se stesso. Infatti si<br />

sente rispondere: Anch’Io amo te. Questo Altro infatti non ama sé, ma ama Colui che lo genera<br />

uguale a sé. Tutto questo avviene nella fecon<strong>di</strong>tà e nell’unità dello Spirito <strong>San</strong>to (cfr. Mc 1,10-11<br />

che ci apre una finestra su questi segreti della vita trinitaria). Anch’io nei confronti <strong>di</strong> un’altra<br />

persona devo <strong>di</strong>re con sincerità: io amo te, per poter rendere meno egoista l’amore che ho per me<br />

e se questo amore è verso il coniuge <strong>di</strong>venta generatore della vita <strong>di</strong> un figlio. In ogni caso<br />

comuque l’amore promuove la vita: quella <strong>di</strong> chi ama e quella <strong>di</strong> chi è amato. Tutto questo può<br />

avvenire perché siamo creati a immagine <strong>di</strong> Dio, il quale amando sé si espropria e si comunica<br />

generando vita. Ve<strong>di</strong>amo meglio come e perché. Abbiamo detto: Dio ama sé. Sono tre parole che<br />

ci fanno intuire il mistero in<strong>di</strong>cibile della Trinità: Dio è l’Amante, ama è l’Amore, sé è l’Amato,<br />

oppure con parole a noi più familiari: Dio è il Padre, ama è lo Spirito, sé è il Figlio. In altri<br />

termini: Dio è il Padre che vive per amare, ama è lo Spirito che rende possibile tale amore, sé è il<br />

Figlio che ha bisogno <strong>di</strong> essere amato, non per suo interesse, ma affinché Dio sia Padre. Dio ama<br />

se stesso amando il Figlio e in tal modo emana il Tu dello Spirito <strong>San</strong>to. Il Figlio poi ama se<br />

stesso amando il Padre per aver ricevuto lo Spirito del Padre che <strong>di</strong>venta anche lo Spirito del<br />

Figlio. Amare per Dio vuol <strong>di</strong>re dare e ricevere, ma innanzi tutto dare. Il Padre è colui che dà<br />

tutto quello che gli appartiene all’Amato e il Figlio è colui che tutto riceve dal Padre e che tutto<br />

gli ridona nella gioia dello Spirito. Il Padre è Dio nella sua ricchezza, il Figlio è Dio nella sua<br />

povertà, lo Spirito è l’amore che fa sì che il Padre doni con gioia e il Figlio riceva con<br />

riconoscenza. Dio ama <strong>di</strong>vinamente se stesso perché egli e solo egli è capace e degno <strong>di</strong> tale<br />

amore infinito: l’Amore lo fa esistere come Dio eterno e onnipotente e come Dio Unico e<br />

4


Trinitario. Ci possiamo chiedere: perché il Padre, il Figlio e lo Spirito <strong>San</strong>to sono persone <strong>di</strong>vine<br />

uguali e <strong>di</strong>stinte? Perché in Dio tutto è infinito: infinita è l’unità e l’uguaglianza delle Persone al<br />

punto da essere un solo Dio, ma infinita è anche la <strong>di</strong>stinzione e la complementarietà delle stesse<br />

al punto da essere tre Persone. Tra <strong>di</strong> esse vi è uguaglianza senza confusione (il Padre non è il<br />

Figlio), ma c’è complementarietà senza <strong>di</strong>sunione (il Padre, il Figlio e lo Spirito sono un unico<br />

Dio). È lo Spirito <strong>San</strong>to la forza che rende trinitario il Dio unico e unico il Dio trinitario. Pertanto<br />

il vero Dio non è un Dio solitario, ma è un Padre che ha un Figlio con il quale può <strong>di</strong>alogare <strong>alla</strong><br />

pari nell’unità e nella creatività dello Spirito. Ogni monoteismo che non sia anche trinitario è<br />

ancora imperfetto e arcaico: tende a presentare un Dio più monologo che <strong>di</strong>alogo, più severo che<br />

misericor<strong>di</strong>oso, più padrone che padre, più statico che <strong>di</strong>namico, più conservatore che<br />

innovativo. Solo il monoteismo trinitario, rivelatoci esclusivamente da Gesù Cristo, ci parla <strong>di</strong> un<br />

Dio Amore, <strong>di</strong> un Dio che si fa dono, <strong>di</strong> un Dio che sa trovare strade ine<strong>di</strong>te per salvarci. Noi,<br />

che siamo creature limitate, anche se create a immagine <strong>di</strong> Dio, partendo dall’idea dell’amore<br />

umano <strong>di</strong> cui abbiamo esperienza e pur moltiplicando all’infinito la sua perfezione non riusciamo<br />

a immaginare che cosa sia l’Amore trinitario. L’amore che noi sappiamo avere nel migliore dei<br />

casi è solo una pallida figura dell’Amore <strong>di</strong> Dio: non siamo capaci <strong>di</strong> amare senza limiti.<br />

Abbiamo fame e sete <strong>di</strong> amore autentico, ma facciamo fatica a donarlo agli altri. Inoltre<br />

purtroppo, per colpa nostra, il nostro amore sovente è solo la paro<strong>di</strong>a dell’Amore con la A<br />

maiuscola. Solamente Dio sa insegnarci cosa è Amore vero e può darci la capacità <strong>di</strong> viverlo.<br />

Pensiamoci bene: il Padre non dona se stesso solo al Figlio, ma dona se stesso, il Figlio e lo<br />

Spirito perfino a noi, misere creature. Dio per amore ha progettato e realizzato l’Incarnazione <strong>di</strong><br />

se stesso nel suo aspetto <strong>di</strong> Figlio, cioè nel suo aspetto <strong>di</strong> umiltà e <strong>di</strong> debolezza per parlarci in<br />

modo che potessimo capire. E il Figlio si è offerto, per amore del Padre e per amore nostro, fino<br />

<strong>alla</strong> morte ed <strong>alla</strong> morte <strong>di</strong> croce. Nessuna intelligenza umana o angelica poteva anche solo<br />

ipotizzare un tale altruismo e una tale genialità nell’escogitare strade <strong>di</strong> salvezza. Usando un<br />

linguaggio mistico e perciò apparentemente paradossale, potremmo <strong>di</strong>re che Dio ama noi molto<br />

più <strong>di</strong> quanto ami se stesso. I suoi interventi e le sue opere lo <strong>di</strong>mostrano: infatti, come se non<br />

bastasse, il Figlio oltre a farsi uomo e servo nostro, si è anche fatto pane e vino per saziare e<br />

<strong>di</strong>ssetare la nostra fame e sete <strong>di</strong> vita. L’Eucarestia è la più incre<strong>di</strong>bile invenzione dell’amore<br />

<strong>di</strong>vino e anche la più efficace scuola <strong>di</strong> carità. È <strong>alla</strong> scuola <strong>di</strong> Gesù e del suo Vangelo che noi<br />

impariamo l’arte <strong>di</strong> amare come Dio ama: infatti il comandamento è quello <strong>di</strong> amare Dio e il<br />

prossimo così come Gesù stesso, nella grazia dello Spirito <strong>San</strong>to, ha saputo fare. E Gesù ci ha<br />

amati come il Padre ha amato lui (Gv 15,9). Per questo motivo ci dona il suo stesso Spirito,<br />

affinché anche noi <strong>di</strong>ventiamo Carità, come lui è Carità (Gv 15,9; 13,34): La speranza poi non<br />

delude, perché l'amore <strong>di</strong> Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito <strong>San</strong>to che<br />

ci è stato dato (Rom 5,5). Sia questa la nostra unica speranza, la nostra sicura speranza, la nostra<br />

audace speranza: quella <strong>di</strong> giungere ad amare <strong>di</strong>vinamente (cfr. 1 Cor 13).<br />

<strong>Prima</strong> ancora però del tema della carità <strong>Giovanni</strong> ci propone quello della verità. Nella<br />

definizione <strong>di</strong> Dio come Luce (1,5), definizione che precede quella <strong>di</strong> Dio come Amore (4,8.16),<br />

noi scopriamo che Dio è Luce <strong>di</strong> verità e Luce <strong>di</strong> santità.<br />

1° Luce <strong>di</strong> Verità: Dio conosce se stesso. Tre parole che ci fanno capire che la perfetta<br />

conoscenza che Dio ha <strong>di</strong> sé lo costituisce come Padre (conoscitore), come Figlio (conosciuto,<br />

Immagine nel quale il Padre si rispecchia pienamente, Parola con la quale il Padre <strong>di</strong>ce e rivela<br />

totalmente se stesso) e come Spirito (conoscenza, intelligenza, scienza, sapienza infinita). Dio<br />

conoscendo se stesso conosce la Verità suprema, vive nella Verità vivente inverandosi come<br />

Trinità <strong>di</strong>namica e creativa.<br />

2° Luce <strong>di</strong> <strong>San</strong>tità: la verità <strong>di</strong>vina non ha solo un valore conoscitivo, ma un valore<br />

imme<strong>di</strong>atamente morale: significa veri<strong>di</strong>cità, sincerità, onestà, fedeltà, giustizia e santità. Dio è<br />

luce perché conosce e <strong>di</strong>ce la Verità su <strong>di</strong> sé, pronunciando il Verbo eterno nella verità dello<br />

5


Spirito; Dio è luce perché <strong>di</strong>ce la Verità con perfetta Carità: la Verità rende vera e gloriosa la sua<br />

Carità, la Carità rende santa e amabile la sua Verità.<br />

Per questi motivi <strong>Giovanni</strong> ci invita a conoscere Dio (Padre, Figlio e Spirito <strong>San</strong>to) e a vivere<br />

in comunione <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> amore con lui (lui in noi e noi in lui) e con i fratelli all’interno della<br />

comunità <strong>di</strong> Cristo, Figlio <strong>di</strong> Dio venuto nella carne. In noi ci sia prima l’amore per la verità<br />

affinché abbiamo in dono la verità dell’amore.<br />

Per completare la nostra contemplazione della vita trinitaria dobbiamo integrare<br />

l’insegnamento della lettera <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> con quello del suo Vangelo: oltre <strong>alla</strong> conoscenza e<br />

all’amore reciproco in Dio vi è la glorificazione. Dio glorifica se stesso (Gv 12,28): altre tre<br />

parole che coronano l’attività Dio nel suo interno. Il glorificante è il Padre, la gloria è lo Spirito<br />

(Gv 17,5.22) e il glorificato è il Figlio (Gv 8,54; 17,1). A sua volta il Figlio glorifica il Padre con<br />

una gloria degna <strong>di</strong> lui. Dio, dunque, conosce se stesso come Verità perfetta, ama se stesso come<br />

Bontà infinita, glorifica se stesso come Bellezza e Forza eterna. Benché queste qualità<br />

appartengano a tutte le tre persone <strong>di</strong>vine, noi attribuiamo la Verità al Figlio (sapienza <strong>di</strong> Dio), la<br />

Bontà allo Spirito <strong>San</strong>to (amore effuso nei nostri cuori) e la Bellezza e la Forza al Padre della<br />

gloria (Rom 6,4; Ef 1,17).<br />

Nei nostri confronti il Dio trinitario opera in modo <strong>di</strong>namico: siamo creati e salvati dal Padre<br />

per mezzo del Figlio (Gv 1,3; 3,17; Rom 5,9; Col 1,16) nella potenza dello Spirito. Anche noi<br />

dobbiamo relazionarci a Dio in modo <strong>di</strong>namico: rendere grazie e gloria al Padre per mezzo <strong>di</strong><br />

Cristo nella comunione e nella gioia dello Spirito (Col 3,17). Perciò anche noi, santificati dallo<br />

Spirito del Padre e trasfigurati a immagine del Figlio entriamo come veri figli nella <strong>di</strong>namica<br />

della vita <strong>di</strong>vina.. Questa è la vita eterna! Questa è la felicità da non perdere!<br />

Per venire molto al pratico <strong>di</strong>ciamo che la comunità credente è chiamata a rispecchiare le<br />

caratteristiche dell’Unità e della Trinità <strong>di</strong>vina: la conoscenza si realizza per mezzo della<br />

catechesi ascoltata e annunciata, l’amore per mezzo dell’impegno nel servizio ricevuto e offerto,<br />

la glorificazione nella preghiera e nella liturgia. Tutto questo deve concorrere <strong>alla</strong> costruzione<br />

dell’unità ecclesiale nella comunione e nella pace, pur nel pluralismo e nella collaborazione.<br />

Dobbiamo però <strong>di</strong>re ancora una cosa molto importante: l’essere Verità, Amore e Gloria<br />

infinita è molto impegnativo per Dio. In altre parole (ci esprimiamo in modo umano): egli deve<br />

pagare un prezzo altissimo. Dio conosce tutto, ma anche si offre <strong>alla</strong> conoscenza <strong>di</strong> tutti: in lui<br />

c’è perfetta trasparenza, non ha qualche angolino nascosto e riservato a lui solo. Dio ama<br />

donando tutto se stesso: egli si espropria totalmente, non tenendo nulla per sé. Dio merita la<br />

massima gloria, eppure non mette se stesso al centro <strong>di</strong> tutto, ma cerca solo il vantaggio degli<br />

altri: è capace <strong>di</strong> una umiltà infinita. Per questo Dio in Cristo si è rivelato come povero,<br />

obbe<strong>di</strong>ente, casto, paziente, debole, mite e umile <strong>di</strong> cuore. Proprio perché tutto in Dio è<br />

impegnativo nel Gloria noi <strong>di</strong>ciamo: ti ren<strong>di</strong>amo grazie per la tua gloria immensa. Non sarebbe<br />

necessario ringraziare Dio per la sua gloria, se questa non gli costasse nulla e se non potesse<br />

<strong>di</strong>ventare gloria anche nostra, come segno della sua incre<strong>di</strong>bile umiltà. Infatti Dio è glorioso<br />

perché umile, umile e perciò glorioso, ricco perché generoso, generoso e perciò ricco, forte<br />

perché con<strong>di</strong>scendente, con<strong>di</strong>scendente e perciò forte. Per questi motivi la via <strong>di</strong> Dio è solo<br />

quella della croce. Essa è stata la via <strong>di</strong> Cristo e deve <strong>di</strong>ventare anche quella del cristiano. Noi<br />

dunque, che ci avventuriamo sulle strade della vera conoscenza <strong>di</strong> Dio per poterlo amare con<br />

tutto il cuore, prepariamoci a soffrire molto per amore del suo santo nome. Ma nello stesso<br />

tempo prepariamoci a gustare in fondo al calice amaro una delizia spirituale che il mondo non<br />

può nemmeno immaginare.<br />

IV - COME USARE IL COMMENTO<br />

6


1. L’intera Epistola si può opportunamente <strong>di</strong>videre in quattro Sezioni (1° livello): Prologo,<br />

<strong>Prima</strong> e Seconda parte del corpo della lettera, Conclusione. La prima e la seconda parte della<br />

lettera si <strong>di</strong>vidono rispettivamente in 4 e in 5 Sottosezioni, ognuna delle quali costituisce una<br />

Unità (2° livello). Anche il Prologo e la Conclusione corrispondono ad una Unità. In tutto le<br />

Unità sono 11 e sono pre<strong>di</strong>sposte in modo tale da facilitare la realizzazione <strong>di</strong> una Lectio Divina<br />

nei suoi sette momenti (1° Preparazione, 2° Lettura e commento, 3° Me<strong>di</strong>tazione, 4° Orazione,<br />

5° Contemplazione, 6° Con<strong>di</strong>visione e 7° Azione). Di questi momenti sviluppiamo solo il<br />

secondo.<br />

Il carattere usato per i titoli delle Sezioni e delle Unità è il seguente (1° e 2° livello):<br />

I - SEZIONE - UNITÀ<br />

2. Il contenuto delle Unità è sempre sud<strong>di</strong>viso in Parti (3° livello), il cui titolo ha questo<br />

formato:<br />

1 - PARTE<br />

3. Le Parti possono a loro volta essere <strong>di</strong>vise in Punti (4° livello), i cui titoli sono<br />

contrad<strong>di</strong>stinti dal seguente formato:<br />

1. PUNTO<br />

4. La traduzione è molto letterale in modo da favorire una più fedele interpretazione del<br />

messaggio. Le parole italiane messe tra parentesi tonde ( ) non sono presenti nel testo greco.<br />

Quando proponiamo due tra<strong>di</strong>zioni possibili mettiamo le parole entro parentesi quadre [ ]. Più<br />

parole italiane, che corrispondono ad una sola parola greca, sono unite con una lineetta.<br />

5. Un numero tra parentesi tonde in<strong>di</strong>ca un versetto del Capitolo che si sta esaminando. Se si<br />

è nel Capitolo quarto, (1) significa: 1 Gv 4,1.<br />

Due numeri, tra parentesi tonde, separati d<strong>alla</strong> virgola in<strong>di</strong>cano un capitolo e un versetto della<br />

lettera. Ad esempio: (2,1) vuol <strong>di</strong>re 1 Gv 2,1.<br />

Tutte le altre citazioni bibliche sono invece complete.<br />

6. Spesso citiamo le parole greche più significative, facendone la traslitterazione.<br />

Presupponendo che coloro che le leggono non conoscano il greco, le scriviamo in modo che un<br />

lettore italiano automaticamente le possa pronunciare in modo corretto: la y si pronuncia come la<br />

u francese o la ü tedesca; le vocali lunghe h e w vengono in<strong>di</strong>cate con e ed o sottolineate. Kh e th<br />

corrispondono a x e q. La Gh davanti ad i ed e serve ad in<strong>di</strong>care il suono sempre duro <strong>di</strong> g.<br />

Poniamo gli accenti sulle vocali secondo la pronuncia e non secondo la scrittura. L’accento<br />

circonflesso è reso con ^. I verbi greci <strong>di</strong> solito sono riportati all'in<strong>di</strong>cativo presente (prima<br />

persona), i nomi e gli aggettivi al nominativo singolare.<br />

7. Molta attenzione abbiamo usato nel formulare i titoli in modo da facilitare la comprensione<br />

del testo e della sua struttura.<br />

V - BIBLIOGRAFIA CONSULTATA<br />

Maggioni Bruno, La prima lettera <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong>, Cittadella E<strong>di</strong>trice, Assisi 1984.<br />

<strong>San</strong>t'Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni sulla lettera dell'amore <strong>di</strong> S. <strong>Giovanni</strong>, Traduzione, introduzione<br />

e note <strong>di</strong> Salvatore Aliquò, Città Nuova E<strong>di</strong>trice, Roma 1980 5 .<br />

Di <strong>San</strong>t'Agostino cercheremo <strong>di</strong> citare quei passi che, a nostro giu<strong>di</strong>zio, sono tra i più<br />

belli ed i più significativi.<br />

7


I - IL PROLOGO<br />

L'ESPERIENZA DELLA VITA E DELLA LUCE (UNITÀ 1)<br />

L'annuncio che la Parola è Vita e che Dio è Luce<br />

Presentazione e lettura <strong>di</strong> 1 Gv 1,1-7<br />

Il Prologo <strong>di</strong> questa lettera richiama per più <strong>di</strong> un motivo quello del IV Vangelo (Gv 1,1-18).<br />

Lo possiamo <strong>di</strong>videre in 3 parti:<br />

1 a – <strong>Giovanni</strong> annuncia la sua esperienza concreta della Parola <strong>di</strong>vina;<br />

2 a – parla poi <strong>di</strong> Dio usando una prima immagine: la Vita;<br />

3 a – infine usa una seconda immagine: quella della Luce.<br />

1 – ABBIAMO CONTEMPLATO LA PAROLA DELLA VITA<br />

1. IL VERBO DELLA VITA UDITO, VEDUTO E TOCCATO (1,1)<br />

1.1 (\O h)=n a)p' a)rxh=j,<br />

o(\ a)khko/amen,<br />

o(\ e(wra/kamen toi=j o)fqalmoi=j h(mw=n,<br />

o(\ e)qeasa/meqa<br />

kai\ ai( xei=rej h(mw=n e)yhla/fhsan<br />

peri\ tou= lo/gou th=j zwh=j<br />

1,1 Ciò–che era da(l) principio,<br />

ciò–che abbiamo–u<strong>di</strong>to,<br />

ciò–che abbiamo–veduto con–i nostri occhi,<br />

ciò–che abbiamo–contemplato<br />

e (ciò che) le nostre mani hanno–toccato,<br />

circa la Parola della Vita<br />

«Ciò che era dal principio (’ap’ ’arkhês)»: <strong>di</strong> quale principio intende parlarci l’<strong>Apostolo</strong>? Di<br />

quello del mondo o <strong>di</strong> quello della vita pubblica del Signore? Se cerchiamo l’espressione ’ap’<br />

’arkhês in <strong>Giovanni</strong>, troviamo nel IV Vangelo un’affermazione del Maestro che ci toglie ogni<br />

dubbio: Voi siete con me fin dall’inizio (’ap’ ’arkhês: Gv 15,27), cioè fin dai primi momenti<br />

della mia manifestazione pubblica a Israele. Pertanto <strong>Giovanni</strong>, <strong>di</strong>cendo dal principio, intende<br />

parlarci <strong>di</strong> tutto quello che è successo a cominciare dal momento in cui egli ha incontrato Gesù<br />

insieme ai primi apostoli: Gv 1,35 Il giorno dopo <strong>Giovanni</strong> (Battista) stava ancora là con due<br />

dei suoi <strong>di</strong>scepoli [uno <strong>di</strong> loro era proprio il nostro Evangelista] 36 e, fissando lo sguardo su Gesù<br />

che passava, <strong>di</strong>sse: «Ecco l'Agnello <strong>di</strong> Dio!». 37 E i due <strong>di</strong>scepoli, sentendolo parlare così,<br />

seguirono Gesù. 38 Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, <strong>di</strong>sse: «Che cercate?». Gli<br />

risposero: «Rabbì (che significa Maestro), dove abiti?». 39 Disse loro: «Venite e vedrete».<br />

Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso <strong>di</strong> lui; erano circa le<br />

quattro del pomeriggio. Si pensi che chi ha conosciuto il Cristo dall’inizio è stato spettatore della<br />

teofania presso il fiume Giordano in occasione del Battesimo <strong>di</strong> Gesù ed ha ascoltato niente<br />

meno che la voce <strong>di</strong> Dio Padre. Naturalmente questa interpretazione non esclude che dal<br />

principio in<strong>di</strong>chi anche, in una certa misura, qualcosa che esiste da tutta l’eternità. Infatti questo<br />

brano iniziale della lettera riecheggia molto da vicino il prologo del IV Vangelo: Gv 1,1 In<br />

principio (’en ’arkhê) era la Parola, la Parola era presso Dio e la Parola era Dio. In Gv 1,1 il<br />

principio rappresenta l’eternità prima della creazione e l’inizio <strong>di</strong> essa. Oltre che nel passo in<br />

esame (v. 1), <strong>Giovanni</strong> usa ’ap’ ’arkhês in sei altre espressioni della sua prima lettera: parlando<br />

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<strong>di</strong> Cristo come <strong>di</strong> Colui che è o che era dal principio (2,13.14) e, ancora, ricordando il<br />

comandamento e l’insegnamento ricevuto dai fedeli fin dal principio (2,7.24; 3,11).<br />

L’Evangelista in tali passi afferma, in sostanza, che la persona del Salvatore, che esiste<br />

dell’eternità (dal principio), ed il suo messaggio sono stati e devono essere conosciuti<br />

integralmente a cominciare dal principio, perché chi conosce tutto fin dai primor<strong>di</strong> ha una<br />

visione più completa e anche perché all’inizio della pre<strong>di</strong>cazione del Vangelo (in generale) e<br />

all’inizio della nuova esperienza <strong>di</strong> fede <strong>di</strong> ognuno (in particolare) sono state comunicate le<br />

verità più importanti e più autentiche della vita cristiana (il Kérygma). Solo l’acqua che viene<br />

<strong>di</strong>rettamente d<strong>alla</strong> sorgente è la più pura e la più genuina. Nel v. 1 l’Autore della lettera <strong>di</strong>ce: Ciò<br />

che era (al neutro): così intende in<strong>di</strong>care non solo il Cristo, ma tutto quello che lo riguarda. Per il<br />

credente è dunque fondamentale avere una conoscenza completa <strong>di</strong> tutto quello che Gesù <strong>di</strong>sse e<br />

fece fin dai primi giorni (così come è importante che ricor<strong>di</strong> fedelmente le cose che gli sono state<br />

insegnate fin dal primo momento della sua conversione: cfr. anche 2 Gv 5 e 6). È in<strong>di</strong>spensabile<br />

dunque conoscere bene tutta la vicenda storica del Cristo per non sbagliare circa la sua identità e<br />

non alterare, nel corso del tempo, la verità. Ciò che era all'inizio va riscoperto ed acquisito in<br />

modo completo. Quanto oggi noi cre<strong>di</strong>amo deve fluire dall'inizio, poiché (riprendendo il<br />

paragone <strong>di</strong> prima) l'acqua appartiene ad un determinato fiume solo se contiene quella che sgorga<br />

d<strong>alla</strong> sua fonte.<br />

«Ciò che abbiamo u<strong>di</strong>to»: tre sono i sensi corporei che hanno permesso all'Evangelista <strong>di</strong><br />

entrare in contatto con il Signore: l'u<strong>di</strong>to, la vista e il tatto. L'Autore, pur essendo un’unica<br />

persona ben conosciuta (<strong>Giovanni</strong>, che tra poco userà anche il singolare: scrivo…, ho scritto…:<br />

2,12-14; 5,13), parla al plurale (abbiamo), perché egli scrive a nome <strong>di</strong> un gruppo autorevole<br />

(quello degli apostoli e dei maestri <strong>di</strong> fede, capi e responsabili della comunità).<br />

«Ciò che abbiamo veduto (’oráo) con i nostri occhi, ciò che abbiamo contemplato<br />

(theáomai)»: noi oggi possiamo ancora u<strong>di</strong>re le parole del Cristo riportate con tanta fedeltà nei<br />

Vangeli. Come possiamo però vedere o toccare il Signore risorto? Per noi esiste davvero un<br />

modo reale <strong>di</strong> vedere (aspetto materiale) e <strong>di</strong> contemplare (aspetto mistico) il Signore: esso<br />

consiste nell'ascolto assiduo e attento della sua Parola, la quale ci porta a sperimentare la sua<br />

presenza, in modo che non abbiamo nulla da invi<strong>di</strong>are ai testimoni oculari. Anzi, noi siamo<br />

ancora più “beati” <strong>di</strong> loro poiché, attraverso l'u<strong>di</strong>to, possiamo fare un'esperienza interiore che ha<br />

maggiori garanzie <strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà rispetto a quella sensoriale, perché richiede una sensibilità più<br />

raffinata <strong>di</strong> quella necessaria a chi ha visto con i propri occhi o toccato con le proprie mani: Gv<br />

20,29 Gesù gli <strong>di</strong>sse (a Tommaso): «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non<br />

avendo visto crederanno!». S'avveri dunque in noi questa beatitu<strong>di</strong>ne (cfr. Agostino,<br />

Me<strong>di</strong>tazioni... p. 48).<br />

«Ciò che le nostre mani hanno toccato (pselafáo)»: il verbo usato è proprio lo stesso<br />

utilizzato da Gesù Risorto per <strong>di</strong>re agli apostoli, sbalor<strong>di</strong>ti d<strong>alla</strong> sua presenza fisica: Palpatemi e<br />

rendetevi conto che uno spirito non ha né carne né ossa, come vedete che io ho (Lc 24,39). Nel<br />

<strong>di</strong>scorso fatto ad Atene nell’Areopago, Paolo, usando lo stesso verbo, <strong>di</strong>ce: Cerchino Dio, se mai<br />

lo tocchino e lo trovino (Atti 17,27) e così ci fa capire che c'è per noi un modo <strong>di</strong> toccare<br />

l'intoccabile (Ebr 12,18). Notiamo che non è inutile che l'<strong>Apostolo</strong> <strong>di</strong>ca <strong>di</strong> aver visto con gli<br />

occhi e aver toccato con le mani (Cfr. Gv 20,27): egli non <strong>di</strong>mentica gli organi della percezione<br />

sensoriale perché sa bene che il corpo è strumento necessario dello spirito in questa esperienza.<br />

«Circa la Parola (Lógos) della Vita»: quello che è stato il vero oggetto dei sensi dei vari<br />

testimoni è il Lógos, cioè la Parola della Vita, o anche, come subito dopo afferma più<br />

sinteticamente, la Vita. Non possiamo non citare le notissime parole del Prologo del Vangelo, le<br />

quali ci spiegano il motivo per cui è stato possibile vedere e toccare la Parola <strong>di</strong>vina: Gv 1,14 La<br />

Parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria<br />

come <strong>di</strong> Unigenito dal Padre, pieno <strong>di</strong> grazia e <strong>di</strong> verità. È stata l'Incarnazione l'evento<br />

straor<strong>di</strong>nario che ha fatto sì che gli apostoli potessero vedere la Vita invisibile e noi, attraverso i<br />

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loro occhi, possiamo arrivare ad avere la stessa certezza che loro avevano per amarlo con la<br />

stessa intensità (cfr. 1 Pt 1,6-9)! Dobbiamo sapere che uno dei segreti più belli della<br />

contemplazione mistica dei santi è proprio quello <strong>di</strong> fissare lo sguardo sul mistero<br />

dell’Incarnazione del Verbo (1 Pt 1,12).<br />

2. LA VITA SI È FATTA VISIBILE (1,2 a )<br />

1.2 kai\ h( zwh\ e)fanerw/qh, kai\ e(wra/kamen<br />

1,2 ─ infatti la Vita si–è–manifestata e l'abbiamo–veduta<br />

«Infatti la Vita si è manifestata (faneróo)»: l'Autore sente il bisogno <strong>di</strong> riba<strong>di</strong>re il concetto che<br />

in definitiva è proprio la Vita <strong>di</strong>vina la prima realtà che si è rivelata anche fisicamente agli<br />

uomini: Gv 1,4 In lui era la Vita e la Vita era la Luce degli uomini. Tale verità è così nuova e<br />

così importante che va proclamata con assoluta chiarezza: non gli uomini l’hanno trovata, ma<br />

essa stessa ci è venuta incontro e si è svelata.<br />

«L'abbiamo veduta (oráo)»: adesso l'Evangelista ci fa capire che tutto il ricco ed articolato<br />

incontro con il Cristo (presentato sopra nei suoi tre aspetti: u<strong>di</strong>tivo, visivo e tattile) può essere<br />

concentrato in modo sintetico in un'unica esperienza: quella visiva. Questo è molto interessante,<br />

perché all'azione del vedere è legata l'esperienza della bellezza. Il bello è proprio ciò che, visto o<br />

percepito, piace per la sua armonia e per il suo splendore. Vedere la Vita equivale dunque a<br />

gustarla in modo dolcissimo, a conoscerla in modo integrale, a parteciparvi in modo reale. Gli<br />

apostoli hanno saputo vedere in profon<strong>di</strong>tà, oltre le apparenze, ed hanno scoperto una ricchezza<br />

straor<strong>di</strong>naria che ha coinvolto tutta la loro persona (in altri termini, <strong>Giovanni</strong> ci sta parlando della<br />

più sublime esperienza <strong>di</strong> contemplazione che ci è dato <strong>di</strong> fare: 1,1). Essi hanno visto la Parola.<br />

Se la sapremo ascoltare in modo adeguato, anche noi la potremo vedere (Sal 47/48,9 Come<br />

avevamo u<strong>di</strong>to, così abbiamo visto…; Gv 11,40 … Non ti ho detto che, se cre<strong>di</strong>, vedrai la gloria<br />

<strong>di</strong> Dio?). Passeremo così d<strong>alla</strong> fede all’esperienza e poi dall’esperienza <strong>alla</strong> contemplazione.<br />

2 - IL PRIMO ANNUNCIO: LA VITA ETERNA SI È RIVELATA IN CRISTO<br />

1. TESTIMONIAMO E ANNUNCIAMO LA VITA ETERNA (1,2 b -3 a )<br />

kai\ marturou=men kai\ a)pagge/llomen u(mi=n th\n zwh\n th\n ai)w/nion<br />

h(/tij h)=n pro\j to\n pate/ra kai\ e)fanerw/qh h(mi=n<br />

1.3 o(\ e(wra/kamen kai\ a)khko/amen, a)pagge/llomen kai\ u(mi=n,<br />

e (quin<strong>di</strong>) testimoniamo e annunziamo a–voi la Vita, quella eterna,<br />

che era presso [oppure verso] il Padre e si–è–manifestata a–noi ─<br />

1,3 quello–che abbiamo–veduto e u<strong>di</strong>to, (lo) annunziamo anche a–voi,<br />

«Quin<strong>di</strong> testimoniamo (martyréo) e annunziamo (’ap-anghéllo) a voi la Vita, quella eterna»:<br />

chi ha fatto l'esperienza vera del Signore Gesù, Vita del mondo, può e deve rendere<br />

testimonianza (questo termine conserva tutta la forza del suo aspetto giuri<strong>di</strong>co), annunciando<br />

(aspetto profetico) il suo incontro e la sua partecipazione <strong>alla</strong> Vita <strong>di</strong> Dio, definita eterna. Eterna,<br />

infatti, qui vuol <strong>di</strong>re qualcosa <strong>di</strong> più che immortale: vuol <strong>di</strong>re <strong>di</strong>vina, in<strong>di</strong>cando così la Vita<br />

superiore e perfetta che Dio ha in sé. Gesù aveva già predetto che i suoi gli avrebbero reso<br />

testimonianza: cfr. Gv 15,27 Anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin<br />

dal principio. Perché tanta insistenza sul dovere <strong>di</strong> testimoniare la verità circa la sua persona?<br />

Fin dall'inizio <strong>Giovanni</strong> pone le basi <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso fatto <strong>di</strong> prove storiche per controbattere le<br />

deviazioni <strong>di</strong> coloro che non avevano capito l'importanza dell'Incarnazione del Figlio <strong>di</strong> Dio e<br />

non ne tiravano tutte le conseguenze (tra queste vi è il fatto che l'umanità <strong>di</strong> Cristo è sacramento<br />

<strong>di</strong> salvezza e quin<strong>di</strong> noi per salvarci abbiamo l'assoluta necessità <strong>di</strong> passare attraverso <strong>di</strong> lui,<br />

unico me<strong>di</strong>atore, e attraverso la Chiesa, prolungamento del suo corpo).<br />

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«Che era presso oppure verso (prós) il Padre e si è manifestata a noi»: cfr. Gv 1,2: Essa (la<br />

Parola) era in principio presso oppure verso (prós) Dio. Confrontando il nostro passo con quello<br />

parallelo del Vangelo <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong>, deduciamo che la Vita eterna è la Parola del Padre, cioè il<br />

Figlio Unigenito, presentato nella sua relazione trinitaria con Dio Padre, del quale egli è<br />

l’espressione e la rivelazione (cioè la Parola). Egli è presso il Padre (vicinanza) e verso il Padre<br />

(tensione).<br />

«Quello che abbiamo veduto e u<strong>di</strong>to, (lo) annunziamo (’ap-anghéllo) anche a voi»: nel v. 2<br />

era già uscito fuori esplicitamente anche il noi che si poneva in relazione con il voi: cioè, era già<br />

stato nominato il soggetto che scriveva e che annunciava (anche a nome degli altri testimoni) e<br />

venivano in<strong>di</strong>cati i destinatari (voi, come anche ora nel v. 3). Non <strong>di</strong>mentichiamo che in questo<br />

preciso momento il soggetto è ancora lui, l'<strong>Apostolo</strong> <strong>Giovanni</strong> in persona, ed i destinatari siamo<br />

noi! Ancora una volta l'Evangelista, <strong>di</strong>cendo quello, riba<strong>di</strong>sce che ha l'intenzione <strong>di</strong> annunciare<br />

ai suoi lettori tutto quello che lui, insieme agli altri testimoni, ha visto e u<strong>di</strong>to (in modo<br />

au<strong>di</strong>ovisivo: cfr. Mt 13,17). E così, circa l’oggetto dell’annuncio, egli <strong>alla</strong>rga nuovamente a 360<br />

gra<strong>di</strong> la prospettiva che prima si concentrava sul tema della Vita, come nucleo centrale e come<br />

senso ultimo <strong>di</strong> tutto. In questo annuncio globale (delle cose dette e dei fatti compiuti dal Cristo)<br />

si compie la trasmissione della testimonianza <strong>di</strong> fede. Grazie all'annuncio, tramandato nella<br />

comunità credente, possiamo conoscere ancora oggi esattamente, in tutta la sua ricchezza e la sua<br />

forza, quello che è accaduto fin dal principio. In tal modo l'esperienza <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> <strong>di</strong>venta<br />

nostra: anche noi possiamo <strong>di</strong>re <strong>di</strong> avere u<strong>di</strong>to, visto e contemplato.<br />

2. AFFINCHÉ SIATE IN COMUNIONE CON IL PADRE E IL FIGLIO (1,3 b )<br />

i(/na kai\ u(mei=j koinwni/an e)/xhte meq' h(mw=n.<br />

kai\ h( koinwni/a de\ h( h(mete/ra meta\ tou= patro\j<br />

kai\ meta\ tou= ui(ou= au)tou= )Ihsou= Xristou=.<br />

affinché anche voi abbiate comunione con noi.<br />

E la comunione poi, (quel)la nostra, (è) con il Padre<br />

e con il Figlio suo, Gesù Cristo.<br />

«Affinché anche voi abbiate comunione (koinonía) con noi»: <strong>Giovanni</strong> precisa bene quale è la<br />

finalità e quale dev'essere l'effetto in noi lettori del suo annuncio: la comunione con lui e con i<br />

testimoni del Cristo (specialmente gli altri apostoli). Questa comunione è fondamentale:<br />

<strong>Giovanni</strong> ne riparlerà, usando altre parole, nel corso <strong>di</strong> questa lettera: cfr. 2,19; 4,6. Nessuno può<br />

pretendere <strong>di</strong> avere un collegamento <strong>di</strong>retto a Cristo o a Dio (<strong>di</strong>mensione verticale), rompendo la<br />

comunione con gli evangelizzatori e con la Chiesa (<strong>di</strong>mensione orizzontale). Pertanto bisogna<br />

essere in comunione con la comunità. L'aspetto comunionale della Chiesa è un’importante<br />

riscoperta realizzata dal Concilio Ecumenico Vaticano II. <strong>Prima</strong> <strong>di</strong> allora si sottolineava <strong>di</strong> più<br />

l’aspetto giuri<strong>di</strong>co e organizzativo. Molto lavoro però dev'essere ancora fatto, soprattutto nel<br />

campo ecumenico, perché abbiamo il dovere <strong>di</strong> valorizzare l’opera che lo Spirito <strong>San</strong>to fa anche<br />

al <strong>di</strong> fuori della nostra comunità, per non correre il pericolo <strong>di</strong> perdere l’apporto <strong>di</strong> persone che<br />

sono realmente in comunione con Dio, anche se appartenenti ad altre comunità. Oggi pertanto<br />

dobbiamo intensificare con gesti non solo simbolici, ma molto concreti e rivoluzionari, il<br />

cammino ecumenico <strong>di</strong> riconciliazione e <strong>di</strong> unità tra i cristiani e <strong>di</strong> tutti i veri credenti in Dio.<br />

Mai però a scapito della nostra comunione (visibile) con la Chiesa, che per noi è lo strumento e<br />

la garanzia <strong>di</strong> quella (invisibile) con Cristo e con Dio.<br />

«E la comunione (koinonía) poi, quella nostra, è con il Padre e con il Figlio suo»: gli apostoli<br />

sono sicuramente in comunione con la Trinità! Per questo la nostra comunione con gli apostoli<br />

fonda e garantisce quella che abbiamo con Dio. Infatti solo la Chiesa è efficace sacramento <strong>di</strong><br />

salvezza. Se poi noi attraverso la Chiesa siamo in comunione con Dio e partecipi della sua stessa<br />

vita, pur avendo solo u<strong>di</strong>to, possiamo <strong>di</strong>re, in una maniera non meno vera degli apostoli, <strong>di</strong> avere<br />

11


anche visto personalmente e <strong>di</strong> aver toccato con mano la forza della luce <strong>di</strong> vita. L'Evangelista<br />

intende farci capire due cose: 1° che <strong>alla</strong> comunione sono invitati tutti (<strong>di</strong>cendo: la nostra, parla<br />

<strong>di</strong> quella degli evangelizzatori e <strong>di</strong> quella dei credenti, senza <strong>di</strong>fferenze: <strong>di</strong>mensione ecclesiale) e<br />

2° che essa è con il Padre e con il Figlio (nello Spirito: <strong>di</strong>mensione trinitaria). Cfr. anche Gv 17,3<br />

Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio (il Padre), e colui che hai mandato,<br />

Gesù Cristo. <strong>Giovanni</strong> in questa lettera sviluppa molto l'idea <strong>di</strong> comunione (cfr. 1,6-7) soprattutto<br />

con l'uso della particella in (’en mistico): cfr. 2,5-6.24.28; 3,6.24; 4,4.12-13.15-16; 5,20. Spesso<br />

egli parla <strong>di</strong> comunione reciproca: Dio in noi e noi in Dio. Si tratta della formula più alta e più<br />

forte che le parole umane ci mettono a <strong>di</strong>sposizione per in<strong>di</strong>care la nostra perfetta unione mistica<br />

con il Signore. Tale idea a volte è espressa anche con il verbo possedere: 2,23 (Chi crede nel<br />

Figlio possiede il Padre). Approfon<strong>di</strong>remo questi concetti al momento opportuno.<br />

«Gesù Cristo»: a questo punto <strong>Giovanni</strong> rivela esplicitamente che il Figlio <strong>di</strong> Dio Padre è<br />

Gesù, il Messia e, così, ci fa capire che la Parola della Vita e la Vita eterna, che ci ha<br />

solennemente annunciato, ha il nome e il volto familiare <strong>di</strong> Gesù <strong>di</strong> Nazareth. La comunione<br />

cristiana ha dunque sempre una caratteristica trinitaria (perché è con il Padre e con il Figlio Gesù<br />

nell'unità dello Spirito <strong>San</strong>to), una <strong>di</strong>mensione cristologica (perché l’uomo Gesù è la via unica<br />

per tale comunione) e infine una <strong>di</strong>mensione ecclesiale (all’interno della quale va <strong>di</strong>stinto il ruolo<br />

degli apostoli e dei figli/fratelli). Se anche noi saremo in reale comunione con la Trinità per<br />

mezzo <strong>di</strong> Cristo Signore attraverso l’opera santificatrice della Chiesa, anche noi faremo la stessa<br />

esperienza degli apostoli e porteremo nel cuore una grande luce e un’immensa gioia. È quanto<br />

<strong>Giovanni</strong> ci sta per <strong>di</strong>re.<br />

3. AFFINCHÉ SIA PERFETTA LA NOSTRA GIOIA (1,4)<br />

1.4 kai\ tau=ta gra/fomen h(mei=j, i(/na h( xara\ h(mw=n v)= peplhrwme/nh.<br />

1,4 E queste–cose noi scriviamo, affinché la nostra gioia sia perfetta [piena].<br />

«Queste cose noi scriviamo»: se la finalità dell’annuncio cristiano è la comunione nella sua<br />

duplice <strong>di</strong>mensione (ecclesiale e trinitaria), il risultato <strong>di</strong> tale comunione è la gioia, segno <strong>di</strong> una<br />

vita piena e realizzata. Le cose <strong>di</strong> cui <strong>Giovanni</strong> parla in questa sua <strong>di</strong>chiarazione <strong>di</strong> intenti sono i<br />

vari insegnamenti contenuti nella lettera e soprattutto quelli molto forti e <strong>di</strong>rompenti presenti nei<br />

primi 7 versetti, che essendo una sintesi <strong>di</strong> tutto lo scritto, sono da considerare come un<br />

meraviglioso Prologo <strong>di</strong> tutta la lettera.<br />

«Affinché la nostra gioia (khará) sia perfetta [piena]»: in base <strong>alla</strong> sua personale esperienza,<br />

l'Autore può annunciare che il frutto della comunione è la gioia <strong>di</strong> tutti (la nostra: sia dei<br />

testimoni che degli ascoltatori) e non una felicità qualunque, ma la gioia piena, quella perfetta e<br />

totalmente appagante. Agostino commenta: «Proprio nella vita in comunione, proprio nella carità<br />

e nell'unità, <strong>Giovanni</strong> afferma che c'è la pienezza della gioia» (Me<strong>di</strong>tazioni... 48). Riecheggiano<br />

qui le parole <strong>di</strong> Cristo pronunciate durante l'Ultima Cena: Gv 15,11 Questo vi ho detto perché la<br />

mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena (cfr. anche Gv 15,11; 16,24; 17,13; 2 Gv 12). Vita,<br />

comunione e gioia: ecco tre parole stupende che sono sinonimo <strong>di</strong> amore e <strong>di</strong> salvezza: vivere,<br />

comunicare e gioire sono davvero il para<strong>di</strong>so sulla terra e nel cielo. Chi fa veramente l'esperienza<br />

<strong>di</strong> Dio-Amore gusta la più grande felicità derivante da una sicurezza che non si basa sulle forze<br />

umane, ma sull'infinita e dolcissima grazia <strong>di</strong>vina. Siamo anche noi partecipi <strong>di</strong> questa gioia vera<br />

per poi esserne gli apostoli?<br />

3 - IL SECONDO ANNUNCIO: DIO È LUCE SENZA TENEBRE<br />

1. DIO È LUCE ED È NELLA LUCE (1,5)<br />

1.5 Kai\ e)/stin au(/th h( a)ggeli/a h(\n a)khko/amen a)p' au)tou= kai\ a)nagge/llomen u(mi=n,<br />

12


o(/ti o( qeo\j fw=j e)stin kai\ skoti/a e)n au)t%= ou)k e)/stin ou)demi/a.<br />

1,5 E questo è il messaggio che abbiamo–u<strong>di</strong>to da Lui e (che) annunziamo a–voi:<br />

Dio è Luce e in lui non c'è nessuna tenebra.<br />

«Questo è il messaggio (’anghelía) che abbiamo u<strong>di</strong>to da Lui»: l'Autore ci fa ora un secondo<br />

annuncio che è parallelo al primo con l’intento <strong>di</strong> completarlo. Egli, che aveva presentato il suo<br />

incontro con Cristo come un’esperienza <strong>di</strong> Vita piena, adesso propone come sintesi del Vangelo<br />

<strong>di</strong> Gesù ascoltato d<strong>alla</strong> sua viva voce (da Lui) in queste tre parole: Dio è Luce. <strong>Giovanni</strong> non<br />

poteva, nel Prologo della sua lettera, scrivere una frase più conveniente <strong>di</strong> questa: luce vuol <strong>di</strong>re<br />

verità. Ed è l’amore <strong>alla</strong> verità e <strong>alla</strong> sincerità la prima con<strong>di</strong>zione necessaria per conoscere e<br />

servire Dio. Luce vuol <strong>di</strong>re splendore e bellezza. Ed è la bellezza <strong>di</strong>vina il primo oggetto della<br />

nostra contemplazione. Notiamolo bene: <strong>Giovanni</strong> ci ricorda che questo meraviglioso messaggio<br />

lo hanno u<strong>di</strong>to <strong>di</strong>re da Gesù in persona: è lui la sorgente autentica e autorevole <strong>di</strong> questa verità.<br />

«Che annunziamo (’an-anghéllo) a voi»: gli evangelizzatori, destinatari <strong>di</strong> questo annuncio<br />

(fatto da Gesù), ce lo hanno trasmesso a noi, che siamo oggi i destinatari per <strong>di</strong>ventarne a nostra<br />

volta i trasmettitori verso altri.<br />

«Dio è Luce e in lui non c'è nessuna tenebra»: è bello notare con quanta forza e<br />

consapevolezza l'Evangelista <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> proclamare il messaggio nel suo nucleo centrale: Dio è<br />

Luce. Il Cristo che è la Parola <strong>di</strong> Vita, anzi la Vita stessa rivelata e rivelatrice, ci ha detto e ci ha<br />

<strong>di</strong>mostrato innanzi tutto che Dio è Luce. In tal modo ci ha comunicato la Luce <strong>di</strong> Dio. La Vita<br />

<strong>di</strong>vina è dunque <strong>di</strong>ventata per noi luce (conoscenza illuminante) e la luce è <strong>di</strong>ventata per noi Vita<br />

(vivificante e vitale). Vivere è conoscere Dio e viceversa. <strong>Prima</strong> infatti l’Evangelista ci aveva<br />

annunciato che il Verbo <strong>di</strong> Dio era Vita (prima immagine: aspetto esistenziale; cfr. 1,1-2); ora<br />

completa il suo insegnamento <strong>di</strong>cendo che Dio è Luce (seconda immagine: aspetto conoscitivo e<br />

morale). Una tale luce infatti non solo è verità, ma è anche bontà. Essa non ha in sé alcun lato<br />

tenebroso o negativo, ma per principio esclude del tutto ogni ambiguità e ogni malizia. Non ci<br />

può essere infatti nessun compromesso tra la luce e le tenebre (cfr. Giac 1,17; 2 Cor 6,14).<br />

<strong>Giovanni</strong> ama esprimere una verità prima in forma positiva (... è ...) e poi in forma negativa (...<br />

non c'è ...) in modo da non lasciare dubbi nella nostra mente. Tale luce <strong>di</strong>vina, secondo il IV<br />

Vangelo, si manifesta concretamente a noi in Cristo Signore: Gv 8,12 Di nuovo Gesù parlò loro:<br />

«Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della<br />

vita» (cfr. anche Gv 9,5). Notiamo una cosa interessante: che Dio sia Luce è un fatto che<br />

<strong>Giovanni</strong> ci presenta innanzi tutto come sentito e non come qualcosa <strong>di</strong> visto, anche se in realtà i<br />

suoi occhi hanno contemplato la gloria del Tabor. Cristo è Luce soprattutto perché è Parola <strong>di</strong><br />

Vita e perché ha detto <strong>di</strong> essere Luce. La sua parola ci deve bastare. Non c’è bisogno che<br />

ve<strong>di</strong>amo con i nostri occhi questa luce. Ascoltando il Vangelo <strong>di</strong> Gesù ve<strong>di</strong>amo la luce. E con un<br />

gioco <strong>di</strong> parole potremmo <strong>di</strong>re che ‘vedendo Gesù ve<strong>di</strong>amo la Parola’ e ‘ascoltando lui<br />

ascoltiamo la Luce’, ne siamo illuminati e «noi stessi... possiamo <strong>di</strong>venire luce» (Agostino,<br />

Me<strong>di</strong>tazioni... p. 50).<br />

2. CAMMINIAMO NELLA LUCE E NON NELLE TENEBRE (1,6)<br />

1.6 )Ea\n ei)/pwmen o(/ti koinwni/an e)/xomen met' au)tou=<br />

kai\ e)n t%= sko/tei peripatw=men,<br />

yeudo/meqa kai\ ou) poiou=men th\n a)lh/qeian:<br />

1,6 Se <strong>di</strong>ciamo che abbiamo comunione con lui<br />

e camminiamo nella tenebra,<br />

mentiamo e non facciamo la verità.<br />

«Se <strong>di</strong>ciamo che abbiamo comunione (koinonía) con lui»: se Dio è Luce nessun imbroglio ci è<br />

più possibile. La prima cosa che conta è la sincerità, la trasparenza. L’Autore infatti va subito a<br />

13


toccare un aspetto pratico: non possiamo <strong>di</strong>re una cosa per l’altra; non possiamo mentire. Non ci<br />

è lecito camminare nella tenebra dell’errore e del peccato e affermare <strong>di</strong> essere in comunione con<br />

Dio. Dobbiamo piuttosto riempirci <strong>di</strong> Vita e <strong>di</strong> Luce (cioè <strong>di</strong> Dio) per entrare in vera comunione<br />

spirituale con il Padre e con il Figlio. <strong>Giovanni</strong> <strong>di</strong>ce o sottintende tutto questo perché all'interno<br />

della comunità c'erano alcuni che affermavano con orgoglio e con arroganza <strong>di</strong> essere in<br />

comunione con Dio. Si tratta <strong>di</strong> persone che erano entrate nella Chiesa, ma che non si erano mai<br />

veramente convertite. Erano cristiani la cui fede era fatta <strong>di</strong> chiacchiere attraenti. Cerchiamo <strong>di</strong><br />

capire un po' chi erano, perché è anche per controbattere questi che l'Evangelista scrive la sua<br />

prima lettera: si trattava <strong>di</strong> cristiani che erano molto vicini alle dottrine gnostiche (da gnôsis,<br />

conoscenza), secondo le quali l'illuminazione, sperimentata all'inizio del cammino cristiano come<br />

una geniale e innovativa intuizione e conoscenza intellettuale del mondo <strong>di</strong>vino, era sufficiente<br />

per la salvezza, senza obblighi morali aggiuntivi.<br />

«E camminiamo (peri-patéo) nella tenebra»: l'<strong>Apostolo</strong> vuole ricordare che le nostre parole<br />

(se <strong>di</strong>ciamo...) se vogliamo che siano veritiere, devono essere comprovate dai fatti (in<strong>di</strong>cati con<br />

l'immagine molto suggestiva del camminare). Il cammino rappresenta la vita con le sue scelte<br />

morali e le sue azioni, nel suo sviluppo e nel suo progresso continuo. Un cammino può essere<br />

fatto <strong>di</strong> giorno sotto il sole o <strong>di</strong> notte nell'oscurità piena, senza nemmeno l’ausilio <strong>di</strong> una<br />

lampada. La tenebra qui rappresenta esattamente il contrario <strong>di</strong> quello che è Dio (e cioè il<br />

peccato, l'errore, la malvagità...). Vedremo in seguito che per tenebra l'Autore intenderà in modo<br />

speciale l'o<strong>di</strong>o, ovvero la mancanza <strong>di</strong> amore verso il prossimo (2,9.11). Le metafore del<br />

cammino nella luce e <strong>di</strong> quello nel buio sono già presenti nel IV Vangelo: Gv 11,9 Se uno<br />

cammina <strong>di</strong> giorno, non inciampa, perché vede la luce <strong>di</strong> questo mondo; 10 ma se invece uno<br />

cammina <strong>di</strong> notte, inciampa, perché gli manca la luce». Gv 12,35 Gesù allora <strong>di</strong>sse loro:<br />

«Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi<br />

sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. 36 Mentre avete la luce<br />

credete nella luce, per <strong>di</strong>ventare figli della luce». Alcuni <strong>di</strong> fatto, a motivo delle loro azioni non<br />

buone, stavano progredendo o avanzando nelle tenebre in modo incessante, sino <strong>alla</strong> loro rovina<br />

totale.<br />

«Mentiamo (pséudomai) e non facciamo la verità»: <strong>Giovanni</strong> cerca <strong>di</strong> avvisare tali persone<br />

facendo un <strong>di</strong>scorso che coinvolge sia lui che loro (usa il noi) per non far intendere che solo gli<br />

altri possono correre tale pericolo. Egli è molto umile e prudente. Per esprimere appieno il<br />

concetto <strong>di</strong> falsità ne parla prima in forma positiva (mentiamo...) e poi in forma negativa (non<br />

facciamo…). Come sappiamo, questo modo <strong>di</strong> parlare serve per dare alle affermazioni la<br />

massima incisività (cfr. 1,8; 2,4). Noi però avremmo detto: mentiamo e non <strong>di</strong>ciamo la verità.<br />

Lui invece scrive: non facciamo la verità. La verità <strong>di</strong> cui egli parla è infatti qualcosa <strong>di</strong> molto<br />

concreto perché coinvolge tutto il nostro modo <strong>di</strong> vivere e trova la sua più piena espressione<br />

nell'amore cristiano. E l'amore esiste solo se lo si mette in pratica (3,18: Figlioli, non amiamo a<br />

parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità. Cfr. anche Gv 3,21). Per questo motivo il<br />

mentire in questo caso è per <strong>Giovanni</strong> qualcosa che ha delle conseguenze molto concrete, perché<br />

equivale a non fare la verità, cioè a non camminare nella luce, a non essere in comunione <strong>di</strong><br />

amore con Dio e con il prossimo.<br />

3. GLI EFFETTI DELLA LUCE: LA COMUNIONE E LA PURIFICAZIONE (1,7)<br />

1.7 e)a\n de\ e)n t%= fwti\ peripatw=men w(j au)to/j e)stin e)n t%= fwti/,<br />

koinwni/an e)/xomen met' a)llh/lwn<br />

kai\ to\ ai(=ma )Ihsou= tou= ui(ou= au)tou= kaqari/zei h(ma=j a)po\ pa/shj a(marti/aj.<br />

1,7 Se invece camminiamo nella luce, come egli è nella luce,<br />

abbiamo comunione (gli uni) con (gli) altri,<br />

e il sangue <strong>di</strong>–Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato.<br />

14


«Se invece camminiamo nella luce, come egli è nella luce»: <strong>Giovanni</strong>, che aveva usato<br />

l’impressionante paragone del cammino nell’oscurità, ci propone la bellissima immagine<br />

contraria del cammino nella luce, cioè nella verità, nell’onestà e nella virtù. È bello progre<strong>di</strong>re ed<br />

avanzare sempre più nella chiarezza e nello splendore della luce. Dio stesso, essendo Luce<br />

infinita e perfetta, vive nella luce, nella santità e nell'amore. Noi dobbiamo camminare nella luce,<br />

vivendo e crescendo in Dio, cioè nella verità dell'amore e nell'amore <strong>alla</strong> verità. Facendo<br />

emergere il metamessaggio nascosto nei versetti 5-7, possiamo rilevare che, mentre l'Evangelista<br />

si preoccupa unicamente <strong>di</strong> annunciare il messaggio sentito dal Cristo che ci fa puntare tutta<br />

l'attenzione su Dio, Luce perfetta, i cristiani immaturi puntano l'attenzione su se stessi e,<br />

presuntuosi come sono, affermano con spavalderia <strong>di</strong> essere nientemeno che in comunione con<br />

Dio, senza nemmeno capire che cosa vuol <strong>di</strong>re comunione e tanto meno cosa vuol <strong>di</strong>re Dio. Si<br />

riempiono la bocca <strong>di</strong> belle parole, mentre il vero credente, senza far tante chiacchiere, cammina<br />

effettivamente nella luce <strong>di</strong>vina. Oggi, dopo il Vaticano II, si parla troppo <strong>di</strong> comunione: brutto<br />

segno! Quanto più se ne parla, tanto più si rischia <strong>di</strong> non capirla e <strong>di</strong> non viverla, perché è facile<br />

illudersi che basti ripetere una parola così suggestiva per vederla realizzata. <strong>Giovanni</strong> ci pone<br />

davanti un ideale non <strong>di</strong> poco valore: camminare nella luce come Dio è nella luce: mentre lui è<br />

nella luce, noi, per bene che vada, siamo ancora in cammino. E beati noi se abbiamo già iniziato<br />

questo cammino!<br />

«Abbiamo comunione (koinonía) gli uni con gli altri»: tale nuovo modo <strong>di</strong> vivere e <strong>di</strong><br />

comportarsi (con sincerità, trasparenza, onestà) porta i cristiani ad essere, non solo in comunione<br />

con Lui e come Lui, ma anche in comunione tra <strong>di</strong> loro (con i capi della Chiesa e con tutti i<br />

credenti in Dio: cfr. 1,3). Chi per contro cammina nella tenebra rompe tale comunione fraterna ed<br />

ecclesiale e, quel che è peggio, s'inganna paurosamente quando <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> essere in comunione con<br />

Dio (1,6). In effetti, come vedremo in seguito, egli finisce con il rinnegare il Cristo (2,22) e con il<br />

misconoscere il valore dell'Incarnazione (cfr. 4,2-3). L'errore pratico <strong>di</strong>venta in tal modo anche<br />

errore dottrinale. I tre criteri fondamentali per verificare se viviamo in comunione con il Dio<br />

Luce e Vita sono: primo, l'ascolto <strong>di</strong> chi fin dal principio ha conosciuto il Cristo ed ha trasmesso<br />

l'annuncio originario (segno e strumento <strong>di</strong> autentica comunione ecclesiale: 1,1-3); secondo, la<br />

pratica effettiva dei comandamenti (1,5-6) e terzo, l’accettazione della verità riconoscendo Dio<br />

come Luce purissima e noi come bisognosi <strong>di</strong> purificazione (1,7-8).<br />

«E il sangue <strong>di</strong> Gesù, il Figlio suo, ci purifica (katharízo) da ogni peccato»: se il nostro<br />

cammino nella luce (nella verità e nella comunione fraterna) è già iniziato questo deriva dal fatto<br />

che il sangue <strong>di</strong> Cristo, Figlio <strong>di</strong> Dio, ha iniziato e continua a purificarci dai nostri peccati. Il<br />

sangue è segno <strong>di</strong> amore e <strong>di</strong> vita. I peccati sono quelle tenebre che ci impe<strong>di</strong>scono <strong>di</strong> essere luce<br />

(cfr. Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 51). Non che la volontà <strong>di</strong> camminare nella luce ci meriti questa<br />

purificazione (essa è gratuita), sicuramente però un tale cammino è già un segno della<br />

purificazione in corso, oltre che una con<strong>di</strong>zione per ottenerla ancora in futuro. Queste<br />

affermazioni ci fanno capire che l'Autore presuppone che il credente sia stato peccatore (prima<br />

della conversione) e possa ancora talvolta peccare per debolezza. Vedremo nella prossima Unità<br />

che egli polemizza con gli gnostici, i quali si proclamavano immuni da peccato ed impeccabili.<br />

Per <strong>Giovanni</strong> invece è importante ricordare con riconoscenza che il sangue <strong>di</strong> Gesù ci purifica da<br />

tutte le colpe (Apc 1,5; 7,14; Ebr 9,14). Il sangue è il segno ed il sacramento dell'amore <strong>di</strong> Cristo<br />

per noi, amore incarnato e crocifisso. Quin<strong>di</strong> è l'amore <strong>di</strong> Cristo innalzato sulla croce la forza che<br />

elimina i peccati (1 Pt 4,8) e crea la comunione.<br />

15


II - PRIMA PARTE: LE CONDIZIONI PER CAMMINARE NELLA LUCE<br />

A <strong>Giovanni</strong> interessa che i suoi fedeli camminino nella verità: cfr. 2 Gv 4 Mi sono molto<br />

rallegrato <strong>di</strong> aver trovato alcuni tuoi figli che camminano nella verità, secondo il<br />

comandamento che abbiamo ricevuto dal Padre. Per questo motivo in<strong>di</strong>ca la strada giusta:<br />

1 - farsi purificare da tutti i peccati (Unità 2);<br />

2 - osservare i comandamenti, che si riassumono in quello dell'amore fraterno (Unità 3);<br />

3 - conoscere il Cristo e il Padre, rifiutando l'ingannevole amore del mondo passeggero (Unità<br />

4);<br />

4 - reagire agli anticristi, restando fedeli, per opera dello Spirito <strong>San</strong>to, al messaggio<br />

originario che ci fa proclamare il Figlio e il Padre e <strong>di</strong>morare in loro (Unità 5).<br />

1 a CONDIZIONE: ROMPERE CON IL PECCATO (UNITÀ 2)<br />

Riconosciamoci umilmente peccatori<br />

Lettura e commento <strong>di</strong> 1 Gv 1,8-2,2<br />

L'Unità si <strong>di</strong>vide in due parti:<br />

1 a - siamo invitati a confessare i nostri peccati;<br />

2 a - veniamo esortati a confidare in Cristo, nostro Avvocato ed Espiatore.<br />

1 - CONFESSIAMO I NOSTRI PECCATI PER ESSERE PERDONATI<br />

1. NON INGANNIAMOCI (1,8)<br />

1.8 e)a\n ei)/pwmen o(/ti a(marti/an ou)k e)/xomen,<br />

e(autou\j planw=men kai\ h( a)lh/qeia ou)k e)/stin e)n h(mi=n.<br />

1,8 Se <strong>di</strong>ciamo che non abbiamo (il) peccato,<br />

inganniamo noi–stessi e la verità non è in noi.<br />

«Se <strong>di</strong>ciamo che non abbiamo il peccato (‘amartía)»: il primo passo da fare verso la luce e la<br />

santità è quello <strong>di</strong> riconoscere i propri peccati. Nei versetti 1,7-2,2 i termini peccato/peccare<br />

ricorrono ben 8 volte. Il termine amartáno, peccare, contiene in sé l'idea <strong>di</strong> fallimento:<br />

originariamente infatti significava non cogliere nel segno, come fa un tiratore d'arco che sbaglia<br />

il bersaglio (cfr. il Sal 77/78,57 Sviati, lo tra<strong>di</strong>rono come i loro padri, fallirono come un arco<br />

allentato). Non fa comodo a nessuno ammettere <strong>di</strong> sbagliare o <strong>di</strong> aver fallito (l’autore non precisa<br />

se il peccato è solo passato o è ancora attuale). Istintivamente il nostro orgoglio ci porta a<br />

nascondere agli altri (e a volte anche a noi stessi) il nostro errore, la nostra colpa. Se <strong>di</strong>ciamo...:<br />

possiamo <strong>di</strong>rlo con parole che ci scusano o che ci giustificano, oppure, negando apertamente <strong>di</strong><br />

avere commesso errori o ribellandoci a chi ci rimprovera. Possiamo anche solo semplicemente<br />

pensarlo e, poi, comportarci <strong>di</strong> conseguenza, come se fossimo proprio senza colpa o mai nel<br />

pericolo <strong>di</strong> sbagliare. Peccare e avere il peccato sono invece per il credente un dato <strong>di</strong> fatto<br />

(passato e attuale), misterioso, ma reale. Gli gnostici (o coloro che si ispiravano <strong>alla</strong> loro<br />

dottrina) erano convinti che la loro scienza speciale li rendesse immuni dal peccato e non più<br />

soggetti <strong>alla</strong> possibilità <strong>di</strong> peccare. Essi lo <strong>di</strong>cevano e lo affermavano con molta decisione e<br />

sicurezza. Però si sbagliavano: cfr. infatti quanto <strong>di</strong>ce Paolo in 2 Cor 10,18: Non colui che si<br />

raccomanda da sé viene approvato, ma colui che il Signore raccomanda. L'orgoglio accecava i<br />

16


loro occhi e così, infatuati della propria intelligenza, non comprendevano <strong>di</strong> favorire il mistero<br />

dell'iniquità, del quale erano vittime proprio nel momento in cui si credevano salvi.<br />

«Inganniamo noi stessi e la verità non è in noi»: astuzia davvero sciocca ed autolesionista è<br />

quella <strong>di</strong> ingannare nientemeno che se stessi. Per l'<strong>Apostolo</strong> la pretesa degli gnostici o dei loro<br />

simpatizzanti costituiva il peccato più grave: un terribile autoinganno e la per<strong>di</strong>ta della verità<br />

(come avviene per chi cammina nelle tenebre: 1,6). L'uomo messo <strong>di</strong> fronte a Dio è come un<br />

vetro attraversato d<strong>alla</strong> luce: ogni imperfezione ed ogni impurità viene messa in risalto. L'uomo<br />

saggio deve ritenere <strong>di</strong> avere molte mancanze, anche se la sua coscienza non avesse nulla da<br />

rimproverargli. Ricor<strong>di</strong>amo quello che <strong>di</strong>ceva san Paolo: 1 Cor 4,4 Anche se non sono<br />

consapevole <strong>di</strong> colpa alcuna, non per questo sono giustificato. Il mio giu<strong>di</strong>ce è il Signore!<br />

L'amore <strong>alla</strong> verità ci fa stare sempre all'erta, non con ansia o in modo nevrotico, ma con<br />

intelligenza e perspicacia. Non basta, come credevano gli gnostici, aver avuto all'inizio<br />

l'illuminazione e avere conosciuto certe verità, per essere trasformati una volta per tutte. Questo<br />

pregiu<strong>di</strong>zio li portava ad approfittare della grazia per darsi a passioni abominevoli: <strong>San</strong> Giuda<br />

parla <strong>di</strong> questi falsi profeti nella sua lettera: Giud 1,4 Si sono infiltrati infatti tra voi alcuni<br />

in<strong>di</strong>vidui — i quali sono già stati segnati da tempo per questa condanna — empi che trovano<br />

pretesto <strong>alla</strong> loro <strong>di</strong>ssolutezza nella grazia del nostro Dio, rinnegando il nostro unico padrone e<br />

Signore Gesù Cristo. Ingannati e ingannatori nello stesso tempo (2 Tim 3,13). Quanto è facile<br />

l'illusione nella vita spirituale! Dobbiamo allora impostare una vita sulla sincerità assoluta,<br />

sull'umiltà autentica, sulla sapienza vera. Il Sal 35/36 descrive bene l'atteggiamento <strong>di</strong> chi si<br />

giustifica sempre: 2 Nel cuore dell'empio parla il peccato, davanti ai suoi occhi non c'è timor <strong>di</strong><br />

Dio. 3 Poiché egli si illude con se stesso nel ricercare la sua colpa e detestarla. 4 Inique e f<strong>alla</strong>ci<br />

sono le sue parole, rifiuta <strong>di</strong> capire, <strong>di</strong> compiere il bene. Ecco ora un'affermazione <strong>di</strong> Prov 12,15<br />

che conferma quanto appena detto: Lo stolto giu<strong>di</strong>ca <strong>di</strong>ritta la sua condotta, il saggio, invece,<br />

ascolta il consiglio (cfr. anche Sir 7,5).<br />

2. DIO CI PERDONA E CI PURIFICA (1,9)<br />

1.9 e)a\n o(mologw=men ta\j a(marti/aj h(mw=n,<br />

pisto/j e)stin kai\ <strong>di</strong>/kaioj,<br />

i(/na a)fv= h(mi=n ta\j a(marti/aj kai\ kaqari/sv h(ma=j a)po\ pa/shj a)<strong>di</strong>ki/aj.<br />

1,9 Se riconosciamo [confessiamo] i nostri peccati,<br />

(egli) è fedele e giusto<br />

cosicché ci perdoni i peccati e ci purifichi da ogni ingiustizia.<br />

«Se riconosciamo [confessiamo: ‘omo-loghéo] i nostri peccati»: l'<strong>Apostolo</strong> <strong>Giovanni</strong>, che<br />

umilmente si riconoscere peccatore, non precisa qui quali siano i peccati dell'uomo che ha una<br />

coscienza delicata e amante della verità (se passati o presenti, se accertati o solo presunti). Il<br />

cristiano deve comunque dare per scontato che può avere dei peccati: può forse <strong>di</strong>re <strong>di</strong> agire e <strong>di</strong><br />

amare come Cristo ha agito e amato? Il vero cristiano, che si sente peccatore, <strong>di</strong>venta un uomo<br />

vivo, sempre in ricerca e in progresso. Lo gnostico, che si sente perfetto perché pensa <strong>di</strong> aver<br />

fatto tutto il possibile, non cerca più e non lotta più, sclerotizzandosi. Paolo ci dà l'esempio <strong>di</strong><br />

una tensione continua verso la perfezione: Fil 3,12 Non che io abbia già conquistato il premio o<br />

sia ormai arrivato <strong>alla</strong> perfezione; solo mi sforzo <strong>di</strong> correre per conquistarlo, perché anch'io<br />

sono stato conquistato da Gesù Cristo. 13 Fratelli, io non ritengo ancora <strong>di</strong> esservi giunto,<br />

questo soltanto so: <strong>di</strong>mentico del passato e proteso verso il futuro, 14 corro verso la mèta per<br />

arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. Mentre <strong>Giovanni</strong> parla <strong>di</strong><br />

cammino, Paolo parla ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> corsa, ma il concetto è lo stesso: chi cammina o corre,<br />

facilmente cade, ma poi, per grazia <strong>di</strong> Dio, si rialza e continua; chi si sente arrivato, non muove<br />

nemmeno più un passo. Il cristiano deve riconoscere interiormente e ammettere esternamente<br />

(‘omologhéo) davanti a Dio e al prossimo le sue mancanze.<br />

17


«Egli è fedele e giusto (díkaios)»: Dio è fedele alle sue promesse <strong>di</strong> perdono ed è giusto nel<br />

valutare i cuori. La sua fedeltà e la sua giustizia poi non sono solo la garanzia che saremo trattati<br />

con equità, ma sono anche due qualità creative e <strong>di</strong>ffusive: la sua fedeltà ci promuove<br />

continuamente e la sua giustizia ci santifica sempre <strong>di</strong> più. Dio non si è presentato misericor<strong>di</strong>oso<br />

per scherzo. La confessione del nostro peccato, tra l’altro, mette in risalto la fedeltà e la giustizia<br />

<strong>di</strong> Dio, perché <strong>di</strong>mostra che lui solo è santo. Noi infatti, se vogliamo essere sinceri, dobbiamo<br />

attribuire solo a lui il bene che facciamo e a noi il male che commettiamo. Questo atteggiamento<br />

<strong>di</strong> umiltà crea in noi le con<strong>di</strong>zioni affinché il Signore ci possa perdonare e purificare,<br />

comunicandoci le sue doti <strong>di</strong> fedeltà e giustizia.<br />

«Cosicché ci perdoni (’af-íemi) i peccati e ci purifichi da ogni ingiustizia (’a-<strong>di</strong>kía)»: Dio<br />

perdona e purifica colui che riconosce umilmente i propri peccati e li detesta con animo risoluto.<br />

Egli mi fa <strong>di</strong>ventare quello che è lui: giusto (díkaios), eliminando la mia ingiustizia (’a-<strong>di</strong>kía).<br />

Qui l'Evangelista vede il peccato come sinonimo <strong>di</strong> ingiustizia e il perdono come sinonimo <strong>di</strong><br />

purificazione. Il peccato infatti è il contrario della giustizia <strong>di</strong>vina e produce in noi un tale<br />

inquinamento, una tale immondezza da cui solo Dio ci può lavare e purificare. Ora purificare<br />

non vuol solo <strong>di</strong>re non imputare, ma veramente eliminare, trasformando realmente il peccatore in<br />

un santo. A questo punto dobbiamo fare una riflessione sia personale che ecclesiale. Per quanto<br />

riguarda la nostra persona chie<strong>di</strong>amoci come ci confessiamo: se per caso il nostro modo <strong>di</strong><br />

confidarci o <strong>di</strong> confessarci (nelle maniere più <strong>di</strong>verse, sia quando parliamo con una persona e sia<br />

quando partecipiamo ad una liturgia) non sia solamente un'ipocrisia in più, un modo solo formale<br />

<strong>di</strong> agire, che, liberandoci da un immaturo sentimento <strong>di</strong> colpa, ci permette psicologicamente <strong>di</strong><br />

continuare sulla strada sbagliata. Anche la più ipocrita delle persone ammette, con un certo<br />

orgoglio per tale finto coraggio, <strong>di</strong> non essere perfetta (questa falsità la notiamo negli altri, meno<br />

facilmente in noi). Invece è sincero solo chi cerca la propria colpa per combatterla e superarla<br />

con la grazia del Signore. Anche come Chiesa romana (sia a livello <strong>di</strong> singoli incaricati <strong>di</strong> un<br />

ministero, sia a livello <strong>di</strong> popolo) abbiamo avuto <strong>di</strong>fficoltà a capire certi gravissimi sbagli<br />

commessi nel corso della storia. Questo fatto può essere dovuto ad una non perfetta<br />

comprensione <strong>di</strong> quel che vuol <strong>di</strong>re che la Chiesa è santa, cattolica e apostolica. Se non è intesa<br />

bene, questa verità può favorire una terribile presunzione. La Chiesa è santa, cattolica e<br />

apostolica nella misura in cui è unita a Cristo e segue le orme degli apostoli. Possiamo proprio<br />

ringraziare il Signore se oggi un grande Papa come <strong>Giovanni</strong> Paolo II ha chiesto perdono dei<br />

peccati commessi dai figli della Chiesa. Bisogna continuare ad avere il coraggio <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare<br />

sempre meglio tali peccati e <strong>di</strong> ripararli, eliminandoli con la forza dello Spirito <strong>San</strong>to. Non ci<br />

resta proprio che implorare il perdono <strong>di</strong> Dio e quello degli uomini. Ricor<strong>di</strong>amo l'invito <strong>di</strong> Prov<br />

28,13: Chi nasconde le proprie colpe non avrà successo, chi le confessa e cessa <strong>di</strong> farle troverà<br />

indulgenza. E ancora: Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri … per essere guariti<br />

(Giac 5,16).<br />

3. FACCIAMO DIMORARE LA SUA PAROLA IN NOI (1,10)<br />

1.10 e)a\n ei)/pwmen o(/ti ou)x h(marth/kamen,<br />

yeu/sthn poiou=men au)to\n kai\ o( lo/goj au)tou= ou)k e)/stin e)n h(mi=n.<br />

1,10 Se <strong>di</strong>ciamo che non abbiamo–peccato,<br />

facciamo <strong>di</strong>–lui (un) bugiardo e la sua parola non è in noi.<br />

«Se <strong>di</strong>ciamo che non abbiamo peccato»: dovevano essere molto forti ed insistenti le proteste<br />

<strong>di</strong> innocenza da parte degli gnostici ed affini, se l'Evangelista ritorna con vigore a parlare delle<br />

loro affermazioni. Non solo ingannavano loro stessi (8), ma sbugiardavano Dio. L'uomo<br />

menzognero e mentitore (1,6) cammina nella tenebra, cioè non opera la verità (vale a <strong>di</strong>re: fa il<br />

peccato), e poi afferma <strong>di</strong> essere nientemeno che in comunione con Dio. Tale pretesa non è solo<br />

una falsità che danneggia noi stessi (essendoci una netta incoerenza tra le parole e la vita), ma è<br />

18


anche un'offesa a Dio, perché in pratica consideriamo falso il suo insegnamento sul nostro<br />

bisogno <strong>di</strong> redenzione.<br />

«Facciamo <strong>di</strong> lui un bugiardo (cfr. anche 5,10)»: noi ci dobbiamo considerare sempre dei<br />

peccatori. È Dio stesso che ce lo insegna per mezzo della Bibbia, che ci trasmette la sua parola.<br />

Sono infatti veramente tanti i passi biblici che affermano che la nostra con<strong>di</strong>zione è quella <strong>di</strong><br />

peccatori: 1 Re 8,46 Non c'è nessuno che non pecchi. Giob 4,17 Può il mortale essere giusto<br />

davanti a Dio o innocente un uomo davanti al suo creatore? (cfr. anche Prov 20,9). Gesù stesso,<br />

<strong>di</strong>cendo: Gv 8,7 «Chi <strong>di</strong> voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro <strong>di</strong> lei», ci fa capire<br />

che tutti siamo peccatori. Anche l'affermazione: Lc 11,13 Se dunque voi, che siete cattivi, sapete<br />

dare cose buone ai vostri figli...» dà per scontato che nessuno <strong>di</strong> noi, nemmeno un padre, è<br />

buono (Dio solo è buono: Mc 10,18). Paolo afferma: Rom 3,23 Tutti hanno peccato e sono privi<br />

della gloria <strong>di</strong> Dio. Tutta l'azione e la pre<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> Gesù e degli apostoli si basa su questo<br />

presupposto: Mt 26,28 Questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei<br />

peccati. Lc 24,47 Nel suo nome saranno pre<strong>di</strong>cati a tutte le genti la conversione e il perdono dei<br />

peccati, cominciando da Gerusalemme. Atti 3,19 Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano<br />

cancellati i vostri peccati. Non a caso il Signore ci invita tutti a pregare: Rimetti a noi i nostri<br />

debiti (Mt 6,12). Il peccato esiste sicuramente e in modo stabile proprio in chi crede <strong>di</strong> non<br />

averlo: Gv 9,41 Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome <strong>di</strong>te:<br />

Noi ve<strong>di</strong>amo, il vostro peccato rimane».<br />

«E la sua Parola (Lógos) non è in noi»: la Parola biblica, la Parola <strong>di</strong> Dio prende <strong>di</strong>mora<br />

dentro <strong>di</strong> noi, se sinceramente ci confessiamo peccatori. In 1,8 <strong>Giovanni</strong> aveva detto: la verità<br />

non è in noi, ora <strong>di</strong>ce: la sua Parola non è in noi e tale Parola in definitiva è Cristo. Verità,<br />

Parola (Lógos) e Cristo sono dunque sinonimi. Solo la parola ci fa conoscere la verità e ce la<br />

rivela: cfr. Gv 17,17 Consacrali nella verità. La tua parola è verità. E Gesù è la Verità. Noi<br />

dobbiamo, come singoli e come Chiesa, riempirci <strong>di</strong> Parola <strong>di</strong> Dio: fare <strong>di</strong> tutto per conoscere,<br />

capire, vivere questa Parola, cioè per conoscere e amare Gesù (stu<strong>di</strong>ando la Bibbia, pregando,<br />

me<strong>di</strong>tando, sperimentando forme sempre nuove <strong>di</strong> vita evangelica...). Solo questa parola ci farà<br />

comprendere il senso della vita e del mondo, ci renderà veramente umani e <strong>di</strong>vini. Solo se<br />

saremo <strong>di</strong>sposti ad ascoltare la voce <strong>di</strong> Dio che parla in noi, anche attraverso tutta la sapienza<br />

ecclesiale dei santi e dei profeti <strong>di</strong> tutti i tempi, scopriremo (pur sempre con <strong>di</strong>fficoltà) qualcosa<br />

della Verità. Citiamo ancora una volta Giac 5,16: Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli<br />

altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con<br />

insistenza. «Se dunque ti confesserai peccatore, la verità è in te, poiché la verità è luce... Cominci<br />

ormai ad illuminarti... <strong>Prima</strong> <strong>di</strong> tutto ci sia dunque la confessione, poi l'amore...: La carità copre<br />

una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> peccati» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 53).<br />

2 – CRISTO, IL GIUSTO, HA ESPIATO I NOSTRI PECCATI<br />

1. GESÙ È NOSTRO AVVOCATO PRESSO IL PADRE (2,1)<br />

2.1 Tekni/a mou, tau=ta gra/fw u(mi=n i(/na mh\ a(ma/rthte.<br />

kai\ e)a/n tij a(ma/rtv,<br />

para/klhton e)/xomen pro\j to\n pate/ra )Ihsou=n Xristo\n <strong>di</strong>/kaion:<br />

2,1 Figlioli miei, vi scrivo queste–cose affinché non pecchiate;<br />

ma se qualcuno ha–peccato,<br />

abbiamo (un) avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto.<br />

«Figlioli miei, vi scrivo queste cose affinché non pecchiate»: con amorevolezza <strong>di</strong> padre<br />

l'Evangelista chiama i lettori figli suoi e afferma <strong>di</strong> scrivere la lettera per indurli all'umiltà, in<br />

modo tale che si guar<strong>di</strong>no bene dal peccare. Infatti a chi è umile il Signore fa grazia (1 Pt 5,5).<br />

Paolo <strong>di</strong>rebbe: Chi crede <strong>di</strong> stare in pie<strong>di</strong>, guar<strong>di</strong> <strong>di</strong> non cadere (1 Cor 10,12). Questo<br />

19


convincimento circa la nostra grande fragilità non deve però <strong>di</strong>ventare un motivo <strong>di</strong> esagerata<br />

ansia: dobbiamo con serenità sapere che senza Cristo non possiamo fare nulla (Gv 15,5) e, con<br />

altrettanta serenità, credere che con lui possiamo tutto (Fil 4,13 Tutto posso in colui che mi dá la<br />

forza). La vera umiltà coincide sempre con una grande audacia, la quale però non abolisce la<br />

necessità della vigilanza e dell'impegno. La fiducia in Dio, tuttavia, non ci deve far concludere:<br />

«dunque pecchiamo pure» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 55).<br />

«Ma se qualcuno ha peccato»: <strong>Giovanni</strong> ha appena fatto capire che tutti hanno peccato.<br />

Perché ora parla solo <strong>di</strong> qualcuno? Egli si riferisce a chi ha peccato dopo la conversione ed il<br />

battesimo. Potrebbe riferirsi a qualche forma <strong>di</strong> peccato leggero. Agostino però ammonisce:<br />

«Non devi dar poco peso a questi peccati che si definiscono lievi. Tu li tieni in poco conto<br />

quando li soppesi, ma che spavento quando li numeri! Molte cose leggere, messe insieme, ne<br />

formano una pesante» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 53).<br />

«Abbiamo un avvocato (parákletos) presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto»: colui che ha<br />

peccato abbia fiducia in Cristo, che può salvare perfettamente quelli che per mezzo <strong>di</strong> lui si<br />

accostano a Dio, essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore (Ebr 7,25). Gesù stesso<br />

aveva in<strong>di</strong>rettamente presentato se stesso come Parákletos (lett.: chiamato presso, ad-vocatus)<br />

quando aveva detto: Gv 14,16 Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore<br />

(Parákletos) perché rimanga con voi per sempre, 17 lo Spirito <strong>di</strong> verità che il mondo non può<br />

ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli <strong>di</strong>mora presso <strong>di</strong> voi<br />

e sarà in voi. Quest'opera <strong>di</strong> Cristo in qualità <strong>di</strong> avvocato produce la remissione e la<br />

purificazione da ogni iniquità per chi confessa la propria colpa (1,9), perché il Padre lo riconcilia<br />

con se stesso. All'azione <strong>di</strong> Cristo si affianca anche quella dei fratelli, che pregano per il<br />

peccatore (5,16). Cfr. anche Rom 8,33 Chi accuserà gli eletti <strong>di</strong> Dio? Dio giustifica. 34 Chi<br />

condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta <strong>alla</strong> destra <strong>di</strong> Dio e intercede<br />

per noi?. Agostino commenta, scrivendo: «Considera come <strong>Giovanni</strong> stesso si mantenga<br />

nell'umiltà... Disse...: Abbiamo un avvocato. Non <strong>di</strong>sse: Avete e neppure: Avete me... Preferì<br />

mettersi nel numero dei peccatori, piuttosto che presentare se stesso come avvocato invece <strong>di</strong><br />

Cristo e trovarsi poi tra i superbi degni <strong>di</strong> condanna» (Me<strong>di</strong>tazioni... 56). Gesù, oltre che<br />

avvocato è anche chiamato giusto (cioè santo): proprio perché è santo egli <strong>di</strong>ffonde la santità. La<br />

giustizia <strong>di</strong> cui Cristo è ricco ha una caratteristica speciale: tende a <strong>di</strong>ffondersi e a comunicarsi. È<br />

una giustizia salvifica.<br />

2. VITTIMA DI ESPIAZIONE PER IL MONDO INTERO (2,2)<br />

2.2 kai\ au)to\j i(lasmo/j e)stin peri\ tw=n a(martiw=n h(mw=n,<br />

ou) peri\ tw=n h(mete/rwn de\ mo/non a)lla\ kai\ peri\ o(/lou tou= ko/smou.<br />

2,2 Egli infatti è (vittima <strong>di</strong>) espiazione per i nostri peccati;<br />

non soltanto poi per i nostri, ma anche per (quelli) <strong>di</strong>–tutto il mondo.<br />

«Egli infatti è vittima <strong>di</strong> espiazione (‘ilasmós: sacrificio propiziatorio) per i nostri peccati»:<br />

davvero Gesù sarebbe morto inutilmente se noi non avessimo avuto bisogno <strong>di</strong> salvezza.<br />

<strong>Giovanni</strong> Battista, che era venuto a pre<strong>di</strong>care un battesimo <strong>di</strong> penitenza per la remissione dei<br />

peccati (Mc 1,4), riguardo a Gesù proclamava: Gv 1,29 «Ecco l'agnello <strong>di</strong> Dio, ecco colui che<br />

toglie il peccato del mondo!». Vedremo in questa stessa lettera che da una parte il cristiano corre<br />

ancora il pericolo <strong>di</strong> peccare e, da un'altra (a motivo della sua nascita da Dio Padre e della sua<br />

unione con Cristo Signore), è immune dal peccato: cfr. 3,6; 3,9 e 5,18. Siamo davanti ad un<br />

paradosso stupendo: preghiamo <strong>di</strong> capirlo almeno in parte per poter vivere pieni <strong>di</strong> una grande<br />

sicurezza e, nello stesso tempo, protetti e stimolati da un salutare timore. Ricor<strong>di</strong>amo poi che la<br />

capacità che Cristo ha <strong>di</strong> purificarci dal peccato gli è costata cara: si è offerto per noi come<br />

vittima sulla croce. Paolo infatti afferma: Rom 3,25 Dio lo ha prestabilito a servire come<br />

strumento <strong>di</strong> espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue.<br />

20


«Non soltanto poi per i nostri»: Gesù Cristo è morto innanzi tutto per i nostri peccati. Non<br />

pensiamo che abbia sofferto prima <strong>di</strong> tutto per quelli degli altri o per i gravissimi misfatti del<br />

mondo: è morto per me! Cfr. Gal 2,20 … il Figlio <strong>di</strong> Dio, mi ha amato e ha dato se stesso per<br />

me. Ve<strong>di</strong> anche Lc 22,19-20. <strong>Giovanni</strong> l’Evangelista è cosciente <strong>di</strong> questo fatto e non si tira fuori<br />

dal numero dei peccatori redenti. Quali erano stati i comportamenti non sempre corretti del<br />

grande maestro? Nei Vangeli troviamo alcuni accenni: la voglia <strong>di</strong> primeggiare (Mc 10,35),<br />

l’invi<strong>di</strong>a (Mc 9,38), la vendetta (Lc 9,54) al punto che Gesù lo chiamava figlio del tuono (Mc<br />

3,17), la paura (Lc 9,34). Quanto basta per capire che anche lui ha faticato nel migliorarsi, ma<br />

soprattutto ha avuto bisogno <strong>di</strong> Gesù come salvatore.<br />

«Ma anche per quelli <strong>di</strong> tutto il mondo (cfr. Gv 11,52)»: Gesù è talmente potente che può<br />

togliere tutti i peccati del mondo intero per quanto numerosi e gravi essi siano: Mt 1,21 Essa<br />

(Maria) partorirà un figlio e tu (Giuseppe) lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo<br />

dai suoi peccati». Ricor<strong>di</strong>amo che con la remissione dei peccati ci viene fatto<br />

contemporaneamente il dono della grazia dello Spirito <strong>San</strong>to e della vita eterna. Abbiamo viva<br />

speranza nel Signore Gesù, salvatore del mondo (4,14)!<br />

21


2 a CONDIZIONE: OSSERVARE I COMANDAMENTI (UNITÀ 3)<br />

Praticare soprattutto la Carità<br />

Presentazione e lettura <strong>di</strong> 1 Gv 2,3-11<br />

In questa breve Unità <strong>Giovanni</strong> ci fornisce il criterio per <strong>di</strong>scernere se conosciamo Dio (1 a<br />

parte), e ci ricorda il comandamento nuovo: amare il proprio fratello (2 a parte).<br />

1 - CRITERIO PER SAPERE SE CONOSCIAMO E AMIAMO DIO<br />

1. CONOSCE DIO CHI OSSERVA I SUOI COMANDAMENTI (2,3-4)<br />

2.3 Kai\ e)n tou/t% ginw/skomen o(/ti e)gnw/kamen au)to/n,<br />

e)a\n ta\j e)ntola\j au)tou= thrw=men.<br />

2.4 o( le/gwn o(/ti )/Egnwka au)to/n kai\ ta\j e)ntola\j au)tou= mh\ thrw=n,<br />

yeu/sthj e)sti/n kai\ e)n tou/t% h( a)lh/qeia ou)k e)/stin:<br />

2,3 E da questo sappiamo che lo abbiamo–conosciuto:<br />

se osserviamo i suoi comandamenti.<br />

2,4 Chi <strong>di</strong>ce: «L'ho–conosciuto» e non osserva i suoi comandamenti,<br />

è bugiardo e la verità non è in lui;<br />

«Da questo sappiamo (ghinósko) ... »: per superare il pericolo insi<strong>di</strong>osissimo<br />

dell'autoillusione, <strong>Giovanni</strong> ci fornisce un criterio <strong>di</strong> <strong>di</strong>scernimento, chiaro e semplice, <strong>alla</strong><br />

portata <strong>di</strong> tutti. Tale criterio è in fin dei conti uno solo, anche se nel testo viene espresso a più<br />

riprese con parole <strong>di</strong>verse. Anche un bambino è in grado <strong>di</strong> capire che le parole sono sincere solo<br />

se corrispondono ai fatti. La vita spirituale è caratterizzata da una gran<strong>di</strong>ssima semplicità: si<br />

inganna solo chi vuole ingannarsi. Perché allora troppo sovente noi cerchiamo la complicazione?<br />

Per quale motivo facciamo <strong>di</strong> tutto per ingannarci e per non accorgerci <strong>di</strong> essere riusciti in tale<br />

inconfessabile intento? La risposta la troviamo nel Vangelo: i segreti del cielo sono svelati dal<br />

Padre ai semplici e agli infanti, mentre sono nascosti agli intelligenti e ai sapienti (Mt 11,25). Il<br />

sapere <strong>di</strong> cui parla l'<strong>Apostolo</strong> non è la conoscenza tipica dei dotti e dei saccenti, ma è un sapere<br />

esperienziale, profondo, vivo (ghinósko), pieno <strong>di</strong> amore: semplice e in<strong>di</strong>cibile nello stesso<br />

tempo. E che cosa sappiamo? È bello in greco in gioco <strong>di</strong> parole: sappiamo <strong>di</strong> sapere,<br />

conosciamo <strong>di</strong> conoscere. Conosciamo Dio. All'inizio <strong>Giovanni</strong> parlava <strong>di</strong> comunione con il<br />

Padre e con il Figlio, oltre che con tutti i fratelli (1,3), ora parla <strong>di</strong> conoscenza <strong>di</strong> Dio: le due<br />

realtà <strong>alla</strong> fin fine coincidono, anche se la seconda (la conoscenza) può essere vista come base<br />

per la prima (la comunione), la quale in<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> per sé una relazione più globale e completa con il<br />

Signore perché ispirata dall’amore fattivo verso <strong>di</strong> lui (cfr. 5).<br />

«Che lo abbiamo conosciuto (ghinósko)»: conoscere Dio (e il Cristo, del quale l'Autore ha<br />

appena parlato) significa dunque non solo sapere molte verità su <strong>di</strong> lui, ma soprattutto amarlo,<br />

appartenergli, possederlo ed essere in comunione con lui. Qui l'atto <strong>di</strong> conoscere è presentato<br />

come qualcosa <strong>di</strong> avvenuto nel passato e <strong>di</strong> perdurante: lo abbiamo conosciuto (al perfetto).<br />

Questa affermazione ci fa capire che nella nostra vita <strong>di</strong> fede c'è un momento nel quale si fa<br />

un'esperienza tale <strong>di</strong> Dio e del Cristo che costituisce una svolta decisiva, che segna tutta la vita.<br />

Come avvenne, ad esempio, per <strong>Giovanni</strong> Battista: Gv 1,31 Io non lo conoscevo, ma sono venuto<br />

a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele». 32 <strong>Giovanni</strong> rese<br />

testimonianza <strong>di</strong>cendo: «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su <strong>di</strong><br />

lui. 33 Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L'uomo<br />

sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito <strong>San</strong>to. 34 E io ho<br />

22


visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio <strong>di</strong> Dio». L'esperienza mistica degli eventi del<br />

Battesimo hanno prodotto nel Battista una nuova conoscenza, nettamente superiore a quella <strong>di</strong><br />

prima, e quin<strong>di</strong> lo hanno dotato <strong>di</strong> una capacità <strong>di</strong> testimoniare il Cristo ben <strong>di</strong>versa rispetto <strong>alla</strong><br />

precedente.<br />

«Se osserviamo i suoi comandamenti»: la con<strong>di</strong>zione (se…) per sapere se la nostra<br />

conoscenza <strong>di</strong> Dio è vera sta nell’obbe<strong>di</strong>enza <strong>alla</strong> sua volontà. I comandamenti <strong>di</strong> cui <strong>Giovanni</strong><br />

parla sono quelli <strong>di</strong> Dio e <strong>di</strong> Cristo. Possiamo elencarne qualcuno: il comandamento <strong>di</strong> amare<br />

Dio con tutto il cuore e il prossimo come Cristo ha amato noi; quello del perdono e della<br />

misericor<strong>di</strong>a verso tutti, specialmente verso i poveri e i nemici; quello della preghiera continua,<br />

umile e fiduciosa; quello del <strong>di</strong>stacco da tutti i beni e da tutte le ansie della terra; quello della<br />

sincerità e della trasparenza... Ecco dunque il criterio semplice: conosco Dio se lo ascolto, amo<br />

Dio se lo servo fedelmente.<br />

«Chi <strong>di</strong>ce: L'ho conosciuto»: ognuno valuta la propria conoscenza <strong>di</strong> Dio in base <strong>alla</strong> propria<br />

esperienza e alle proprie capacità conoscitive. Se queste sono carenti o deformate si avvera<br />

l'autoinganno in apparente buona fede. Come faremo noi a non cadere nella trappola<br />

dell'autoillusione? La prima cosa da fare è quella <strong>di</strong> non dare mai per scontato che siamo nel<br />

giusto: dobbiamo avere l'umiltà <strong>di</strong> verificare continuamente, con grande serietà, i nostri giu<strong>di</strong>zi,<br />

le nostre idee, le nostre convinzioni e le nostre opere, anche con l'aiuto <strong>di</strong> altre persone. Non<br />

pren<strong>di</strong>amo questo passo <strong>alla</strong> leggera: <strong>Giovanni</strong> ci fa capire che sono molti quelli che si illudono<br />

<strong>di</strong> poter <strong>di</strong>re: L'ho conosciuto.<br />

«E non osserva i suoi comandamenti»: è sufficiente che trasgre<strong>di</strong>amo un solo comandamento<br />

perché possiamo dedurre con assoluta certezza che <strong>di</strong> Dio non abbiamo ancora capito nulla e,<br />

quel che è peggio, siamo lontani dal suo amore. Non vi è criterio più facile da mettere in atto e<br />

non c'è verifica più spietata <strong>di</strong> questa. Chi <strong>di</strong> noi può <strong>di</strong>re <strong>di</strong> osservare sempre tutti i<br />

comandamenti? Non osservava certo i comandamenti <strong>alla</strong> perfezione il giovane ricco che, pur<br />

affermando <strong>di</strong> averli sempre messi in pratica, non ebbe il coraggio <strong>di</strong> seguire il Cristo (Cfr. Mt<br />

19,16-22).<br />

«È bugiardo (pséustes) e la verità non è in lui (cfr. 1,8)»: per dare la massima efficacia <strong>alla</strong><br />

sua affermazione <strong>Giovanni</strong> ripete con due affermazione parallele (una positiva [è...] e una<br />

negativa [non è...]) lo stesso giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> valutazione su tale persona: si tratta <strong>di</strong> un impostore e,<br />

quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> un uomo senza verità. Chi è il falso, il menzognero? Chi ha un atteggiamento<br />

<strong>di</strong>fensivo <strong>di</strong> fondo in modo tale che tende sempre a deformare la verità a suo favore. Non solo è<br />

incoerente <strong>di</strong> fatto, ma non ammette e non vuole ammettere la sua ipocrisia, anzi la nega<br />

apertamente. Da parte nostra, non dobbiamo avere paura ad ipotizzare che forse Dio non lo<br />

abbiamo ancora conosciuto sufficientemente: possiamo forse pensare <strong>di</strong> averne conosciuto la<br />

bontà e la forza quando viviamo nell'ansia, nella tensione, nell'agitazione continua; quando basta<br />

un nonnulla a toglierci la pace? La vera risposta <strong>di</strong> fede non la si dà con le parole, ma con la vita.<br />

2. AMA DIO CHI OSSERVA LA SUA PAROLA (2,5 a )<br />

2.5 o(\j d' a)\n thrv= au)tou= to\n lo/gon,<br />

a)lhqw=j e)n tou/t% h( a)ga/ph tou= qeou= tetelei/wtai,<br />

2,5 se uno poi osserva [serba] la sua parola,<br />

veramente in lui l'amore <strong>di</strong> Dio è–perfetto.<br />

«Se uno poi osserva [serba] la sua parola (lógos)»: ogni parola <strong>di</strong> Dio è per noi innanzi tutto<br />

un invito all'impegno, uno stimolo ad agire, un traguardo da raggiungere: va conservata nel cuore<br />

e attuata nella vita pratica. Gesù, nel Vangelo <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong>, spiega bene che l'osservanza della<br />

parola <strong>di</strong>vina porta <strong>alla</strong> fede e <strong>alla</strong> conoscenza perfetta (quella che certi cristiani pretendono <strong>di</strong><br />

avere e non hanno): Gv 17,6 ... Essi (gli apostoli) hanno osservato la tua parola. 7 Ora essi<br />

sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, 8 perché le parole che hai dato a me io le<br />

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ho date a loro; essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto<br />

che tu mi hai mandato. Il termine parola (lógos) <strong>di</strong> cui parlano Gesù e <strong>Giovanni</strong> in<strong>di</strong>ca un<br />

qualcosa <strong>di</strong> più che il semplice comandamento (cfr. 2,7 b ): in<strong>di</strong>ca tutta la rivelazione, tutta la luce<br />

<strong>di</strong>vina, anzi, il Cristo stesso, Parola della vita, ovvero Dio nella sua infinita capacità<br />

comunicativa e relazionale. Non <strong>di</strong>mentichiamo che tale Parola si è fatta carne, fino a rendersi<br />

percepibile ai nostri sensi (1,1).<br />

«Veramente in lui l'amore (’agápe) <strong>di</strong> Dio è perfetto (teleióo)»: qui abbiamo la <strong>di</strong>mostrazione<br />

che conoscenza, obbe<strong>di</strong>enza e amore coincidono. Conoscere vuol <strong>di</strong>re amare. È la prima volta<br />

che l’<strong>Apostolo</strong> nomina l'agápe in questa lettera e riguardo ad essa si affretta subito a farci capire<br />

che la sua qualità dev’essere una sola: la perfezione. Emerge dunque qui la parola-chiave <strong>di</strong> tutta<br />

l'epistola, parola che la qualifica come la lettera dell’amore. Siccome l'<strong>Apostolo</strong> ha detto: Se uno<br />

poi osserva la sua parola… ci saremmo aspettati che concludesse <strong>di</strong>cendo: la sua conoscenza <strong>di</strong><br />

Dio è perfetta oppure (basandoci sul v 4): la verità è in lui. <strong>Giovanni</strong> invece va avanti nel suo<br />

<strong>di</strong>scorso e con maggiore completezza nella sua dottrina spirituale ci <strong>di</strong>ce: In lui l'amore <strong>di</strong> Dio è<br />

perfetto. In altre parole: Conosce Dio chi lo ama veramente. Cos'è precisamente questo amore <strong>di</strong><br />

Dio? È il nostro amore per Dio o l’amore <strong>di</strong> Dio per noi? Soprattutto il primo, ma senza<br />

escludere l’altro, poiché in fondo è il suo amore per noi che produce in noi la capacità <strong>di</strong> amarlo<br />

a nostra volta così come egli ama se stesso. La nostra carità poi, come abbiamo già fatto notare,<br />

deve giungere <strong>alla</strong> perfezione e vi giunge <strong>di</strong> fatto quando noi custo<strong>di</strong>amo e realizziamo<br />

pienamente (teréo) la parola del Signore. L'amore <strong>di</strong> Dio dunque è in definitiva l'equivalente <strong>di</strong><br />

quella piena conoscenza <strong>di</strong> Dio <strong>di</strong> cui <strong>Giovanni</strong> ci parlava prima, anche se <strong>di</strong> tale conoscenza ne<br />

è il lato pratico, comunionale, emotivo. C’è un momento nel quale vita, carità e verità<br />

coincidono ed è il momento nel quale esse <strong>di</strong>ventano perfette. Infatti chi ne possiede una in modo<br />

pieno, possiede anche tutte le altre. Tale amore dunque è la verità piena, <strong>di</strong>ventata vita e<br />

relazione interpersonale con Dio. Cfr. Gv 15,9 Come il Padre ha amato me, così anch'io ho<br />

amato voi. Rimanete nel mio amore. 10 Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio<br />

amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore (cfr. anche<br />

Gv 14,21.23; 1 Gv 5,3). Accogliamo questo invito, questa parola così bella e così esaltante e<br />

confortante! Nell'amore dunque in<strong>di</strong>viduiamo il criterio supremo per ogni <strong>di</strong>scernimento! Se c'è<br />

amore autentico (sinonimo <strong>di</strong> Spirito <strong>San</strong>to: cfr. 4,8), tutto il resto (conoscenza, parola, azione...)<br />

<strong>di</strong>venta perfetto (teleióo). Agostino si domanda: «Ma qual è la perfezione dell'amore?» e<br />

risponde: «È amare anche i nemici, ed amarli perché <strong>di</strong>ventino fratelli... Il Signore ci ammonisce<br />

ad essere perfetti quando ci parla del dovere <strong>di</strong> amare i nemici: Siate dunque perfetti come è<br />

perfetto il Padre vostro celeste» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 59).<br />

3. DIMORA IN CRISTO CHI AGISCE COME LUI (2,5 b -6)<br />

e)n tou/t% ginw/skomen o(/ti e)n au)t%= e)smen.<br />

2.6 o( le/gwn e)n au)t%= me/nein<br />

o)fei/lei kaqw\j e)kei=noj periepa/thsen kai\ au)to\j [ou(/twj] peripatei=n.<br />

Da questo conosciamo che siamo in lui.<br />

2,6 Chi <strong>di</strong>ce (<strong>di</strong>) <strong>di</strong>morare in lui,<br />

deve anche lui camminare [così] come lui ha–camminato.<br />

«Da questo conosciamo che siamo in (’en) lui»: pare che l'Evangelista ci fornisca qui un<br />

nuovo criterio <strong>di</strong> <strong>di</strong>scernimento finalizzato a verificare una cosa <strong>di</strong>versa (cioè essere in lui) da<br />

quella <strong>di</strong> prima (che era conoscere Dio). In effetti si tratta sempre dello stesso criterio atto a<br />

scovare la stessa realtà, espressa in modo <strong>di</strong>verso. Essere in Dio o essere in Cristo significa<br />

infatti, in ultima analisi, conoscere e amare il Padre e il Figlio (cfr. Gv 15,5 Io sono la vite, voi i<br />

tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza <strong>di</strong> me non potete far nulla). Con<br />

24


altre parole (cioè usando l'’en mistico) <strong>Giovanni</strong> parla della comunione <strong>di</strong> vita e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

conoscenza e <strong>di</strong> amore <strong>di</strong> Dio (cfr. 1,6).<br />

«Chi <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> <strong>di</strong>morare (méno) in lui (autós)»: le persone, che <strong>di</strong>cono (a parole) <strong>di</strong> conoscere<br />

(4) e <strong>di</strong> <strong>di</strong>morare in Dio (6), usano un perfetto linguaggio mistico senza capire nulla, anzi<br />

comprendendo in effetti tutto il contrario. È terribile: potrebbe capitare anche a noi. Il verbo<br />

rimanere (méno) meglio ancora che il verbo essere, in<strong>di</strong>ca una stabilità e una continuità oltre che<br />

una familiarità profonda con Dio.<br />

«Deve anche lui camminare (peri-patéo) così come (kathós) lui (’ekêinos) ha camminato»:<br />

ebbene, chi si vanta <strong>di</strong> avere con Dio una piena intimità <strong>di</strong> vita, lo <strong>di</strong>mostri interiormente ed<br />

esternamente comportandosi come Cristo (’ekêinos = quello) si è comportato. Ritorna qui<br />

l'immagine fondamentale del cammino (1,6-7) con il quale in modo molto plastico l'Evangelista<br />

in<strong>di</strong>ca l'imitazione <strong>di</strong> Cristo, modello supremo del credente. Nessuno può arrivare a Dio se non<br />

imitando concretamente Gesù fino ad incarnarne i pensieri, le opere, le parole: Gv 14,6 Gli <strong>di</strong>sse<br />

Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo <strong>di</strong> me. 7 Se<br />

conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Infatti solo<br />

Gesù è l'unico rivelatore del Padre, l'unico vero modello <strong>di</strong> amore perfetto (il come del v. 6 in<strong>di</strong>ca<br />

la precisa modalità dei nostri comportamenti, il deve segnala che questo è un passaggio<br />

obbligato, un vero comandamento). Nel Vangelo <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> sovente Gesù propone se stesso<br />

come esempio (cfr. soprattutto Gv 13,15.34; 15,10; 17,11.14.21) e invita <strong>alla</strong> sequela (Gv<br />

1,37.43; 8,12, 10,27; 12,26; 13,36; 21,19). Conclu<strong>di</strong>amo con un'osservazione interessante: se<br />

vogliamo rimanere dobbiamo camminare! Sembra un controsenso: in realtà ci vuole una stabilità<br />

nel progresso e un progresso nella stabilità. Quanto più avanziamo, tanto più ci immergiamo<br />

profondamente in Dio e nel suo amore luminoso. Per <strong>Giovanni</strong>, in definitiva, Gesù Cristo è il<br />

criterio concreto più sicuro per valutare il grado <strong>di</strong> perfezione e <strong>di</strong> autenticità della nostra<br />

comunione con il Padre: cfr. Rom 15,5 Il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda<br />

<strong>di</strong> avere gli uni verso gli altri gli stessi sentimenti ad esempio <strong>di</strong> Cristo Gesù, 6 perché con un<br />

solo animo e una voce sola ren<strong>di</strong>ate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. 7<br />

Accoglietevi perciò gli uni gli altri come Cristo accolse voi, per la gloria <strong>di</strong> Dio (Cfr. anche Fil<br />

2,5). Agostino ci ricorda che Gesù camminò sulla via della carità quando perdonò i suoi<br />

crocifissori: «Se dunque imparerai a pregare per il tuo nemico, camminerai sulla via del Signore»<br />

(Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 60).<br />

2 - AMARE IL FRATELLO È DIMORARE NELLA LUCE<br />

1. IL COMANDAMENTO NUOVO E ANTICO (2,7-8)<br />

2.7 )Agaphtoi/, ou)k e)ntolh\n kainh\n gra/fw u(mi=n<br />

a)ll' e)ntolh\n palaia\n h(\n ei)/xete a)p' a)rxh=j:<br />

h( e)ntolh\ h( palaia/ e)stin o( lo/goj o(\n h)kou/sate.<br />

2.8 pa/lin e)ntolh\n kainh\n gra/fw u(mi=n,<br />

o(/ e)stin a)lhqe\j e)n au)t%= kai\ e)n u(mi=n,<br />

o(/ti h( skoti/a para/getai kai\ to\ fw=j to\ a)lhqino\n h)/dh fai/nei.<br />

2,7 Carissimi, non vi scrivo (un) comandamento nuovo,<br />

ma (un) comandamento antico, che avete (ricevuto) da(l) principio.<br />

Il comandamento, quello antico, è la parola che avete–u<strong>di</strong>to.<br />

2,8 Tuttavia (è un) comandamento nuovo (quello che) vi scrivo,<br />

il–che è vero in lui e in voi,<br />

perché la tenebra se–ne–va e la luce, quella vera, già risplende.<br />

«Carissimi (’agapetós)»: a questo punto l'Evangelista, avendo parlato <strong>di</strong> comandamenti (3) e<br />

<strong>di</strong> amore perfetto (5), crede opportuno insistere sull'importanza del comandamento dell'amore e<br />

spontaneamente sente nel cuore un sentimento <strong>di</strong> amore verso i suoi lettori: perciò li chiama:<br />

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amati, <strong>di</strong>letti, carissimi... In tal modo <strong>Giovanni</strong> (con le parole e con i fatti) precisa in che cosa<br />

consistono i comandamenti <strong>di</strong>vini da osservare: essi si riassumono tutti in quello della carità<br />

(Rom 13,9).<br />

«Non vi scrivo un comandamento (’entolé) nuovo»: tutto quello che egli va scrivendo<br />

costituisce il nucleo centrale dell'annuncio fatto dagli evangelizzatori fin dall'inizio e ben<br />

conosciuto dagli ascoltatori. Esso è presentato come un comandamento (al singolare), cioè come<br />

qualcosa <strong>di</strong> molto semplice (è uno solo) e nello stesso tempo <strong>di</strong> fondamentale, <strong>di</strong> obbligatorio, <strong>di</strong><br />

assolutamente necessario (implicitamente l'idea era già presente nel v. 6: deve). Dobbiamo sapere<br />

che nel linguaggio giovanneo comandamento significa qualcosa <strong>di</strong> più che precetto: significa<br />

qualcosa che a volte somiglia <strong>di</strong> più ad un potere che a un dovere (cfr. Gv 10,18); è infatti un<br />

dovere liberante, perché la volontà del Padre è vita e gioia (Gv 12,50). Fra poco (in 7 b ) <strong>di</strong>rà che<br />

tale comandamento è la parola (il lógos: cfr. anche 5), cioè è il succo <strong>di</strong> tutta la Rivelazione, il<br />

punto centrale della volontà <strong>di</strong>vina che si manifesta a noi (cfr. Rom 13,8-10). Cfr. anche 2 Gv 5 E<br />

ora prego te, Signora, non per darti un comandamento nuovo, ma quello che abbiamo avuto fin<br />

dal principio, che ci amiamo gli uni gli altri.<br />

«Ma un comandamento antico, che avete ricevuto dal principio»: la prima e la principale cosa<br />

che i credenti hanno sentito pre<strong>di</strong>care è stato il comandamento dell'amore. La prima cosa che<br />

hanno notato e <strong>di</strong> cui si sono meravigliati è stato il fatto che si sono sentiti amati da Dio e dagli<br />

apostoli e invitati ad amare in quel modo il Signore e i fratelli. Questo comandamento è talmente<br />

antico che affonda le sue ra<strong>di</strong>ci nell'Antico Testamento: Mt 22,36 «Maestro, qual è il più grande<br />

comandamento della legge?». 37 Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con<br />

tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38 Questo è il più grande e il primo dei<br />

comandamenti. 39 E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. 40 Da<br />

questi due comandamenti <strong>di</strong>pendono tutta la Legge e i Profeti». L'antichità del comandamento ne<br />

garantisce l'importanza, l'affidabilità e l'efficacia. Certi cristiani che amavano la novità per il<br />

gusto <strong>di</strong> cambiare, <strong>di</strong> <strong>di</strong>versificarsi, <strong>di</strong> innovare a tutti i costi, stanno stravolgendo il Vangelo:<br />

essi pongono la salvezza nella gnósis cioè nella conoscenza intellettuale (notiamo che questa è<br />

ancora oggi una tentazione pericolosa per tutti noi). L'Evangelista riba<strong>di</strong>sce, con pazienza, quello<br />

che egli va insegnando da sempre, e cioè, che la salvezza sta nell'amore.<br />

«Il comandamento, quello antico, è la parola che avete u<strong>di</strong>to»: prima <strong>di</strong> vederlo scritto con<br />

inchiostro su carta in questa lettera, i fedeli lo hanno u<strong>di</strong>to d<strong>alla</strong> viva voce dei testimoni del<br />

Vangelo. La parola è appunto il Vangelo che coincide in fondo con il comandamento dell'amore.<br />

I cristiani hanno fatto, per mezzo dell'ascolto, un'esperienza simile a quella degli apostoli che<br />

incontrarono il Signore Gesù (cfr. 1,1: Ciò che abbiamo u<strong>di</strong>to...). Dovrebbero già essere in grado<br />

<strong>di</strong> testimoniarlo a loro volta con i fatti, mentre hanno ancora bisogno <strong>di</strong> essere illuminati ed<br />

esortati su <strong>di</strong> un punto così essenziale.<br />

«Tuttavia è un comandamento nuovo (kainós) quello che vi scrivo»: <strong>Giovanni</strong> cerca <strong>di</strong><br />

esprimere l’inesprimibile e pertanto usa un linguaggio paradossale: il comandamento non è<br />

nuovo, ma antico, però è nuovo! Perché e in che senso è anche nuovo? Non nel senso <strong>di</strong> recente<br />

nel tempo (in tal caso l'Autore avrebbe usato néos), ma nel senso <strong>di</strong> innovativo nella qualità<br />

(perciò usa kainós). Infatti Cristo lo ha portato veramente <strong>alla</strong> perfezione, amando il Padre e noi<br />

nello Spirito <strong>San</strong>to, fino <strong>alla</strong> morte in croce e or<strong>di</strong>nandoci <strong>di</strong> amarci <strong>di</strong> quello stesso amore<br />

(questo è il significato dell'espressione: il che è vero in lui). Gesù stesso infatti ha amato in modo<br />

innovativo e ha definito tale dovere come comandamento nuovo (Gv 13,34) e il mio<br />

comandamento (Gv 15,12). Si tratta dell’amore trinitario incarnato e manifestato nella sua vita e<br />

nelle sue azioni. È nuovo anche perché risulta essere un comandamento da noi mai abbastanza<br />

compreso e praticato, e quin<strong>di</strong>, sempre da riscoprire. Quando però riusciamo a vivere <strong>di</strong> quello<br />

stesso amore che pulsava nel cuore <strong>di</strong> Cristo, allora siamo ripieni <strong>di</strong> tutta la vera novità del<br />

Vangelo (è questo il senso dell'affermazione: il che è vero ... in voi). Cfr. Mt 13,52: «Per questo<br />

ogni scriba <strong>di</strong>venuto <strong>di</strong>scepolo del regno dei cieli è simile a un padrone <strong>di</strong> casa che estrae dal<br />

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suo tesoro cose nuove e cose antiche». Facciamo ora un’importante considerazione: una cosa è<br />

vera quando la mettiamo in pratica: la verità non è solo la corrispondenza <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso ad un<br />

fatto, ma soprattutto la fedeltà ad un impegno, ad un dovere o a una promessa. Se è importante<br />

<strong>di</strong>re il vero, è infinitamente più necessario fare la verità (1,6).<br />

«Il che è vero in lui e in voi»: nel mondo non esiste dunque alcuna altra vera novità al <strong>di</strong> fuori<br />

dell'amore cristiano. Tutto il resto è inganno, perché anche se sembra un'innovazione attraente e<br />

mai vista (l'automobile, la tv, la rete internet...) in realtà ripete sempre la stessa solfa e fa morire<br />

<strong>di</strong> noia. Se è vero che l’amore cristiano è una vera novità vissuta da Gesù, deve anche essere<br />

vissuto da noi, deve inverarsi in noi.<br />

«Perché la tenebra se ne va e la luce, quella vera (’alethinós), già risplende»: pensando al<br />

comandamento dell'amore, sempre antico e sempre nuovo, l'Evangelista lo paragona ad un'aurora<br />

che spunta all’orizzonte e che comincia a lanciare verso <strong>di</strong> noi i primi raggi <strong>di</strong> luce (quella vera)<br />

facendo nascere la speranza. In un mondo immerso nelle tenebre egli vede ormai che il buio<br />

fugge e si <strong>di</strong>legua definitivamente, mentre inizia a risplendere il Sole dell'amore e della verità<br />

(cioè Cristo). Fermiamoci un attimo a contemplare quest’alba che avanza, questa novità assoluta<br />

che trionfa (cfr. Apc 21,1.5; Rom 13,12). Noi siamo gli uomini dell’aurora: non siamo ancora nel<br />

pieno giorno, ma ogni istante che trascorre è un passo irreversibile verso la luce perfetta (cfr. Fil<br />

3,13).<br />

2. CHI AMA IL FRATELLO NON INCIAMPA (2,9-11)<br />

2.9 o( le/gwn e)n t%= fwti\ ei)=nai kai\ to\n a)delfo\n au)tou= misw=n<br />

e)n tv= skoti/# e)sti\n e(/wj a) /rti.<br />

2.10 o( a)gapw=n to\n a)delfo\n au)tou=<br />

e)n t%= fwti\ me/nei kai\ ska/ndalon e)n au)t%= ou)k e)/stin:<br />

2.11 o( de\ misw=n to\n a)delfo\n au)tou= e)n tv= skoti/# e)sti\n<br />

kai\ e)n tv= skoti/# peripatei= kai\ ou)k oi)=den pou= u(pa/gei,<br />

o(/ti h( skoti/a e)tu/flwsen tou\j o)fqalmou\j au)tou=.<br />

2,9 Chi <strong>di</strong>ce (<strong>di</strong>) essere nella luce e o<strong>di</strong>a il proprio fratello,<br />

è ancora nella tenebra.<br />

2,10 Chi ama il proprio fratello,<br />

<strong>di</strong>mora nella luce e non c'è in lui (occasione <strong>di</strong>) inciampo.<br />

2,11 Chi però o<strong>di</strong>a il proprio fratello è nella tenebra,<br />

e cammina nella tenebra e non sa dove va,<br />

perché la tenebra ha–accecato i suoi occhi.<br />

«Chi <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> essere nella luce»: per la terza volta (in questa Unità) l'<strong>Apostolo</strong> parla <strong>di</strong> chi <strong>di</strong>ce<br />

(cioè <strong>di</strong> chi afferma spavaldamente: l'ho conosciuto, <strong>di</strong>moro in lui, sono nella luce...). Davvero<br />

vuole controbattere tutte le illusioni <strong>di</strong> coloro che si accontentano delle parole e credono che la<br />

novità consista nel variare le parole da <strong>di</strong>re. È incre<strong>di</strong>bile la facilità con cui ci inganniamo!<br />

«E o<strong>di</strong>a (miséo) il proprio fratello»: il millantatore non si è per nulla accorto <strong>di</strong> o<strong>di</strong>are il<br />

proprio fratello, ma ha la netta sensazione <strong>di</strong> essere nella verità, nella trasparenza, nell'amore.<br />

Non sa che l'essere in<strong>di</strong>fferenti <strong>alla</strong> sofferenze degli altri, il chiudersi nel proprio nido sicuro e<br />

ben protetto equivale a o<strong>di</strong>are il fratello che è in <strong>di</strong>fficoltà. Non c'è bisogno <strong>di</strong> arrivare ad<br />

insultarlo per capire che lo stiamo o<strong>di</strong>ando: basta ignorare che esiste o che ha certi problemi.<br />

«È ancora nella tenebra»: chi scambia la tenebra per luce compie il più terribile dei peccati, il<br />

peccato mistico, cioè la tremenda bestemmia contro lo Spirito <strong>San</strong>to, perché vede il male dove<br />

c'è il bene e il bene dove c'è il male, l'amore dove c'è l'o<strong>di</strong>o e viceversa, Dio dove c'è il demonio e<br />

il demonio dove invece c'è la santità <strong>di</strong> Dio (cfr. anche 4,20).<br />

«Chi ama (’agapáo) il proprio fratello»: <strong>Giovanni</strong> parla <strong>di</strong> chi ama il proprio fratello (la<br />

propria sorella) con quell'amore (’agápe) che è prescritto dal comandamento sempre antico e<br />

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sempre nuovo (7-8), dato da Gesù e da mettere in pratica esattamente come lui l'ha praticato.<br />

Paolo ci fa capire che tale amore è il primo frutto dello Spirito <strong>San</strong>to (Gal 5,22 Il frutto dello<br />

Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio <strong>di</strong><br />

sé). L'amore <strong>di</strong> Dio si concretizza e si svela in quello che abbiamo verso il fratello (verso il<br />

cristiano, innanzi tutto, e poi verso tutti gli uomini e tutte le donne).<br />

«Dimora (méno) nella luce»: chi ha tale capacità <strong>di</strong> amore permane stabile nella luce <strong>di</strong>vina e<br />

quin<strong>di</strong> non si inganna. È molto interessante questa corrispondenza: amore / luce. Noi avremmo<br />

detto: l'amore è calore..., è un fuoco interiore... <strong>Giovanni</strong> invece ci fa capire che per lui l'amore è<br />

luce. La luce, infatti, per lui non rappresenta mai solamente la semplice verità raggiunta con il<br />

solo intelletto, ma in<strong>di</strong>ca la carità e, in fondo a tutto, Dio stesso (1,5), che è amore luminoso<br />

(4,8). Per quanto ci riguarda, quando notiamo in noi, senza presunzione, che siamo capaci, per<br />

grazia <strong>di</strong> Dio, ad instaurare rapporti amorevoli e profon<strong>di</strong> con tutti (superando le naturali<br />

antipatie o dominando le eccessive simpatie) possiamo prudentemente concludere che siamo<br />

sulla strada buona. Ma se siamo in<strong>di</strong>fferenti, nervosi, litigiosi, impazienti, permalosi, <strong>di</strong>fensivi,<br />

poco socievoli o poco accoglienti, dobbiamo <strong>alla</strong>rmarci e pensare che è opportuno cambiare<br />

subito stile <strong>di</strong> vita.<br />

«Non c'è in lui occasione <strong>di</strong> inciampo (skándalon)»: come fa spesso, l'Evangelista riba<strong>di</strong>sce il<br />

concetto, appena espresso in forma positiva (<strong>di</strong>mora...), con una proposizione negativa (non<br />

c'è...): egli vuol <strong>di</strong>re che in pratica chi ama, non cade nella fossa (cfr. Mt 15,14) e non fa cadere<br />

gli altri (Rom 14,13). L'idea che chi ama non trova inciampo fa capire che egli cammina con<br />

sicurezza. Chi ama, dunque, è stabile e nello stesso tempo cammina: amare dunque equivale ad<br />

essere stabili nella luce e a camminare senza pericoli. Quando <strong>Giovanni</strong> ci invitava a camminare<br />

come Gesù (2,6), ci voleva <strong>di</strong>re (in ultima analisi) <strong>di</strong> amare come Gesù ha amato (cfr. anche Gv<br />

11,9).<br />

«Chi però o<strong>di</strong>a il proprio fratello è nella tenebra»: per dare maggiore forza <strong>alla</strong> sua<br />

affermazione l'Evangelista ripete in forma negativa il concetto appena espresso in forma positiva<br />

(nel v. 10). L'o<strong>di</strong>o è tenebra accecante.<br />

«Cammina nella tenebra e non sa dove va»: questa tenebra (se vogliamo ora precisare bene<br />

quello che è in definitiva) è soprattutto l'o<strong>di</strong>o, che può portare a conseguenze impreve<strong>di</strong>bili<br />

perché anche nel male <strong>di</strong> solito non si sta fermi, ma si avanza verso abissi sempre più spaventosi<br />

(cfr. Gv 11,10; 12,35). L'<strong>Apostolo</strong> riprende le suggestive immagini del cammino nella luce e<br />

nella tenebra (cfr. 1,6-7). Mentre in 1,6-7 l'accento era posto piuttosto sul camminare (cioè sul<br />

piano dell'azione morale), qui <strong>Giovanni</strong> parla innanzi tutto dell'essere nel (nella luce o nella<br />

notte) cioè <strong>di</strong> una situazione <strong>di</strong> fondo, d<strong>alla</strong> quale poi deriva l'azione concreta (cioè il<br />

camminare). Chi infatti è costituzionalmente allergico <strong>alla</strong> verità (2,4), tende ad agire<br />

(camminare) fuori <strong>di</strong> essa o contro <strong>di</strong> essa. La conseguenza imme<strong>di</strong>ata è l'ignoranza (non sa):<br />

proprio quella lacuna che gli gnostici in tutti i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>cono <strong>di</strong> non avere. E il peggio consiste nel<br />

fatto che tale cammino ha inevitabilmente uno sbocco finale <strong>di</strong>sastroso (egli va là dove non sa,<br />

anche se non sa e proprio perché non sa).<br />

«Perché la tenebra ha accecato i suoi occhi»: gli occhi del cuore, che dovrebbero essere<br />

illuminati d<strong>alla</strong> fede e d<strong>alla</strong> carità, sono invece accecati dall'orgoglio, d<strong>alla</strong> falsità, d<strong>alla</strong><br />

mancanza <strong>di</strong> amore (l'Autore accenna qui a tutta la tematica della cecità spirituale la quale va<br />

sempre considerata come colpevole e insuperabile senza un pro<strong>di</strong>gio <strong>di</strong>vino: cfr. Gv cap. 9). Solo<br />

chi ama ha occhi illuminati per vedere in profon<strong>di</strong>tà, per valutare ogni cosa nel modo giusto.<br />

Invochiamo il Signore, pregandolo: O Sole <strong>di</strong> giustizia, aprici gli occhi e fa che ve<strong>di</strong>amo la tua<br />

bellissima luce affinché <strong>di</strong>ventiamo luminosi del tuo amore!<br />

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3 a CONDIZIONE: VINCERE IL MALIGNO E IL MONDO (UNITÀ 4)<br />

Conoscere e amare il Padre e fare la sua volontà<br />

Lettura e spiegazione <strong>di</strong> 1 Gv 2,12-17<br />

La presente Unità si <strong>di</strong>vide in due parti:<br />

nella 1 a sono descritte le varie categorie <strong>di</strong> fedeli a cui la lettera si rivolge;<br />

nella 2 a parte vi è un pressante invito ad avere l'amore generoso <strong>di</strong> Dio, il quale è l'esatto<br />

contrario dell'amore egoistico del mondo.<br />

1 - LA LETTERA È PER TUTTI I FIGLI: ANZIANI E GIOVANI<br />

1. AI FIGLI PERDONATI (2,12)<br />

2.12 Gra/fw u(mi=n, tekni/a,<br />

o(/ti a)fe/wntai u(mi=n ai( a(marti/ai <strong>di</strong>a\ to\ o)/noma au)tou=.<br />

2,12 Scrivo a–voi, figlioli,<br />

[che] perché vi sono–stati–rimessi i peccati in–virtù del suo nome.<br />

«Scrivo a voi, figlioli»: dopo aver insistito con grande forza sul fatto, molto pericoloso e<br />

molto <strong>di</strong>ffuso, <strong>di</strong> vivere in una falsa mistica, scambiando con estrema facilità la luce con le<br />

tenebre, il proprio io con Dio, <strong>Giovanni</strong> esce allo scoperto e parla in prima persona (scrivo).<br />

Riflette sul fatto che sta scrivendo (gráfo) ad una pluralità <strong>di</strong> persone, ad una comunità (a voi).<br />

Egli si prende, in prima persona, la responsabilità <strong>di</strong> quanto asserisce. Chiama i membri <strong>di</strong> tale<br />

comunità con il nome affettuoso <strong>di</strong> figlioli (tekníon), termine che, derivando dal verbo tíkto,<br />

partorisco, fa memoria <strong>di</strong> quel legame forte che un padre ha con coloro che da lui sono stati<br />

generati. Per ben 7 volte, nel corso <strong>di</strong> questa lettera l'<strong>Apostolo</strong> si rivolge ai lettori con questo<br />

appellativo (2,1.12.28; 3,7.18; 4,4; 5,21). Con tale delicatissimo termine lo stesso Gesù si era<br />

rivolto agli apostoli durante il <strong>di</strong>scorso dell'Ultima Cena: Gv 13,33: Figlioli, io non ho più molto<br />

tempo per restare con voi... In alternativa al termine figlioli, <strong>Giovanni</strong> usa nella lettera 2 volte il<br />

delicato appellativo paidíon (2,14.18), nel quale è presente l'idea <strong>di</strong> educazione (paidéuo: allevo,<br />

educo), 6 volte la bellissima espressione: <strong>di</strong>letti, carissimi (’agapetós), che non ha bisogno <strong>di</strong><br />

commento: 2,7; 3,2.21; 4,1.7.11, e una volta: fratelli (3,13). In base all'uso che l'Autore ne fa qui,<br />

possiamo pensare che con il termine figlioli egli voglia in<strong>di</strong>rizzarsi a tutti i credenti, che egli vede<br />

come figli <strong>di</strong> Dio e nei confronti dei quali egli pure si sente padre ed educatore.<br />

«Perché»: la particella greca ‘óti può essere tradotta in due maniere in modo che l'autore può<br />

voler <strong>di</strong>re sia: vi scrivo che... e sia: vi scrivo perché... Nel primo caso egli afferma una cosa (la<br />

remissione delle colpe) che egli crede sia avvenuta a loro favore, con lo scopo <strong>di</strong> incoraggiare e<br />

confermare chi è rimasto fedele; nel secondo fornisce una motivazione per cui scrive (o ha<br />

scritto) ai suoi lettori (perché sono stati perdonati). In ogni caso comunque asserisce che per le<br />

varie categorie <strong>di</strong> lettori è vero proprio quello che i se<strong>di</strong>centi cristiani perfetti e illuminati<br />

affermano erroneamente <strong>di</strong> se stessi e cioè <strong>di</strong> essere senza peccato.<br />

«Vi sono stati rimessi i peccati in virtù del suo nome»: se i veri credenti sono senza peccati è<br />

solo perché questi sono stati loro perdonati. Essi continuano ad essere dei peccatori, dei<br />

peccatori salvati. Notiamo che l'Evangelista asserisce per prima cosa, non che essi sono santi o<br />

sapienti, ma che sono stati purificati dal peccato. I loro peccati davvero sono stati rimessi (da<br />

Dio: passivo <strong>di</strong>vino) e continuano ad esserlo (il verbo è al perfetto) in forza del nome <strong>di</strong> Cristo.<br />

Abbiamo qui una chiara allusione al battesimo con il quale Cristo (con la sua autorità <strong>di</strong>vina:<br />

nome) opera la purificazione me<strong>di</strong>ante il suo sangue (1,7), avendo egli espiato i peccati <strong>di</strong> tutti<br />

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(2,1). Il primo aspetto, dunque, che <strong>Giovanni</strong> mette in evidenza non è dunque quello della<br />

conoscenza <strong>di</strong> Dio (essa verrà ricordata dopo: cfr. 14), ma quello della remissione dei peccati,<br />

che è la base <strong>di</strong> ogni progresso spirituale: cfr. Atti 2,38 Pietro <strong>di</strong>sse: «Pentitevi e ciascuno <strong>di</strong> voi<br />

si faccia battezzare nel nome <strong>di</strong> Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo<br />

riceverete il dono dello Spirito <strong>San</strong>to (cfr. anche 1 Cor 6,11). I cristiani "progressisti" saltavano<br />

questo aspetto sacramentale e purificatorio ritenendosi non bisognosi <strong>di</strong> tale lavacro (1,8.10) e si<br />

gloriavano <strong>di</strong> essere immuni dal peccato e pieni della intima conoscenza <strong>di</strong> Dio.<br />

2. AI PADRI CHE CONOBBERO IL CRISTO (2,13 a )<br />

2.13 gra/fw u(mi=n, pate/rej,<br />

o(/ti e)gnw/kate to\n a)p' a)rxh=j.<br />

2,13 Scrivo a–voi, padri,<br />

[che] perché avete–conosciuto colui (che è oppure che era) da(l) principio.<br />

«Scrivo a voi, padri»: a questo punto l'Evangelista <strong>di</strong>vide i figlioli, cioè i fedeli in due<br />

categorie: i padri e i giovani. All'interno della comunità giovannea molti avevano aderito <strong>alla</strong><br />

fede da molto tempo, cioè fin dall'inizio della pre<strong>di</strong>cazione (i padri), altri avevano accolto il<br />

Vangelo da poco tempo (i giovani).<br />

«Perché avete conosciuto colui che è (oppure che era) dal principio»: siamo molto perplessi<br />

nell’interpretare il senso della espressione dal principio. Ci sembra che prevalga il senso forte <strong>di</strong><br />

da tutta l’eternità. <strong>Giovanni</strong> affermerebbe dunque che i padri hanno conosciuto (e continuano a<br />

conoscere: il verbo è al perfetto) il Cristo, visto come colui che è o che era dal principio, cioè<br />

come colui che ha dato inizio <strong>alla</strong> creazione e, fin dai primor<strong>di</strong> della sua opera salvifica, <strong>alla</strong><br />

nuova realtà della Chiesa. Qui Gesù non è più in<strong>di</strong>cato con il neutro (Ciò che era... cioè Cristo e<br />

il suo messaggio: cfr. 1,1), ma con il maschile (Colui che è o che era...). In tal modo l’attenzione<br />

viene convogliata solo sul Signore come persona <strong>di</strong>vina. Secondo l'Autore tali padri possiedono<br />

sul serio la conoscenza <strong>di</strong> Gesù, l’Eterno, cioè quella piena conoscenza che altri cristiani<br />

filognostici affermano <strong>di</strong> avere, ma non hanno, avendo abbandonato sostanzialmente la<br />

tra<strong>di</strong>zione originale (2,4) e la comunione ecclesiale (1,3).<br />

3. AI GIOVANI VINCITORI DEL MALIGNO (2,13 b )<br />

gra/fw u(mi=n, neani/skoi,<br />

o(/ti nenikh/kate to\n ponhro/n.<br />

Scrivo a–voi, giovani,<br />

[che] perché avete–vinto il maligno.<br />

«Scrivo a voi, giovani»: notiamo che per la terza volta l'Evangelista afferma scrivo: il suo stile<br />

è ripetitivo, perché egli usa la ripetizione come strumento per segnalare l'importanza <strong>di</strong><br />

un'affermazione o <strong>di</strong> una azione.<br />

«Perché avete vinto (nikáo) il maligno (ponerós)»: quelli che da un tempo più breve hanno<br />

aderito <strong>alla</strong> fede ed <strong>alla</strong> vita comunitaria, non sono ancora giunti <strong>alla</strong> famosa conoscenza, ma<br />

hanno già fatto il primo grande passo: hanno sconfitto il demonio, del quale l'Evangelista in<br />

questa lettera <strong>di</strong>ce: Il <strong>di</strong>avolo è peccatore fin dal principio. Ora il Figlio <strong>di</strong> Dio è apparso per<br />

<strong>di</strong>struggere le opere del <strong>di</strong>avolo (3,8). Gesù nel Vangelo giovanneo così lo descriveva: Gv 8,44<br />

Egli (il <strong>di</strong>avolo) è stato omicida fin dal principio e non ha perseverato nella verità, perché non<br />

vi è verità in lui. Quando <strong>di</strong>ce il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della<br />

menzogna. Il primo passo è dunque quello <strong>di</strong> vincere la menzogna, la tenebra, l'o<strong>di</strong>o favoriti dal<br />

maligno, l'ispiratore <strong>di</strong> Caino (3,12) e il dominatore del mondo perverso (5,19). Nel cap. 17 <strong>di</strong><br />

<strong>Giovanni</strong> Gesù così pregava il Padre per i suoi <strong>di</strong>scepoli: Io non ti prego <strong>di</strong> ritirarli dal mondo,<br />

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ma <strong>di</strong> preservarli dal maligno (Gv 17,15). Ebbene, in questa lettera, <strong>Giovanni</strong> constata che la<br />

nuova generazione <strong>di</strong> credenti ha saputo lottare e vincere, in modo da non essere contaminata<br />

dallo spirito del male (5,4-5.18).<br />

4. AI FIGLI CHE CONOSCONO IL PADRE (2,14 a )<br />

2.14 e)/graya u(mi=n, pai<strong>di</strong>/a,<br />

o(/ti e)gnw/kate to\n pate/ra.<br />

2,14 Ho–scritto a–voi, figlioli,<br />

[che] perché avete–conosciuto il Padre.<br />

«Ho scritto a voi, figlioli (paidíon)»: a questo punto l'Autore ripete lo schema letterario dei<br />

vv. 12-13 con una leggera variazione nel tempo del verbo scrivere: non più il presente (scrivo...),<br />

ma il passato (ho scritto...). Forse egli si riferisce <strong>alla</strong> prima parte della lettera o al suo Vangelo,<br />

scritto in precedenza. In questa prima affermazione sostituisce il tekníon <strong>di</strong> prima con paidíon<br />

(prima li vedeva come generati dal perdono e ora come educati nella fede: paidéuo = istruisco).<br />

Tutti i membri della comunità, a cui sono stati perdonati i peccati (2,12) ora si meritano il nome<br />

<strong>di</strong> figlioli (paidíon), a motivo del cammino educativo da loro percorso.<br />

«Perché avete conosciuto il Padre»: dopo aver ricevuto il perdono nel nome <strong>di</strong> Gesù, hanno<br />

fatto progressi nella conoscenza <strong>di</strong> Dio Padre, cioè <strong>di</strong> Dio nella sua qualità <strong>di</strong> Genitore, poiché<br />

egli ha generato il Figlio suo Gesù e ha generato e cresciuto i credenti come suoi figli (cfr. 3,1-2).<br />

Chi invece <strong>di</strong>ce: L'ho conosciuto e non osserva i suoi comandamenti, è un bugiardo (cfr. 2,4) e<br />

resta invischiato nei suoi peccati non volendo fare l'esperienza della misericor<strong>di</strong>a teopaterna<br />

(2,12).<br />

5. AI PADRI CHE CONOBBERO IL CRISTO STORICO (2,14 b )<br />

e)/graya u(mi=n, pate/rej,<br />

o(/ti e)gnw/kate to\n a)p' a)rxh=j.<br />

Ho–scritto a–voi, padri,<br />

[che] perché avete–conosciuto colui (che è oppure che era) da(l) principio.<br />

«Ho scritto a voi, padri»: l'Autore (a parte il verbo ho scritto) ripete esattamente le stesse<br />

parole già rivolte sopra agli stessi padri (questo è un modo per riba<strong>di</strong>re l'importanza del suo<br />

convincimento).<br />

«Perché avete conosciuto colui che è (oppure che era) dal principio »: forse alcuni <strong>di</strong> questi<br />

padri hanno davvero conosciuto <strong>di</strong>rettamente il Cristo terreno, che è il Lógos preesistente e<br />

creatore, e sono da considerarsi padri non tanto perché anziani, ma soprattutto perché sono<br />

maestri ed educatori nella fede per le giovani generazioni. La conoscenza del Cristo storico,<br />

almeno <strong>di</strong> quella acquisita attraverso la pre<strong>di</strong>cazione degli Apostoli (ricor<strong>di</strong>amo che <strong>Giovanni</strong> ha<br />

scritto a questo fine un meraviglioso Vangelo), è ritenuta essenziale per tutti, anche per quelli che<br />

non hanno visto e toccato fisicamente il Signore.<br />

6. AI GIOVANI FORTI E VINCITORI (2,14 c )<br />

e)/graya u(mi=n, neani/skoi,<br />

o(/ti i)sxuroi/ e)ste<br />

kai\ o( lo/goj tou= qeou= e)n u(mi=n me/nei kai\ nenikh/kate to\n ponhro/n.<br />

Ho–scritto a–voi, giovani,<br />

[che] perché siete forti,<br />

e la parola <strong>di</strong> Dio <strong>di</strong>mora in voi e avete–vinto il maligno.<br />

31


«Ho scritto a voi, giovani»: <strong>Giovanni</strong> conclude il suo schema simmetrico <strong>di</strong> tre frasi parallele<br />

(ripetute due volte).<br />

«Perché siete forti»: l'Autore si compiace <strong>di</strong> vedere che la nuova generazione <strong>di</strong> credenti è<br />

salda e sicura. La loro lotta vittoriosa contro il maligno (<strong>di</strong> cui ha già parlato 2,12) è stata un<br />

buon allenamento che li ha fortificati (Ef 6,10-11).<br />

«E la parola (lógos) <strong>di</strong> Dio <strong>di</strong>mora in voi»: tali giovani non sono coloro che <strong>di</strong>cono: Non<br />

abbiamo peccato. In questi non <strong>di</strong>mora la parola <strong>di</strong> Dio (cfr. 1,10). Sono coloro che avendo<br />

ascoltato e amato la parola <strong>di</strong> Dio (che in definitiva è il Cristo Signore) sono <strong>di</strong>ventati abitazione<br />

stabile della Parola (cfr. Gv 14,23 Rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il<br />

Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo <strong>di</strong>mora presso <strong>di</strong> lui»).<br />

«E avete vinto il maligno»: questa volta compren<strong>di</strong>amo meglio perché i giovani hanno vinto<br />

(e continuano a vincere) il <strong>di</strong>avolo in modo tale da non <strong>di</strong>ventarne figli (cfr. 3,10): è stata la<br />

presenza della Parola <strong>di</strong> Dio nel loro cuore che li ha resi forti e vincitori. Tale parola infatti ci<br />

rivela la paternità <strong>di</strong> Dio, la <strong>di</strong>vinità del Cristo e ci apre <strong>alla</strong> domanda e all'ottenimento del<br />

perdono e della grazia. Cfr. Apc 12,11.<br />

2 - L'AMORE DEL PADRE NON SI CONCILIA CON L'AMORE DEL MONDO<br />

1. NON AMATE IL MONDO (2,15)<br />

2.15 Mh\ a)gapa=te to\n ko/smon mhde\ ta\ e)n t%= ko/sm%.<br />

e)a/n tij a)gap#= to\n ko/smon, ou)k e)/stin h( a)ga/ph tou= patro\j e)n au)t%=:<br />

2,15 Non amate il mondo, né le (cose) nel mondo!<br />

Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui;<br />

«Non amate il mondo (kósmos)»: a tutti i suoi figlioli (sia padri e sia giovani) l'Evangelista<br />

rivolge un accorato appello (con un verbo in forma imperativa). Che cosa è questo mondo? Per<br />

capirlo bene bisogna leggere soprattutto il Vangelo giovanneo che parla <strong>di</strong> mondo ben 75 volte.<br />

Nella nostra lettera il termine ricorre 23 volte. A parte le poche volte che in<strong>di</strong>ca la terra oppure<br />

l'universo (come avviene in Gv 11,9; 1 Gv 3,17; 4,17), esso è sinonimo <strong>di</strong> umanità. Quando si<br />

parla <strong>di</strong> essa in quanto creata da Dio e chiamata <strong>alla</strong> salvezza, allora mondo ha un senso positivo<br />

(1 Gv 2,2; 4,9.14); se invece vengono in<strong>di</strong>cati coloro che si oppongono al bene, ha un senso<br />

negativo (1 Gv 3,1.13; 4,4; 5,4.5.19). Al primo caso appartiene ad esempio questa affermazione:<br />

Gv 3,16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque<br />

crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17 Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per<br />

giu<strong>di</strong>care il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo <strong>di</strong> lui (cfr. anche Gv 12,47). Al<br />

secondo quest'altra espressione: Gv 16,8 E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto<br />

al peccato, <strong>alla</strong> giustizia e al giu<strong>di</strong>zio. 9 Quanto al peccato, perché non credono in me; 10 quanto<br />

<strong>alla</strong> giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più; 11 quanto al giu<strong>di</strong>zio, perché il<br />

principe <strong>di</strong> questo mondo è stato giu<strong>di</strong>cato (Cfr. anche Gv 1,10; 12,31; 17,14-16). Il mondo non<br />

conosce il Padre (Gv 17,25) e non riceve lo Spirito <strong>di</strong> verità perché non lo vede e non lo conosce<br />

(Gv 14,17). Amare il mondo, dunque, in questo caso, significa amare chi si oppone a Dio proprio<br />

in quanto gli si oppone. Per in<strong>di</strong>care tale amore perverso l'Evangelista usa lo stesso termine<br />

agapáo con il quale in<strong>di</strong>ca solitamente l'amore santo <strong>di</strong> Dio: avrebbe dovuto usare ad esempio<br />

non concupite (’eráo da ’éros: bramo, desidero appassionatamente). Eppure è molto istruttivo<br />

che <strong>di</strong>ca non amate usando agapáo: in realtà l'amore mondano ha come l'amore <strong>di</strong>vino la<br />

caratteristica della totalità, trasformando così la creatura in idolo (5,21). Non amate dunque il<br />

mondo, come amereste Dio! Chi ama così, non ama veramente il mondo o l'umanità, perché se<br />

da una parte li desidera in modo ad<strong>di</strong>rittura esagerato e sembra perciò che li apprezzi in sommo<br />

grado, dall'altra li sfrutta al massimo, rovinandoli e <strong>di</strong>struggendone le migliori qualità. Mentre<br />

sembra servirli, se ne serve; mentre sembra onorarli, li <strong>di</strong>sprezza togliendo loro il vero valore che<br />

32


hanno, cioè quello <strong>di</strong> essere un dono <strong>di</strong> Dio. E non ama nemmeno se stesso, perché mentre<br />

sembra possederli, ne è posseduto; mentre pare che li domina, ne è dominato e si priva del vero<br />

go<strong>di</strong>mento.<br />

«Né le cose nel mondo»: per cose nel mondo possiamo intendere tutte quelle realtà (lo<br />

strapotere, la ricchezza esagerata…) che il mondo, inteso in senso peggiorativo come umanità<br />

peccatrice e schiava del maligno, ama, stima, loda e cerca con una grande avi<strong>di</strong>tà. Anche le<br />

stesse cose buone (come il corpo, la famiglia…) non percepite secondo i loro veri significati, ma<br />

considerate senza un giusto riferimento a Dio, pur non <strong>di</strong>ventando cattive in sé stesse, non<br />

giovano per l’acquisto della carità. Nel prossimo versetto <strong>Giovanni</strong> spiegherà meglio che cosa<br />

sono per lui queste cose: vedremo che egli non prende tanto <strong>di</strong> mira le varie realtà in se stesse,<br />

ma la finalità egoistica per la quale sono ricercate. Il <strong>di</strong>fetto non sta tanto nelle cose, ma in un<br />

certo tipo <strong>di</strong> amore ad esse, cioè in un amore che esclude quello <strong>di</strong> Dio. Agostino commenta:<br />

«Nessuno <strong>di</strong>ca: Non è opera <strong>di</strong> Dio tutto ciò che è nel mondo? ... Perché allora non dovrei amare<br />

ciò che Dio ha fatto? Lo Spirito del Signore ti aiuti a vedere realmente perché queste cose sono<br />

buone, ma guai a te se amerai le creature e abbandonerai il Creatore. Queste cose ti appaiono<br />

belle, ma quanto più bello sarà l'autore della loro bellezza! ... Dio non ti proibisce <strong>di</strong> amare le sue<br />

creature; ti proibisce <strong>di</strong> amarle come ultima felicità. Stimale, lodale, ma per amare il Creatore...<br />

Dio ti ha dunque dato le cose create perché tu amassi chi le ha fatte. Egli ti vuole dare assai <strong>di</strong> più<br />

che queste cose che ha create, vuol dare se stesso» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 84-85).<br />

«Se uno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui»: l'<strong>Apostolo</strong> è categorico: non c'è<br />

compatibilità tra l'amore peccaminoso del mondo e l'amore santo del Padre. Gesù aveva già<br />

parlato con termini simili a questi: Gv 15,18 Se il mondo vi o<strong>di</strong>a, sappiate che prima <strong>di</strong> voi ha<br />

o<strong>di</strong>ato me. 19 Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del<br />

mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi o<strong>di</strong>a (cfr. Gv 7,7; 16,33; 1 Gv 3,13).<br />

In effetti vi è una totale incompatibilità tra i due amori: Mt 6,24 Nessuno può servire a due<br />

padroni: o o<strong>di</strong>erà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e <strong>di</strong>sprezzerà l'altro: non potete servire<br />

a Dio e a mammona. Agostino si rivolge al suo ascoltatore esortandolo: «Scaccia l'amore<br />

malvagio del mondo per riempirti dell'amore <strong>di</strong> Dio... Ti travolge l'amore del mondo? Stringiti a<br />

Cristo. Per te egli è sceso nel tempo, perché tu <strong>di</strong>ventassi eterno» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p.<br />

81.83).<br />

2. EVITATE LE CONCUPISCENZE E LA SUPERBIA (2,16)<br />

2.16 o(/ti pa=n to\ e)n t%= ko/sm%,<br />

h( e)piqumi/a th=j sarko\j<br />

kai\ h( e)piqumi/a tw=n o)fqalmw=n<br />

kai\ h( a)lazonei/a tou= bi/ou,<br />

ou)k e)/stin e)k tou= patro\j a)ll' e)k tou= ko/smou e)sti/n.<br />

2,16 poiché tutto quello (che è) nel mondo,<br />

la concupiscenza della carne<br />

e la concupiscenza degli occhi<br />

e la superbia della vita [della ricchezza],<br />

non viene dal Padre, ma viene dal mondo.<br />

«Poiché tutto quello che è nel mondo»: nulla che appartenga al mondo, in quanto malvagio e<br />

ostile a Dio, è buono. Nemmeno la minima cosa. Tutto è cattivo. <strong>Giovanni</strong> però non si limita a<br />

fare un'affermazione generale, vuole precisare i tre gran<strong>di</strong> àmbiti nei quali il mondo malvagio si<br />

manifesta in modo particolare: la carne (la nostra corporeità), gli occhi (la nostra interiorità), la<br />

vita o gli averi (le nostre proprietà).<br />

«La concupiscenza (’epithymía) della carne (sárx)»: parliamo un attimo della concupiscenza<br />

in senso generale: Gesù aveva già parlato dei desideri smodati, tipici del mondo, che fanno<br />

33


morire la parola seminata nel cuore: Mc 4,19 Sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e<br />

l'inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie (’epithymía), soffocano la parola e questa<br />

rimane senza frutto. Questo avviene appunto quando la persona, nella sua realtà più profonda, ha<br />

desideri contrari a quelli <strong>di</strong> Dio e da questi si lascia vincere (cfr. 2 Pt 4,2-3). <strong>Giovanni</strong> però<br />

precisa ulteriormente il concetto parlando <strong>di</strong> concupiscenza della carne. Per capire <strong>di</strong> che cosa<br />

esattamente si tratta ci facciamo aiutare da Rom 13,13 Comportiamoci onestamente, come in<br />

pieno giorno: non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze, non fra impurità e licenze, non in<br />

contese e gelosie. 14 Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi<br />

desideri. Si tratta delle cattive passioni, della schiavitù ai vizi capitali, specialmente a quelli della<br />

gola, dell'impu<strong>di</strong>cizia, dell'ira e della violenza fisica. Anche Gal 5 elenca i peccati della carne in<br />

modo molto chiaro: 19 Del resto le opere della carne sono ben note: fornicazione, impurità,<br />

libertinaggio, 20 idolatria, stregonerie, inimicizie, <strong>di</strong>scor<strong>di</strong>a, gelosia, <strong>di</strong>ssensi, <strong>di</strong>visioni, fazioni,<br />

21 invi<strong>di</strong>e, ubriachezze, orge e cose del genere; circa queste cose vi preavviso, come già ho detto,<br />

che chi le compie non ere<strong>di</strong>terà il Regno <strong>di</strong> Dio (cfr. anche Ef 2,3). Per vincere tale passioni<br />

peccaminose bisogna aprirsi all'azione dello Spirito <strong>San</strong>to: Gal 5,16 Vi <strong>di</strong>co dunque: camminate<br />

secondo lo Spirito e non sarete portati a sod<strong>di</strong>sfare i desideri (epithymía) della carne; 17 la carne<br />

infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari <strong>alla</strong> carne; queste cose si<br />

oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste. 18 Ma se vi lasciate guidare dallo<br />

Spirito, non siete più sotto la legge (cioè sotto quel tipo <strong>di</strong> legge che favorisce le bramosie<br />

perverse). Anche Pietro nella prima lettera ci in<strong>di</strong>ca la strada giusta per vincere: 1 Pt 4,1 Poiché<br />

dunque Cristo soffrì nella carne, anche voi armatevi degli stessi sentimenti: chi ha sofferto nel<br />

suo corpo ha rotto definitivamente col peccato, 2 per non servire più alle passioni (’epithymía)<br />

umane ma <strong>alla</strong> volontà <strong>di</strong> Dio, nel tempo che gli rimane in questa vita mortale. 3 Basta col<br />

tempo trascorso nel sod<strong>di</strong>sfare le passioni del paganesimo, vivendo nelle <strong>di</strong>ssolutezze, nelle<br />

passioni (’epithymía), nelle crapule, nei bagor<strong>di</strong>, nelle ubriachezze e nel culto illecito degli idoli<br />

(cfr. anche 1 Pt 1,14). È dunque necessaria una certa resistenza (Rom 8,13; Col 3,5) da mettere in<br />

atto attraverso un corretto cammino ascetico e mistico, senza però perdere nulla delle ricchezze<br />

che Dio ha posto nella nostra umanità e nella nostra corporeità, anzi potenziandole in pienezza.<br />

In caso contrario, sia chi si abbandona al vizio, sia chi per rigorismo impoverisce<br />

inopportunamente la sua umanità, finisce con il <strong>di</strong>sprezzare Dio e i suoi doni (cfr. 2 Pt 2,10). Per<br />

amore <strong>di</strong> chiarezza notiamo che la parola carne, ha nel N.T. un significato ricco e fluttuante:<br />

1° in<strong>di</strong>ca a volte la sola componente corporea dell'essere umano (talvolta è nominata insieme a<br />

sangue, ossa..., altre volte è vista in contrapposizione ad anima: 1 Pt 2,11, o a spirito: Mc 14,38).<br />

Spesso se ne mette in risalto la debolezza (Rom 6,19), la soggezione <strong>alla</strong> morte (2 Cor 4,11), le<br />

tendenze cattive (Rom 7,18; Gal 5,24; Ef 2,3), l'aspetto <strong>di</strong> esteriorità (Rom 2,28; Gal 6,12); non<br />

raramente anche i vantaggi e gli aspetti positivi (2 Cor 3,3; 4,11; Ef 5,29; Fil 1,22; Col 1,24; Atti<br />

2,26).<br />

2° Altre volte in<strong>di</strong>ca l'uomo intero, visto nella sua concretezza (Gv 1,14) o nei suoi limiti (Gv<br />

6,63: contrapposto allo Spirito <strong>San</strong>to) oppure nella sua fragilità fisica (1 Pt 1,24) o morale (Rom<br />

7,18).<br />

3° Infine, in certi casi, in<strong>di</strong>ca qualcosa che può corrispondere ad alcuni <strong>di</strong> questi <strong>di</strong>versi<br />

significati combinati insieme in modo molto vario (Mc 10,8; Rom 9,3; 1 Cor 1,26).<br />

«La concupiscenza degli occhi»: parlando <strong>di</strong> questa concupiscenza <strong>Giovanni</strong> vuole andare <strong>alla</strong><br />

ra<strong>di</strong>ce delle varie cupi<strong>di</strong>gie e delle avi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> piaceri: il cuore (Rom 1,24). Gli occhi infatti sono le<br />

finestre del cuore. Quando noi guar<strong>di</strong>amo con la volontà <strong>di</strong> possedere, <strong>di</strong> sfruttare, <strong>di</strong> <strong>di</strong>vertirci<br />

illecitamente con tutte le cose belle e piacevoli senza fare alcun riferimento al Signore, senza<br />

capire i loro significati simbolici e la loro funzione relazionale, <strong>di</strong>mostriamo <strong>di</strong> avere un cuore<br />

egoista <strong>di</strong>sposto al peccato. Gesù aveva già chiaramente parlato <strong>di</strong> tale tipo <strong>di</strong> peccato interiore:<br />

Mt 5,27 Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; 28 ma io vi <strong>di</strong>co: chiunque guarda<br />

una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore. 29 Se il tuo occhio<br />

34


destro ti è occasione <strong>di</strong> scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi<br />

membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna (cfr. anche 2 Pt 2,13-14). Per<br />

concupiscenza degli occhi si può intendere anche l'amore esclusivo per le apparenze, per le<br />

esteriorità, senza una seria ricerca dei valori profon<strong>di</strong> e duraturi. Gesù in Luca afferma: «Voi vi<br />

ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli<br />

uomini è cosa detestabile davanti a Dio (Lc 16,15). Oggi più che mai il mondo corre <strong>di</strong>etro <strong>alla</strong><br />

bellezza fisica, all'esperienze erotiche fine a se stesse, agli effetti spettacolari. Paolo parlerebbe <strong>di</strong><br />

coloro il cui vanto è esteriore e non nel cuore (2 Cor 5,12). Noi puntiamo all'interiorità vera, <strong>alla</strong><br />

ricchezza spirituale <strong>di</strong> ogni persona (soprattutto <strong>di</strong> quelle più <strong>di</strong>sagiate), al valore intimo <strong>di</strong> ogni<br />

cosa creata e amata da Dio. Ascoltiamo perciò in conclusione i consigli <strong>di</strong> Paolo: 1 Tess 4,1<br />

Fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù: avete appreso da noi come comportarvi<br />

in modo da piacere a Dio, e così già vi comportate; cercate <strong>di</strong> agire sempre così per <strong>di</strong>stinguervi<br />

ancora <strong>di</strong> più. 2 Voi conoscete infatti quali norme vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù. 3<br />

Perché questa è la volontà <strong>di</strong> Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate d<strong>alla</strong> impu<strong>di</strong>cizia, 4<br />

che ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto, 5 non come oggetto <strong>di</strong><br />

passioni e libi<strong>di</strong>ne, come i pagani che non conoscono Dio... 7 Dio non ci ha chiamati<br />

all'impurità, ma <strong>alla</strong> santificazione. 8 Perciò chi <strong>di</strong>sprezza queste norme non <strong>di</strong>sprezza un uomo,<br />

ma Dio stesso, che vi dona il suo <strong>San</strong>to Spirito. Cfr. anche Prov 27,20.<br />

«La superbia (’alazonéia) della vita [della ricchezza] (bíos)»: <strong>di</strong> questa ultima espressione<br />

possiamo fare due traduzioni. Con la prima mettiamo in risalto il primo vizio capitale (l'orgoglio)<br />

<strong>di</strong> tutta una vita, nei suoi vari aspetti, vissuta solo per i propri interessi, la propria gloria, il<br />

proprio piacere, nella superficialità più sfacciata. Con la seconda (dal momento che vita vuol<br />

anche <strong>di</strong>re beni per vivere) riduciamo la visuale ad un solo aspetto: l'ostentazione delle ricchezze<br />

materiali, ricercate come bene supremo, nel quale si mette tutta la propria fiducia e al quale si<br />

sacrifica tutto il resto, Dio e uomini compresi. Da tutte e due le traduzioni, comunque, emerge<br />

chiaro che <strong>Giovanni</strong> condanna l'atteggiamento autosufficiente e arrogante <strong>di</strong> chi, per la sua<br />

superbia, ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> tutti mali, mette tutta la sua gloria nelle sue forze e nei suoi averi, vivendo<br />

come se Dio non esistesse. Il proprio io, con tutto quello che fa e possiede, <strong>di</strong>venta l'idolo<br />

supremo (cfr. Gc 4,16). Noi cerchiamo invece l'umiltà vera (davanti a Dio e agli uomini), la<br />

povertà evangelica, la mitezza del cuore. Agostino commenta: «Ecco dunque le tre bramosie:<br />

ogni concupiscenza umana è messa in moto dai desideri della carne, d<strong>alla</strong> concupiscenza degli<br />

occhi e dall'ambizione terrena. Il Signore stesso fu tentato dal <strong>di</strong>avolo su queste tre<br />

concupiscenze. Fu tentato nei desideri della carne quando gli fu detto: Se sei figlio <strong>di</strong> Dio, <strong>di</strong>' a<br />

queste pietre che <strong>di</strong>ventino pane (Mt 4,3)... Fu tentato anche nella concupiscenza degli occhi e<br />

sollecitato a fare un miracolo, quando il tentatore gli <strong>di</strong>sse: Gettati giù... In che modo il Signore<br />

fu assalito con la tentazione dell'ambizione terrena? Essa avvenne quando il <strong>di</strong>avolo lo sollevò<br />

sopra un monte altissimo e gli <strong>di</strong>sse: Tutto questo ti darò, se prostrato mi adorerai... »<br />

(Me<strong>di</strong>tazioni..., 88-89).<br />

«Non viene dal Padre, ma viene dal mondo»: se qualcuno avesse ancora qualche dubbio o<br />

fosse tentato <strong>di</strong> scambiare l’interesse per le realtà mondane con la virtù della carità, <strong>Giovanni</strong><br />

<strong>di</strong>ce chiaro che tutto quello che è nel mondo e tutte le tre concupiscenze provengono non dal<br />

Padre del Signore Gesù Cristo, ma dal mondo e dallo spirito del mondo, cioè da quel mondo che<br />

giace tutto sotto il potere dello spirito maligno (5,19). Derivando da una fonte così perversa, non<br />

vi è in esse nulla <strong>di</strong> buono. Il cristiano invece tutto riceve dal Padre e quin<strong>di</strong> appartiene a Cristo e<br />

deve vivere secondo lo Spirito <strong>San</strong>to: Gal 5,24 Ora quelli che sono <strong>di</strong> Cristo Gesù hanno<br />

crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri. 25 Se pertanto viviamo dello Spirito,<br />

camminiamo anche secondo lo Spirito. 26 Non cerchiamo la vanagloria, provocandoci e<br />

invi<strong>di</strong>andoci gli uni gli altri. Se volessimo fare un’analisi psicologia noteremo che le prime due<br />

concupiscenze appartengono <strong>alla</strong> sfera degli appetiti del desiderio e del piacere psicofisico,<br />

mentre la superbia della vita appartiene <strong>alla</strong> sfera dell’aggressività, cioè in<strong>di</strong>ca quegli<br />

35


atteggiamenti che assumiamo quando inten<strong>di</strong>amo procurarci un piacere ad ogni costo o<br />

<strong>di</strong>fen<strong>di</strong>amo i nostri interessi materiali.<br />

3. IL MONDO PASSA, MENTRE CHI AMA RIMANE IN ETERNO (2,17)<br />

2.17 kai\ o( ko/smoj para/getai kai\ h( e)piqumi/a au)tou=,<br />

o( de\ poiw=n to\ qe/lhma tou= qeou= me/nei ei)j to\n ai)w=na.<br />

2,17 E il mondo se–ne–va e–anche la sua concupiscenza;<br />

chi però fa la volontà <strong>di</strong> Dio rimane in eterno!<br />

«E il mondo se ne va e anche la sua concupiscenza»: il mondo degli uomini gaudenti e<br />

violenti passa e con esso tutti i loro desideri egoistici e i loro progetti orgogliosi. Dove sono oggi<br />

i piaceri, le glorie e le ricchezze <strong>di</strong> tanti uomini che pur <strong>di</strong> godere e <strong>di</strong> dominare non hanno<br />

esitato a commettere i delitti più efferati? Giacomo così rimproverava i malvagi: Giac 4,2<br />

Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invi<strong>di</strong>ate e non riuscite ad ottenere, combattete e<br />

fate guerra! Non avete perché non chiedete; 3 chiedete e non ottenete perché chiedete male, per<br />

spendere per i vostri piaceri. 4 Gente infedele! Non sapete che amare il mondo è o<strong>di</strong>are Dio? E<br />

Paolo ricorda: Il desiderio della carne è nemico <strong>di</strong> Dio... Quelli che vivono secondo la carne non<br />

possono piacere a Dio (Rom 8,7-8). Il mondo in realtà possiede solo questo: la sua<br />

concupiscenza ingannevole, vissuta come una gloria eterna. Se sfuggiamo a tale menzogna,<br />

<strong>di</strong>ventiamo partecipi della stessa natura <strong>di</strong>vina: 2 Pt 1,4 (Dio) ... ci ha donato i beni gran<strong>di</strong>ssimi<br />

e preziosi che erano stati promessi, perché <strong>di</strong>ventaste per loro mezzo partecipi della natura<br />

<strong>di</strong>vina, essendo sfuggiti <strong>alla</strong> corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza (Cfr. anche<br />

1 Pt 4,2). Dobbiamo avere il coraggio <strong>di</strong> non fissarci sulle bellezze passeggere del mondo, ma<br />

sulla perenne bellezza <strong>di</strong>vina!<br />

«Chi però fa la volontà <strong>di</strong> Dio rimane in eterno»: accogliamo con fede e con gioia questa<br />

bellissima affermazione. La volontà <strong>di</strong> Dio è amore; chi la compie realizza gesti <strong>di</strong> amore<br />

autentico, il cui valore resta per sempre. In tal modo acquisteremo una grande tenerezza, un<br />

cuore misericor<strong>di</strong>oso, una vera umanità! Fil 4,8 In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero,<br />

nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto<br />

dei vostri pensieri. 9 Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che<br />

dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi! La possibilità <strong>di</strong> tutto questo sta nel nostro sguardo<br />

<strong>di</strong> fede: 2 Cor 4,18 Perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili.<br />

Le cose visibili sono d'un momento, quelle invisibili sono eterne. È veramente saggio chi tiene<br />

conto del fatto che le cose del mondo finiscono: 1 Cor 7,29 Questo vi <strong>di</strong>co, fratelli: il tempo<br />

ormai si è fatto breve; d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; 30<br />

coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero;<br />

quelli che comprano, come se non possedessero; 31 quelli che usano del mondo, come se non ne<br />

usassero appieno: perché passa la scena <strong>di</strong> questo mondo! Ma chi ama il Signore rimane in<br />

eterno! Agostino commentando afferma: «Se ci sarà in voi l'amore del mondo, non potrà esservi<br />

l'amore <strong>di</strong> Dio. Conservate l'amore <strong>di</strong> Dio affinché restiate in eterno, così come Dio è eterno.<br />

Ciascuno è ciò che ama. Ami la terra? Sarai terra. Ami Dio? Dovrei concludere: Sarai Dio, ma<br />

non oso <strong>di</strong>rlo io e perciò ascoltiamo la Scrittura: Io ho detto: Voi siete dèi e figli tutti<br />

dell'Altissimo... » (Me<strong>di</strong>tazioni... 90). Pertanto chi fa la volontà del Padre lo ama (2,5) e chi ama<br />

Dio rimane in eterno perché la carità non avrà mai fine (1 Cor 13,8).<br />

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4 a CONDIZIONE: CONFESSARE IL FIGLIO E IL PADRE (UNITÀ 5)<br />

Abbiamo ricevuto il Crisma e conosciamo la verità<br />

Presentazione e lettura <strong>di</strong> 1 Gv 2,18-28<br />

La presente Unità si <strong>di</strong>vide in 3 parti nelle quali sono presenti questi temi:<br />

1° - l'annuncio dell'ultima ora contrassegnata d<strong>alla</strong> presenza degli anticristi,<br />

2° - l'affermazione che il Crisma spirituale dona la conoscenza della verità,<br />

3° - l'invito a rimanere nel Figlio e nel Padre.<br />

1 - QUESTA È L'ULTIMA ORA<br />

1. LA DENUNCIA: SONO APPARSI MOLTI ANTICRISTI (2,18)<br />

2.18 Pai<strong>di</strong>/a, e)sxa/th w(/ra e)sti/n,<br />

kai\ kaqw\j h)kou/sate o(/ti a)nti/xristoj e)/rxetai,<br />

kai\ nu=n a)nti/xristoi polloi\ gego/nasin,<br />

o(/qen ginw/skomen o(/ti e)sxa/th w(/ra e)sti/n.<br />

2,18 Figlioli, (questa) è (l')ultima ora.<br />

E come avete–u<strong>di</strong>to che viene (l')anticristo,<br />

(così sappiate che) già adesso molti anticristi ci–sono.<br />

Da–questo conosciamo che è (l')ultima ora.<br />

«Figlioli, questa è l'ultima (’éskhatos) ora»: come il Gesù del Vangelo <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> sapeva<br />

che la sua ora (quella della Pasqua) era il traguardo tragico e glorioso verso cui convergeva tutta<br />

la sua missione (Gv 12,27), così i cristiani della comunità giovannea (qui chiamati per la seconda<br />

ed ultima volta paidíon) devono sapere che stanno vivendo un'ora misteriosa ed importante, da<br />

considerare come l'ultima (’éskhatos), nella quale stanno emergendo uomini menzogneri e<br />

contrari <strong>alla</strong> fede nel Signore Gesù (cfr. 4,2). Non si tratta però della fine del mondo, ma del<br />

tempo che la precede e la cui durata non viene precisata. La sua importanza gran<strong>di</strong>ssima deriva<br />

dal fatto <strong>di</strong> avere con la fine del mondo una certa relazione <strong>di</strong> somiglianza e <strong>di</strong> causalità (cfr.<br />

anche 1 Pt 4,7; 1 Cor 10,11 b ). Agostino vede nell'espressione: questa è l'ultima ora, un invito ai<br />

figlioli, affinché si affrettino crescere succhiando il latte della Scrittura dalle mammelle della<br />

madre Chiesa (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 91).<br />

«E come avete u<strong>di</strong>to che viene l'anticristo»: antí-khristos al singolare (antí può significare<br />

contro Cristo e anche al posto <strong>di</strong> Cristo). Si tratta <strong>di</strong> una persona che è contro lo Spirito <strong>San</strong>to,<br />

che è il Crisma e che non ha lo Spirito <strong>San</strong>to. Gesù nei <strong>di</strong>scorsi escatologici dei Vangeli sinottici<br />

lo aveva chiaramente preannunciato: Mt 24,4 Gesù rispose: «Guardate che nessuno vi inganni; 5<br />

molti verranno nel mio nome, <strong>di</strong>cendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno… 23<br />

Allora se qualcuno vi <strong>di</strong>rà: Ecco, il Cristo è qui, o: È là, non ci credete. 24 Sorgeranno infatti<br />

falsi cristi e falsi profeti e faranno gran<strong>di</strong> portenti e miracoli, così da indurre in errore, se<br />

possibile, anche gli eletti. 25 Ecco, io ve l'ho predetto (cfr. anche Mc 13,21-22; Lc 21,8). In base<br />

alle pre<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> Gesù, tali apparizioni sarebbero state accompagnate da violente persecuzioni<br />

contro i veri credenti.<br />

«(Così sappiate che) già adesso molti anticristi ci sono (4,3)»: l'<strong>Apostolo</strong> afferma con<br />

certezza che, nel momento in cui scrive, esistono ormai molti anticristi (al plurale), che<br />

anticipano e preparano l’avvento dell'anticristo principale. <strong>Giovanni</strong> ha certo lo spirito profetico<br />

e la corretta capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>scernimento per fare tale affermazione. Chi sono essi lo spiegherà tra<br />

poco. Paolo, da parte sua, parla <strong>di</strong> un solo oppositore, chiamandolo: l'uomo del peccato, il figlio<br />

37


della per<strong>di</strong>zione: 2 Tess 2,1 Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo <strong>alla</strong> venuta del Signore nostro<br />

Gesù Cristo e <strong>alla</strong> nostra riunione con lui, 2 <strong>di</strong> non lasciarvi così facilmente confondere e<br />

turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra,<br />

quasi che il giorno del Signore sia imminente. 3 Nessuno vi inganni in alcun modo! <strong>Prima</strong> (della<br />

parusia) infatti dovrà avvenire l'apostasia e dovrà esser rivelato l'uomo del peccato, il figlio<br />

della per<strong>di</strong>zione, 4 colui che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è<br />

oggetto <strong>di</strong> culto, fino a sedere nel tempio <strong>di</strong> Dio, ad<strong>di</strong>tando se stesso come Dio. 5 Non ricordate<br />

che, quando ancora ero tra voi, venivo <strong>di</strong>cendo queste cose? Secondo Atti 20,29-31, Paolo<br />

preannuncia l'arrivo <strong>di</strong> una pluralità <strong>di</strong> maestri violenti: 29 Io so che dopo la mia partenza<br />

entreranno fra voi lupi rapaci (cfr. Mt 7,15), che non risparmieranno il gregge; 30 perfino <strong>di</strong><br />

mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare <strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> sé.<br />

31 Per questo vigilate... Dice sostanzialmente la stessa cosa anche nella 1 Tim 4,1 Lo Spirito<br />

<strong>di</strong>chiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno d<strong>alla</strong> fede, dando retta a<br />

spiriti menzogneri e a dottrine <strong>di</strong>aboliche, 2 sedotti dall'ipocrisia <strong>di</strong> impostori, già bollati a<br />

fuoco nella loro coscienza (cfr. anche 2 Pt 2,1-3; Giud 17-18). La comunità si doveva preparare<br />

ad una grande e penosa lotta contro nemici esterni ed interni: all’esterno nei confronti dei pagani<br />

e dei giudei, <strong>di</strong>ventati persecutori spietati, oppure contro falsi fratelli, che minavano l'unità<br />

dall'interno.<br />

«Da questo conosciamo che è l'ultima (’éskhatos) ora»: l'<strong>Apostolo</strong> riba<strong>di</strong>sce che dal sorgere<br />

<strong>di</strong> tanti oppositori si comprende che quella presente è già l'ultima ora. Dall'aggettivo éskhatos<br />

deriva la parola escatologia, che è la dottrina riguardante il compimento finale. <strong>Giovanni</strong>, come<br />

d'altra parte tutti gli autori del N.T., tiene molto presente, sia nella vita concreta che nella<br />

preghiera, l'evento escatologico. Ecco quali possono essere le tappe degli eventi finali:<br />

1° il tempo che precede la venuta finale del Signore Gesù (la cosiddetta ultima ora),<br />

2° la parusia o la venuta gloriosa <strong>di</strong> Cristo con i suoi angeli (Mt 24,27; 1 Tess 4,15),<br />

3° la risurrezione della carne nell'ultimo giorno (Gv 6,39; 11,23; 1 Cor 15,23),<br />

4° il giu<strong>di</strong>zio universale dell’umanità (Mt 25,31 ss.),<br />

5° il compimento definitivo della storia con la fine del mondo e l’inizio <strong>di</strong> quello nuovo (1<br />

Cor 15,28). L'ultima ora, che i primi cristiani reputavano abbastanza breve, si sta prolungando<br />

nella storia e dura ormai da due millenni. Se l'ora attuale è già quella escatologica (l'ultima), è<br />

davvero urgente per noi prendere le opportune decisioni e sfuggire agli errori che si <strong>di</strong>ffondono<br />

nel mondo.<br />

2. LA VALUTAZIONE: NON ERANO DEI NOSTRI (2,19)<br />

2.19 e)c h(mw=n e)ch=lqan a)ll' ou)k h)=san e)c h(mw=n:<br />

ei) ga\r e)c h(mw=n h)=san, memenh/keisan a)\n meq' h(mw=n:<br />

a)ll' i(/na fanerwqw=sin o(/ti ou)k ei)si\n pa/ntej e)c h(mw=n.<br />

2,19 Sono–usciti da noi, ma non erano de(i) nostri;<br />

se infatti fossero–stati de(i) nostri, sarebbero–rimasti con noi;<br />

ma (questo avvenne) affinché fosse–manifestato che non tutti sono de(i) nostri.<br />

«Sono usciti da noi, ma non erano dei nostri»: tornando ora <strong>alla</strong> vita della primitiva comunità<br />

cristiana (a noi interessa in special modo quella giovannea) notiamo che l'<strong>Apostolo</strong> considera<br />

anticristi non tanto, ad esempio, gli imperatori romani persecutori, ma quelle persone che per un<br />

certo tempo hanno fatto parte della comunità, senza mai assimilarne veramente la fede. Essere<br />

dei nostri significa essere parte autentica della comunità cristiana con<strong>di</strong>videndo lo stesso Spirito.<br />

Dalle telegrafiche notizie che abbiamo dagli scritti del N.T. possiamo precisare meglio per quali<br />

motivi non erano dei nostri, cioè non avevano le idee evangeliche e lo stile cristiano <strong>di</strong> vita:<br />

questi oppositori volevano attirare a tutti i costi <strong>di</strong>scepoli <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> sé (Atti 20,30), desideravano<br />

primeggiare (3 Gv 9), rinnegavano il Signore Gesù e vivevano nella <strong>di</strong>ssolutezza (2 Pt 2,1-2),<br />

38


vietavano il matrimonio e imponevano <strong>di</strong> astenersi da alcuni cibi (1 Tim 4,3)... In altre parole le<br />

loro idee e i loro comportamenti stravolgevano la fede in Cristo e la vita ecclesiale (il Cristo e la<br />

Chiesa, che sono i due pilastri fondamentali dai quali non ci si deve allontanare).<br />

«Se infatti fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi»: nella 2 a lettera, <strong>Giovanni</strong><br />

ritorna su questo problema: 2 Gv 7 Poiché molti sono i seduttori (plános) che sono apparsi nel<br />

mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e l'anticristo! 8 Fate<br />

attenzione a voi stessi, perché non abbiate a perdere quello che avete conseguito, ma possiate<br />

ricevere una ricompensa piena. 9 Chi va oltre e non si attiene <strong>alla</strong> dottrina del Cristo, non<br />

possiede Dio. Chi si attiene <strong>alla</strong> dottrina, possiede il Padre e il Figlio. 10 Se qualcuno viene a voi<br />

e non porta questo insegnamento, non ricevetelo in casa e non salutatelo; 11 poiché chi lo saluta<br />

partecipa alle sue opere perverse. È molto doloroso constatare che il pericolo più grave viene<br />

proprio dall'interno sia perché gli errori possono essere attribuiti al dono rinnovatore dello<br />

Spirito, sia perché il contatto con tali sovvertitori è più frequente e <strong>di</strong>retto. Per questi motivi nella<br />

comunità si creano delle spaccature (si comincia a <strong>di</strong>re: noi e voi..., i nostri e i vostri...). A volte<br />

la spaccatura non si esteriorizza molto (si continua a convivere, anche se con fatica), altre volte si<br />

manifesta in una separazione ben visibile. In tal caso, da una parte, ci sono i fedeli che<br />

rimangono uniti <strong>alla</strong> comunità <strong>di</strong> origine e, dall'altra, coloro che se ne vanno o che vengono<br />

allontanati. Questa è una situazione dolorosissima per chi cerca <strong>di</strong> amare veramente tutti: i veri<br />

apostoli vorrebbero che tutti rimanessero con loro (tale permanenza in seno <strong>alla</strong> Chiesa sarebbe<br />

un segno <strong>di</strong> comunione e <strong>di</strong> autenticità).<br />

«Ma questo avvenne affinché fosse manifestato che non tutti sono dei nostri»: <strong>Giovanni</strong> cerca<br />

<strong>di</strong> darsi una ragione: è meglio che sia chiaro che non tutti si sono integrati nella comunità; è<br />

provvidenziale che chi costituisce un pericolo vero esca allo scoperto e non continui a rovinare la<br />

comunità dal <strong>di</strong> dentro (cfr. 1 Cor 11,19). Sembra quasi che l'<strong>Apostolo</strong> veda in questa<br />

manifestazione l'intervento <strong>di</strong> Dio che anticipa il suo giu<strong>di</strong>zio finale, affinché si aprano gli occhi<br />

degli erranti (<strong>Giovanni</strong> infatti usa il passivo <strong>di</strong>vino: fosse manifestato). Questi tutti sono i<br />

membri visibili della Chiesa: alcuni <strong>di</strong> essi sono veri cristiani, altri lo sono meno o per nulla.<br />

<strong>Prima</strong> o poi la verità viene a g<strong>alla</strong>. Nella terza lettera l'<strong>Apostolo</strong> fa anche un nome preciso: 3 Gv 9<br />

Ho scritto qualche parola <strong>alla</strong> Chiesa, ma Diòtrefe, che ambisce il primo posto tra loro, non ci<br />

vuole accogliere. 10 Per questo, se verrò, gli rinfaccerò le cose che va facendo, sparlando contro<br />

<strong>di</strong> noi con voci maligne. Non contento <strong>di</strong> questo, non riceve personalmente i fratelli e impe<strong>di</strong>sce<br />

<strong>di</strong> farlo a quelli che lo vorrebbero e li scaccia d<strong>alla</strong> Chiesa. Paolo fa invece ben tre nomi: 1 Tim<br />

1,19 Alcuni che hanno ripu<strong>di</strong>ata (la buona coscienza) hanno fatto naufragio nella fede; 20 tra<br />

essi Imenèo e Alessandro, che ho consegnato a satana perché imparino a non più bestemmiare.<br />

2 Tim 2,17 La parola <strong>di</strong> costoro infatti si propagherà come una cancrena. Fra questi ci sono<br />

Imenèo e Filèto, 18 i quali hanno deviato d<strong>alla</strong> verità, sostenendo che la risurrezione è già<br />

avvenuta e così sconvolgono la fede <strong>di</strong> alcuni. Chissà quante vicende come queste sono successe<br />

nella prima comunità?<br />

2 - IL SANTO CRISMA DONA LA CONOSCENZA DELLA VERITÀ<br />

1. VOI CONOSCETE LA VERITÀ (2,20-21)<br />

2.20 kai\ u(mei=j xri=sma e)/xete a)po\ tou= a(gi/ou kai\ oi)/date pa/ntej.<br />

2.21 ou)k e)/graya u(mi=n o(/ti ou)k oi)/date th\n a)lh/qeian<br />

a)ll' o(/ti oi)/date au)th/n<br />

kai\ o(/ti pa=n yeu=doj e)k th=j a)lhqei/aj ou)k e)/stin.<br />

2,20 Voi invece avete il Crisma (proveniente) dal <strong>San</strong>to e tutti (lo) sapete.<br />

2,21 Non vi ho–scritto [che] perché non conoscete la verità,<br />

ma [che] perché la conoscete<br />

e [che] perché nessuna menzogna viene d<strong>alla</strong> verità.<br />

39


« Voi invece avete il Crisma proveniente dal <strong>San</strong>to e tutti lo sapete (ôida)»: ai suoi figlioli<br />

(anziani e giovani che non hanno seguito gli anticristi e che formano una comunità: voi… tutti)<br />

l'Evangelista ricorda che hanno ricevuto da Dio l'Unzione spirituale, cioè lo Spirito <strong>San</strong>to<br />

(donato dai sacramenti del Battesimo e della Cresima). Il Crisma è l’olio profumato. Già in<br />

Israele con esso venivano consacrati i Sacerdoti, i Profeti ed i Re. Nel nostro caso il vocabolo è<br />

usato come sinonimo <strong>di</strong> Spirito <strong>San</strong>to. Il <strong>San</strong>to può essere Dio Padre, che invia lo Spirito nel<br />

nome <strong>di</strong> Gesù (Gv 14,26) oppure può essere lo stesso Cristo (Gv 15,26). Tale Crisma è santo e<br />

dona la santità proprio perché proviene dal <strong>San</strong>to. Tale Crisma dona anche la vera conoscenza <strong>di</strong><br />

Dio (2,27) e <strong>di</strong> se stesso (Gv 14,17). Tra poco vedremo quel che <strong>Giovanni</strong> <strong>di</strong>rà circa il tema della<br />

conoscenza della verità. La parola Khrísma (usata appunto per in<strong>di</strong>care lo Spirito <strong>San</strong>to) richiama<br />

<strong>alla</strong> mente il titolo dato a Gesù: Khristós (in ebraico: Messia). I termini khrísma e Khristós hanno<br />

in comune la stessa ra<strong>di</strong>ce (khrío: ungo con olio, consacro). I credenti dunque sono a pieno titolo<br />

dei cristiani (dei santi) avendo ricevuto il santo khrísma spirituale. Essi lo sanno e non lo devono<br />

<strong>di</strong>menticare: anzi, ne devono tirare le conseguenze. Anche noi dobbiamo ricuperare la<br />

consapevolezza dell’importanza del sacramento della Cresima che, insieme al Battesimo, ci ha<br />

consacrati e trasformati in uomini spirituali, in nuove creature, in membra vive del corpo<br />

ecclesiale <strong>di</strong> Cristo.<br />

«Non vi ho scritto [che] perché (‘óti) non conoscete la verità»: anche qui ‘óti può essere<br />

esplicativo (che...) o causale (perché...). Il senso profondo non varia: chi ha veramente ricevuto<br />

lo Spirito <strong>San</strong>to e non solo il suo segno sensibile (l’olio profumato) conosce la verità (cfr. 2,27).<br />

Tutti i veri credenti hanno sperimentato che cosa produce il fatto <strong>di</strong> avere ricevuto l'unzione<br />

messianica, per mezzo dei sacramenti che la Chiesa dona: sanno che sono stati configurati a<br />

Cristo (Is 61,1; Lc 4,18; Atti 4,27). Essi conoscono in maniera spirituale e davvero profonda la<br />

verità, che, in definitiva, è il Cristo stesso (Gv 14,6) o il suo Spirito (5,6). Per arrivare a questo<br />

traguardo però devono vivere in modo ecclesiale, sacramentale e carismatico. Ecclesiale:<br />

rispettare la comunità con le sue guide (gli Apostoli, gli anziani, ecc.). Sacramentale: vivere<br />

interiormente quello che i sacramenti esprimono esternamente. Carismatico: valorizzare i<br />

carismi (soprattutto quelli profetici) propri e altrui.<br />

«Ma [che] perché (‘óti) la conoscete»: l'<strong>Apostolo</strong> vuole parlare solo a chi accetta e vive la<br />

verità (2 Pt 1,12). Resta inutile tentare <strong>di</strong> convincere i ribelli e i falsi profeti. Invece in chi ha il<br />

Crisma c'è come una simpatia per la verità, quasi una naturale sintonia con tutto quello che è<br />

<strong>di</strong>vino: queste persone con facilità capiscono in modo profondo ed aderiscono con sincerità <strong>alla</strong><br />

parola del Vangelo (Gv 18,37). Sentono interiormente come vere, con certezza e senza paura <strong>di</strong><br />

sbagliarsi, le misteriose verità e realtà della fede: conoscete la verità (riguardo a Dio). Non esiste<br />

però un gruppo esoterico che conosce certi segreti speciali, mentre gli altri ne sono all'oscuro, ma<br />

è tutta la comunità e ogni suo membro che conosce le verità della fede cristiana.<br />

«E [che] perché (‘óti) nessuna menzogna (psêudos) viene d<strong>alla</strong> verità»: la verità autentica<br />

non genera mai la menzogna, nemmeno la più piccola. I credenti perciò devono amare la verità<br />

integrale con coraggio e fiducia. Infatti tale verità è, come affermerà più avanti il nostro<br />

Evangelista, lo stesso Spirito <strong>San</strong>to (5,6 b ). Ma chi è falso ed è allergico <strong>alla</strong> verità (a motivo del<br />

suo egoismo e del suo orgoglio), per quanti sforzi faccia, non arriverà mai a conoscerla, perché è<br />

un dono <strong>di</strong>vino.<br />

2. PROFESSATE LA FEDE NEL CRISTO PER POSSEDERE IL PADRE (2,22-23)<br />

2.22 Ti/j e)stin o( yeu/sthj ei) mh\ o( a)rnou/menoj o(/ti )Ihsou=j ou)k e)/stin o( Xristo/j;<br />

ou(=to/j e)stin o( a)nti/xristoj, o( a)rnou/menoj to\n pate/ra kai\ to\n ui(o/n.<br />

2.23 pa=j o( a)rnou/menoj to\n ui(o\n ou)de\ to\n pate/ra e)/xei,<br />

o( o(mologw=n to\n ui(o\n kai\ to\n pate/ra e)/xei.<br />

2,22 Chi è il menzognero se non colui che–nega che Gesù è il Cristo?<br />

40


Questi è l'anticristo: colui che–nega il Padre e il Figlio.<br />

2,23 Chiunque nega il Figlio, nemmeno possiede il Padre;<br />

chi confessa il Figlio possiede anche il Padre.<br />

«Chi è il menzognero (pséustes) se non colui che nega che Gesù è il Cristo? (5,1)»: adesso<br />

l'Evangelista precisa chiaramente quanto prima aveva detto in modo velato (1,6: camminare<br />

nelle tenebre...) rivelando in che cosa consiste la menzogna principale dell'anticristo (il<br />

menzognero, per eccellenza). Essa sta nel negare con le parole e con i fatti che Gesù è il Messia,<br />

cioè che ha in pienezza il Khrísma, cioè lo stesso Spirito del Padre al punto <strong>di</strong> essere un solo Dio<br />

con il Padre. Ricor<strong>di</strong>amo la famosa professione <strong>di</strong> fede <strong>di</strong> Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del<br />

Dio vivente». 17 E Gesù: «Beato te, Simone figlio <strong>di</strong> Giona, perché né la carne né il sangue te<br />

l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt 16,16). Solo chi è mosso dallo Spirito<br />

<strong>San</strong>to (dal Crisma) può professare convintamente tale fede nel Cristo Signore (1 Cor 12,3).<br />

Ireneo <strong>di</strong> Lione nella sua opera Contro le eresie (III, 3,4) parla, ad esempio, <strong>di</strong> un certo Cerinto<br />

(vissuto proprio ad Efeso ai tempi <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> Evangelista) il quale insegnava che dopo il<br />

Battesimo sull'uomo Gesù scese il Cristo in forma <strong>di</strong> colomba. Cristo poi annunciò il Padre e<br />

fece miracoli. Alla fine però il Cristo volò via da Gesù, il quale solamente patì, essendo il Cristo<br />

spirituale ed impassibile (cfr. I, 26, 1).<br />

«Questi è l'anticristo: colui che nega il Padre e il Figlio»: chi professa dottrine come quella<br />

<strong>di</strong> Cerinto finisce col negare la <strong>di</strong>vinità <strong>di</strong> Gesù Cristo, Figlio <strong>di</strong> Dio (cfr. 4,15; 5,5), e quin<strong>di</strong>,<br />

anche l'esistenza stessa <strong>di</strong> Dio come Padre del Signore Gesù, Lógos incarnato. Dunque, negare<br />

che Gesù sia il Cristo equivale a negare che egli sia il vero Figlio Unigenito <strong>di</strong> Dio Padre e che<br />

Dio sia Padre nell’unità dello Spirito (del Crisma). In ultima analisi, chi non accetta il Cristo<br />

<strong>di</strong>mostra <strong>di</strong> non credere nel Dio trinitario (Padre, Figlio e Spirito <strong>San</strong>to). In conseguenza <strong>di</strong><br />

questo anche l'umanità <strong>di</strong> Gesù perde efficacia, perché non è più vista come appartenente <strong>alla</strong><br />

persona del Figlio, Parola <strong>di</strong> Vita. <strong>Giovanni</strong> ritornerà ancora su questi concetti per sottolineare<br />

l'importanza della retta comprensione <strong>di</strong> quel che significa l'Incarnazione <strong>di</strong> Cristo (vero Dio e<br />

vero Uomo), la quale è stata reale, totale e in<strong>di</strong>ssolubile e d<strong>alla</strong> quale bisogna tirare tutte le<br />

conseguenze pratiche (4,2-3).<br />

«Chiunque nega il Figlio, nemmeno possiede il Padre»: negare che Dio sia Figlio significa<br />

negare che Dio sia anche Padre. Negare che Gesù sia il Figlio del Padre (cioè negare la sua vera<br />

<strong>di</strong>vinità e la sua vera incarnazione umana, con tutte le sue mirabili conseguenze) porta non solo a<br />

non conoscere il Padre, ma a perderlo (Gv 15,23) o comunque a non possederlo. Si illudono<br />

questi "illuminati", quando <strong>di</strong>cono: Lo conosco..., sono in comunione con lui... e poi negano che<br />

Gesù è il Cristo, il Figlio <strong>di</strong> Dio Padre, consacrato dallo Spirito <strong>San</strong>to.<br />

«Chi confessa (‘omo-loghéo) il Figlio possiede anche il Padre»: è entusiasmante l’idea <strong>di</strong><br />

possedere il Padre: Dio si vuol donare completamente a noi per <strong>di</strong>ventare una nostra proprietà<br />

inalienabile! Per possedere il Padre è necessario professare la propria fede nel Figlio suo Gesù<br />

Cristo, nella sua vera umanità e <strong>di</strong>vinità, perché solo chi ascolta e vede Gesù Uomo, ascolta e<br />

vede il Padre (cfr. Gv 1,18; 7,16; 12,44-45; 14,9). In questa stessa lettera <strong>Giovanni</strong> <strong>di</strong>rà che solo<br />

il Figlio ci dà l'intelligenza per conoscere il Padre (cfr. 5,20). Chi nega l'umanità o la <strong>di</strong>vinità <strong>di</strong><br />

Gesù si separa da Dio Padre e d<strong>alla</strong> comunità ecclesiale. A noi è affidato il compito stupendo <strong>di</strong><br />

professare questa fede e <strong>di</strong> praticarla vivendo in comunione con Dio e con i fratelli in Cristo<br />

(1,3). In sintesi <strong>Giovanni</strong> ci insegna a credere con convinzione nei due misteri principali della<br />

nostra fede: 1° nel Dio Unico e Trinitario e 2° in Cristo, Figlio <strong>di</strong> Dio, vero Dio e vero uomo,<br />

nato morto e risorto per la nostra salvezza. Queste verità hanno un’incidenza pratica sulla nostra<br />

vita concreta: un Dio Trinitario esige da noi un totale altruismo, un Dio Figlio fatto uomo esige<br />

da noi che ci comportiamo da Figli <strong>di</strong> Dio e da fratelli <strong>di</strong> tutti. È per evitare queste conseguenze<br />

che subdolamente gli anticristi negano queste verità.<br />

41


3. RIMANETE NELLA PAROLA UDITA PER RIMANERE IN DIO (2,24-26)<br />

2.24 u(mei=j o(\ h)kou/sate a)p' a)rxh=j, e)n u(mi=n mene/tw.<br />

e)a\n e)n u(mi=n mei/nv o(\ a)p' a)rxh=j h)kou/sate,<br />

kai\ u(mei=j e)n t%= ui(%= kai\ e)n t%= patri\ menei=te.<br />

2.25 kai\ au(/th e)sti\n h( e)paggeli/a h(\n au)to\j e)phggei/lato h(mi=n, th\n zwh\n th\n ai)w/nion.<br />

2.26 Tau=ta e)/graya u(mi=n peri\ tw=n planw/ntwn u(ma=j.<br />

2,24 (Quanto a) voi, quello–che avete–u<strong>di</strong>to da(l) principio rimanga in voi.<br />

Se rimane in voi quel–che avete–u<strong>di</strong>to da(l) principio,<br />

anche voi rimarrete nel Figlio e nel Padre.<br />

2,25 E questa è la promessa che egli ci ha–promesso: la vita, quella eterna.<br />

2,26 Queste–cose vi ho–scritto circa coloro che–cercano–<strong>di</strong>–traviarvi.<br />

«Quanto a voi, quello che avete u<strong>di</strong>to dal principio rimanga (méno) in voi»: i cristiani (come<br />

singoli e come comunità) sono invitati (anzi, comandati: rimanga è imperativo) a conservare<br />

intatto il messaggio primor<strong>di</strong>ale della fede (1,1; 2,7; 3,11; 2 Gv 5): vale a <strong>di</strong>re il fatto che Dio<br />

genera il Logos e che il Logos si sia incarnato. <strong>Giovanni</strong> esprime il concetto che il messaggio<br />

primitivo deve essere presente nel credente e restare inalterabile con il verbo rimanere (verbo<br />

usato ben 5 volte nei vv. 24.27).<br />

«Se rimane (méno) in voi quel che avete u<strong>di</strong>to dal principio, anche voi rimarrete (méno) nel<br />

Figlio e nel Padre»: la perseveranza nella fede autentica ha come effetto la mistica <strong>di</strong>mora del<br />

credente in (’en) Dio, Padre e Figlio. Si tratta <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione (se...) in<strong>di</strong>spensabile, insieme a<br />

quella equivalente affermata poco sopra: confessare il Figlio, Gesù Cristo (23), affinché il<br />

presente (rimane...) abbia un futuro (rimarrete...). Gesù <strong>di</strong>ceva: Gv 15,5 Io sono la vite, voi i<br />

tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza <strong>di</strong> me non potete far nulla. E<br />

ancora così pregava il Padre: Gv 17,23 Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il<br />

mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me. Dobbiamo lavorare per<br />

godere <strong>di</strong> tale comunione <strong>di</strong>vina recuperando nella sua integrità il messaggio u<strong>di</strong>to dal principio.<br />

«E questa è la promessa che egli ci ha promesso: la vita, quella eterna»: l'<strong>Apostolo</strong> ci fa<br />

capire che tale unione mistica, detta con parole ancora più chiare e più forti, è nientemeno che la<br />

vita eterna, che Dio ci ha promesso (una citazione per tutte: Gv 6,40), perché il Padre e il Figlio<br />

hanno la vita in sé e la donano a noi, se siamo a loro uniti (cfr. Gv 5,21.26). La tematica della<br />

vita eterna è centrale nella nostra lettera: la troviamo all'inizio (1,2) e <strong>alla</strong> fine (5,20) ed emerge<br />

nei punti più impensati (3,14.15; 4,9; 5,11-13). É bello che l'Evangelista la descriva come la<br />

promessa per eccellenza, come il solenne impegno che Dio prende verso <strong>di</strong> noi e al quale rimane<br />

fedele nel suo amore. Agostino commenta: «Il ricordo della mercede promessa rende perseveranti<br />

nel lavoro, persino quando chi t'ha fatto la promessa è un uomo che potrebbe ingannarti. Con<br />

quanto maggiore entusiasmo devi lavorare nel campo <strong>di</strong> Dio, dato che la promessa della<br />

ricompensa proviene d<strong>alla</strong> Verità stessa, che non può ritirarsi... E che cosa è stato promesso? Si<br />

tratta forse <strong>di</strong> oro... <strong>di</strong> ridenti campagne, <strong>di</strong> case confortanti...? No... In che cosa consiste...? Nella<br />

vita eterna! » (A queste fervorose parole l'assemblea reagisce con un applauso. Cfr. Agostino,<br />

Me<strong>di</strong>tazioni... p. 105).<br />

«Queste cose vi ho scritto circa coloro che cercano <strong>di</strong> traviarvi»: gli anticristi non si<br />

accontentano <strong>di</strong> sbagliare per loro conto o <strong>di</strong> ingannare i <strong>di</strong>sonesti, cercano <strong>di</strong> portare fuori strada<br />

anche i buoni e <strong>di</strong> questo fatto <strong>Giovanni</strong> si preoccupa molto. In tal modo però, dànno occasione<br />

all'<strong>Apostolo</strong> <strong>di</strong> scrivere insegnamenti meravigliosi sulla comunione con Dio e sulla vita cristiana.<br />

Non c'è mai nessun male che venga solo per nuocere!<br />

42


3 - IL CRISMA VI INSEGNA OGNI COSA IN ATTESA DELLA PARUSIA<br />

1. IL CRISMA VERITIERO VI AMMAESTRA (2,27)<br />

2.27 kai\ u(mei=j to\ xri=sma o(\ e)la/bete a)p' au)tou=, me/nei e)n u(mi=n<br />

kai\ ou) xrei/an e)/xete i(/na tij <strong>di</strong>da/skv u(ma=j,<br />

a)ll' w(j to\ au)tou= xri=sma <strong>di</strong>da/skei u(ma=j peri\ pa/ntwn<br />

kai\ a)lhqe/j e)stin kai\ ou)k e)/stin yeu=doj,<br />

kai\ kaqw\j e)<strong>di</strong>/dacen u(ma=j, me/nete e)n au)t%=.<br />

2,27 E (quanto a) voi, il Crisma che avete–ricevuto da lui rimane in voi<br />

e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri;<br />

ma il suo Crisma vi ammaestra circa ogni–cosa,<br />

ed (esso) è veritiero e non è menzogna.<br />

E come vi ammaestrò, (così) rimanete in esso [in lui].<br />

«E quanto a voi, il Crisma che avete ricevuto da lui rimane in voi (2,20)»: i credenti hanno in<br />

mano la lettera dell'<strong>Apostolo</strong> che parla chiaro; hanno anche il suo Vangelo. Però tutto questo non<br />

basta, se lo Spirito <strong>San</strong>to (Crisma <strong>di</strong>vino) non <strong>di</strong>mora in loro e non agisce nelle loro menti e nei<br />

loro cuori. Ricevuto nel passato (al momento dell'accoglienza dell'annuncio e del Battesimo-<br />

Cresima), perdura al presente (rimane). In questo versetto <strong>Giovanni</strong> riba<strong>di</strong>sce ed approfon<strong>di</strong>sce<br />

quanto detto in 2,20. Perché però parla dello Spirito <strong>San</strong>to usando la metafora del Crisma e non<br />

<strong>di</strong>cendo più <strong>di</strong>rettamente: lo Spirito? Penso che lo faccia per almeno tre motivi:<br />

1° per rendere intuitivo il fatto che lo Spirito <strong>San</strong>to è lo Spirito che ha consacrato il Cristo e<br />

che proviene dal Cristo (Crisma e Cristo derivano dallo stesso verbo, cioè da khrío = consacro<br />

ungendo).<br />

2° per ricordare, senza l’uso <strong>di</strong> tante parole, che lo Spirito <strong>San</strong>to è donato nei sacramenti del<br />

Battesimo e della Cresima, che ci consacrano facendo <strong>di</strong>ventare ognuno <strong>di</strong> noi re, sacerdote e<br />

profeta come lo era Cristo.<br />

3° perché tale modo <strong>di</strong> esprimersi fa parte del suo linguaggio che ama usare molti simboli. Il<br />

termine più classico (Spirito) lo troviamo a partire solo dal v. 3,23 (cfr. anche 4,2.6.13; 5,6.8) e<br />

in<strong>di</strong>ca la terza Persona trinitaria per mezzo <strong>di</strong> un simbolo molto importante: il pnêuma = vento,<br />

soffio, respiro, alito. Il Crisma (profumo oleoso, unguento, unzione) integra bene l’immagine del<br />

soffio vitale aggiungendo l’idea <strong>di</strong> bontà e soavità.<br />

«E non avete bisogno che alcuno vi ammaestri (<strong>di</strong>dásko: 3x nel v. 27)»: il fedele autentico ad<br />

un certo punto non ha più bisogno <strong>di</strong> maestri visibili, perché nel suo intimo alberga quello<br />

invisibile, che gli insegna una scienza vera e vitale che nessun uomo è in grado <strong>di</strong> insegnare. Gv<br />

6,44 Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò<br />

nell'ultimo giorno. 45 Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha<br />

u<strong>di</strong>to il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46 Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo<br />

colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47 In verità, in verità vi <strong>di</strong>co: chi crede ha la vita eterna.<br />

Vi è una misteriosa scuola, che nessun maestro umano può sostituire: la rivelazione che il Padre<br />

fa nel cuore del credente per mezzo del suo Spirito. Non si tratta <strong>di</strong> conoscenze esoteriche.<br />

L’esoterismo è una complicata dottrina ed esperienza che va oltre la normalità. Qui invece siamo<br />

nella piena normalità e tuttavia nella mistica più alta. L’esoterismo ha a che fare con la magia, la<br />

vita mistica con la fede. Il primo si basa sui poteri umani o paranormali, la seconda solo sullo<br />

Spirito <strong>di</strong> Dio.<br />

«Ma il suo Crisma vi ammaestra circa ogni cosa»: si realizza la promessa <strong>di</strong> Cristo: Gv 16,12<br />

Molte cose ho ancora da <strong>di</strong>rvi, ma per il momento non siete capaci <strong>di</strong> portarne il peso. 13<br />

Quando però verrà lo Spirito <strong>di</strong> verità, egli vi guiderà <strong>alla</strong> verità tutta intera, perché non<br />

parlerà da sé, ma <strong>di</strong>rà tutto ciò che avrà u<strong>di</strong>to e vi annunzierà le cose future. 14 Egli mi<br />

glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. 15 Tutto quello che il Padre possiede è<br />

mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà. (cfr. anche Gv 14,26; Ger<br />

43


31,34). L'insegnamento, che fa interiorizzare la dottrina evangelica, è visto da <strong>Giovanni</strong> come<br />

azione presente nel cuore del fedele e della Chiesa (ammaestra: tempo presente). Per Gesù<br />

sarebbe stata un'opera futura dello Spirito (vi guiderà...) che avrebbe illuminato i <strong>di</strong>scepoli<br />

rendendo viva la sua Parola, che poi, in ultima analisi, è quella stessa del Padre. È assolutamente<br />

necessario l’intervento dello Spirito <strong>San</strong>to come maestro interiore: Gesù stesso, parlando agli<br />

apostoli che non erano ancora capaci <strong>di</strong> sintonizzarsi con lo Spirito <strong>di</strong> Dio, non è in grado <strong>di</strong> far<br />

capire certe verità. Anche noi non abbiamo ancora capito certe cose: le sentiamo annunciare, ma<br />

non le compren<strong>di</strong>amo e non le comprenderemo fintanto che lo Spirito ce le rivela. L’unica cosa<br />

che possiamo fare è quella che l’<strong>Apostolo</strong> ci consiglia <strong>alla</strong> fine del v. 27: E come vi ammaestrò,<br />

(così) rimanete in esso [in lui], fino a quando non brillerà in noi la luce interiore. Cre<strong>di</strong>amo vere<br />

quelle cose che ci sono dette e che ancora non capiamo e sperimentiamo: arriverà il giorno della<br />

luce piena. Un sussi<strong>di</strong>o per conoscere e favorire l’azione <strong>di</strong>dattica dello Spirito in noi è quella <strong>di</strong><br />

scrivere un <strong>di</strong>ario spirituale: ognuno <strong>di</strong> noi viene ammaestrato in modo unico e <strong>di</strong>verso. Un<br />

<strong>di</strong>ario nel quale annotiamo le sue ispirazioni può essere uno strumento valido da sottoporre<br />

soprattutto al consiglio del nostro <strong>di</strong>rettore spirituale.<br />

«Ed esso è veritiero e non è menzogna (5,6)»: secondo il suo stile, <strong>Giovanni</strong> ripete lo stesso<br />

pensiero in forma positiva (è veritiero) e negativa (non è menzogna) per evitare ogni equivoco.<br />

Qui egli vuole ricordare che il Crisma è amante della verità e produce in chi lo possiede una<br />

profonda sintonia con essa e un rifiuto istintivo della falsità. Dobbiamo stare attenti a non vedere<br />

l'azione dello Spirito laddove c'è solo la nostra iniziativa: dobbiamo <strong>di</strong>scernere quello che viene<br />

da Dio e quello che proviene da noi, per non cadere in un angusto soggettivismo. Se è vero che i<br />

credenti non hanno più bisogno <strong>di</strong> maestri (e a questo punto l'<strong>Apostolo</strong>, pur <strong>di</strong>mostrando <strong>di</strong> avere<br />

un'apostolica autorevolezza nello scrivere questa lettera, si mette per un momento umilmente da<br />

parte <strong>di</strong> fronte al voi dei fedeli nei quali agisce <strong>di</strong>rettamente lo Spirito), è pur vero che <strong>Giovanni</strong><br />

si rivolge, non ad un tu singolo, ma ad una comunità, la quale è ormai sufficientemente matura<br />

per conservare ed elaborare in modo corretto quello che ha ascoltato dal principio (la Parola: 24)<br />

e che ha ricevuto (il Crisma: 27) e a cui non deve mai rinunciare. Tale elaborazione sarà insieme<br />

antica e nuova, memoria del passato e profezia del futuro, tra<strong>di</strong>zionale e innovativa, visibile ed<br />

interiore, dei vertici e della base, comunitaria e personale. Il luogo dove guardare per capire se<br />

tale <strong>di</strong>fficilissima elaborazione è riuscita sta dunque sempre in quel voi comunitario, al quale<br />

l'<strong>Apostolo</strong> si rivolge, e mai solo in un tu isolato (cfr. 2 Pt 1,20).<br />

«E come vi ammaestrò, così rimanete in esso [oppure in lui]»: quale delle due possibili<br />

traduzioni è quella giusta? Rimanete nel Crisma oppure nel Cristo? La prima interpretazione è la<br />

più imme<strong>di</strong>ata da un punto <strong>di</strong> vista grammaticale, ma la più sorprendente da un punto <strong>di</strong> vista<br />

teologico. In genere l’<strong>Apostolo</strong> <strong>di</strong>ce: rimanete in Dio, in Cristo (cfr. 2,5.6.8.24.28; 3,6.24;<br />

4,13.15.16; 5,20). Tuttavia non è sbagliato invitare i fedeli a rimanere nello Spirito (cfr. Rom<br />

8,9), anche se più sovente è scritto che è lo Spirito ad abitare in noi (cfr. 1 Cor 3,16; 6,19; Gal<br />

4,6; Rom 5,5). Se così è in questo caso, possiamo <strong>di</strong>re che la dottrina <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> è davvero<br />

completa: lo Spirito <strong>San</strong>to può <strong>di</strong>morare nel (’en) cristiano e questi deve <strong>di</strong>morare in modo<br />

permanente nello (’en) Spirito. Pren<strong>di</strong>amo quin<strong>di</strong> come buona questa interpretazione: i credenti,<br />

illuminati dal Padre per mezzo delle parole <strong>di</strong> Cristo rese intelligibili dallo Spirito <strong>San</strong>to, sono<br />

invitati a rimanete in esso (cioè nello Spirito <strong>San</strong>to), seguendo il suo insegnamento ricevuto nel<br />

passato (vi ammaestrò). Questo è l’unico modo per ottenere, prima o poi, la grazia della<br />

illuminazione e della conoscenza dei segreti del Regno. Ricor<strong>di</strong>amoci però che lo Spirito è un<br />

ospite delicato: ci abbandona o si libera <strong>di</strong> noi per un nonnulla. Agostino così infervora i suoi<br />

fedeli: «Sia lui dunque a parlare dentro <strong>di</strong> voi, perché lì nessun uomo può penetrare. Se qualcuno<br />

può mettersi al tuo fianco, nessuno può stare nel tuo cuore... È dunque il maestro interiore colui<br />

che veramente istruisce, è Cristo, è la sua ispirazione ad istruire. Quando manca la sua<br />

ispirazione e la sua unzione, le parole esterne fanno soltanto un inutile strepito» (Agostino,<br />

Me<strong>di</strong>tazioni... p. 109).<br />

44


2. RIMANETE IN CRISTO PER AVERE FIDUCIA QUANDO RITORNERÀ (2,28)<br />

2.28 Kai\ nu=n, tekni/a, me/nete e)n au)t%=,<br />

i(/na e)a\n fanerwqv= sxw=men parrhsi/an<br />

kai\ mh\ ai)sxunqw=men a)p' au)tou= e)n tv= parousi/# au)tou=.<br />

2,28 Anche adesso, figlioli, rimanete in lui,<br />

affinché, quando si–manifesterà, possiamo–avere fiducia<br />

e non veniamo–svergognati da lui nella sua venuta.<br />

«Anche adesso, figlioli, rimanete in lui»: <strong>Giovanni</strong> riprende l'esortazione rivolta ai suoi<br />

figlioli invitandoli a rimanere in lui, cioè in Cristo. Che qui si tratti <strong>di</strong> Cristo e non dello Spirito è<br />

<strong>di</strong>mostrabile dal fatto che <strong>Giovanni</strong> accenna <strong>alla</strong> sua manifestazione e <strong>alla</strong> sua venuta futura (Mt<br />

25,31). Notiamo dunque che l’<strong>Apostolo</strong> nel v. 28 ripete l’ultima frase del v. 27: rimanete in esso<br />

(’autô), variando però il significato del pronome ’autô (che non in<strong>di</strong>ca più il Crisma o lo Spirito,<br />

ma Gesù). Ne deriva un importante insegnamento: rimanere nello Spirito <strong>San</strong>to equivale a<br />

rimanere in Cristo e viceversa.<br />

«Affinché, quando si manifesterà (fáino), possiamo avere fiducia (parresía)»: solo la<br />

perseveranza nella vera comunione con il Cristo dona una garanzia <strong>di</strong> salvezza nel giorno della<br />

venuta e della manifestazione del Cristo (3,2), la cui ora sembra essere abbastanza prossima.<br />

Teniamo presente che tutti gli scrittori neotestamentari coltivavano una forte attesa escatologica.<br />

Ad es.: Lc 21,36 Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza <strong>di</strong> sfuggire a tutto<br />

ciò che deve accadere, e <strong>di</strong> comparire davanti al Figlio dell'uomo. Ve<strong>di</strong> anche Paolo: 1 Tess 3,12<br />

Il Signore poi vi faccia crescere e abbondare nell'amore vicendevole e verso tutti, come anche<br />

noi lo siamo verso <strong>di</strong> voi, 13 per rendere sal<strong>di</strong> e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti<br />

a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi. Si<br />

tratta del momento supremo e decisivo del giu<strong>di</strong>zio, nel quale chi è in grazia non ha nulla da<br />

temere (la parresía è il coraggio, l'ar<strong>di</strong>re, la franchezza, la sicurezza <strong>di</strong> chi si sente a casa propria:<br />

cfr. 3,21; 4,17, 5,14). Agostino ci confida: «Noi cre<strong>di</strong>amo in colui che non abbiamo visto con i<br />

nostri occhi e ne aspettiamo il ritorno. Chiunque lo aspetta con fede, sarà ripieno <strong>di</strong> gioia, quando<br />

tornerà» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 113). Notiamo che l’Evangelista parla <strong>di</strong> tre tappe: una<br />

passata (vi ammaestrò), una presente (adesso rimanete in lui) e una futura (si manifesterà). Ci<br />

invita pertanto a vivere un presente ra<strong>di</strong>cato nel passato per essere preparati all’incontro futuro.<br />

Le tre tappe sono inseparabili.<br />

«E non veniamo svergognati (’aiskhýno) da lui nella sua venuta (parusía)»: la venuta del<br />

Signore, in<strong>di</strong>cata qui con il termine classico <strong>di</strong> parusía (in origine era la visita ufficiale <strong>di</strong><br />

un'autorità presso le città greche), è in<strong>di</strong>cata sopra anche come manifestazione o apparizione<br />

futura (si manifesterà). Tre sono dunque le manifestazioni del Cristo: una passata (1,2: come<br />

Vita eterna offerta agli uomini; 3,5.8: per <strong>di</strong>struggere i peccati), una presente (nel cuore del<br />

credente) e una futura (come giu<strong>di</strong>ce). Allora si manifesterà anche quello che siamo noi (3,2).<br />

Perciò, quelli che sono rimasti sal<strong>di</strong> nel Signore saranno premiati, a <strong>di</strong>fferenza degli altri: Chi si<br />

vergognerà <strong>di</strong> me e delle mie parole, <strong>di</strong> lui si vergognerà il Figlio dell'uomo, quando verrà nella<br />

gloria sua e del Padre e degli angeli santi (Lc 9,26). Immaginiamo lo sconcerto e la confusione<br />

<strong>di</strong> coloro che, illusi <strong>di</strong> possedere la verità, scopriranno <strong>di</strong> colpo e troppo tar<strong>di</strong> il loro errore fatale.<br />

Invece, il premio <strong>di</strong> chi avrà confessato il Signore e sarà trovato a lui unito sarà la gloria insieme<br />

ad una perfetta parresía (che nelle città greche in<strong>di</strong>cava la piena libertà <strong>di</strong> chi possedeva tutti i<br />

<strong>di</strong>ritti civili e si sentiva a suo agio perfetto). Anche noi siamo invitati a vivere questa nostra ora,<br />

che è per ognuno <strong>di</strong> noi l'ultima, coltivando, docili allo Spirito <strong>San</strong>to, la piena comunione <strong>di</strong> vita<br />

con il Signore Gesù, Figlio del Padre. In conclusione, notiamo la prospettiva escatologica che<br />

l’<strong>Apostolo</strong> ci propone e viviamo nell’attesa <strong>di</strong> questo evento (parusia) che dà forza e pienezza<br />

<strong>alla</strong> nostra speranza.<br />

45


III - SECONDA PARTE: LE CONDIZIONI PER VIVERE DA FIGLI DI DIO<br />

Inizia la seconda parte del corpo della lettera con l'introduzione <strong>di</strong> una nuova tematica, quella<br />

della filiazione <strong>di</strong>vina che trova il suo segno basilare nella realtà della giustizia (tema appena<br />

accennato in 2,1 ed ora invece molto sviluppato). L'Evangelista elenca 5 con<strong>di</strong>zioni:<br />

1 - praticare la giustizia ed evitare il peccato, comportandoci da figli <strong>di</strong> Dio Padre (Unità 6).<br />

2 - osservare i comandamenti <strong>di</strong> Dio, specialmente quello dell'amore fraterno (Unità 7)<br />

3 - <strong>di</strong>scernere le sante ispirazioni e amare come Dio ama (Unità 8)<br />

4 - coltivare la fede e l'amore fino <strong>alla</strong> perfezione (Unità 9)<br />

5 - credere in Gesù, Figlio <strong>di</strong> Dio e Vita eterna, venuto con acqua e sangue (Unità 10).<br />

1 a CONDIZIONE: PRATICARE LA GIUSTIZIA (UNITÀ 6)<br />

Siamo figli del Padre, perciò non facciamo il peccato<br />

Testo ed interpretazione <strong>di</strong> 1 Gv 2,29-3,10<br />

Questa Unità iniza con la sorprendente affermazione che in virtù <strong>di</strong> un amore senza limiti il<br />

Padre ci ha donato la <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> figli (1 a parte); continua poi con il ricordo che tale <strong>di</strong>gnità la<br />

dobbiamo a Cristo che ha <strong>di</strong>strutto il nostro peccato e ha reso a noi possibile la pratica delle<br />

opere <strong>di</strong> giustizia.<br />

1 - SIAMO FIGLI PER L'AMORE CHE IL PADRE HA PER NOI<br />

1. CHI OPERA LA GIUSTIZIA È GENERATO DA DIO (2,29)<br />

2.29 e)a\n ei)dh=te o(/ti <strong>di</strong>/kaio/j e)stin,<br />

ginw/skete o(/ti kai\ pa=j o( poiw=n th\n <strong>di</strong>kaiosu/nhn e)c au)tou= gege/nnhtai.<br />

2,29 Se sapete che (egli) è giusto,<br />

sappiate anche che chiunque opera la giustizia, è–generato da lui.<br />

«Se sapete che egli è giusto (díkaios)»: <strong>Giovanni</strong> aveva già affermato che Dio e Cristo sono<br />

giusti (1,9; 2,1). Che cosa vuol <strong>di</strong>re che Dio/Cristo è giusto ? (cfr. anche 3,7; Atti 3,14). Non<br />

significa semplicemente che egli è onesto e non fa <strong>di</strong>scriminazione tra le persone. Significa che<br />

egli è santo, incontaminato, <strong>di</strong>vino e che la sua volontà è amore perfetto e misericor<strong>di</strong>oso.<br />

«Sappiate anche che chiunque opera (poiéo) la giustizia (<strong>di</strong>kaiosýne), è generato (ghennáo)<br />

da lui»: la nostra giustizia (che dobbiamo fare, cioè mettere in atto, e non solo desiderare: 3,10)<br />

deve ispirarsi a quella <strong>di</strong>vina e imitarla, al punto da essere segno che abbiamo acquisito un'altra<br />

natura, quella stessa <strong>di</strong> Dio, essendo stati rigenerati da lui come veri figli suoi. Questa è la prima<br />

volta che in questa lettera <strong>Giovanni</strong> introduce il tema fondamentale della nostra generazione da<br />

Dio, cioè del fatto che siamo figli <strong>di</strong> Dio a motivo della giustizia ovvero della santità.<br />

2. IL "GIÀ" DELLA NOSTRA FILIAZIONE (3,1)<br />

3.1 i)/dete potaph\n a)ga/phn de/dwken h(mi=n o( path\r,<br />

i(/na te/kna qeou= klhqw=men, kai\ e)sme/n.<br />

<strong>di</strong>a\ tou=to o( ko/smoj ou) ginw/skei h(ma=j, o(/ti ou)k e)/gnw au)to/n.<br />

3,1 Guardate quale–grande amore ci ha–dato il Padre<br />

cosicché siamo–chiamati figli <strong>di</strong>–Dio, e (lo) siamo!<br />

Per questo il mondo non ci conosce, perché non ha–conosciuto lui.<br />

46


«Guardate quale grande (potapós) amore ci ha dato (dídomi) il Padre»: l'<strong>Apostolo</strong> invita i<br />

lettori <strong>alla</strong> meraviglia, <strong>alla</strong> contemplazione estatica: considerate bene la grandezza infinita<br />

dell'amore del Padre, un amore gratuito, donato a tutti i fedeli! Abbiamo tradotto quale grande,<br />

ma il greco letteralmente <strong>di</strong>ce: da quale terra (potapós), per far capire che davvero si tratta <strong>di</strong><br />

una cosa dell'altro mondo! Il dono è avvenuto nel passato e continua al presente (ci ha dato: in<br />

greco vi è il perfetto). L'<strong>Apostolo</strong> lo ammira in tutta la sua estensione temporale: dagli inizi fino<br />

al suo compimento, nel passato (ha dato), nel presente (lo siamo) e nel futuro (saremo: 3,2). E lo<br />

apprezza in tutta la sua grandezza qualitativa: essere figli del Padre, partecipi della sua natura<br />

che è amore.<br />

«Cosicché siamo chiamati figli <strong>di</strong> Dio, e lo siamo!»: siamo <strong>di</strong> nome e <strong>di</strong> fatto veri figli <strong>di</strong> Dio<br />

Padre, viventi della sua stessa vita! (Gv 1,12). Naturalmente questo vale per chi, amato da Dio,<br />

corrisponde con impegno al suo amore infinito. L'Amore richiede amore.<br />

«Per questo il mondo non ci conosce, perché non ha conosciuto lui»: la meravigliosa realtà<br />

della filiazione <strong>di</strong>vina dei redenti è conosciuta e stimata solo da coloro che hanno lo Spirito<br />

<strong>San</strong>to (il Crisma); è invece completamente ignorata dal mondo il quale, accecato dalle tenebre<br />

dell'orgoglio, non sa vedere ed apprezzare né Dio, né la sua opera santificatrice, né i suoi figli<br />

(Cfr. Gv 1,10; 14,17; 16,3; 17,25: Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto!). <strong>Giovanni</strong><br />

introduce il ricordo dell'in<strong>di</strong>fferenza e dell'ostilità del mondo per esaltare ancor più il valore della<br />

filiazione <strong>di</strong>vina, donata ai credenti (è nel suo stile metter in risalto il bene opponendolo al male),<br />

ma anche per ammonire in<strong>di</strong>rettamente il cristiano a non sottovalutare, proprio lui, la ricchezza<br />

straor<strong>di</strong>naria che possiede. In 4,5-6 l'Autore ricorderà che coloro che sono dal mondo parlano un<br />

linguaggio <strong>di</strong>verso (avendo, <strong>di</strong>ciamo noi, una logica <strong>di</strong>versa), che il mondo apprezza e con<strong>di</strong>vide.<br />

Non capiscono la sapienza della croce: 1 Cor 2,14 L'uomo naturale però non comprende le cose<br />

dello Spirito <strong>di</strong> Dio; esse sono follia per lui, e non è capace <strong>di</strong> intenderle, perché se ne può<br />

giu<strong>di</strong>care solo per mezzo dello Spirito. Non capiscono e non cercano minimamente <strong>di</strong> capire:<br />

alzano subito un polverone per non vedere. Sono cose che non rientrano assolutamente nei loro<br />

interessi. Il <strong>di</strong>scepolo non deve temere questa incomprensione <strong>di</strong>ffusa e generale: se gli altri sono<br />

ciechi, a lui <strong>di</strong>spiace, ma non si cava certo gli occhi per essere come loro; in altre parole,<br />

continua ad andare controcorrente, a pensare ed agire <strong>di</strong>versamente, senza scendere a<br />

compromessi.<br />

3. IL "NON ANCORA" CHE SI MANIFESTERÀ (3,2 a )<br />

3.2 )Agaphtoi/, nu=n te/kna qeou= e)smen,<br />

kai\ ou)/pw e)fanerw/qh ti/ e)so/meqa.<br />

3,2 Carissimi, adesso siamo figli <strong>di</strong> Dio,<br />

ma non–ancora si–è–manifestato ciò–che saremo.<br />

«Carissimi, adesso siamo figli <strong>di</strong> Dio»: anche l'<strong>Apostolo</strong> sente nel cuore un grande amore per<br />

i suoi fedeli, perciò li chiama amatissimi, <strong>di</strong>letti miei... Riba<strong>di</strong>sce con entusiasmo la verità<br />

principale e centrale, che tutti accomuna (siamo figli <strong>di</strong> Dio!). Non fa <strong>di</strong>stinzione tra apostolo,<br />

profeta, credente progre<strong>di</strong>to, fedele principiante. L'importante per tutti è essere figli <strong>di</strong> Dio fin dal<br />

presente (adesso).<br />

«Ma non ancora si è manifestato ciò che saremo»: ciò che in realtà sono i figli <strong>di</strong> Dio è<br />

sconosciuto per il mondo ma, per ora, non si manifesta in modo completo neppure per il<br />

credente. La stessa cosa valse per gli apostoli nei confronti <strong>di</strong> Gesù, fintantoché egli non si<br />

trasfigurò sul monte Tabor o non risuscitò dai morti e salì al cielo. Attualmente non possiamo<br />

nemmeno immaginare quale sia la bellezza <strong>di</strong> un'anima in grazia <strong>di</strong> Dio e tanto meno quale sarà<br />

lo splendore della gloria futura dei corpi risorti.<br />

47


4. LA SPERANZA CHE CI IMPEGNA A PURIFICARCI (3,2 b -3)<br />

oi)/damen o(/ti e)a\n fanerwqv=, o(/moioi au)t%= e)so/meqa,<br />

o(/ti o)yo/meqa au)to\n kaqw/j e)stin.<br />

3.3 kai\ pa=j o( e)/xwn th\n e)lpi/da tau/thn e)p' au)t%= a(gni/zei e(auto\n,<br />

kaqw\j e)kei=noj a(gno/j e)stin.<br />

Sappiamo che, quando si–manifesterà, saremo simili a–lui,<br />

perché lo vedremo (così) come (egli) è.<br />

3,3 E chiunque ha questa speranza in lui, purifica se–stesso,<br />

come egli è puro.<br />

«Sappiamo che, quando si manifesterà, saremo simili a lui»: il cristiano sa per la fede (nella<br />

pre<strong>di</strong>cazione apostolica) che nel Regno eterno egli possiederà la stessa gloria del Cristo (Lui): Gv<br />

17,22 La gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. 23<br />

Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li<br />

hai amati come hai amato me. 24 Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me<br />

dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato<br />

prima della creazione del mondo. Questa è la fede che la comunità professa (quin<strong>di</strong> tutti:<br />

sanno... e possono annunciare profeticamente il futuro). Cfr. anche Es 34,29; Fil 3,21; Col 3,4:<br />

Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella<br />

gloria. I figli <strong>di</strong> Dio saranno simili a Dio, se fin d’ora si configurano a lui assimilandone le virtù.<br />

«Perché lo vedremo così come (kathós) egli è»: il vedere Dio (o meglio, il Cristo glorioso) in<br />

tutta la sua bellezza, ci trasformerà totalmente in persone simili a lui. Il vedere ci farà essere.<br />

Naturalmente (e questo <strong>Giovanni</strong> non lo <strong>di</strong>ce perché è troppo evidente) potrà vedere Dio solo chi<br />

è partecipe della sua santità. Cfr. 1 Cor 13,12 Ora ve<strong>di</strong>amo come in uno specchio, in maniera<br />

confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora<br />

conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto. Si tratta della visione beatifica (già<br />

anticipata imperfettamente su questa terra d<strong>alla</strong> contemplazione: cfr. 2 Cor 3,18). Il desiderio <strong>di</strong><br />

vedere Dio, che pulsa nel cuore <strong>di</strong> ogni santo (cfr. Gv 14,8), viene dunque pienamente<br />

sod<strong>di</strong>sfatto. Agostino così esclama: «Godremo dunque <strong>di</strong> una visione, fratelli, mai contemplata<br />

dagli occhi..., mai immaginata d<strong>alla</strong> fantasia: una visione che supera tutte le bellezze terrene... La<br />

ragione è questa: essa è la fonte <strong>di</strong> ogni altra bellezza» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 119). Le<br />

parole <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> incitano tutti ad una fervorosa e operosa tensione escatologica.<br />

«Chiunque ha questa speranza in lui, purifica (‘aghnízo) se stesso»: nell'attesa gioiosa che<br />

inizi la visione trasfigurante promessa (per il futuro), il credente, che coltiva (al presente) la virtù<br />

della speranza certa (sappiamo...), lavora (<strong>Giovanni</strong> lo dà per scontato) <strong>alla</strong> propria purificazione<br />

dal peccato e da ogni <strong>di</strong>fetto. La purificazione del cuore ci pre<strong>di</strong>spone <strong>alla</strong> visione <strong>di</strong> Dio e ce la<br />

fa già pregustare (cfr. Mt 5,8). La bellezza <strong>di</strong> tale infinito traguardo ci aiuta a superare tutte le<br />

<strong>di</strong>fficoltà: Rom 8,18 Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono<br />

paragonabili <strong>alla</strong> gloria futura che dovrà essere rivelata in noi... 24 Poiché nella speranza noi<br />

siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già<br />

vede, come potrebbe ancora sperarlo? 25 Ma se speriamo quello che non ve<strong>di</strong>amo, lo atten<strong>di</strong>amo<br />

con perseveranza. Quando la fede è animata dall'amore autentico, <strong>di</strong>venta speranza e la speranza<br />

anticipa già il futuro <strong>di</strong> gloria. La speranza (nominata solo qui negli scritti giovannei) è posta in<br />

Cristo (in lui). Anzi è Lui (Cristo, nostra speranza: 1 Tim 1,1). Essere come Dio, da sogno<br />

blasfemo dell'uomo peccatore (cfr. Gn 3,5), <strong>di</strong>venta realtà offerta da Dio come dono d'amore.<br />

Agostino ci sprona: «Non potendo voi ora vedere questa visione, vostro impegno sia desiderarla.<br />

La vita <strong>di</strong> un buon cristiano è tutta un santo desiderio... Saremo tanto più vivificati da questo<br />

desiderio santo, quanto più recideremo i nostri desideri dall'amore del mondo» (Agostino,<br />

Me<strong>di</strong>tazioni... p. 120).<br />

48


«Come egli è puro (‘aghnós)»: la purezza <strong>di</strong> cui parla l'<strong>Apostolo</strong> non è solo una limpi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong><br />

coscienza; è la stessa purezza <strong>di</strong> Cristo (che è il modello: kathós = come), perché siamo partecipi<br />

della sua stessa vita, siamo penetrati d<strong>alla</strong> sua stessa luce, siamo arricchiti della sua stessa<br />

giustizia. Dio ci dona la sua stessa santità, perdonando i nostri peccati, quando umilmente li<br />

confessiamo (1,9). Il concetto <strong>di</strong> purezza qui è molto più ampio <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> castità, però non lo<br />

esclude, anzi lo esige perché tale virtù riguarda una parte essenziale della vita umana (in modo<br />

particolare la relazione con se stessi e con gli altri a livello affettivo e fisico). La mancanza <strong>di</strong><br />

castità è il segno <strong>di</strong> una grave mancanza <strong>di</strong> speranza. Il mondo non comprende, non apprezza e<br />

non sa praticare la castità perché non ha la speranza cristiana. La castità è comunque una qualità<br />

molto misteriosa: beato chi la comprende e la possiede. Si tratta <strong>di</strong> un vero dono dall’Alto.<br />

Aggiungiamo ora un’altra considerazione. L’apostolo non ha detto: Dio lo purifica, ma purifica<br />

se stesso. Questo significa che anche se tutto è dono gratuito, dobbiamo fare la nostra parte. «Dio<br />

non ti purifica, se tu non lo vuoi. Per il fatto che congiungi la tua volontà <strong>alla</strong> volontà <strong>di</strong> Dio, tu<br />

ren<strong>di</strong> puro te stesso. Questo non si verifica in forza della tua capacità, ma per merito <strong>di</strong> colui che<br />

viene ad abitare dentro <strong>di</strong> te. Siccome però in questi atti c'è una parte che va ascritta <strong>alla</strong> tua<br />

volontà, anche a te ne è attribuito il merito» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 122). Potenziamo in noi<br />

il desiderio <strong>di</strong> vedere Dio e tutte le bellezze spirituali, purifichiamo il nostro occhio e il nostro<br />

cuore dal desiderio <strong>di</strong> fissarci in modo egoistico sulle beltà passeggere della terra, ma <strong>di</strong>latiamoci<br />

e ren<strong>di</strong>amoci capaci dell'infinito.<br />

2 – IL CRISTO INNOCENTE TOGLIE I NOSTRI PECCATI<br />

1. IN CRISTO NON VI È PECCATO (3,4-5)<br />

3.4 Pa=j o( poiw=n th\n a(marti/an kai\ th\n a)nomi/an poiei=,<br />

kai\ h( a(marti/a e)sti\n h( a)nomi/a.<br />

3.5 kai\ oi)/date o(/ti e)kei=noj e)fanerw/qh, i(/na ta\j a(marti/aj a)/rv,<br />

kai\ a(marti/a e)n au)t%= ou)k e)/stin.<br />

3,4 Chiunque commette il peccato, commette anche l'illegalità,<br />

poiché il peccato è l'illegalità.<br />

3,5 E sapete che egli è–apparso per togliere i peccati<br />

e in lui non c'è peccato.<br />

«Chiunque commette il peccato, commette anche l'illegalità (’a-nomía)»: l'accenno al tema<br />

della purificazione, induce <strong>Giovanni</strong> ad approfon<strong>di</strong>re il <strong>di</strong>scorso sul tema del peccato (al<br />

singolare: quasi per <strong>di</strong>re che si tratta del peccato base, quello del rifiuto del Dio trinitario e <strong>di</strong><br />

Cristo Dio, cioè quello che si concreta nell'incredulità ostinata verso i Vangelo e la pre<strong>di</strong>cazione<br />

apostolica ed ecclesiale). L'<strong>Apostolo</strong> aveva già accennato al peccato e <strong>alla</strong> sua redenzione in 1,8-<br />

2,2.<br />

«Poiché il peccato è l'illegalità (’a-nomía)»: in questo contesto egli vede il peccato come<br />

avente una particolare gravità, cioè come violazione della legge, vale a <strong>di</strong>re come trasgressione<br />

dei comandamenti <strong>di</strong>vini, il primo dei quali è quello dell'amore. Il termine ’a-nomía però nel<br />

N.T. si carica <strong>di</strong> altri significati speciali. Si tratta <strong>di</strong> un peccato che si <strong>di</strong>ffonde soprattutto negli<br />

ultimi tempi. Gesù in Mt 24 <strong>di</strong>ce: 11 Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; 12 per il<br />

<strong>di</strong>lagare dell'iniquità (’a-nomía), l'amore <strong>di</strong> molti si raffredderà (cfr. anche Mt 7,23). Per Paolo<br />

l'anomia è un mistero che si oppone a quello della salvezza: 2 Tess 2,7 Il mistero dell'iniquità<br />

(’a-nomía) è già in atto, ma è necessario che sia tolto <strong>di</strong> mezzo chi finora lo trattiene. 8 Solo<br />

allora sarà rivelato l'empio (à-nomos) e il Signore Gesù lo <strong>di</strong>struggerà con il soffio della sua<br />

bocca e lo annienterà all'apparire della sua venuta, l'iniquo, 9 la cui venuta avverrà nella<br />

potenza <strong>di</strong> satana, con ogni specie <strong>di</strong> portenti, <strong>di</strong> segni e pro<strong>di</strong>gi menzogneri, 10 e con ogni sorta<br />

<strong>di</strong> empio (’a-<strong>di</strong>kía) inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore<br />

49


della verità per essere salvi. 11 E per questo Dio invia loro una potenza d'inganno (pláne) perché<br />

essi credano <strong>alla</strong> menzogna (psêudos) 12 e così siano condannati tutti quelli che non hanno<br />

creduto <strong>alla</strong> verità, ma hanno acconsentito all'iniquità (’a-<strong>di</strong>kía). Il termine ’a-nomía in<strong>di</strong>ca<br />

dunque la ribellione satanica finale contro il Regno <strong>di</strong> Dio. Chi pecca, quin<strong>di</strong>, favorisce il mistero<br />

dell'iniquità, cioè l'azione più perversa del <strong>di</strong>avolo.<br />

«Sapete che egli è apparso per togliere i peccati (‘amartía)»: i cristiani devono però essere<br />

fiduciosi. Il Cristo è venuto nel mondo per togliere i peccati (al plurale), manifestazioni concrete<br />

del peccato <strong>di</strong> fondo (l'iniquità). Cfr. anche Is 53,4; 1 Pt 2,24.<br />

«E in lui non c'è peccato»: il Cristo non ha mai commesso alcun peccato. Se l'avesse fatto,<br />

non avrebbe potuto salvare tutti noi, i quali invece siamo chiamati a <strong>di</strong>ventare proprio come lui<br />

(senza peccato). Gesù infatti (oltre a Dio: 1,9) è il solo giusto, colui che non ha conosciuto<br />

peccato e che poteva sfidare i suoi oppositori con sicurezza, <strong>di</strong>cendo: Gv 8,46 Chi <strong>di</strong> voi può<br />

convincermi <strong>di</strong> peccato? Da parte sua l'autore della lettera agli Ebrei <strong>di</strong>ce: Ebr 4,15 Infatti non<br />

abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui<br />

stesso provato in ogni cosa, a somiglianza <strong>di</strong> noi, escluso il peccato (cfr. anche 1 Pt 2,22). Gesù<br />

ha sempre saputo fare un <strong>di</strong>scernimento perfetto: ha sempre capito da che spirito veniva una<br />

determinata suggestione, anche minima (pensiamo alle tentazioni nel deserto) ed ha sempre<br />

compiuto con amore la volontà del Padre: Gv 8,29 Colui che mi ha mandato è con me e non mi<br />

ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gra<strong>di</strong>te (’arestós). E ancora: Gv<br />

17,4 Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l'opera che mi hai dato da fare (Cfr. anche Gv<br />

19,30). Gv 14,31 Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre<br />

mi ha comandato. Gesù non ha amato e servito solo a parole, ma fino <strong>alla</strong> morte e <strong>alla</strong> morte <strong>di</strong><br />

croce (Fil 2,8).<br />

2. CHI È IN CRISTO NON PECCA (3,6-7)<br />

3.6 pa=j o( e)n au)t%= me/nwn ou)x a(marta/nei:<br />

pa=j o( a(marta/nwn ou)x e(w/raken au)to\n ou)de\ e)/gnwken au)to/n.<br />

3.7 Tekni/a, mhdei\j plana/tw u(ma=j:<br />

o( poiw=n th\n <strong>di</strong>kaiosu/nhn <strong>di</strong>/kaio/j e)stin, kaqw\j e)kei=noj <strong>di</strong>/kaio/j e)stin:<br />

3,6 Chiunque rimane in lui, non pecca;<br />

chiunque pecca non lo ha–visto né l'ha–conosciuto.<br />

3,7 Figlioli, nessuno vi inganni.<br />

Chi pratica la giustizia è giusto come egli è giusto.<br />

«Chiunque rimane in lui, non pecca»: l'<strong>Apostolo</strong> non vuole solo affermare che fin quando uno<br />

rimane unito a Gesù non pecca (almeno con quel peccato irreparabile che è l'iniquità satanica),<br />

ma anche <strong>di</strong>re che egli possiede una misteriosa <strong>di</strong>fesa contro tale peccato (il cristiano deve<br />

comunque continuare a considerarsi umilmente un peccatore: 1,8.10). Cfr. Gv 15,4-7; Rom 6,14.<br />

«Chiunque pecca non lo ha visto né l'ha conosciuto»: una cosa è chiara e <strong>Giovanni</strong> la <strong>di</strong>ce con<br />

forza: chi commette i peccati, trasgredendo i comandamenti, sicuramente non ha fatto una vera<br />

esperienza <strong>di</strong> Gesù (non ne ha visto la bellezza e non lo conosce in modo vitale). Per sperare <strong>di</strong><br />

poterlo vedere e conoscere in modo efficace, bisogna cominciare ad evitare il peccato (Gv 5,37;<br />

6,40). Questo è un segreto importante! Noi siamo tentati <strong>di</strong> sottovalutare il peccato e <strong>di</strong> scusarlo.<br />

Ricor<strong>di</strong>amoci bene che nessun peccato è mai troppo piccolo, così come nessun bene è mai troppo<br />

scarso (per <strong>di</strong>re: non vale la pena <strong>di</strong> compierlo) o troppo grande (per <strong>di</strong>re: non riuscirò mai a<br />

realizzarlo). Agostino ci ricorda che la visione o conoscenza <strong>di</strong> Cristo <strong>di</strong> cui <strong>Giovanni</strong> parla qui è<br />

quella della fede (non quella <strong>di</strong>retta) e afferma: «Per ora non dobbiamo abbandonare la giustizia<br />

che proviene d<strong>alla</strong> fede... Chi pecca è uno che non crede, perché se credesse, per quanto <strong>di</strong>pende<br />

d<strong>alla</strong> sua fede, non peccherebbe» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 124).<br />

50


«Figlioli, nessuno vi inganni (planáo)»: per altre due volte in questa lettera <strong>Giovanni</strong> invita i<br />

suoi lettori a non ingannasi (1,8) o a non lasciarsi ingannare (2,26). L'illusione nella vita<br />

spirituale è il pericolo peggiore.<br />

«Chi pratica (poiéo) la giustizia è giusto come egli è giusto»: ecco un valido criterio <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>scernimento per sapere se non ci siamo ingannati: solo chi fa cose giuste, sante e gra<strong>di</strong>te al<br />

Padre è giusto della stessa giustizia <strong>di</strong> Cristo (come egli è giusto). Paolo <strong>di</strong>ce infatti: 1 Cor<br />

1,30 ... Cristo Gesù, ... per opera <strong>di</strong> Dio è <strong>di</strong>ventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e<br />

redenzione. Le chiacchiere non servono ad altro che ad illuderci (cfr. 2,29; Mt 7,21).<br />

3 – NON FARE ASSOLUTAMENTE PECCATI<br />

1. CRISTO DISTRUGGE LE OPERE DEL DIAVOLO (3,8)<br />

3.8 o( poiw=n th\n a(marti/an e)k tou= <strong>di</strong>abo/lou e)sti/n,<br />

o(/ti a)p' a)rxh=j o( <strong>di</strong>a/boloj a(marta/nei.<br />

ei)j tou=to e)fanerw/qh o( ui(o\j tou= qeou=, i(/na lu/sv ta\ e)/rga tou= <strong>di</strong>abo/lou.<br />

3,8 Chi commette il peccato viene dal <strong>di</strong>avolo,<br />

perché il <strong>di</strong>avolo pecca dal principio.<br />

Per questo il Figlio <strong>di</strong> Dio è–apparso: per <strong>di</strong>struggere le opere del <strong>di</strong>avolo.<br />

«Chi commette il peccato viene dal <strong>di</strong>avolo»: facendo il peccato, l'uomo si corrompe<br />

totalmente a cambia natura: non proviene più da Dio, ma dal suo nemico acerrimo, il <strong>di</strong>avolo, lo<br />

spirito del mondo da cui ha origine tutto ciò che è corruzione e concupiscenza (2,16). Lo spirito<br />

del male è nominato 4 volte in questa lettera come <strong>di</strong>á-bolos = separatore, accusatore. Chi pecca,<br />

ne <strong>di</strong>venta come figlio (10) perché lo imita (cfr. Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 126). Siccome<br />

nessuno ammette facilmente <strong>di</strong> venire dal <strong>di</strong>avolo cerca in tutti i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> nascondere tale origine,<br />

ammantando la sua condotta con le apparenze dell’onestà e dell’impegno sociale. Pensiamo ai<br />

gruppi libertari, che fanno mostra <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere i <strong>di</strong>ritti dei citta<strong>di</strong>ni per poter instillare meglio i<br />

germi del peccato e del vizio. Proclamano come bene supremo la libertà dell’in<strong>di</strong>viduo adulto<br />

sovente a scapito del suo bene morale. Diversamente da Gesù che <strong>di</strong>ceva la verità vi farà liberi<br />

(Gv 8,32), essi fanno credere agli sprovveduti: la libertà vi farà veri.<br />

«Perché il <strong>di</strong>avolo pecca dal principio»: l'essenza del <strong>di</strong>avolo è quella <strong>di</strong> essere peccatore.<br />

Egli non fa nulla che non sia peccato, e questo, da quando esiste, dal principio (Gv 8,44).<br />

«Per questo il Figlio <strong>di</strong> Dio è apparso: per <strong>di</strong>struggere le opere del <strong>di</strong>avolo»: la prima cosa<br />

che dunque è Cristo venuto a fare (nella sua prima manifestazione) è quella <strong>di</strong> eliminare le opere<br />

(le azioni, le strutture, le conseguenze) del demonio. Naturalmente, viene poi anche tutta la parte<br />

positiva dell'opera redentrice <strong>di</strong> Gesù: il dono dello Spirito <strong>San</strong>to... <strong>Giovanni</strong> qui ci presenta i due<br />

protagonisti schierati uno contro l'altro: Cristo e il <strong>di</strong>avolo e per ora ci parla della lotta tra i due.<br />

Chi vince è Gesù (Gv 16,33). La sua vittoria però apparirà in pienezza solo nel giorno della<br />

parusia (Ebr 2,8; 2 Tess 1,9; 2,8).<br />

2. CHI È NATO DA DIO NON PECCA (3,9)<br />

3.9 Pa=j o( gegennhme/noj e)k tou= qeou= a(marti/an ou) poiei=,<br />

o(/ti spe/rma au)tou= e)n au)t%= me/nei,<br />

kai\ ou) du/natai a(marta/nein, o(/ti e)k tou= qeou= gege/nnhtai.<br />

3,9 Chiunque è–generato da Dio non commette peccato,<br />

perché (un) suo germe <strong>di</strong>mora in lui,<br />

e non può peccare perché è–generato da Dio.<br />

«Chiunque è generato da Dio non commette peccato»: con parole <strong>di</strong>verse <strong>Giovanni</strong> riba<strong>di</strong>sce<br />

ed approfon<strong>di</strong>sce quanto già detto in 3,6: Chiunque rimane in lui non pecca. Chi opera la<br />

51


giustizia è generato da Dio (cfr. 2,29): costui quin<strong>di</strong>, in quanto proviene dal Padre come figlio<br />

suo e ne possiede la stessa vita, non fa il peccato (<strong>di</strong> ’anomía, <strong>di</strong> ’a<strong>di</strong>kía), cioè non compie il<br />

peccato (al singolare) <strong>di</strong> opporsi al Padre, <strong>di</strong> non credergli, <strong>di</strong> resistergli e <strong>di</strong> combatterlo (cfr.<br />

5,18).<br />

«Perché un suo germe (spérma) <strong>di</strong>mora in lui»: <strong>Giovanni</strong> ci in<strong>di</strong>ca anche il motivo <strong>di</strong> questa<br />

con<strong>di</strong>zione felice in cui si trova il figlio <strong>di</strong> Dio: la presenza in lui della Parola (seme <strong>di</strong>vino). Si<br />

tratta <strong>di</strong> quello stesso seme che lo genera come figlio: 1 Pt 1,23 Essendo stati rigenerati non da<br />

un seme corruttibile, ma immortale, cioè d<strong>alla</strong> Parola <strong>di</strong> Dio viva ed eterna. Se non fossimo<br />

convinti della necessità della parola <strong>di</strong> Dio nella nostra vita, questo passo giovanneo dovrebbe<br />

farci cambiare idea. Dobbiamo capire che tale parola (che trova nella Bibbia uno strumento<br />

speciale) ha davvero la forza <strong>di</strong> trasformare tutta la nostra vita (cfr.anche 1 Tess 1,13). Forse ne<br />

stiamo già facendo la prova.<br />

«Non può peccare perché è generato da Dio»: l'<strong>Apostolo</strong> precisa che non solo non pecca <strong>di</strong><br />

fatto, ma che non può peccare, perché tutte le opere che fa, le compie in Dio e secondo la Parola<br />

<strong>di</strong> Dio. La sua volontà è fondamentalmente protesa verso l'obbe<strong>di</strong>enza amorevole al Padre,<br />

essendo egli suo vero figlio. Per Agostino il peccato che il vero cristiano non può fare è quello<br />

gravissimo contro l'amore: «Chi è costante nell'amore fraterno, certi peccati non li può<br />

commettere e particolarmente quello <strong>di</strong> o<strong>di</strong>are il proprio fratello. Che ne sarà allora degli altri<br />

peccati? ... Ebbene... la carità copre una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> peccati» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 133).<br />

3. IL CRITERIO DI DISCERNIMENTO: LA GIUSTIZIA CHE È AMORE (3,10)<br />

3.10 e)n tou/t% fanera/ e)stin ta\ te/kna tou= qeou= kai\ ta\ te/kna tou= <strong>di</strong>abo/lou:<br />

pa=j o( mh\ poiw=n <strong>di</strong>kaiosu/nhn ou)k e)/stin e)k tou= qeou=,<br />

kai\ o( mh\ a)gapw=n to\n a)delfo\n au)tou=.<br />

3,10 Da questo sono manifesti i figli <strong>di</strong> Dio e i figli del <strong>di</strong>avolo:<br />

chiunque non pratica (la) giustizia non è da Dio,<br />

e chi non ama il suo fratello.<br />

«Da questo sono manifesti i figli <strong>di</strong> Dio e i figli del <strong>di</strong>avolo»: <strong>Giovanni</strong> conclude questa parte<br />

(3,4-10: nella quale ha trattato la tematica del <strong>di</strong>avolo e del peccato oltre a quella, ben più<br />

importante, <strong>di</strong> Cristo giusto e giustificatore) fornendo il criterio <strong>di</strong> <strong>di</strong>scernimento per <strong>di</strong>stinguere<br />

quelli che provengono dal Dio e quelli che derivano da satana. Dietro ai due protagonisti si<br />

formano due gruppi <strong>di</strong> uomini che, in base alle loro scelte, <strong>di</strong>ventano figli del primo o del<br />

secondo, acquisendone la natura. Nel IV Vangelo Gesù smaschera i figli del <strong>di</strong>avolo, <strong>di</strong>cendo:<br />

Gv 8,43 Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie<br />

parole, 44 voi che avete per padre il <strong>di</strong>avolo, e volete compiere i desideri del padre vostro... 47<br />

Chi è da Dio ascolta le parole <strong>di</strong> Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio. E<br />

ancora: Gv 5 42 Ma io vi conosco e so che non avete in voi l'amore <strong>di</strong> Dio. 43 Io sono venuto nel<br />

nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste. 44<br />

E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che<br />

viene da Dio solo? In definitiva, chi ama il mondo e la sua gloria vana come bene supremo,<br />

rifiuta la paternità <strong>di</strong>vina e <strong>di</strong>venta figlio del <strong>di</strong>avolo.<br />

«Chiunque non pratica la giustizia non è da Dio»: per contro, chi fa la volontà santissima del<br />

Padre, così come Gesù l'ha fatta, proviene da Dio ed è suo figlio, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> chi non compie<br />

opere <strong>di</strong> giustizia.<br />

«E chi non ama il suo fratello»: se poi qualcuno non avesse capito bene in che cosa consiste,<br />

in concreto, non praticare la giustizia, <strong>Giovanni</strong> gli fa capire che consiste soprattutto nel non<br />

amare il proprio fratello. Traducendo in linguaggio positivo, possiamo <strong>di</strong>re che amare i fratelli<br />

significa praticare la giustizia. Diventa inutile cercare altre vie (le vie della religiosità più<br />

assidua, le vie della preghiera più mistica, le vie dello stu<strong>di</strong>o teologico più intenso, le vie<br />

52


dell'attivismo più frenetico), se non si ha la carità (1 Cor 13,1-3). Pratica la giustizia solo chi ama<br />

il fratello come Gesù lo ama. Il vero peccato dunque, l'anomía per eccellenza, è la mancanza <strong>di</strong><br />

amore fraterno, la quale porta a danneggiare e ad uccidere materialmente, psicologicamente,<br />

intelletualmente e, quel che è peggio, spiritualmente il prossimo. Chi ama è figlio del Padre: Mt<br />

5,9 Beati gli operatori <strong>di</strong> pace, perché saranno chiamati figli <strong>di</strong> Dio. Solo la carità<br />

contrad<strong>di</strong>stingue i due tipi <strong>di</strong> uomini (cfr. Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 139).<br />

53


2 a CONDIZIONE: AMARE I FRATELLI E CREDERE IN CRISTO (UNITÀ<br />

7)<br />

Osservare il suo comandamento<br />

Lettura me<strong>di</strong>tata <strong>di</strong> 1 Gv 3,11-24<br />

Questa unità si <strong>di</strong>vide in due parti:<br />

nella 1 a troviamo l'invito a mettere in pratica il messaggio <strong>di</strong> amarci reciprocamente;<br />

nella 2 a <strong>Giovanni</strong> ci <strong>di</strong>ce che la fede in Cristo e l'amore scambievole nello Spirito <strong>San</strong>to sono<br />

il criterio per sapere se veniamo d<strong>alla</strong> verità.<br />

1 - ACCOGLIAMO IL MESSAGGIO DELL'AMORE FRATERNO<br />

1. AMIAMOCI GLI UNI GLI ALTRI (3,11-12)<br />

3.11 (/Oti au(/th e)sti\n h( a)ggeli/a h(\n h)kou/sate a)p' a)rxh=j,<br />

i(/na a)gapw=men a)llh/louj,<br />

3.12 ou) kaqw\j Ka/in e)k tou= ponhrou= h)=n kai\ e)/sfacen to\n a)delfo\n au)tou=:<br />

kai\ xa/rin ti/noj e)/sfacen au)to/n;<br />

o(/ti ta\ e)/rga au)tou= ponhra\ h)=n ,ta\ de\ tou= a)delfou= au)tou= <strong>di</strong>/kaia.<br />

3,11 Poiché questo è il messaggio che avete–u<strong>di</strong>to da(l) principio:<br />

che (ci) amiamo (gli uni gli) altri.<br />

3,12 Non come Caino, (che) era dal maligno e massacrò il suo fratello.<br />

E (in) grazia <strong>di</strong>–che lo massacrò?<br />

Poiché le opere sue erano malvagie, mentre quelle del suo fratello (erano) giuste.<br />

«Poiché questo è il messaggio che avete u<strong>di</strong>to dal principio»: l'insegnamento <strong>di</strong> questa Unità<br />

si collega, attraverso il termine ‘óti = poiché, al chiaro criterio <strong>di</strong> <strong>di</strong>scernimento dato <strong>alla</strong> fine<br />

della precedente Unità per <strong>di</strong>stinguere senza ombra <strong>di</strong> dubbio i figli <strong>di</strong> Dio da quelli del <strong>di</strong>avolo<br />

(praticare la giustizia, amando il fratello) e sviluppa il bellissimo tema della carità. La prima<br />

parte del v. 11 è molto simile <strong>alla</strong> prima parte del v. 1,5: Questo è il messaggio che abbiamo<br />

u<strong>di</strong>to da lui (Gv 13,34; 15,12). In 1,5 gli ascoltatori (e gli annunciatori) erano gli apostoli, in 3,11<br />

sono i fedeli, che (è implicito) devono <strong>di</strong>ventare anch'essi annunciatori (cfr. 2 Gv 5).<br />

«Che ci amiamo gli uni gli altri»: l'amore vicendevole tra fratelli viene qui presentato come il<br />

messaggio centrale (’anghelía), annunciato e u<strong>di</strong>to fin dagli inizi (antico: 2,7) e non più solo<br />

come un comandamento. Parlare <strong>di</strong> comandamento significa parlare soprattutto <strong>di</strong> dovere, <strong>di</strong><br />

impegno e <strong>di</strong> fatica; parlare <strong>di</strong> messaggio vuol <strong>di</strong>re mettere in luce che si tratta <strong>di</strong> un<br />

insegnamento bello e importante, anzi <strong>di</strong> una parola profetica comunicata con autorevolezza.<br />

«Non come Caino, che era dal maligno (ponerós) e massacrò il suo fratello»: a questo punto<br />

<strong>Giovanni</strong> porta due esempi contrastanti tra <strong>di</strong> loro: prima Caino e poi, nel v. 16, Gesù (il nuovo<br />

Abele). Caino appartiene dunque ai figli del <strong>di</strong>avolo (era dal maligno) e <strong>di</strong>mostra tale<br />

appartenenza uccidendo con violenza il proprio fratello Abele (Gn 4,8). Questa è una storia che<br />

si ripete: Caino / Abele, i Giudei / Gesù, il mondo / i <strong>di</strong>scepoli.<br />

«E in grazia <strong>di</strong> che lo massacrò?»: l'<strong>Apostolo</strong> ci interroga per sapere se abbiamo capito il<br />

motivo <strong>di</strong> tale efferata uccisione. Si esprime con una certa ironia quando <strong>di</strong>ce: in grazia <strong>di</strong> che...<br />

come se Caino avesse fatto un "favore" ad Abele uccidendolo. Nel Vangelo Gesù <strong>di</strong>ce che si può<br />

arrivare ad uccidere un cristiano credendo <strong>di</strong> dar gloria a Dio (Gv 16,2).<br />

«Poiché le opere sue erano malvagie (ponerós), mentre quelle del suo fratello (erano)<br />

giuste»: ecco rivelato il segreto dell'o<strong>di</strong>o e dell'omici<strong>di</strong>o perpetrato da Caino: questi compiva<br />

54


azioni malvagie e peccaminose, non gra<strong>di</strong>te a Dio; amava, cioè, il male e lo <strong>di</strong>mostrava col fare<br />

molte azioni inique, in un crescendo che lo ha portato ad uccidere il fratello. Gesù afferma: Gv<br />

3,19 Il giu<strong>di</strong>zio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre<br />

<strong>alla</strong> luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti fa il male, o<strong>di</strong>a la luce e non<br />

viene <strong>alla</strong> luce perché non siano svelate le sue opere. 21 Ma chi opera la verità viene <strong>alla</strong> luce,<br />

perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio. Chi è attaccato ai propri<br />

<strong>di</strong>sonesti interessi ha paura della verità (della fede) che svelerebbe la sua vergognosa ipocrisia e<br />

cattiveria e perciò tende a sopprimere chi è un rimprovero per lui, magari per il solo fatto <strong>di</strong><br />

essere un modello vivo <strong>di</strong> giustizia e <strong>di</strong> santità. Se poi il giusto proclama la verità anche con le<br />

parole, allora <strong>di</strong>venta per lui insopportabile. Gesù protestava, <strong>di</strong>cendo: Gv 8,40 Ora invece<br />

cercate <strong>di</strong> uccidere me, che vi ho detto la verità u<strong>di</strong>ta da Dio (cfr. anche Gv 7,7). Per Agostino<br />

«le opere buone <strong>di</strong> Abele non sono altro, secondo <strong>Giovanni</strong>, che la sua carità... D<strong>alla</strong> carità,<br />

fratelli, si <strong>di</strong>stinguono gli uomini. Nessuno si fermi alle parole, ma ba<strong>di</strong> ai fatti e ai sentimenti del<br />

cuore» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 141).<br />

2. CHI AMA PASSA DALLA MORTE ALLA VITA (3,13-15)<br />

3.13 [kai\] mh\ qauma/zete, a)delfoi/, ei) misei= u(ma=j o( ko/smoj.<br />

3.14 h(mei=j oi)/damen o(/ti metabebh/kamen e)k tou= qana/tou ei)j th\n zwh/n,<br />

o(/ti a)gapw=men tou\j a)delfou/j:<br />

o( mh\ a)gapw=n me/nei e)n t%= qana/t%.<br />

3.15 pa=j o( misw=n to\n a)delfo\n au)tou= a)nqrwpokto/noj e)sti/n,<br />

kai\ oi)/date o(/ti pa=j a)nqrwpokto/noj ou)k e)/xei zwh\n ai)w/nion e)n au)t%= me/nousan.<br />

3,13 [E] non vi–meravigliate, fratelli, se il mondo vi o<strong>di</strong>a.<br />

3,14 Noi sappiamo che siamo–passati d<strong>alla</strong> morte <strong>alla</strong> vita,<br />

perché amiamo i fratelli.<br />

Chi non ama rimane nella morte.<br />

3,15 Chiunque o<strong>di</strong>a il proprio fratello è omicida,<br />

e sapete che nessun omicida ha in se–stesso la vita eterna permanente.<br />

«E non vi meravigliate, fratelli, se il mondo vi o<strong>di</strong>a»: l'idea <strong>di</strong> Caino che o<strong>di</strong>a ed ammazza il<br />

fratello induce l'<strong>Apostolo</strong> ad incoraggiare i cristiani (chiamati e amati da lui come fratelli) che<br />

vengono attualmente o<strong>di</strong>ati e uccisi dai persecutori. I fedeli ora sanno per quale ragione il mondo<br />

è a loro tanto ostile: non devono meravigliarsi e perdersi d'animo come se succedesse una cosa<br />

assurda, <strong>di</strong> cui non riescono a capacitarsi: 1 Pt 4,12 Carissimi, non siate sorpresi per l'incen<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> persecuzione che si è acceso in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa <strong>di</strong><br />

strano (cfr. anche Mt 5,11). Ringraziamo <strong>Giovanni</strong> per la sua sensibilità che lo induce a tener<br />

conto della situazione concreta dei suoi fedeli o<strong>di</strong>ati dal mondo e li invita a leggere nella loro<br />

dolorosa esperienza <strong>di</strong> perseguitati il protrarsi dell'o<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Caino per Abele e il ripetersi<br />

dell'antico delitto. Circa la tematica dell'o<strong>di</strong>o del mondo, le sue forme e le sue motivazioni cfr.<br />

Gv 15,18-21; 17,14. Agostino commenta acutamente: «Coloro che amano il mondo, non possono<br />

amare i fratelli» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 142).<br />

«Noi sappiamo che siamo passati d<strong>alla</strong> morte <strong>alla</strong> vita (Gv 5,24)»: l'o<strong>di</strong>o del mondo non fa<br />

che mettere maggiormente in luce quello che i fedeli sanno con certezza (per una specie <strong>di</strong><br />

esperienza interiore) e cioè che possiedono in se stessi la vita eterna, dopo aver fatto un vero<br />

salto <strong>di</strong> qualità, passando (risorgendo) appunto d<strong>alla</strong> morte <strong>alla</strong> vita (dall'o<strong>di</strong>o all'amore): Tit 3,3<br />

Anche noi un tempo eravamo insensati, <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enti, traviati, schiavi <strong>di</strong> ogni sorta <strong>di</strong> passioni e<br />

<strong>di</strong> piaceri, vivendo nella malvagità e nell'invi<strong>di</strong>a, degni <strong>di</strong> o<strong>di</strong>o e o<strong>di</strong>andoci a vicenda. Ora<br />

invece i fedeli hanno imparato ad amare e quin<strong>di</strong> si devono ricordare : 1 <strong>di</strong> essere pronti per ogni<br />

opera buona; 2 <strong>di</strong> non parlar male <strong>di</strong> nessuno, <strong>di</strong> evitare le contese, <strong>di</strong> esser mansueti,<br />

mostrando ogni dolcezza verso tutti gli uomini (Tit 3,1-2).<br />

55


«Perché amiamo i fratelli»: il motivo <strong>di</strong> questa certezza <strong>di</strong> stare nella vita sta nel fatto<br />

concreto che i veri credenti hanno accolto il messaggio e messo in pratica il comandamento<br />

sempre antico e sempre nuovo dell'amore verso i fratelli, in tutte le sue forme.<br />

«Chi non ama rimane nella morte»: prima aveva detto: Chi o<strong>di</strong>a suo fratello è nella tenebra...<br />

(2,9.11), poi: Chi non ama... non è da Dio (cfr. 10), ora <strong>di</strong>ce: Rimane (fisso) nella morte; in 4,8<br />

aggiungerà: Chi non ama non ha conosciuto Dio e in 4,20 farà capire che chi non ama il fratello,<br />

non ama Dio. Non solo l'o<strong>di</strong>o aperto, dunque, ma anche la semplice mancanza <strong>di</strong> amore uccide<br />

la vita in noi. Chi non ama uccide se stesso in modo permanente. Ha la morte dentro <strong>di</strong> sé e<br />

produce morte al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> sé. L’amore invece è il contrario della morte.<br />

«Chiunque o<strong>di</strong>a il proprio fratello è omicida»: l'idea della morte induce <strong>Giovanni</strong> a ricordasi<br />

<strong>di</strong> Caino, che uccise il fratello. Adesso egli precisa che chi o<strong>di</strong>a è sempre omicida. A prima vista<br />

ci sembra che questa affermazione sia esagerata. Eppure in fondo egli ha ragione perché l'o<strong>di</strong>o ci<br />

porta sempre ad annientare il nostro fratello, vivendo come non esistesse e, nei casi più gravi, ci<br />

induce a sopprimerlo anche fisicamente. Infatti Gesù stesso ce lo fa capire in Mt 5,21 Avete<br />

inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giu<strong>di</strong>zio. 22 Ma<br />

io vi <strong>di</strong>co: chiunque si a<strong>di</strong>ra con il proprio fratello, sarà sottoposto a giu<strong>di</strong>zio. Chi poi <strong>di</strong>ce al<br />

fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli <strong>di</strong>ce: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della<br />

Geenna. Se dunque, chi semplicemente s'inquieta con un fratello o lo insulta commette un<br />

peccato degno della pena che viene inflitta ad un assassino, allora dobbiamo concludere che si<br />

tratta <strong>di</strong> un peccato grave come un omici<strong>di</strong>o. Il <strong>di</strong>samore non è cosa da poco: «Se uno non dava<br />

peso finora all'o<strong>di</strong>o fraterno, potrà ora dar poco peso all'omici<strong>di</strong>o che commette nel suo cuore?<br />

Ancora non ha alzato le mani per uccidere, ma già dal Signore viene considerato un omicida»<br />

(Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 143). Pensiamo a quanti sono quelli che anche oggi sono morti solo<br />

perché non li abbiamo amati e aiutati!<br />

«Sapete che nessun omicida ha in se stesso la vita eterna permanente (2,11)»: i lettori lo<br />

sanno bene: l'affermazione che nessun omicida è degno della salvezza appartiene infatti <strong>alla</strong><br />

dottrina tra<strong>di</strong>zionale: cfr. Rom 1,29-32. Per questo <strong>Giovanni</strong> <strong>di</strong>ce sapete... Dobbiamo concludere<br />

quin<strong>di</strong> che chi o<strong>di</strong>a il fratello non ha in sé la vita eterna, vista come un dono che fin da ora<br />

permane in noi. Tale vita influisce su tutto il nostro essere: corpo, anima e spirito (su tutta la<br />

nostra persona).<br />

3. EGLI HA DATO LA VITA PER NOI (3,16)<br />

3.16 e)n tou/t% e)gnw/kamen th\n a)ga/phn,<br />

o(/ti e)kei=noj u(pe\r h(mw=n th\n yuxh\n au)tou= e)/qhken:<br />

kai\ h(mei=j o)fei/lomen u(pe\r tw=n a)delfw=n ta\j yuxa\j qei=nai.<br />

3,16 Da questo abbiamo–conosciuto l'amore:<br />

Egli per noi ha–dato la sua anima;<br />

(quin<strong>di</strong>) anche noi dobbiamo per i fratelli dare le (nostre) anime.<br />

«Da questo abbiamo conosciuto l'amore»: l'amore <strong>di</strong> cui <strong>Giovanni</strong> parla non è semplicemente<br />

quell'amore <strong>di</strong> cui facciamo esperienza nella nostra vita famigliare e sociale. In effetti fin da<br />

bambini abbiamo conosciuto l'amore (l'affetto, la cura dei genitori, la solidarietà dei parenti e<br />

degli amici). Però quell'amore umano era solo un anticipo e una figura <strong>di</strong> quell'amore infinito,<br />

<strong>di</strong>vino e inarrivabile, <strong>di</strong> cui l'Evangelista ci parla. Chi non conosce l'amore <strong>di</strong>vino (rivelatosi in<br />

Cristo) non sa che cosa sia il vero amore (Gv 13,1: ... li amò sino <strong>alla</strong> fine).<br />

«Egli per noi ha dato la sua anima (psykhé)»: il dono della propria anima, che Gesù ha fatto<br />

(e continua a fare: ha dato è al perfetto), ha svelato agli uomini che cosa sia l'amore: Gv 15,13<br />

Nessuno ha un amore più grande <strong>di</strong> questo: dare la vita (psykhé) per i propri amici. Solo un<br />

amore totale e perfetto rende capaci <strong>di</strong> tale offerta (Gesù è morto in croce e attualizza ogni giorno<br />

tale dono nell'offerta del pane eucaristico, che è la sua vera carne: Gv 6,51). E in Cristo anche il<br />

56


Padre ha <strong>di</strong>mostrato il suo amore per noi: Gv 3,16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il<br />

suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Gal<br />

2,20). Nel IV Vangelo Gesù concentra tutta la sua missione nel gesto <strong>di</strong> dare la sua vita (anima)<br />

opponendo la sua azione generosa <strong>di</strong> buon pastore (10,11.15.17) a quella del ladrone che ruba e<br />

uccide (10,10). Anima è un termine molto ricco, <strong>di</strong> sapore semitico, che significa la persona e la<br />

sua vita, viste in tutta la loro ricchezza emotiva ed interiore.<br />

«Quin<strong>di</strong> anche noi dobbiamo per i fratelli dare le (nostre) anime»: meravigliosa conclusione<br />

pratica! L'amore è contagioso! Esso sprona e scuote: 2 Cor 5,14 L'amore del Cristo ci spinge, al<br />

pensiero che uno è morto per tutti e quin<strong>di</strong> tutti sono morti. 15 Ed egli è morto per tutti, perché<br />

quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Se<br />

vogliamo amare dobbiamo (ecco il comandamento) donare le nostre vite (psykhé) per gli altri<br />

sull'esempio e con la forza <strong>di</strong> Cristo (anche noi). Se è vero che già amiamo i fratelli (14), è pur<br />

vero che ci dobbiamo continuamente esortare a perfezionare in tale amore. L'amore vero è solo<br />

quello che Cristo ha <strong>di</strong>mostrato <strong>di</strong> avere, donando la sua vita psicofisica per noi, e noi abbiamo<br />

vero amore se prolunghiamo nei nostri gesti quello stesso amore. «Sta qui la perfezione della<br />

carità, nell'essere pronti a morire per il fratello. Il Signore ci ha dato l'esempio...» (Agostino,<br />

Me<strong>di</strong>tazioni... p. 135). In che modo, però, possiamo iniziare a dare concretamente le nostre vite?<br />

L'<strong>Apostolo</strong> fa subito un esempio pratico e <strong>alla</strong> portata <strong>di</strong> tutti.<br />

4. AMIAMO CON I FATTI (3,17-18)<br />

3.17 o(\j d' a)\n e)/xv to\n bi/on tou= ko/smou<br />

kai\ qewrv= to\n a)delfo\n au)tou= xrei/an e)/xonta<br />

kai\ klei/sv ta\ spla/gxna au)tou= a)p' au)tou=,<br />

pw=j h( a)ga/ph tou= qeou= me/nei e)n au)t%=;<br />

3.18 Tekni/a, mh\ a)gapw=men lo/g% mhde\ tv= glw/ssv a)lla\ e)n e)/rg% kai\ a)lhqei/#.<br />

3,17 Chi, poi, se ha ricchezze [la vita] del mondo<br />

e vede il suo fratello che–ha bisogno<br />

e chiude le proprie viscere a lui,<br />

come <strong>di</strong>mora in lui l'amore <strong>di</strong> Dio?<br />

3,18 Figlioli, non amiamo a–parole né con (la) lingua, ma con (i) fatti e (la) verità.<br />

«Chi, poi, se ha ricchezze [la vita] del mondo»: ecco dunque uno dei mo<strong>di</strong> più semplici e più<br />

imme<strong>di</strong>ati per dare la vita! Con<strong>di</strong>videre le proprie ricchezze (cioè i beni per vivere, detti<br />

nell'originale: la vita, i viveri, il bíos) con chi ne manca. Questo è il senso primario dell'invito <strong>di</strong><br />

Cristo a vivere la povertà evangelica: Mt 19,21 (Al giovane ricco) Gesù <strong>di</strong>sse: «Se vuoi essere<br />

perfetto, và, ven<strong>di</strong> quello che possie<strong>di</strong>, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e<br />

seguimi». Non si donano le ricchezze per il gusto della povertà, ma per amore verso il fratello<br />

bisognoso. Agostino si chiede: «Da dove ha inizio la carità, fratelli?» e poi continua: «Voi avete<br />

sentito in che cosa consiste la sua perfezione... Sentiamo da dove trae inizio... Se ancora non sei<br />

pronto a morire per il fratello, sii <strong>di</strong>sposto a dare al fratello un poco dei tuoi beni... Se non riesci<br />

a dare il superfluo al fratello, come potrai dare per lui la tua vita?» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p.<br />

144).<br />

«E vede il suo fratello che ha bisogno»: si può vedere e nello stesso tempo far finta <strong>di</strong> non<br />

vedere (qui, i fratelli [v. 16] in generale, <strong>di</strong>ventano il mio fratello concreto, in particolare).<br />

Pensiamo <strong>alla</strong> reazione del sacerdote e del levita nella parabola del buon Samaritano: Lc 10,31<br />

Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide, passò oltre<br />

dall'altra parte. Non solo bisogna avere il coraggio <strong>di</strong> guardare in faccia chi è in <strong>di</strong>fficoltà, ma<br />

andare in cerca <strong>di</strong> colui che ha bisogno e che, per pudore, tenta <strong>di</strong> nasconderlo. Dobbiamo inoltre<br />

sapere che i bisogni sono tanti: c'è il bisogno <strong>di</strong> pane (gli affamati), <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cine (i malati), <strong>di</strong><br />

denaro (i poveri indebitati), <strong>di</strong> lavoro (i giovani <strong>di</strong>soccupati), <strong>di</strong> rispetto (i <strong>di</strong>ffamati e i<br />

57


<strong>di</strong>scriminati), <strong>di</strong> amicizia (i soli), <strong>di</strong> libertà (gli oppressi), <strong>di</strong> una famiglia (soprattutto i bambini e<br />

gli anziani), <strong>di</strong> un consiglio (i dubbiosi), <strong>di</strong> gioia (i depressi)...<br />

«E chiude le proprie viscere (splánkhna) a lui (Deut 15,7)»: la reazione più <strong>di</strong>ffusa è<br />

<strong>di</strong>fendersi, indurendo il proprio intimo. Ben <strong>di</strong>versamente si comportò il Samaritano: Lc 10,33<br />

Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione<br />

(lett.: si commosse nelle viscere). 34 Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino;<br />

poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura <strong>di</strong> lui. 35 Il giorno<br />

seguente, estrasse due denari e li <strong>di</strong>ede all'albergatore, <strong>di</strong>cendo: Abbi cura <strong>di</strong> lui e ciò che<br />

spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi ha cuore <strong>di</strong> madre (questo è il senso<br />

profondo <strong>di</strong> splánkhna) sa com-patire, piangere con chi piange, gioire con chi gioisce e pagare <strong>di</strong><br />

persona.<br />

«Come <strong>di</strong>mora in lui l'amore <strong>di</strong> Dio?»: l'amore <strong>di</strong> Dio (quello che Dio ha in sé e dona a noi,<br />

quello che noi dobbiamo avere per lui) si rende presente (e permanente), si visibilizza nella<br />

capacità <strong>di</strong> com-passione e <strong>di</strong> con-<strong>di</strong>visione (cfr. anche 4,20) nei confronti del prossimo. Devo<br />

avere il coraggio <strong>di</strong> con<strong>di</strong>videre con lui i miei agi e i suoi <strong>di</strong>sagi. Altrimenti faccio come Pietro,<br />

che <strong>di</strong>ceva <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>sposto a dare la vita per Gesù, ma che per paura lo rinnegò tre volte (Gv<br />

13,37). Solo con un amore perfetto (fino <strong>alla</strong> morte) egli riparò tale tra<strong>di</strong>mento (Gv 21,15.19).<br />

«Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e la verità»: chi vuole<br />

meritarsi il titolo <strong>di</strong> figliolo, deve amare, compiendo le opere necessarie, e non accontentarsi<br />

delle parole o dei buoni propositi (Giac 1,22; 2,15-16). Attenti però a non fermarsi ai fatti<br />

esteriori: questi potrebbero anche ingannarci, in modo tanto più subdolo quanto più essi sono<br />

gran<strong>di</strong>. C'è bisogno <strong>di</strong> verità in questo amore, ossia ci vuole un amore vero, una carità non finta<br />

(Rom 12,9), non ipocrita. Altrimenti mi posso anche buttare nelle fiamme e dare tutti i miei averi<br />

ai poveri e non avere la carità, dono <strong>di</strong>vino (1 Cor 13,3). Questa verità dell'amore esiste se è<br />

Cristo colui che amo nel bisognoso e se è Cristo che, attraverso <strong>di</strong> me, ama il fratello. «Ognuno<br />

<strong>di</strong> noi dunque esamini le sue opere, se provengono d<strong>alla</strong> sorgete della carità» (Agostino,<br />

Me<strong>di</strong>tazioni... p. 151).<br />

2 – LA CAPACITÀ DI AMARE È CRITERIO DI VERITÀ<br />

1. LA PRATICA DELL'AMORE RASSICURA IL NOSTRO CUORE (3,19-20)<br />

3.19 [Kai\] e)n tou/t% gnwso/meqa o(/ti e)k th=j a)lhqei/aj e)sme/n,<br />

kai\ e)/mprosqen au)tou= pei/somen th\n kar<strong>di</strong>/an h(mw=n,<br />

3.20 o(/ti e)a\n kataginw/skv h(mw=n h( kar<strong>di</strong>/a,<br />

o(/ti mei/zwn e)sti\n o( qeo\j th=j kar<strong>di</strong>/aj h(mw=n kai\ ginw/skei pa/nta.<br />

3,19 [E] da questo conosceremo che siamo d<strong>alla</strong> verità<br />

e davanti–a lui rassicureremo il nostro cuore;<br />

3,20 poiché se il cuore ci rimprovera,<br />

(sappiamo) che Dio è più–grande del nostro cuore e conosce ogni–cosa.<br />

«[E] da questo conosceremo che siamo d<strong>alla</strong> verità»: l'aver accennato <strong>alla</strong> verità con la quale<br />

dobbiamo amare i fratelli bisognosi, induce <strong>Giovanni</strong> a ricordare che quanto ha appena detto<br />

(amare con i fatti) è il criterio (peraltro espresso più volte con parole <strong>di</strong>verse) per sapere se siamo<br />

o no d<strong>alla</strong> verità e quin<strong>di</strong> da Dio (è proprio del linguaggio giovanneo ritornare su un tema<br />

appena toccato per chiarirlo o approfon<strong>di</strong>rlo). L'Autore prende ora in considerazione due casi: 1°<br />

quello <strong>di</strong> chi, applicando a se stesso il criterio, si sente in <strong>di</strong>fetto (20), 2° quello <strong>di</strong> chi invece si<br />

sente a posto (21).<br />

«E davanti a lui rassicureremo (péitho) il nostro cuore (kardía)»: in tutti e due i casi<br />

dobbiamo avere il cuore fiducioso davanti al Signore, il solo che vede il nostro intimo, e<br />

persuaderci (péitho) che egli ci aiuta: nel 1° caso per il fatto <strong>di</strong> aver già eseguito un lavoro <strong>di</strong><br />

58


verifica, come segno <strong>di</strong> buona volontà, nel 2° per il fatto che la verifica ha dato ad<strong>di</strong>rittura esito<br />

positivo. <strong>Prima</strong> (17) <strong>Giovanni</strong> aveva parlato <strong>di</strong> viscere; ora parla <strong>di</strong> cuore: per gli antichi le<br />

viscere (e non, come per la nostra cultura, il cuore) erano la sede delle emozioni, dei sentimenti e<br />

degli affetti, mentre il cuore (e non, come per noi oggi, la testa o il cervello, parti più periferiche<br />

del corpo) era la sede dei ragionamenti e delle decisioni. Quin<strong>di</strong> cuore (in senso biblico) equivale<br />

in questo caso a coscienza.<br />

«Poiché se il cuore (kardía) ci rimprovera»: (1° caso) se noi ascoltiamo bene il<br />

comandamento dell'amore che <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> amarci come Cristo ci ha amati, il nostro cuore (la nostra<br />

coscienza) non può fare a meno <strong>di</strong> inquietarsi almeno un po', perché chi <strong>di</strong> noi può <strong>di</strong>re <strong>di</strong><br />

realizzare tale comandamento <strong>alla</strong> perfezione?<br />

«Sappiamo che Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa»: se ci sentiamo in<br />

colpa, facciamo un convinto atto <strong>di</strong> fede nell'infinita grandezza, sapienza e misericor<strong>di</strong>a del<br />

Padre. Egli conosce bene le nostre <strong>di</strong>fficoltà. Il suo amore è più grande del nostro cuore e <strong>di</strong> tutto<br />

quello che esso può fare <strong>di</strong> bene o <strong>di</strong> male. Dio è in grado <strong>di</strong> purificare il nostro animo e <strong>di</strong><br />

<strong>alla</strong>rgare gli spazi del nostro cuore, affinché anche noi sappiamo amare come egli ama. Cristo poi<br />

è il nostro avvocato e ci aiuta con la sua intercessione presso il Padre (2,1). L'aver fatto un onesto<br />

esame <strong>di</strong> coscienza è già un gesto che Dio apprezza. Egli conosce ogni cosa e ci aiuta nel nostro<br />

esame <strong>di</strong> coscienza e nel nostro cammino <strong>di</strong> conversione.<br />

Gv 18,37 Chiunque è d<strong>alla</strong> verità ascolta la mia voce.<br />

2. ABBIAMO FIDUCIA DAVANTI A DIO NELLA PREGHIERA (3,21-22)<br />

3.21 )Agaphtoi/, e)a\n h( kar<strong>di</strong>/a [h(mw=n] mh\ kataginw/skv,<br />

parrhsi/an e)/xomen pro\j to\n qeo/n<br />

3.22 kai\ o(\ e)a\n ai)tw=men lamba/nomen a)p' au)tou=,<br />

o(/ti ta\j e)ntola\j au)tou= throu=men kai\ ta\ a)resta\ e)nw/pion au)tou= poiou=men.<br />

3,21 Carissimi, se il [nostro] cuore non ci rimprovera,<br />

abbiamo fiducia davanti a Dio;<br />

3,22 e se chie<strong>di</strong>amo qualcosa, (la) riceviamo da lui<br />

poiché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo le (cose) gra<strong>di</strong>te davanti–a lui.<br />

«Carissimi, se il [nostro] cuore non ci rimprovera»: (2° caso) se stiamo realmente aiutando i<br />

fratelli nel bisogno con concreti interventi a loro favore senza paura <strong>di</strong> spendere noi stessi per<br />

loro (il nostro tempo, la salute, i sol<strong>di</strong>, le nostre cose...) possiamo incominciare ad avere il cuore<br />

tranquillo (Rom 5,1; Ebr 4,16). L'<strong>Apostolo</strong> chiama carissimi quelli il cui cuore non muove<br />

accuse, perché essi non si sentono in colpa, avendo fatto tutto il possibile per essere perfetti<br />

nell'amore.<br />

«Abbiamo fiducia (parresía) davanti a Dio»: se dopo un esame serio e veritiero, il fedele<br />

sente che la sua coscienza è a posto, perché ama i fratelli con amore sincero (cfr. Agostino,<br />

Me<strong>di</strong>tazioni... p. 153), sperimenta un senso <strong>di</strong> serena confidenza (parresía), <strong>di</strong> sicurezza filiale<br />

davanti agli occhi e al cuore <strong>di</strong> Dio, che non possiamo ingannare. Di parresía <strong>Giovanni</strong> aveva<br />

già parlato in 2,28 (per quanto riguarda il momento della parusìa), ora ne parla come <strong>di</strong> un<br />

sentimento attuale, che anticipa quello futuro.<br />

«Se chie<strong>di</strong>amo qualcosa, la riceviamo da lui (Mc 11,24)»: è bello notare come il concetto <strong>di</strong><br />

fiducia filiale induce con naturalezza <strong>Giovanni</strong> a parlare <strong>di</strong> preghiera rivolta al Padre. La<br />

parresía <strong>di</strong>venta <strong>di</strong>alogo con Dio. Tale preghiera, dunque, è sempre efficace quando c'è la carità<br />

fattiva: Gv 14,13 Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia<br />

glorificato nel Figlio. Cfr. anche Gv 15,16. Gv 16,23 In verità, in verità vi <strong>di</strong>co: Se chiederete<br />

qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. 24 Finora non avete chiesto nulla nel mio<br />

nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena. Pregando il Padre nel suo nome<br />

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(cioè, con la forza <strong>di</strong>vina <strong>di</strong> Gesù, perché a lui uniti e conformi nell'amore), siamo sicuri <strong>di</strong> avere<br />

i doni più importanti: la gioia vera e la vita eterna (cfr. 5,14). Agostino si domanda: Chi non è<br />

ascoltato, non posssiede la carità? E risponde: I buoni talvolta non vengono esau<strong>di</strong>ti secondo la<br />

loro volontà, ma sono ascoltati in tutto in vista della salvezza: «Non avviene ciò che tu voi, ma<br />

avviene ciò che per te è bene» (cfr. Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 157.161). Chie<strong>di</strong>amo al Padre<br />

soprattutto il dono <strong>di</strong> un perfetto amore spirituale.<br />

«Poiché osserviamo i suoi comandamenti e facciamo le cose gra<strong>di</strong>te (’arestós da ’arésko)<br />

davanti a lui»: il motivo dell'esau<strong>di</strong>mento sta dunque nel fatto che Dio vede che noi mettiamo in<br />

pratica il comandamento dell'amore, che è quello che maggiormente egli gra<strong>di</strong>sce. Perfino il<br />

cieco nato sapeva queste cose: Gv 9,31 Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma<br />

se uno è timorato <strong>di</strong> Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta (cfr. anche Gv 8,29). L'osservanza dei<br />

comandamenti da parte nostra non crea dei <strong>di</strong>ritti, ma sicuramente pone una delle con<strong>di</strong>zioni<br />

necessarie per l'esau<strong>di</strong>mento. D'altra parte, se noi siamo abituati a fare le cose che piacciono al<br />

Padre, pregheremo con naturalezza anche nel modo a lui gra<strong>di</strong>to. Risulterebbe interessante<br />

esaminare il tema neotestamentario del piacere che Dio ha (cfr. Rom 12,1-2; 1 Cor 7,32; Ef 5,10;<br />

Fil 4,18; Col 1,10; 1 Tess 4,1; Ebr 12,28; 13,16.21). Il Padre si è compiaciuto in modo speciale<br />

<strong>di</strong> Cristo, suo Figlio (Mt 3,17). Il nostro Dio è il Dio della gioia vera, è il Dio che prova piacere<br />

per tutto ciò che è bello e buono.<br />

3. IL SUO COMANDAMENTO IN SINTESI: FEDE E AMORE (3,23)<br />

3.23 kai\ au(/th e)sti\n h( e)ntolh\ au)tou=,<br />

i(/na pisteu/swmen t%= o)no/mati tou= ui(ou= au)tou= )Ihsou= Xristou=<br />

kai\ a)gapw=men a)llh/louj, kaqw\j e)/dwken e)ntolh\n h(mi=n.<br />

3,23 E questo è il suo comandamento:<br />

che cre<strong>di</strong>amo nel nome del Figlio suo, Gesù Cristo<br />

e ci amiamo (gli uni gli) altri, secondo (il) comandamento (che) ci ha–dato.<br />

«E questo è il suo comandamento»: quali sono i comandamenti e le cose gra<strong>di</strong>te a Dio?<br />

l'Evangelista risponde offrendoci una sintesi stupenda, che contiene in sé tutta la ricchezza<br />

dell'annuncio evangelico: sono la fede e l'amore (i molti comandamenti <strong>di</strong> 22 e 24 <strong>di</strong>ventano qui<br />

uno solo). Gesù aveva presentato il comandamento dell'amore come il suo; ora <strong>Giovanni</strong><br />

presenta tale comandamento, arricchito dal dovere <strong>di</strong> credere, come comandamento del Padre<br />

(suo: <strong>di</strong> Dio). La vera fede <strong>di</strong>venta amore e l'amore vivifica la fede.<br />

«Che cre<strong>di</strong>amo (pistéuo) nel nome del Figlio suo, Gesù Cristo»: innanzi tutto è necessaria la<br />

fede. Su <strong>di</strong> essa si basano poi la carità e la speranza. Sugli effetti del credere cfr., ad esempio, Gv<br />

3,18: Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non<br />

ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio <strong>di</strong> Dio. Gv 3,36 Chi crede nel Figlio ha la vita eterna;<br />

chi non obbe<strong>di</strong>sce al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira <strong>di</strong> Dio incombe su <strong>di</strong> lui (Cfr. anche Gv<br />

5,24; 6,29.40; 11,25). Il nome <strong>di</strong> Gesù qui è presentato con grande solennità e completezza:<br />

Figlio suo, Gesù Cristo (Figlio e Messia). Doman<strong>di</strong>amoci sul serio: noi cre<strong>di</strong>amo davvero? In<br />

questa lettera spesso siamo invitati a confessare la nostra fede in Gesù (2,23; 4,2.15). Inoltre, la<br />

nostra fede si sa trasformare in carità? Fede e carità sono inseparabili: chi è privo <strong>di</strong> una, è privo<br />

anche dell’altra.<br />

«E ci amiamo (’agapáo) gli uni gli altri, secondo il comandamento che ci ha dato»: tale<br />

precetto ci è stato dato da Cristo o, meglio, dal Padre per mezzo <strong>di</strong> Cristo. Non possiamo fare a<br />

meno <strong>di</strong> citare nuovamente tale testo fondamentale: Gv 13,34 Vi do un comandamento nuovo:<br />

che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35 Da<br />

questo tutti sapranno che siete miei <strong>di</strong>scepoli, se avrete amore gli uni per gli altri. Gv 15,12<br />

Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. 13 Nessuno ha<br />

un amore più grande <strong>di</strong> questo: dare la vita per i propri amici. Gv 13,14 Se dunque io, il Signore<br />

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e il Maestro, ho lavato i vostri pie<strong>di</strong>, anche voi dovete lavarvi i pie<strong>di</strong> gli uni gli altri. 15 Vi ho<br />

dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. Fede vera in Gesù e amore<br />

sincero al fratello, la carità come opera <strong>di</strong> fede (Gal 5,6): ecco la sintesi del Vangelo e della vita<br />

cristiana. Notiamo che tale amore deve superare tutte le barriere ed essere praticato anche verso il<br />

nemico: Mt 5,44. Agostino afferma: «Non pensate che <strong>Giovanni</strong> non abbia detto nulla sull'amore<br />

dei nemici: lo ha fatto parlando della carità fraterna... Se... desideri, mentre ami il nemico, che ti<br />

<strong>di</strong>venti fratello, quando lo ami, ami un tuo fratello... Non ami in lui ciò che è, ma quel che<br />

desideri che <strong>di</strong>venga... Di conseguenza il perfetto amore è l'amore del nemico: e questo perfetto<br />

amore è incluso nell'amore fraterno» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 204).<br />

4. DIO DIMORA IN NOI E NOI IN LUI PER IL SUO SPIRITO (3,24)<br />

3.24 kai\ o( thrw=n ta\j e)ntola\j au)tou= e)n au)t%= me/nei kai\ au)to\j e)n au)t%=:<br />

kai\ e)n tou/t% ginw/skomen o(/ti me/nei e)n h(mi=n, e)k tou= pneu/matoj ou(= h(mi=n e)/dwken.<br />

3,24 E chi osserva i suoi comandamenti <strong>di</strong>mora in lui ed egli in lui.<br />

E da questo conosciamo che <strong>di</strong>mora in noi: dallo Spirito che ci ha–dato.<br />

«Chi osserva i suoi comandamenti <strong>di</strong>mora in lui ed egli in lui»: <strong>Giovanni</strong> conclude questo<br />

meraviglioso brano sulla fede e sull'amore <strong>di</strong>cendo due cose stupende. Ecco la 1 a : l'osservanza <strong>di</strong><br />

questi comandamenti (visti <strong>di</strong> nuovo come molti: fede, amore, con<strong>di</strong>visione...) porta ad una<br />

mistica e perfetta comunione con Dio (lui in noi, noi in lui) così come sono uniti e compenetrati<br />

Gesù e il Padre: Gv 17,21 ... Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa<br />

sola. Il concetto della nostra comunione con Dio è presente fin dall'inizio della lettera (1,3.6) e<br />

qui si esprime con il linguaggio del mistico ’en reciproco, già usato nel IV Vangelo: Gv 15,4:<br />

Rimanete in me e io in voi!<br />

«Da questo conosciamo che <strong>di</strong>mora (méno) in noi: dallo Spirito (Pnêuma) che ci ha dato»: la<br />

2 a cosa: il Padre ci ha donato lo Spirito <strong>San</strong>to (adombrato in precedenza dall'immagine del<br />

Crisma: 2,20.27 e qui nominato esplicitamente per la prima volta). Come facciamo a riconoscere<br />

la presenza in noi del vero Spirito? Non ha bisogno <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scernimento <strong>di</strong>fficile questo stesso<br />

dono <strong>di</strong>vino, che qui viene considerato come elemento utile per aiutarci a capire se Dio <strong>di</strong>mora in<br />

noi? Chi <strong>di</strong> noi può sapere con certezza <strong>di</strong> essere in possesso dello Spirito del Padre? Non siamo<br />

forse come quella persona che vuole sollevare se stessa afferrandosi per i capelli? Ecco la<br />

risposta: lo Spirito ci rende consapevoli che Dio <strong>di</strong>mora in noi (Cfr. anche 4,13; Rom 8,9)<br />

attraverso i segni della fede nel nome <strong>di</strong> Gesù e della carità verso i fratelli. Fede entusiasta e<br />

amore fattivo sono infatti opere dello Spirito (1 Tess 1,3). «Se infatti troverai <strong>di</strong> possedere la<br />

carità, tu hai lo Spirito <strong>di</strong> Dio» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 162).<br />

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3 a CONDIZIONE: DISCERNERE LE ISPIRAZIONI (UNITÀ 8)<br />

Vincere lo spirito del mondo e conoscere Dio che è Amore<br />

Presentazione e lettura <strong>di</strong> 1 Gv 4,1-10<br />

(<strong>Prima</strong> parte: vv. 1-6) <strong>Giovanni</strong> ci propone un brano fondamentale per il <strong>di</strong>scernimento<br />

spirituale. Inoltre (ed è la seconda parte), inizia con il v. 7 un approfon<strong>di</strong>mento sul tema<br />

dell'amore che si protrarrà per tutta l'Unità n. 9. Solo per non fare questa Lectio troppo breve e la<br />

seguente troppo lunga, abbiamo separato i vv. 7-10 dai vv. 11-21.<br />

1 - SAPER DISCERNERE LE ISPIRAZIONI<br />

1. METTERE ALLA PROVA GLI SPIRITI (4,1)<br />

4.1 )Agaphtoi/, mh\ panti\ pneu/mati pisteu/ete<br />

a)lla\ dokima/zete ta\ pneu/mata<br />

ei) e)k tou= qeou= e)stin,<br />

o(/ti polloi\ yeudoprofh=tai e)celhlu/qasin ei)j to\n ko/smon.<br />

4,1 Carissimi, non prestate–fede a–ogni ispirazione,<br />

ma esaminate le ispirazioni,<br />

(per <strong>di</strong>scernere) se sono da Dio,<br />

poiché molti falsi–profeti sono–comparsi nel mondo.<br />

«Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione (pnêuma)»: l'aver nominato la fede e lo<br />

Spirito <strong>San</strong>to, donato al credente, induce <strong>Giovanni</strong> a parlare ai suoi carissimi lettori degli spiriti,<br />

intesi nel senso <strong>di</strong> ispirazioni, suggestioni, profezie, illuminazioni, tendenze... Invita a non<br />

fidarsi, a non credere (pistéuo) a qualsiasi spirito: vi è infatti uno spirito buono, ma vi è anche<br />

quello cattivo e spesso non è facile <strong>di</strong>stinguerli subito. Bisogna dunque sempre fare un corretto<br />

<strong>di</strong>scernimento. Questo è il tema dei vv. 1-6, tema che viene esplicitamente segnalato nel primo e<br />

nell'ultimo versetto con le parole dokimázo (esamino) e ghinósko (conosco). Siccome le<br />

situazioni mutano, la comunità è viva e cresce in tutti i sensi e gli spiriti agiscono potentemente,<br />

c'è bisogno <strong>di</strong> un continuo aggiornamento. Per non sclerotizzarsi o per non innovare in modo<br />

sbagliato bisogna continuamente verificare la rotta e capire quale è la volontà <strong>di</strong> Dio attraverso i<br />

segni che lui invia nel tempo.<br />

«Ma esaminate (dokimázo) le ispirazioni (pnêuma)»: il suggerimento che l'<strong>Apostolo</strong> propone<br />

è quello <strong>di</strong> verificare, prendendo in serio esame, le <strong>di</strong>verse ispirazioni. Esaminare non fa comodo<br />

a chi tende a rigettare ogni ispirazione per non avere il fasti<strong>di</strong>o <strong>di</strong> fare un lungo e <strong>di</strong>fficile<br />

<strong>di</strong>scernimento che può portare anche ad un profondo cambiamento nelle abitu<strong>di</strong>ni, né è gra<strong>di</strong>to<br />

agli amanti delle novità a tutti i costi che accettano volentieri sempre tutto per buono. Già Paolo<br />

aveva dato queste norme: 1 Tess 5,19 Non spegnete lo Spirito, 20 non <strong>di</strong>sprezzate le profezie; 21<br />

esaminate (dokimázo) ogni cosa, tenete ciò che è buono. 22 Astenetevi da ogni specie <strong>di</strong> male.<br />

Esaminare vuol <strong>di</strong>re mettere <strong>alla</strong> prova, saggiare, sperimentare. Nella Chiesa <strong>di</strong> Corinto Paolo<br />

intervenne per insegnare ai carismatici il giusto comportamento, soprattutto per quanto<br />

riguardava l'esercizio della glossolalia e della profezia (1 Cor 12-14). L'e<strong>di</strong>ficazione della<br />

comunità è per lui uno dei criteri base per capire quali siano le scelte da fare: è buono solo ciò<br />

che e<strong>di</strong>fica i fratelli. Ognuno deve avere il coraggio e la sincerità <strong>di</strong> esaminare se stesso in modo<br />

da verificare le motivazioni che lo animano: Gal 6,4 Ciascuno esamini la propria condotta...; 2<br />

Cor 13,5 Mettete <strong>alla</strong> prova voi stessi, se siete nella fede; esaminatevi (dokimázo). Non<br />

riconoscete forse che Gesù Cristo abita in voi? (cfr. anche 1 Pt 1,7; Giac 1,3). Sono i fatti<br />

62


concreti (non separati dalle intenzioni profonde che li motivano) gli elementi che fanno capire il<br />

valore della condotta: 2 Cor 8,7 ... Distinguetevi anche in quest'opera generosa. 8 Non <strong>di</strong>co<br />

questo per farvene un comando, ma solo per mettere <strong>alla</strong> prova (dokimázo) la sincerità del<br />

vostro amore con la premura verso gli altri. Se poi vogliamo sapere che cosa sia quello che<br />

e<strong>di</strong>fica la comunità e che giova a noi stessi, dobbiamo in<strong>di</strong>viduare quello che piace a Dio: Ef 5,10<br />

Discernete (dokimázo) ciò che è gra<strong>di</strong>to al Signore, 11 e non partecipate alle opere infruttuose<br />

delle tenebre... 13 Tutte queste cose, che vengono apertamente condannate, sono rivelate d<strong>alla</strong><br />

luce... In altre parole, si tratta <strong>di</strong> riconoscere la volontà <strong>di</strong> Dio: Rom 12,2 Non conformatevi <strong>alla</strong><br />

mentalità <strong>di</strong> questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter <strong>di</strong>scernere<br />

(dokimázo) la volontà <strong>di</strong> Dio, ciò che è buono, a lui gra<strong>di</strong>to e perfetto. Cogliere l'azione dello<br />

Spirito <strong>San</strong>to, verificare la nostra fede e il valore delle nostre azioni, conoscere la volontà del<br />

Padre, non sono cose a nostra portata. Per questo motivo dobbiamo implorare il dono spirituale<br />

del <strong>di</strong>scernimento con una preghiera costante. Impariamo dunque a pregare da Paolo: Fil 1,9<br />

Prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>scernimento, 10 perché possiate <strong>di</strong>stinguere (dokimázo) sempre il meglio ed essere integri e<br />

irreprensibili per il giorno <strong>di</strong> Cristo, 11 ricolmi <strong>di</strong> quei frutti <strong>di</strong> giustizia che si ottengono per<br />

mezzo <strong>di</strong> Gesù Cristo, a gloria e lode <strong>di</strong> Dio. Tale preghiera non dev'essere fatta solo per una<br />

necessità psicologica (sotto la pressione <strong>di</strong> un bisogno umano <strong>di</strong> sicurezza), ma con l'intenzione<br />

sincera <strong>di</strong> conoscere, amare e servire perfettamente il Signore. Riassumendo, possiamo <strong>di</strong>re che<br />

operiamo un corretto <strong>di</strong>scernimento se la nostra intelligenza naturale viene potenziata dallo<br />

stu<strong>di</strong>o della Bibbia, d<strong>alla</strong> preghiera e dall'ascolto dei veri profeti del nostro tempo. Ci vuole<br />

dunque un dono speciale <strong>di</strong> luce spirituale che potenzi le nostre facoltà naturali. Gesù così<br />

apostrofava i suoi u<strong>di</strong>tori: Lc 12,56 Ipocriti! Sapete giu<strong>di</strong>care l'aspetto della terra e del cielo,<br />

come mai questo tempo non sapete giu<strong>di</strong>carlo? 57 E perché non giu<strong>di</strong>cate da voi stessi ciò che è<br />

giusto? Mancava loro la luce <strong>di</strong>vina. Se non c'è questa, ci si illude, come avviene per il giudeo a<br />

cui Paolo si rivolge: Rom 2,17 Ora, se tu ti vanti <strong>di</strong> portare il nome <strong>di</strong> Giudeo e ti riposi sicuro<br />

sulla legge, e ti glori <strong>di</strong> Dio, 18 del quale conosci la volontà e, istruito come sei d<strong>alla</strong> legge, sai<br />

<strong>di</strong>scernere (dokimázo) ciò che è meglio, 19 e sei convinto <strong>di</strong> essere guida dei ciechi, luce <strong>di</strong><br />

coloro che sono nelle tenebre, 20 educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché possie<strong>di</strong><br />

nella legge l'espressione della sapienza e della verità... 21 ebbene, come mai tu, che insegni agli<br />

altri, non insegni a te stesso? Tu che pre<strong>di</strong>chi <strong>di</strong> non rubare, rubi? 22 Tu che proibisci<br />

l'adulterio, sei adultero? Per poter fare un <strong>di</strong>scernimento valido ci vuole dunque coerenza,<br />

sincerità, umiltà e perseveranza, unitamente <strong>alla</strong> grazia <strong>di</strong>vina.<br />

«Per <strong>di</strong>scernere se sono da Dio»: le ispirazioni possono provenire da tre fonti: da Dio, dallo<br />

spirito del male o dall'uomo. Quelle provenienti da Dio o dallo Spirito <strong>San</strong>to sono sempre buone,<br />

quelle provenienti dallo spirito del male sono sempre cattive, anche se alle volte agli inizi hanno<br />

parvenza <strong>di</strong> bontà, quelle provenienti dall'uomo sono buone o cattive a seconda dello spirito che<br />

in ultima analisi vi sta sempre <strong>di</strong>etro. Quali sono i segni, gli elementi e le con<strong>di</strong>zioni utili per<br />

sapere se un'idea, una proposta, una decisione, una determinata attività sono ispirate da Dio<br />

oppure no? Fino ad ora <strong>Giovanni</strong> non ha fatto altro che suggerire i criteri per <strong>di</strong>scernere il bene<br />

dal male, Dio dal <strong>di</strong>avolo e quin<strong>di</strong>, ci ha già detto quali siano le doti <strong>di</strong> colui che è vero figlio <strong>di</strong><br />

Dio: l'umiltà <strong>di</strong> chi si riconosce peccatore e salvato (1,9); l'osservanza dei comandamenti,<br />

riassunti in quello dell'amore vero (2,5); l'imitazione <strong>di</strong> Cristo (2,6); la resistenza alle logiche del<br />

mondo e alle sue tipiche brame (2,15); la comunione con gli apostoli e i credenti (1,7; 2, 19); la<br />

vera novità (2,8); la fede in Gesù Cristo, Figlio <strong>di</strong> Dio (2,22); la fedeltà <strong>alla</strong> pre<strong>di</strong>cazione<br />

originaria (2,24); la docilità all'azione illuminante dello Spirito <strong>San</strong>to (2,27); la pratica della<br />

giustizia e il rifiuto del peccato (3,7); l'amore vero e operoso verso il fratello fino a dare la vita<br />

per lui (3,10.16.18). A tutti questi dati, che servono come criteri <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio (oltre ad essere<br />

qualità richieste in chi <strong>di</strong>scerne), <strong>Giovanni</strong> ne sta per aggiungere uno straor<strong>di</strong>nario, che li<br />

riassume tutti (ve<strong>di</strong> 4,2).<br />

63


«Poiché molti falsi profeti (pseudo-profétes) sono comparsi nel mondo»: per l'<strong>Apostolo</strong> è<br />

quanto mai urgente saper <strong>di</strong>scernere il vero dal falso perché, come ha già detto innanzi (2,18.26),<br />

sono sorti molti profeti <strong>di</strong> menzogna, che cercano <strong>di</strong> traviare i fedeli (cfr. 2 Cor 11,13-15; 1 Tim<br />

1,19-20; 4,1-3; 6,3-5; 2 Tim 2,14-18; 3,1-9; 4,3-4; Tit 1,10-11). Il profeta ingannatore è quello<br />

che pretende <strong>di</strong> parlare a nome del vero Dio. Per conoscere lo stile del vero profeta dovremmo<br />

leggere gli scritti <strong>di</strong> profeti del calibro <strong>di</strong> Isaia, Geremia, Ezechiele, Amos e Osea, ecc. Il vero<br />

profeta promuove sul serio la conversione, la purificazione del cuore. Il falso segue la moda e<br />

<strong>di</strong>ce quello che la gente desidera che le venga detto (cfr. Ger 8,11; 27,16, 28,1 ss). Il mondo dà<br />

retta volentieri a chi lo sa accarezzare (5).<br />

2. CHI CONFESSA GESÙ INCARNATO È DA DIO (4,2-3)<br />

4.2 e)n tou/t% ginw/skete to\ pneu=ma tou= qeou=:<br />

pa=n pneu=ma o(\ o(mologei= )Ihsou=n Xristo\n e)n sarki\ e)lhluqo/ta e)k tou= qeou= e)stin,<br />

4.3 kai\ pa=n pneu=ma o(\ mh\ o(mologei= to\n )Ihsou=n e)k tou= qeou= ou)k e)/stin:<br />

kai\ tou=to/ e)stin to\ tou= a)ntixri/stou, o(\ a)khko/ate o(/ti e)/rxetai,<br />

kai\ nu=n e)n t%= ko/sm% e)sti\n h)/dh.<br />

4,2 Da questo potete–riconoscere lo spirito <strong>di</strong> Dio:<br />

ogni spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio;<br />

4,3 e ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio.<br />

Questo anzi è quello dell'anticristo che avete–u<strong>di</strong>to che viene<br />

e (che) adesso è già nel mondo.<br />

«Da questo potete riconoscere lo spirito (pnêuma) <strong>di</strong> Dio»: per l'ennesima volta esprimendosi<br />

con la tipica espressione, che ormai siamo abituati a leggere, Da questo potete riconoscere...<br />

(2,3.5.18; 3,10.16.19.24; 4.13; 5,2), <strong>Giovanni</strong> ci offre il criterio supremo per capire, per valutare<br />

se un'ispirazione viene da Dio.<br />

«Ogni spirito (pnêuma) che riconosce (‘omo-loghéo) Gesù Cristo venuto nella carne, è da<br />

Dio (1 Cor 12,3)»: che questo segno in<strong>di</strong>catore sia fondamentale ce lo conferma il fatto che<br />

<strong>Giovanni</strong> lo ripete nella sua seconda lettera: 2 Gv 7 Poiché molti sono i seduttori che sono<br />

apparsi nel mondo, i quali non riconoscono Gesù venuto nella carne. Ecco il seduttore e<br />

l'anticristo! 8 Fate attenzione a voi stessi, perché non abbiate a perdere quello che avete<br />

conseguito, ma possiate ricevere una ricompensa piena. 9 Chi va oltre e non si attiene <strong>alla</strong><br />

dottrina del Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene <strong>alla</strong> dottrina, possiede il Padre e il Figlio.<br />

In precedenza l'Evangelista aveva affermato che non si deve negare che Gesù è il Cristo e non si<br />

deve negare il Padre e il Figlio, ma professare (‘omo-loghéo) il Figlio per possedere il Padre<br />

(2,22-23; 5,1); che si deve credere (pistéuo) nel nome del Figlio suo, Gesù Cristo (3,23; 5,13).<br />

Fra poco <strong>di</strong>rà che bisogna riconoscere (‘omo-loghéo) Gesù come Figlio <strong>di</strong> Dio (4,15; 5,5.10) e<br />

credere (pistéuo) a Dio e <strong>alla</strong> sua testimonianza (5,10). Siamo abbastanza abituati a queste<br />

tra<strong>di</strong>zionali espressioni <strong>di</strong> fede in Gesù Cristo, Figlio <strong>di</strong> Dio, uguale al Padre. Ci risulta nuova la<br />

sottolineatura, ben marcata, che è da Dio chi riconosce Gesù Cristo venuto nella carne (<strong>Giovanni</strong><br />

usa il perfetto: è venuto e ci rimane). Eppure si tratta <strong>di</strong> un'affermazione fondamentale, che mette<br />

in risalto tutta l'importanza dell'Incarnazione e delle sue conseguenze. Gesù è vero uomo, con<br />

tutta la verità della sua corporeità: La Parola si fece carne e mise la tenda in mezzo a noi e noi<br />

abbiamo contemplato la sua gloria, gloria <strong>di</strong> Unigenito presso il Padre, pieno <strong>di</strong> grazia e <strong>di</strong><br />

verità (Gv 1,14). Per questo motivo la Parola della vita è stata contemplata con gli occhi, u<strong>di</strong>ta<br />

con le orecchie e toccata con le mani; per questo la Vita si è fatta visibile (1,1-3). Per contro, la<br />

carne della Parola <strong>di</strong> Dio (la sua umanità in<strong>di</strong>cata nella concretezza anche materiale), viene<br />

<strong>di</strong>vinizzata, viene trasfigurata dallo Spirito <strong>San</strong>to, in un modo misterioso, ma reale. Col 2,9 È in<br />

Cristo che abita corporalmente (somatikôs) tutta la pienezza della <strong>di</strong>vinità, 10 e voi avete in lui<br />

parte <strong>alla</strong> sua pienezza, <strong>di</strong> lui cioè che è il capo <strong>di</strong> ogni Principato e <strong>di</strong> ogni Potestà. La carne <strong>di</strong><br />

64


Cristo rende materiale lo spirituale e umano il <strong>di</strong>vino, mentre <strong>di</strong>venta spirituale e <strong>di</strong>vina per la<br />

sua unione inscin<strong>di</strong>bile con la persona del Figlio <strong>di</strong> Dio. Solo per questo motivo la carne del<br />

Cristo riesce a dare la vita al mondo (Gv 6,51-57) e la comunione con essa è comunione con Dio<br />

e fa <strong>di</strong> noi (e dei nostri corpi) un solo corpo in Cristo (1 Cor 10,16-17; Rom 12,5). Ne consegue<br />

che il corpo del fedele (a motivo della fede e dei sacramenti) <strong>di</strong>venta tempio dello Spirito <strong>San</strong>to<br />

(1 Cor 6,19), membro del corpo <strong>di</strong> Cristo (1 Cor 6,15). Siamo perciò il corpo <strong>di</strong> Cristo (1 Cor<br />

12,27), <strong>di</strong> lui, che è la testa <strong>di</strong> questo corpo (Ef 1,22-23; Col 1,18): chi tocca il nostro corpo,<br />

tocca Cristo, tocca Dio (cfr. Mt 25,40 Rispondendo, il re <strong>di</strong>rà loro: In verità vi <strong>di</strong>co: ogni volta<br />

che avete fatto queste cose a uno solo <strong>di</strong> questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me). Se<br />

capissimo tutta la novità e la bellezza <strong>di</strong> questa verità ne saremo sbalor<strong>di</strong>ti e tutta la nostra vita<br />

cambierebbe il suo senso e il suo valore: il nostro corpo materiale è lo strumento adatto per<br />

glorificare Dio (1 Cor 6,20; Rom 12,1; Fil 1,20), il nostro corpo mortale è destinato ad essere<br />

glorificato come lo è quello <strong>di</strong> Gesù (Fil 3,21; 1 Cor 13,44; Rom 8,11). Già fin d'ora la vita<br />

<strong>di</strong>vina <strong>di</strong> Gesù si manifesta nel nostro corpo (2 Cor 4,10). Il favorire tutto quello che concorre<br />

<strong>alla</strong> crescita e allo sviluppo integrale dell'uomo e della donna e della loro <strong>di</strong>gnità è un modo<br />

concreto per riconoscere il Cristo venuto nella carne.<br />

«Ogni spirito (pnêuma) che non riconosce Gesù, non è da Dio»: abbiamo già constatato che<br />

<strong>Giovanni</strong> è solito <strong>di</strong>pingere i suoi quadri con due soli colori: il bianco e il nero. Per questo<br />

motivo, quanto egli ha detto in positivo nel v. 2, lo ripete in negativo nel v. 3. Il non riconoscere<br />

Gesù (il Gesù storico, con tutto quello che questo fatto comporta: la sua vera umanità, la<br />

comunità da lui derivante, la sua Cena, la sua qualità <strong>di</strong> Dio salvatore...) è il segno chiaro che<br />

l'ispirazione non viene da Dio, ma dal suo avversario, che cerca in tutti i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>sincarnare<br />

quella Parola che si è fatta uomo. Noi dobbiamo capire che la vera conoscenza <strong>di</strong> Dio passa<br />

attraverso quella dell'uomo Gesù e che la purificazione dei peccati è effetto del suo sangue.<br />

Agostino ci fa fare un passo in avanti: chi non ha la carità nega con i fatti che Cristo è venuto<br />

nella carne, perché egli si incarnò per amore (cfr. Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 169).<br />

«Questo anzi è quello dell'anticristo che avete u<strong>di</strong>to che viene»: l'<strong>Apostolo</strong> precisa che il<br />

misconoscimento e la deformazione della realtà vera <strong>di</strong> Gesù denota l'azione più pericolosa dello<br />

spirito dell'anticristo (2,18).<br />

«E che adesso è già nel mondo»: per <strong>Giovanni</strong> tale anticristo è già presente nel mondo e si<br />

concretizza in tutti coloro che hanno rotto i rapporti fraterni con la comunità cristiana, con la sua<br />

fede e la sua pre<strong>di</strong>cazione originaria della Parola, sentita, vista e toccata. Esso è nel mondo,<br />

inteso non solo come scenario nel quale agiscono buoni e cattivi, ma anche come ambiente<br />

umano ostile <strong>alla</strong> vera fede, inquinato proprio d<strong>alla</strong> presenza dello spirito anticristiano.<br />

2 – VINCERE I FALSI PROFETI<br />

1. VOI SIETE DA DIO E LI AVETE VINTI (4,4-5)<br />

4.4 u(mei=j e)k tou= qeou= e)ste, tekni/a, kai\ nenikh/kate au)tou/j,<br />

o(/ti mei/zwn e)sti\n o( e)n u(mi=n h)\ o( e)n t%= ko/sm%.<br />

4.5 au)toi\ e)k tou= ko/smou ei)si/n,<br />

<strong>di</strong>a\ tou=to e)k tou= ko/smou lalou=sin kai\ o( ko/smoj au)tw=n a)kou/ei.<br />

4,4 Voi siete da Dio, figlioli, e li avete–vinti,<br />

poiché colui–che (è) in voi è più–grande <strong>di</strong> colui–che (è) nel mondo.<br />

4,5 Essi sono dal mondo,<br />

perciò parlano (delle cose) dal mondo e il mondo li ascolta.<br />

«Voi siete da Dio, figlioli, e li avete vinti (nikáo)»: <strong>Giovanni</strong> dopo aver fornito ai suoi lettori<br />

(paternamente chiamati figlioli) elementi fondamentali per fare un preciso e sicuro<br />

<strong>di</strong>scernimento, interviene con la sua autorevolezza <strong>di</strong> apostolo per <strong>di</strong>re loro che essi sono da Dio<br />

65


e che quin<strong>di</strong> hanno vinto gli anticristi (2,13 b ; 5,4.5), cioè, non si sono accodati al loro gruppo e<br />

non li hanno approvati, ma li hanno combattuti vittoriosamente. Quando l'<strong>Apostolo</strong> afferma<br />

queste cose, i lettori possono avere una ragione valida per ritenersi umilmente sulla giusta strada.<br />

«Poiché colui, che è in voi, è più grande <strong>di</strong> colui, che è nel mondo»: l'Evangelista attribuisce<br />

la vittoria dei fedeli <strong>alla</strong> forza ed <strong>alla</strong> grandezza <strong>di</strong> Dio, ben superiore allo spirito che agisce nel<br />

mondo (inteso in senso negativo: 5,19). Cfr. Gv 10,29 Il Padre mio... è più grande <strong>di</strong> tutti.<br />

«Essi sono dal mondo»: i falsi profeti ed i loro seguaci appartengono al mondo del male. Ci<br />

sembra <strong>di</strong> sentire Gesù che parla durante l'Ultima Cena: Gv 15,19 Se foste dal mondo, il mondo<br />

amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete dal mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per<br />

questo il mondo vi o<strong>di</strong>a. Sui menzogneri e sui traviati cade la sentenza dell'apostolo, che imita il<br />

linguaggio <strong>di</strong> Gesù e ne ripete il giu<strong>di</strong>zio.<br />

«Perciò parlano delle cose dal mondo e il mondo li ascolta»: letteralmente è detto parlano<br />

dal mondo: cioè dal mondo prendono gli argomenti, le logiche, il linguaggio, gli interessi...<br />

Agostino <strong>di</strong>ce che il mondo parla contro la carità, invita a vendetta (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p.<br />

176). Chi appartiene, per la sua mentalità e i suoi comportamenti al mondo, è attirato da tali<br />

pre<strong>di</strong>catori. Qui troviamo un criterio: l’u<strong>di</strong>torio che un profeta ha, fa capire che tipo <strong>di</strong> profeta<br />

egli sia. Gesù <strong>di</strong>ceva: Gv 3,12 Se vi ho parlato <strong>di</strong> cose della terra e non credete, come crederete<br />

se vi parlerò <strong>di</strong> cose del cielo? Chi può capire il linguaggio spirituale? Paolo, da parte sua, ci<br />

<strong>di</strong>ce che le cose <strong>di</strong> Dio le capisce solo chi ha lo Spirito <strong>San</strong>to: 1 Cor 2,12 Ora, noi non abbiamo<br />

ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito <strong>di</strong> Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato.<br />

13 Di queste cose noi parliamo, non con un linguaggio suggerito d<strong>alla</strong> sapienza umana, ma<br />

insegnato dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. 14 L'uomo naturale<br />

(psykhikós) però non comprende le cose dello Spirito <strong>di</strong> Dio; esse sono follia per lui, e non è<br />

capace <strong>di</strong> intenderle, perché se ne può giu<strong>di</strong>care solo per mezzo dello Spirito. 15 L'uomo<br />

spirituale (pneumatikòs) invece giu<strong>di</strong>ca ogni cosa, senza poter essere giu<strong>di</strong>cato da nessuno. 16<br />

Chi infatti ha conosciuto il pensiero del Signore in modo da poterlo <strong>di</strong>rigere? Ora, noi abbiamo<br />

il pensiero <strong>di</strong> Cristo. Il titolo <strong>di</strong> uomo naturale vale per i miscredenti, ma spesso anche per noi,<br />

che ci <strong>di</strong>ciamo credenti e poi chiu<strong>di</strong>amo il cuore <strong>alla</strong> parola <strong>di</strong> Dio.<br />

2. NOI SIAMO DA DIO E CHI CONOSCE DIO CI ASCOLTA (4,6)<br />

4.6 h(mei=j e)k tou= qeou= e)smen:<br />

o( ginw/skwn to\n qeo\n a)kou/ei h(mw=n,<br />

o(\j ou)k e)/stin e)k tou= qeou= ou)k a)kou/ei h(mw=n.<br />

e)k tou/tou ginw/skomen to\ pneu=ma th=j a)lhqei/aj kai\ to\ pneu=ma th=j pla/nhj.<br />

4,6 Noi siamo da Dio.<br />

Chi conosce Dio ascolta noi;<br />

chi non è da Dio non ci ascolta.<br />

Da ciò conosciamo lo spirito della verità e lo spirito dell'errore.<br />

«Noi siamo da Dio»: <strong>di</strong>cendo noi, l'<strong>Apostolo</strong> mette innanzi tutto in risalto il gruppo<br />

autorevole dei testimoni al quale egli appartiene (il noi che ha scritto o con<strong>di</strong>viso la stesura <strong>di</strong><br />

questa lettera). Egli però unisce a sé anche i suoi ascoltatori e <strong>di</strong>ce: Noi (tutti) siamo da Dio,<br />

maestri nella fede e <strong>di</strong>scepoli del Signore (tutta la comunità credente).<br />

«Chi conosce Dio ascolta noi»: la presenza e la voce dell'apostolo è garanzia <strong>di</strong> verità. Questo<br />

è un valido criterio <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio. I veri profeti, pur mantenendo tutta la loro libertà innovativa,<br />

obbe<strong>di</strong>scono all'autorità ecclesiale e sono fedeli al deposito tra<strong>di</strong>zionale (2 Tim 1,14).<br />

L'affermazione che chi conosce Dio ascolta la Chiesa vuol <strong>di</strong>re almeno due cose: 1° che il<br />

singolo fedele ha, a motivo <strong>di</strong> questo ascolto, una garanzia <strong>di</strong> essere in relazione con il vero Dio;<br />

2° che chi ascolta la comunità lo fa perché conosce Dio, perché è in sintonia con lui e <strong>di</strong> lui ha<br />

esperienza.<br />

66


«Chi non è da Dio non ci ascolta (Gv 8,47)»: ecco ora la pennellata <strong>di</strong> nero, che fa risaltare<br />

meglio quanto appena affermato. Il mondo non ascolta certo gli apostoli veri e questo fatto<br />

depone a loro favore. Noi, in base al commento della frase che precede, ci doman<strong>di</strong>amo: Cosa<br />

vuol <strong>di</strong>re il fatto che leggiamo poco la Bibbia e gli insegnamenti della Chiesa? Vuol <strong>di</strong>re che la<br />

Chiesa non è quella vera o che noi non conosciamo bene Dio?<br />

«Da ciò conosciamo lo spirito della verità (’alétheia) e lo spirito dell'errore (pláne)»:<br />

<strong>Giovanni</strong> riassume la sua lezione sul <strong>di</strong>scernimento, <strong>di</strong>cendo: Da ciò conosciamo... e ci fa capire<br />

che lo spirito <strong>di</strong> Dio è quello della verità, mentre quello del mondo e dell'anticristo è quello del<br />

traviamento. Conclu<strong>di</strong>amo: <strong>Giovanni</strong> ci invita a fare la fatica del <strong>di</strong>scernimento: lo Spirito <strong>San</strong>to<br />

agisce sicuramente nella Chiesa, ma la sua azione è misteriosa e delicatissima e perciò non<br />

sempre è ben percepibile sino dai suoi inizi (il Regno dei cieli è come un granello <strong>di</strong> senape: Mt<br />

13,31). Abbiamo bisogno <strong>di</strong> un dono speciale della grazia.<br />

3 - LA PIÙ BELLA DEFINIZIONE: DIO È AMORE<br />

1. CHI AMA È GENERATO DA DIO E CONOSCE DIO (4,7-8)<br />

4.7 )Agaphtoi/, a)gapw=men a)llh/louj, o(/ti h( a)ga/ph e)k tou= qeou= e)stin,<br />

kai\ pa=j o( a)gapw=n e)k tou= qeou= gege/nnhtai kai\ ginw/skei to\n qeo/n.<br />

4.8 o( mh\ a)gapw=n ou)k e)/gnw to\n qeo/n, o(/ti o( qeo\j a)ga/ph e)sti/n.<br />

4,7 Carissimi, amiamoci (gli uni gli) altri, poiché l'amore è da Dio:<br />

e chiunque ama è–generato da Dio e conosce Dio.<br />

4,8 Chi non ama non ha–conosciuto Dio, poiché Dio è Amore.<br />

«Carissimi (’agapetós), amiamoci gli uni gli altri, poiché l'amore è da Dio»: dopo aver<br />

insegnato i criteri del <strong>di</strong>scernimento spirituale circa la vera fede e la retta dottrina, <strong>Giovanni</strong><br />

riprende il suo tema preferito: il dovere <strong>di</strong> amarci gli uni gli altri, presentato qui, come già in<br />

precedenza (2,10), come criterio <strong>di</strong> valutazione, perché l'amore è da Dio. Ricor<strong>di</strong>amo qui<br />

brevemente i <strong>di</strong>versi inviti all'amore reciproco: 2,7-10 (è un comandamento antico e nuovo che fa<br />

<strong>di</strong>morare nella luce); 3,11-6 (ha Gesù come modello); 3,18 (va realizzato con i fatti); 3,23 (va<br />

praticato secondo il precetto datoci da Gesù); 4,7.11 (è promosso dall'amore <strong>di</strong> Dio). È<br />

bellissimo il modo <strong>di</strong> esprimersi <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> se traduciamo <strong>alla</strong> lettera: Amatissimi, amiamoci...<br />

L'<strong>Apostolo</strong> sente <strong>di</strong> amare i suoi fedeli e invita ad amare tutti perché l'amore vero (’agápe) è un<br />

dono proveniente da Dio.<br />

«Chiunque ama è generato (ghínomai) da Dio e conosce Dio»: riassumiamo qui la dottrina <strong>di</strong><br />

questa lettera sulla generazione da Dio: ecco le con<strong>di</strong>zioni per essere generati da Dio: praticare la<br />

giustizia (2,29), credere che Gesù è il Cristo; ecco gli effetti: chi è nato da Dio non pecca e non<br />

può peccare (3,9; 5,18), vince il mondo (5,4). Cristo poi è il Generato per eccellenza (5,1). Qui<br />

<strong>Giovanni</strong> vede l'essere generati e il conoscere Dio come due segni che sono, insieme, con<strong>di</strong>zione<br />

ed effetto dell'amore.<br />

«Chi non ama non ha conosciuto Dio, poiché Dio è Amore (’agápe)»: Dio, presentato<br />

all'inizio ar<strong>di</strong>tamente come Luce (1,5), viene ora definito stupendamente come Amore<br />

(definizione ripetuta in 4,16: le uniche due volte in tutta la Bibbia). Dio in quanto Padre è Amore<br />

amante, in quanto Figlio è Amore amato e in quanto Spirito è Amore vivente. Dio si svela solo a<br />

chi <strong>di</strong>venta amore. «Che cosa <strong>Giovanni</strong> poteva <strong>di</strong>re <strong>di</strong> più, o fratelli? Se non ci fosse in tutta<br />

questa Epistola e in tutte le pagine della Scrittura nessuna lode della carità all'infuori <strong>di</strong> questa<br />

sola parola che abbiamo intesa d<strong>alla</strong> bocca dello Spirito, che cioè: Dio è carità, non dovremmo<br />

chiedere niente <strong>di</strong> più. Vedete dunque che agire contro l'amore, significa agire contro Dio». «Non<br />

poteva <strong>Giovanni</strong> raccomandarti la carità in modo più incisivo che chiamandola Dio. Forse eri<br />

tentato <strong>di</strong> <strong>di</strong>sprezzare un dono <strong>di</strong> Dio, ma <strong>di</strong>sprezzerai anche Dio?» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p.<br />

67


178.209). Qui non servono altre parole <strong>di</strong> commento, ma solo una profonda contemplazione<br />

estatica.<br />

2. DIO HA DIMOSTRATO IL SUO AMORE INVIANDO IL FIGLIO (4,9-10)<br />

4.9 e)n tou/t% e)fanerw/qh h( a)ga/ph tou= qeou= e)n h(mi=n,<br />

o(/ti to\n ui(o\n au)tou= to\n monogenh= a)pe/stalken o( qeo\j ei)j to\n ko/smon<br />

i(/na zh/swmen <strong>di</strong>' au)tou=.<br />

4.10 e)n tou/t% e)sti\n h( a)ga/ph, ou)x o(/ti h(mei=j h)gaph/kamen to\n qeo/n<br />

a)ll' o(/ti au)to\j h)ga/phsen h(ma=j kai\ a)pe/steilen to\n ui(o\n au)tou=<br />

i(lasmo\n peri\ tw=n a(martiw=n h(mw=n.<br />

4,9 In questo si–è–manifestato l'amore <strong>di</strong> Dio per [in] noi:<br />

poiché Dio ha–mandato il suo Figlio, l'Unigenito, nel mondo,<br />

affinché vivessimo per–mezzo–<strong>di</strong> lui.<br />

4,10 In questo sta l'amore: non che noi abbiamo–amato Dio,<br />

ma che lui ha–amato noi e ha–mandato il suo Figlio<br />

(come vittima <strong>di</strong>) espiazione per i nostri peccati.<br />

«In questo si è manifestato (faneróo) l'amore <strong>di</strong> Dio per noi»: l'amore che Dio ha per noi non<br />

è fatto <strong>di</strong> soli pensieri o sentimenti, ma <strong>di</strong> opere concrete <strong>di</strong> salvezza che lo manifestano. Questa<br />

manifestazione consiste nell'Incarnazione (cfr. 1,2; 3,5.8; 4,9).<br />

«Poiché Dio ha mandato il suo Figlio, l'Unigenito, nel mondo»: Gesù lo aveva già detto<br />

chiaramente a Nicodemo: Gv 3,16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio<br />

unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. 17 Dio non ha<br />

mandato il Figlio nel mondo per giu<strong>di</strong>care il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo <strong>di</strong><br />

lui. Agostino così commenta il fatto che il Padre e Giuda consegnarono Gesù e che anche Gesù<br />

liberamente consegnò se stesso: «il Padre e il Figlio fecero ciò nella carità; compì la stessa azione<br />

anche Giuda, ma nel tra<strong>di</strong>mento... Bene<strong>di</strong>ciamo il Padre e detestiamo Giuda. Perché...?<br />

Benedciamo la carità e detestiamo l'iniquità... Tanto vale la carità! Vedete che essa sola valorizza<br />

e <strong>di</strong>stingue le azioni... Una volta per tutte ti viene dato un breve precetto: ama e fa ciò che vuoi...<br />

Sia in te la ra<strong>di</strong>ce dell'amore, poiché da questa ra<strong>di</strong>ce non può nascere che il bene» (Agostino,<br />

Me<strong>di</strong>tazioni... p. 182).<br />

«Affinché vivessimo per mezzo <strong>di</strong> lui»: il mondo, in questo caso, siamo noi, e la vita eterna<br />

donataci consiste nel vivere per mezzo <strong>di</strong> Cristo fino al punto da <strong>di</strong>re con Paolo: Gal 2,20 ... Non<br />

sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del<br />

Figlio <strong>di</strong> Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. L'amore è vita; è il Cristo vivente in<br />

noi!<br />

«In questo sta l'amore: non che noi abbiamo amato Dio»: l'amore non può partire da noi<br />

esseri umani. Parte unicamente da Dio. Noi non siamo capaci <strong>di</strong> amare né Dio, né il prossimo e<br />

nemmeno noi stessi in maniera corretta. Solo Dio può farci capire che cosa è l'amore vero e può<br />

donarci la capacità <strong>di</strong> viverlo.<br />

«Ma che lui ha amato noi»: solo Dio sa amare veramente. Io sono convinto <strong>di</strong> una cosa: è ben<br />

<strong>di</strong>fficile capire perché Dio esiste; è un mistero che supera la nostra intelligenza. Eppure c'è<br />

un'intuizione del cuore che mi convince e mi entusiasma: Dio esiste necessariamente, perché non<br />

può non esistere l'amore infinito e perfetto. L'amore <strong>di</strong>vino è troppo bello perché non esista,<br />

perché non abbia la forza in sé stesso <strong>di</strong> esistere!<br />

«E ha mandato il suo Figlio come vittima <strong>di</strong> espiazione per i nostri peccati (cfr. 2,2)»: l'amore<br />

<strong>di</strong> Dio è talmente grande (infinito) che non solo ha mandato il Figlio suo, l'Unigenito, uguale al<br />

Padre, ma lo ha dato a noi come vittima <strong>di</strong> espiazione, perché con la sofferenza della sua croce<br />

fossimo liberati dai peccati. Paolo non esita ad esprimere la sua meraviglia: Rom 5,6 Infatti,<br />

mentre noi eravamo ancora peccatori, Cristo morì per gli empi nel tempo stabilito. 7 Ora, a<br />

68


stento si trova chi sia <strong>di</strong>sposto a morire per un giusto; forse ci può essere chi ha il coraggio <strong>di</strong><br />

morire per una persona dabbene. 8 Ma Dio <strong>di</strong>mostra il suo amore verso <strong>di</strong> noi perché, mentre<br />

eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. 9 A maggior ragione ora, giustificati per il<br />

suo sangue, saremo salvati dall'ira per mezzo <strong>di</strong> lui. 10 Se infatti, quand'eravamo nemici, siamo<br />

stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo<br />

riconciliati, saremo salvati me<strong>di</strong>ante la sua vita. 11 Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per<br />

mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, dal quale ora abbiamo ottenuto la riconciliazione. Quale<br />

grande Amore quello del Padre e <strong>di</strong> Gesù per noi!<br />

69


4 a CONDIZIONE: RIMANERE NELL'AMORE PERFETTO (UNITÀ 9)<br />

Se confessiamo Gesù e ci amiamo, Dio <strong>di</strong>mora in noi<br />

Lettura e approfon<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> 1 Gv 4,11-21<br />

L'Unità si <strong>di</strong>vide in quattro parti. Ecco in sintesi i contenuti:<br />

1° - l'amore fraterno è necessario,<br />

2° - il Padre ha inviato il Figlio suo per amore,<br />

3° - l'amore perfetto scaccia la paura e dona fiducia,<br />

4° - amiamoci dunque a vicenda perché Dio ci ha amati per primo e può essere amato solo nel<br />

fratello.<br />

1 - AMIAMOCI GLI UNI GLI ALTRI SULL’ESEMPIO DI DIO<br />

1. L'AMORE PERFETTO È ESPERIENZA DI DIO (4,11-12)<br />

4.11 )Agaphtoi/, ei) ou(/twj o( qeo\j h)ga/phsen h(ma=j,<br />

kai\ h(mei=j o)fei/lomen a)llh/louj a)gapa=n.<br />

4.12 qeo\n ou)dei\j pw/pote teqe/atai.<br />

e)a\n a)gapw=men a)llh/louj,<br />

o( qeo\j e)n h(mi=n me/nei kai\ h( a)ga/ph au)tou= e)n h(mi=n teteleiwme/nh e)stin.<br />

4,11 Carissimi, se così–tanto Dio ci ha–amato,<br />

anche noi dobbiamo amar(ci gli uni gli) altri.<br />

4,12 Nessuno mai ha–contemplato Dio;<br />

se (ci) amiamo (gli uni gli) altri,<br />

Dio rimane in noi e l'amore <strong>di</strong>–lui è perfetto in noi.<br />

«Carissimi, se così tanto Dio ci ha amato (’agapáo)»: <strong>Giovanni</strong> sente che i fedeli a cui si<br />

rivolge sono carissimi a Dio e a lui. Insiste nel <strong>di</strong>re che l'amore <strong>di</strong> Dio per noi è davvero<br />

sorprendentemente grande (cfr. 3,1 e soprattutto 4,9-10: il Padre ha inviato Cristo, apostolo del<br />

suo amore).<br />

«Anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri»: l'amore <strong>di</strong> Dio è totalmente gratuito e capace<br />

<strong>di</strong> fare i doni più impensabili (così tanto, cioè fino al dono del Figlio), ma è anche molto<br />

esigente: per corrispondergli dobbiamo amare il prossimo imitando la tenerezza e la creatività<br />

che Dio ha <strong>di</strong>mostrato verso <strong>di</strong> noi (Cfr. Mt 18,33). In questa lettera, <strong>Giovanni</strong> per ben 5 volte ci<br />

ripete l'invito ad amarci gli uni gli altri: 3,11.23; 4,7.11.12. Per tre volte poi ci parla dei vantaggi<br />

che ci sono nell'amare i fratelli: 2,10; 3,14; 4,21; un volta dell'amore verso i figli <strong>di</strong> Dio: 5,2.<br />

L'invito più pressante è quello <strong>di</strong> amarci a vicenda: l'amore scambievole potenzia l'affetto e la<br />

comunione, ci fa amare gli altri e ci rende amabili a loro in un crescendo continuo.<br />

«Nessuno mai ha contemplato Dio»: se contemplare Dio è il vero desiderio <strong>di</strong> ogni vero<br />

credente e l'appagamento completo <strong>di</strong> ogni cuore, ebbene, nessuno può sod<strong>di</strong>sfare questa infinita<br />

esigenza. Dio rimane al <strong>di</strong> fuori delle nostre capacità percettive, supera ogni intelligenza e ogni<br />

fantasia. Solo Gesù poteva <strong>di</strong>re <strong>di</strong> aver visto il Padre (3,32; 6,46) e <strong>di</strong> averne un'esperienza<br />

<strong>di</strong>retta. Lui però ce lo manifesta: Gv 1,18 Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito,<br />

che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato. In quale modo però ce lo svela? Egli rende visibile il<br />

volto bellissimo del Padre nel suo amore per noi, ma solo se siamo partecipi del suo stesso<br />

amore. «Se vuoi vedere Dio hai a <strong>di</strong>sposizione l'idea giusta: Dio è amore. Quale volto ha<br />

l'amore? Quale forma, quale statura, quali pie<strong>di</strong>, quali mani? Nessuno lo può <strong>di</strong>re. Tuttavia ha i<br />

pie<strong>di</strong> che conducono <strong>alla</strong> Chiesa, ha le mani che donano ai poveri, hai gli occhi con i quali si<br />

70


viene a conoscere colui che è nel bisogno... Tu dunque abita nella carità ed essa abiterà in te»<br />

(Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 185).<br />

«Se ci amiamo gli uni gli altri Dio rimane (méno) in noi»: se ci amiamo reciprocamente,<br />

sembra suggerire chiaramente l'<strong>Apostolo</strong>, noi facciamo un'esperienza <strong>di</strong> comunione stabile con<br />

Dio e in qualche misura noi possiamo contemplare quel Dio che è Amore dentro il nostro stesso<br />

amore fraterno. Solo così possiamo sperimentarne la dolcezza, la soavità, la bellezza <strong>di</strong> Dio e<br />

della carità. Se mettiamo la frase <strong>di</strong> Gv 1,18 in parallelo con il v. 4,12 scopriremo che la prima fa<br />

leva su Cristo, rivelatore del Padre, nel cui seno egli <strong>di</strong>mora; la seconda fa leva sull'amore<br />

fraterno, rivelatore della presenza <strong>di</strong> Dio. Possiamo dedurre che l'opera rivelatrice <strong>di</strong> Gesù<br />

(raccontata nel Vangelo <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong>) continua ad essere efficace nell'amore comunitario<br />

(proposto in questa lettera).<br />

«E l'amore <strong>di</strong> lui è perfetto (teleióo) in noi»: l'amore reciproco non solo ci porta a<br />

contemplare Dio, dal momento che lo ve<strong>di</strong>amo nel fratello, ma fa sì che l'amore <strong>di</strong> Dio (quello<br />

che lui ha per noi e quello che noi, come dono suo, abbiamo per lui e per il prossimo) raggiunga<br />

in noi la perfezione. L'amore vicendevole, infatti, tende a crescere e a perfezionarsi anche per il<br />

buon esempio e per l'incoraggiamento che ognuno dà all'altro. L'importante è cominciare e<br />

lasciare che Dio lavori in noi (cfr. Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 208). Nell'amore fraterno perfetto<br />

all'interno della comunità si rende, in qualche modo, visibile il volto luminoso e sorridente del<br />

Padre. Dimostrano questo le parole incoraggianti <strong>di</strong> Agostino: «A voi vien fatto l'elogio della<br />

carità: se essa vi piace sia vostra... La si ottiene gratis. Tenetela, abbracciatela: niente è più dolce<br />

<strong>di</strong> essa. Se è tale quando se ne parla, quale sarà il suo pregio, se posseduta?... Quanto più godo <strong>di</strong><br />

parlare della carità, tanto meno vorrei che questa Epistola finisse. Nessuna è più ardente nel<br />

raccomandare la carità. Nulla <strong>di</strong> più dolce può essere detto... purché però confermiate il dono <strong>di</strong><br />

Dio con una santa vita» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 186.210).<br />

2. IL DONO DELLO SPIRITO È FONTE DI AMORE (4,13)<br />

4.13 )En tou/t% ginw/skomen o(/ti e)n au)t%= me/nomen kai\ au)to\j e)n h(mi=n,<br />

o(/ti e)k tou= pneu/matoj au)tou= de/dwken h(mi=n.<br />

4,13 Da questo conosciamo che rimaniamo in lui ed egli in noi:<br />

poiché del suo Spirito ci ha–fatto–dono.<br />

«Da questo conosciamo che rimaniamo (méno) in lui ed egli in noi»: la permanenza <strong>di</strong> Dio in<br />

noi è talmente importante che bisogna continuamente verificarla. Tra poco <strong>Giovanni</strong> ci <strong>di</strong>rà<br />

come. Per ora analizziamo soprattutto la prima parte del v. 13. Questo versetto ripete quasi <strong>alla</strong><br />

lettera il v. 3,24 b : Da questo conosciamo che rimane in noi, dallo Spirito che ci ha dato. Nel v.<br />

13 <strong>Giovanni</strong> non <strong>di</strong>ce solo: rimane in noi, ma mette in risalto la permanenza reciproca: noi in lui<br />

e lui in noi. Per ben quattro volte in questa lettera l'<strong>Apostolo</strong> parla <strong>di</strong> questa compenetrazione<br />

vicendevole, con la quale egli tenta <strong>di</strong> esprimere la nostra perfetta comunione con Dio: 3,24 a (se<br />

osserviamo i comandamenti); 4,13 (a motivo del dono dello Spirito); 4,15 (a motivo della fede in<br />

Gesù come Figlio); 4,16 b (se stiamo nell'amore).<br />

«Poiché del suo Spirito ci ha fatto dono»: ecco la risposta per chi si interroga sul come può<br />

verificare la propria permanenza in Dio: se possiede il dono dello Spirito <strong>San</strong>to. Qui <strong>Giovanni</strong>,<br />

rispetto a 3,24 a , adduce un nuovo elemento: non parla solo dello Spirito donatoci da Dio, ma <strong>di</strong>ce<br />

che questo è il suo Spirito. Cioè lo stesso Spirito del Padre e del Figlio, lo stesso amore<br />

reciproco, che ci viene elargito, ci rende interiormente consapevoli e coscienti dell'intima<br />

comunione che abbiamo con lui. Per capire in che modo lo Spirito <strong>di</strong>vino produce in noi questa<br />

coscienza, leggiamo alcuni brani <strong>di</strong> Paolo: Rom 5,5 La speranza poi non delude, perché l'amore<br />

<strong>di</strong> Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito <strong>San</strong>to che ci è stato dato (lo<br />

Spirito ci fa dono dell'amore <strong>di</strong> Dio). Rom 8,14 Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito<br />

<strong>di</strong> Dio, costoro sono figli <strong>di</strong> Dio. 15 E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere<br />

71


nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gri<strong>di</strong>amo: «Abbà,<br />

Padre!». 16 Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli <strong>di</strong> Dio (Lo Spirito ci fa<br />

sentire Dio per Padre e ci fa essere e percepire come figli suoi, in <strong>di</strong>alogo orante con lui: cfr.<br />

anche Gal 4,6). Se i fedeli <strong>di</strong>cono <strong>di</strong> essere in comunione con Lui, lo <strong>di</strong>cono con verità, non<br />

come fanno i presuntuosi (2,6), perché si sentono figli nel Figlio, figli conformi al Figlio e fratelli<br />

tra <strong>di</strong> loro. Cfr. anche 5,6 b : Ed è lo Spirito che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità.<br />

Detta per <strong>di</strong>mostrare che Cristo è venuto con l’acqua e con il sangue (cioè con un corpo i cui<br />

elementi <strong>di</strong>ventano sacramenti <strong>di</strong> salvezza), questa affermazione è pur sempre valida anche per il<br />

nostro argomento: lo Spirito rende testimonianza al credente, che ama i fratelli, e gli dona la<br />

certezza profonda <strong>di</strong> possedere Dio e <strong>di</strong> essere da lui posseduto: gli fa sentire che questa è la<br />

verità. Esso fa sì che taluni in<strong>di</strong>zi interiori ed esteriori possano essere letti con sicurezza come<br />

segni della presenza <strong>di</strong>vina. Nell'insegnare questo criterio <strong>di</strong> <strong>di</strong>scernimento, <strong>Giovanni</strong> fa leva<br />

positivamente sull'azione dello Spirito, che riempie il cuore <strong>di</strong> carità e <strong>di</strong> luce. Questo è anche il<br />

metodo del <strong>di</strong>scernimento spirituale proposto da <strong>San</strong>t'Ignazio <strong>di</strong> Loyola che, nel manuale degli<br />

Esercizi, insegna a valutare l'azione dello Spirito <strong>San</strong>to per mezzo dei fenomeni interiori della<br />

consolazione e della desolazione per poter <strong>di</strong>scernere la volontà <strong>di</strong> Dio su <strong>di</strong> noi. Citiamo anche<br />

alcune frasi <strong>di</strong> S. Leonardo da Porto Maurizio, un grande santo del '700, che nei suoi<br />

Proponimenti si ispira al testo classico dell'Imitazione <strong>di</strong> Cristo: «Propongo infine <strong>di</strong> fare ogni<br />

cosa per impulso della grazia e non per tendenza della natura e per <strong>di</strong>scernere se la spinta<br />

provenga d<strong>alla</strong> natura o d<strong>alla</strong> grazia, terrò presenti i seguenti criteri: ... la natura cerca le novità, i<br />

<strong>di</strong>vertimenti; teme esageratamente <strong>di</strong> perdere la salute... La grazia cerca il solo gusto <strong>di</strong> Dio,<br />

tratta il corpo come una bestiola e desidera solo la santità della vita... La natura cerca sempre il<br />

go<strong>di</strong>mento e si ribella con scuse frivole a chi propone la mortificazione. La grazia cerca<br />

l'umiliazione, la povertà, il patire, la tensione verso Dio...». Quanto si percepisce che la nostra<br />

consolazione è solo spirituale e che il nostro vero interesse è solo Dio e la sua gloria allora<br />

possiamo ritenere che lo Spirito <strong>San</strong>to sta rendendo testimonianza al nostro cuore che siamo figli<br />

<strong>di</strong> Dio e che noi rimaniamo in lui ed egli in noi.<br />

2 - IL PADRE HA MANDATO IL FIGLIO COME SALVATORE DEL MONDO<br />

1. ABBIAMO VEDUTO IL SALVATORE (4,14)<br />

4.14 kai\ h(mei=j teqea/meqa kai\ marturou=men o(/ti o( path\r a)pe/stalken to\n ui(o\n<br />

swth=ra tou= ko/smou.<br />

4,14 E noi abbiamo–contemplato e testimoniamo che il Padre ha–mandato il Figlio<br />

(come) salvatore del mondo.<br />

«Noi abbiamo contemplato (theáomai) e testimoniamo (martyréo) che il Padre ha mandato il<br />

Figlio»: ora <strong>Giovanni</strong> riprende il pensiero centrale del passo 4,9-10 e cioè l'idea che il Padre ha<br />

inviato il suo Figlio come manifestazione del suo amore per noi. Nei vv. 11.13 egli aveva tratto<br />

le conseguenze pratiche (anche noi dobbiamo amarci..., Dio <strong>di</strong>mora in noi e noi in lui..., lo<br />

Spirito ci fornisce la prova <strong>di</strong> questa comunione... ). Ora l'Evangelista ritorna all'evento salvifico<br />

basilare: la venuta del Figlio <strong>di</strong> Dio Padre, inviato nel mondo, venuta della quale egli è stato<br />

testimone oculare (nel passato) ed è <strong>di</strong>ventato testimone autorizzato (nel presente). <strong>Giovanni</strong><br />

riprende il linguaggio kerigmatico e profetico <strong>di</strong> 1,2.3: abbiamo visto e testimoniamo...<br />

«Come salvatore (sotér) del mondo»: si tratta della stessa meravigliosa scoperta che fecero i<br />

Samaritani dopo aver invitato Gesù nel loro villaggio: Gv 4,41 Molti <strong>di</strong> più credettero per la sua<br />

parola 42 e <strong>di</strong>cevano <strong>alla</strong> donna: «Non è più per la tua parola che noi cre<strong>di</strong>amo; ma perché noi<br />

stessi abbiamo u<strong>di</strong>to e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo». Su questa<br />

scoperta, testimoniata con entusiasmo e convinzione, si basa la fede del credente.<br />

72


2. RICONOSCIAMO GESÙ COME FIGLIO DI DIO (4,15)<br />

4.15 o(\j e)a\n o(mologh/sv o(/ti )Ihsou=j e)stin o( ui(o\j tou= qeou=,<br />

o( qeo\j e)n au)t%= me/nei kai\ au)to\j e)n t%= qe%=.<br />

4,15 Se uno confessa che Gesù è il Figlio <strong>di</strong> Dio,<br />

Dio <strong>di</strong>mora in lui ed egli in Dio.<br />

«Se uno confessa (‘omologhéo) che Gesù è il Figlio <strong>di</strong> Dio (5,5)»: implicitamente <strong>Giovanni</strong> ci<br />

invita ad un atto <strong>di</strong> fede, anche esteriore, nella testimonianza che il gruppo dei primi <strong>di</strong>scepoli ci<br />

trasmette. E tale testimonianza consiste nell'affermare con autorevolezza e competenza che il<br />

Figlio <strong>di</strong> Dio è venuto nel mondo e che questo Figlio è precisamente il Gesù storico, visto e<br />

toccato con mano.<br />

«Dio <strong>di</strong>mora in lui ed egli in Dio»: se vogliamo essere in comunione perfetta con Dio,<br />

dobbiamo credere <strong>alla</strong> natura <strong>di</strong>vina dell'Uomo Gesù, Figlio del Padre, e avere il coraggio <strong>di</strong><br />

professarla. Alla fede però bisogna aggiungere la carità e arrivare ad una sintesi, in modo che<br />

tale fede sia fede nella carità. È quanto <strong>Giovanni</strong> sta per <strong>di</strong>re.<br />

3 - L'AMORE PERFETTO SCACCIA IL TIMORE<br />

1. ABBIAMO CREDUTO ALL'AMORE DI DIO (4,16)<br />

4.16 kai\ h(mei=j e)gnw/kamen kai\ pepisteu/kamen th\n a)ga/phn h(\n e)/xei o( qeo\j e)n h(mi=n.<br />

(O qeo\j a)ga/ph e)sti/n,<br />

kai\ o( me/nwn e)n tv= a)ga/pv e)n t%= qe%= me/nei kai\ o( qeo\j e)n au)t%= me/nei.<br />

4,16 E noi abbiamo–riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per [in] noi.<br />

Dio è Amore;<br />

e chi rimane nell'amore <strong>di</strong>mora in Dio e Dio <strong>di</strong>mora in lui.<br />

«Noi abbiamo riconosciuto e creduto (pistéuo) all'amore che Dio ha per noi»: gli<br />

evangelizzatori non solo hanno riconosciuto in Gesù il Figlio <strong>di</strong> Dio (hanno visto un evento <strong>di</strong><br />

salvezza), ma hanno anche compreso che l'invio del Figlio è stato il segno supremo dell'amore<br />

del Padre per noi (questo era già stato detto molto bene nei vv. 9.10), segno d'amore che si<br />

esplica nel fatto <strong>di</strong> averci fatti suoi figli (3,1). Gli annunciatori hanno quin<strong>di</strong> capito bene il senso<br />

dell'evento. Hanno perciò creduto al Figlio Gesù (il fatto) e, insieme, hanno creduto all'Amore<br />

(l'intelligenza del fatto).<br />

«Dio è Amore»: per questo motivo la fede in Dio (Padre, Figlio e Spirito <strong>San</strong>to) è fede<br />

nell'Amore (4,8). Non <strong>di</strong>amo per scontato <strong>di</strong> aver capito che cos'è l'amore e <strong>di</strong> averci creduto.<br />

«Chi rimane (méno) nell'amore <strong>di</strong>mora (méno) in Dio e Dio <strong>di</strong>mora in lui»: chi crede<br />

nell'Amore <strong>di</strong>mora nell'amore e in Dio, che è Amore. A sua volta, il Dio-Amore <strong>di</strong>mora in lui (in<br />

perfetta comunione reciproca). L'espressione rimanere nell'amore è molto significativa: in<strong>di</strong>ca<br />

una permanenza dovuta ad una piena immersione: Gv 15,9 Rimanete nel mio amore. 10 Se<br />

osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho esservato i<br />

comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Notiamo che gli stessi effetti <strong>di</strong><br />

comunione operati d<strong>alla</strong> Fede (v. 15), sono operati anche d<strong>alla</strong> Carità. Non c'è più fede e carità<br />

un po' separate, ma fede vivificata d<strong>alla</strong> carità e carità illuminata d<strong>alla</strong> fede.<br />

2. L'AMORE CI DA' FIDUCIA NEL GIORNO DEL GIUDIZIO (4,17-18)<br />

4.17 e)n tou/t% tetelei/wtai h( a)ga/ph meq' h(mw=n,<br />

i(/na parrhsi/an e)/xwmen e)n tv= h(me/r# th=j kri/sewj,<br />

o(/ti kaqw\j e)kei=no/j e)stin kai\ h(mei=j e)smen e)n t%= ko/sm% tou/t%.<br />

4.18 fo/boj ou)k e)/stin e)n tv= a)ga/pv a)ll' h( telei/a a)ga/ph e)/cw ba/llei to\n fo/bon,<br />

o(/ti o( fo/boj ko/lasin e)/xei, o( de\ fobou/menoj ou) tetelei/wtai e)n tv= a)ga/pv.<br />

73


4,17 Per questo l'amore è–<strong>di</strong>venuto–perfetto in noi,<br />

affinché abbiamo fiducia nel giorno del giu<strong>di</strong>zio;<br />

perché come lui è, (così) siamo anche noi, in questo mondo.<br />

4,18 Nell'amore non c'è timore, al–contrario l'amore perfetto scaccia il timore,<br />

perché il timore ha (origine dal) castigo e chi teme non è–perfetto nell'amore.<br />

«Per questo l'amore è <strong>di</strong>venuto perfetto (teleióo) in noi»: per questo si riferisce a quanto<br />

precede, cioè al fatto che Dio è Amore e che noi abbiamo creduto a tale incre<strong>di</strong>bile Amore, nel<br />

quale rimaniamo. Tale fede e tale permanenza porta il nostro amore <strong>alla</strong> perfezione. Il concetto <strong>di</strong><br />

perfezione è molto sviluppato nella lettera agli Ebrei. In essa Cristo è presentato come perfetto e<br />

come colui che ci rende perfetti santificandoci. Gesù nel Vangelo <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> parla della<br />

perfezione nell'unità (Gv 17,23), mentre in quello <strong>di</strong> Matteo (dopo aver parlato dell'amore ai<br />

nemici) propone a tutti <strong>di</strong> essere perfetti come il Padre (Mt 5,48). Nella nostra lettera l'Autore<br />

parla <strong>di</strong> perfezione solo nei riguar<strong>di</strong> dell'amore: essa si concreta nella pienezza dell'amore.<br />

L'amore <strong>di</strong>vino è perfetto in noi quando osserviamo fedelmente la Parola <strong>di</strong> Dio (2,5), quando ci<br />

amiamo a vicenda (4,12), se cre<strong>di</strong>amo all'Amore e rimaniamo in esso (4,17) e se non abbiamo<br />

paura <strong>di</strong> fronte a Dio (4,18). Dobbiamo essere perfetti nell'amore; se il nostro amore non è<br />

perfetto non è Amore.<br />

«Affinché abbiamo fiducia (parresía) nel giorno del giu<strong>di</strong>zio»: chi è perfetto nell'amore e chi<br />

sa <strong>di</strong> essere infinitamente amato non ha nulla da temere nel giorno del giu<strong>di</strong>zio, che è il giorno<br />

della verità, nel quale verranno svelati i segreti dei cuori senza possibilità <strong>di</strong> errore (cfr. anche<br />

2,28: ha fiducia davanti al Cristo <strong>alla</strong> sua venuta). Fin da ora, però, il vero cristiano sente in sé<br />

una grande pace e sicurezza (cfr. 3,21) che si manifesta, tra l'altro, nella certezza con cui sa <strong>di</strong><br />

essere esau<strong>di</strong>to quando prega (5,14). L'amore, dunque, produce la parresía, cioè la confidenza, la<br />

franchezza, la libertà <strong>di</strong> parola e <strong>di</strong> azione nel mondo <strong>di</strong> Dio.<br />

«Perché come lui è, così siamo anche noi, in questo mondo»: tutta questa confidenza, per<br />

<strong>Giovanni</strong>, deriva dal fatto che noi, che siamo ancora in questo mondo, siamo già come (kathós) è<br />

Gesù. Vi è una perfetta conformazione a lui, un'imitazione, una sintonia a tutti i livelli<br />

(intelligenza, volontà, vita...). Inoltre siamo amati dal Padre, come lo è lui.<br />

«Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto (téleios) scaccia il timore»: ogni<br />

forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>sagio, <strong>di</strong> paura, <strong>di</strong> dubbio davanti a Dio è segno che il nostro amore non ha raggiunto<br />

il massimo. Nell'amore perfetto (dato e ricevuto) c'è solo pace continua, gioia piena (Rom 8,15).<br />

Dobbiamo passare dal timore all'amore. «Chi prima temeva il ritorno <strong>di</strong> Cristo, perché pauroso<br />

che Cristo avrebbe trovato in lui un empio da condannare, ora desidera che egli venga, poiché<br />

potrà trovare in lui un giusto da premiare. Dal momento che un'anima casta desidera il ritorno <strong>di</strong><br />

Cristo, desiderando l'abbraccio dello sposo, lascia gli amore adulteri; si fa interiormente vergine<br />

ad opera della fede, della speranza e della carità... Quando prega e <strong>di</strong>ce: Venga il tuo Regno, non<br />

entra in conflitto con se stessa... Certi uomini sopportano la morte; altri, che hanno raggiunto la<br />

perfezione, sopportano la vita. Mi spiego: chi ama ancora questa vita mortale, quando giunge la<br />

morte l'accetta con pazienza... Ma chi è attratto dal desiderio della morte... non muore con<br />

rassegnazione; anzi, dopo aver sopportato la vita, muore con gioia» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p.<br />

215).<br />

«Perché il timore ha origine dal castigo e chi teme non è perfetto (teleióo) nell'amore»: per<br />

<strong>Giovanni</strong> la paura, che indebolisce l'amore, ha sempre a che fare con la punizione. Invece <strong>di</strong><br />

temere santamente <strong>di</strong> offendere Dio, temiamo servilmente solo i castighi che i nostri peccati ci<br />

meritano. Se non ci fosse la punizione, a volte non avremmo timore <strong>di</strong> resistere a Dio. Ci vuole<br />

invece un amore fine a se stesso; dobbiamo saper amare solo per amore. Ogni tipo <strong>di</strong> paura è<br />

mancanza <strong>di</strong> quella parresía, che deriva da una sconfinata fiducia nella misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Dio<br />

Padre, che ci perdona. Quando ci decideremo a chiedere a Dio il dono dell'amore perfetto, della<br />

pura intenzione <strong>di</strong> amarlo solo perché lui è amabile, senza la presenza <strong>di</strong> qualche interesse<br />

74


personale? Agostino, da parte sua, così esortava i fratelli: «Fate che sorga dentro <strong>di</strong> voi il<br />

desiderio del giu<strong>di</strong>zio. Non si dà prova <strong>di</strong> perfetta carità, se non quando si incomincia a<br />

desiderare il giorno del giu<strong>di</strong>zio» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 217).<br />

4 - AMIAMO DIO ATTRAVERSO L'AMORE AL FRATELLO<br />

1. DIO CI HA AMATI PER PRIMO (4,19)<br />

4.19 h(mei=j a)gapw=men, o(/ti au)to\j prw=toj h)ga/phsen h(ma=j.<br />

4,19 Noi amiamo, perché egli (per) primo ci ha–amati.<br />

«Noi amiamo»: a conclusione <strong>di</strong> questo stupendo brano sull'amore (4,11-21), l'Evangelista<br />

afferma <strong>di</strong> sapere amare: noi amiamo (Dio, il fratello, tutti). <strong>Giovanni</strong> lo attesta con sicurezza.<br />

«Perché egli per primo ci ha amati»: dove sta il motivo per il quale i <strong>di</strong>scepoli del Signore<br />

sanno veramente amare? Sta nel fatto che Dio ci amati per primo, in modo unilaterale e<br />

<strong>di</strong>sinteressato. È questo quello che ha sconvolto l'Evangelista e lo ha trasformato ed è per questo<br />

che egli è sicuro <strong>di</strong> poter <strong>di</strong>re: Noi amiamo. Tale certezza nasce dall'aver capito che il suo amore<br />

è ormai perfettamente modellato su quello purissimo <strong>di</strong> Dio Padre e da esso trae origine. L'amore<br />

vero infatti non ha la sua sorgente in noi (4,10), ma in lui. Chi infatti ci dà la concreta possibilità<br />

<strong>di</strong> amare perfettamente è Dio stesso, che da sempre ci ha amati e lo ha fatto quando ancora noi<br />

non lo amavamo, quando ad<strong>di</strong>rittura lo o<strong>di</strong>avamo. Col suo amore ci ha aperto gli occhi: ci ha<br />

insegnato che cosa sia l'amore vero, ci ha dato l'esempio e la forza per realizzarlo (verso <strong>di</strong> lui e<br />

verso i fratelli).<br />

2. CHI AMA DIO, AMI ANCHE IL FRATELLO (4,20-21)<br />

4.20 e)a/n tij ei)/pv o(/ti )Agapw= to\n qeo/n kai\ to\n a)delfo\n au)tou= misv=, yeu/sthj e)sti/n:<br />

o( ga\r mh\ a)gapw=n to\n a)delfo\n au)tou= o(\n e(w/raken,<br />

to\n qeo\n o(\n ou)x e(w/raken ou) du/natai a)gapa=n.<br />

4.21 kai\ tau/thn th\n e)ntolh\n e)/xomen a)p' au)tou=,<br />

i(/na o( a)gapw=n to\n qeo\n a)gap#= kai\ to\n a)delfo\n au)tou=.<br />

4,20 Se uno <strong>di</strong>cesse: «Io amo Dio», e o<strong>di</strong>asse il suo fratello, è (un) mentitore.<br />

Chi infatti non ama il proprio fratello, che ha–visto,<br />

non può amare Dio, che non ha–visto,.<br />

4,21 E questo (è) il comandamento (che) abbiamo da lui:<br />

che chi ama Dio, ami anche il suo fratello.<br />

«Se uno <strong>di</strong>cesse: «Io amo Dio», e o<strong>di</strong>asse il suo fratello, è un mentitore (pséustes)»: i falsari<br />

della verità e dell'amore non solo <strong>di</strong>cono: Io lo conosco (2,4), ma arrivano perfino a <strong>di</strong>re: Io amo<br />

Dio. Tutte le cose belle possono venire contraffatte: l'oro, i quadri <strong>di</strong> valore... Tra tutte, la più<br />

bella è l'amore: ebbene, è la più falsificata. Si parla troppo <strong>di</strong> amore e più se ne parla, meno lo si<br />

comprende e lo si vive. È tipico del falso credente accontentarsi delle parole e trincerarsi <strong>di</strong>etro<br />

ad esse, autogiustificandosi (<strong>Giovanni</strong> contesta esplicitamente ben sette <strong>di</strong> queste false<br />

affermazioni: 1,6.8.10; 2,4.6.9; 4,20). Gesù aveva fatto questo ammonimento: Mt 7,21 Non<br />

chiunque mi <strong>di</strong>ce: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del<br />

Padre mio che è nei cieli. Abbiamo ormai imparato un sicuro criterio <strong>di</strong> valutazione: chi, in<br />

qualche modo, o<strong>di</strong>a o non ama il proprio fratello mente, ingannando se stesso e gli altri, quando<br />

<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> amare Dio che è Padre <strong>di</strong> tutti i nostri fratelli. Tre volte l'Evangelista chiama mentitori<br />

quelli che fanno affermazioni non veritiere: (due volte nel campo morale) <strong>di</strong>cono <strong>di</strong> amare Dio<br />

(4,20), <strong>di</strong> conoscerlo (2,4); (una volta nel campo dottrinale) <strong>di</strong>cono che Gesù non è il Cristo<br />

(2,22). Chi o<strong>di</strong>a il fratello, o<strong>di</strong>a un figlio <strong>di</strong> Dio, o<strong>di</strong>a dunque Dio stesso, che lo ha generato<br />

(5,1 b ). Agostino con la sua solita genialità commenta questo passo: «Dunque, chi ama il fratello,<br />

75


ama anche Dio? Sì, necessariamente ama Dio, necessariamente ama l'amore stesso. Si può forse<br />

amare il proprio fratello e non amare l'amore? ... Se Dio è amore, chiunque ama l'amore, ama<br />

Dio. Ama dunque tuo fratello e sta sicuro» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 230).<br />

«Chi infatti non ama il proprio fratello, che ha visto»: noi vorremmo vedere Dio, ma non ci è<br />

possibile <strong>di</strong>rettamente. Il vedere Dio <strong>di</strong>venta possibile, se sappiamo guardare i fratelli in modo da<br />

veder in loro il volto del Padre. Quando guar<strong>di</strong>amo un fratello che cosa ve<strong>di</strong>amo? Ve<strong>di</strong>amo<br />

innanzi tutto un corpo umano. Dobbiamo allora pensare che tutti siamo il corpo <strong>di</strong> Cristo e le sue<br />

membra. Poi ci ren<strong>di</strong>amo conto della sue necessità (cfr. 3,17). Egli è Cristo in <strong>di</strong>fficoltà (Mt<br />

25,42 ss.). Ricor<strong>di</strong>amoci bene che il corpo non è una parte della persona: è la persona totale,<br />

nella sua <strong>di</strong>mensione materiale, non separabile d<strong>alla</strong> persona stessa. Non amare quel corpo (con<br />

tutti i suoi problemi) significa o<strong>di</strong>are la persona del fratello o della sorella e far soffrire il Cristo.<br />

«Non può amare Dio, che non ha visto»: quel Dio, che non ve<strong>di</strong>amo e non possiamo vedere<br />

(12), lo possiamo però amare. Ma lo amiamo solo se vogiamo bene <strong>alla</strong> sua immagine vivente,<br />

che è l'uomo (a partire dal suo corpo), nel quale egli si rende presente e con il quale egli<br />

solidarizza al punto che, senza eccezioni, non amiamo Lui, se non amiamo il fratello. Per<br />

Agostino nell'amore fraterno è presente la possibilità <strong>di</strong> vedere Dio: «Se amerai il fratello che<br />

ve<strong>di</strong> potrai, contemporaneamente vedere Dio, poiché vedrai la carità stessa, e Dio abita nella<br />

carità». Se uno «ha l'amore, vede Dio, perché Dio è amore» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p.<br />

140.231).<br />

«E questo è il comandamento che abbiamo da lui»: se qualcuno dubitasse <strong>di</strong> tale dottrina,<br />

sappia che tale insegnamento (che per noi è anche un comando) viene da Dio stesso. In tre posti<br />

<strong>Giovanni</strong> nella lettera parla <strong>di</strong> comandamento, usando il termine al singolare per in<strong>di</strong>care che si<br />

tratta del precetto essenziale e riassuntivo: 2,8-10 amare il fratello, 3,23: credere nel Figlio e<br />

amarci gli uni gli altri e qui (4,21) amare Dio, amando il fratello. Più chiaro <strong>di</strong> così...<br />

«Che chi ama Dio, ami anche il suo fratello»: è la prima volta che <strong>Giovanni</strong> parla<br />

esplicitamente del nostro amore per Dio (lo farà ancora in 5,1-2). Anche nel IV Vangelo è<br />

rarissima l'affermazione esplicita che Gesù ama il Padre: si trova solo in Gv 14,31. Chi intende<br />

amare Dio, come egli vuole essere amato, <strong>di</strong>mostri amore concreto e perfetto verso tutti i fratelli<br />

(nelle forme che l'Autore è andato elencando: la con<strong>di</strong>visione dei beni, la comunione ecclesiale,<br />

il dono supremo della vita...), ami il comandamento dell'amore!<br />

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5 a CONDIZIONE: CREDERE IN GESÙ, FIGLIO DI DIO (UNITÀ 10)<br />

Il Cristo, venuto con acqua e sangue, ci dà la vita eterna<br />

Presentazione e Lectio <strong>di</strong> 1 Gv 5,1-13<br />

Dopo le stupende esortazioni sull'amore, <strong>Giovanni</strong> ritorna sul tema della fede, per proporre<br />

con maggiore chiarezza e completezza la virtù che costituisce il fondamento <strong>di</strong> tutta la vita<br />

cristiana e quin<strong>di</strong> anche della carità: nella prima parte ci invita a credere in Gesù come Cristo e<br />

come Figlio <strong>di</strong> Dio e ci assicura che questa fede vince il mondo; nella seconda ci introduce <strong>alla</strong><br />

comprensione degli aspetti mistici, spirituali e sacramentali del Cristo, nel quale abbiamo la vita<br />

eterna.<br />

1 - LA VITTORIOSA FEDE IN CRISTO E L'AMORE AL PADRE<br />

1. CREDERE CHE GESÙ È IL CRISTO (5,1 a )<br />

5.1 Pa=j o( pisteu/wn o(/ti )Ihsou=j e)stin o( Xristo\j, e)k tou= qeou= gege/nnhtai,<br />

5,1 Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è–stato–generato da Dio;<br />

«Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato (ghennáo) da Dio»: in ben cinque<br />

punti <strong>di</strong> questa lettera, l'Autore parla <strong>di</strong> coloro che sono nati da Dio, che perciò sono figli <strong>di</strong> Dio<br />

e sono partecipi della sua natura: 2,29 (Chiunque opera la giustizia è nato da lui), 3,9 (Chiunque<br />

è nato da Dio non commette peccato, perché un seme <strong>di</strong>vino <strong>di</strong>mora in lui), 4,7 (Chiunque ama è<br />

generato da Dio e conosce Dio), 5,1-4 (Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è generato da Dio e<br />

vince il mondo), 5,18 (Chiunque è nato da Dio non pecca...). È impressionante notare come una<br />

lettera così breve insista tanto sul tema della nostra filiazione <strong>di</strong>vina (per in<strong>di</strong>care noi come figli<br />

<strong>di</strong> Dio, <strong>Giovanni</strong> usa solo la parola téknon): Vedete quale grande amore ci ha donato il Padre,<br />

che possiamo essere chiamati figli <strong>di</strong> Dio, perché lo siamo... Diletti, fin d'ora noi siamo figli <strong>di</strong><br />

Dio... (3,1-2). <strong>Giovanni</strong> ci invita a <strong>di</strong>stinguere i figli <strong>di</strong> Dio da quelli del <strong>di</strong>avolo (3,10) e ad<br />

amare i figli <strong>di</strong> Dio (5,2). Proprio perché sono figli <strong>di</strong> Dio, l'<strong>Apostolo</strong> si rivolge per ben 9 volte ai<br />

suoi lettori chiamandoli figlioli (usa in questo caso i termini tekníon o paidíon). Già nel suo<br />

Vangelo <strong>Giovanni</strong> aveva insistito sulla nostra rinascita da Dio soprattutto in 3,3-8: nascere<br />

dall'Alto, da acqua e da Spirito (cfr. anche 1,13: Coloro che ... da Dio sono stati generati...).<br />

Paolo parla della nostra qualità <strong>di</strong> figli usando il termini yiós (soprattutto in Rom 8-9, Gal 3-4).<br />

Venendo a commentare il nostro versetto, notiamo che esso completa bene la teologia giovannea<br />

<strong>di</strong> questa lettera sulla filiazione <strong>di</strong>vina: era proprio fondamentale che <strong>di</strong>cesse che chi crede in<br />

Gesù <strong>di</strong>venta e si <strong>di</strong>mostra figlio <strong>di</strong> Dio: non basta evitare il peccato, non bastano le opere <strong>di</strong><br />

giustizia, bisogna anche credere in modo consapevole e illuminante che Gesù è il Cristo. La fede<br />

in Gesù, quanto più è vera, ricca e completa, tanto più fonda il nostro rapporto filiale con il<br />

Padre, conformandoci al Figlio, che è sempre in <strong>di</strong>alogo con Colui che lo genera nell'amore.<br />

L'essere figlio non è frutto <strong>di</strong> uno sforzo umano, ma è un dono gratuito <strong>di</strong> amore paterno. Tale<br />

dono richiede apertura, consapevolezza ed accoglienza, cioè fede (il tema della fede apre e<br />

chiude questa prima parte del capitolo 5: vv. 1-5). Il credere però qui non è tanto visto come<br />

con<strong>di</strong>zione per <strong>di</strong>ventare figli (il verbo crede è al presente), ma piuttosto come conseguenza del<br />

fatto che si è stati generati da Dio (il verbo è stato generato è al perfetto). È molto misterioso<br />

questo fatto: non sapremo mai se prima viene la nostra rinascita come figli oppure la nostra fede;<br />

se cre<strong>di</strong>amo perché siamo figli o siamo figli perché cre<strong>di</strong>amo. Il modo <strong>di</strong> esprimersi <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong><br />

mette comunque bene in risalto la preminenza dell'opera preveniente <strong>di</strong> Dio. Gesù nel Vangelo <strong>di</strong><br />

<strong>Giovanni</strong> <strong>di</strong>ceva, usando altre immagini: Gv 10,26 Voi non credete, perché non siete mie pecore<br />

77


(cioè, miei <strong>di</strong>scepoli) oppure Gv 6,44 Nessuno può venire (cioè, credere) a me, se non lo attira il<br />

Padre che mi ha mandato. L'essere <strong>di</strong>scepoli o l'essere attirati dal Padre è con<strong>di</strong>zione previa,<br />

necessaria <strong>alla</strong> fede. Siccome però «la fede senza l'amore è vana» <strong>Giovanni</strong>, in questo stesso<br />

versetto, collega subito la fede all'amore (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... 237).<br />

2. AMARE IL GENITORE E IL GENERATO (5,1 b -3)<br />

kai\ pa=j o( a)gapw=n to\n gennh/santa a)gap#= [kai\] to\n gegennhme/non e)c au)tou=.<br />

5.2 e)n tou/t% ginw/skomen o(/ti a)gapw=men ta\ te/kna tou= qeou=,<br />

o(/tan to\n qeo\n a)gapw=men kai\ ta\j e)ntola\j au)tou= poiw=men.<br />

5.3 au(/th ga/r e)stin h( a)ga/ph tou= qeou=, i(/na ta\j e)ntola\j au)tou= thrw=men,<br />

kai\ ai( e)ntolai\ au)tou= barei=ai ou)k ei)si/n.<br />

e chiunque ama colui che–ha–generato, ama [anche] chi è–stato–generato da lui.<br />

5,2 Da questo conosciamo che amiamo i figli <strong>di</strong> Dio:<br />

quando amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti,<br />

5,3 questo infatti è l'amore <strong>di</strong> Dio: nell'osservare i suoi comandamenti;<br />

e i suoi comandamenti non sono pesanti.<br />

«Chiunque ama colui che ha generato, ama [anche] chi è stato generato da lui»: l'amico <strong>di</strong><br />

un papà tende ad essere anche l'amico dei figli. Chi <strong>di</strong>venta ed è figlio <strong>di</strong> Dio tende ad amarlo<br />

come Padre e ad amare perciò tutti coloro che sono suoi figli a cominciare da Gesù (che, come<br />

vedremo tra poco, <strong>Giovanni</strong> chiama Figlio <strong>di</strong> Dio, usando per lui il termine Yiós). Il vero figlio<br />

con<strong>di</strong>vide la natura del padre e quin<strong>di</strong> ne possiede anche le qualità: chi dunque ama il genitore è<br />

propenso ad amarne anche il figlio, dato che il figlio è generato dall’amore del padre.<br />

«Da questo conosciamo che amiamo i figli <strong>di</strong> Dio»: adesso l'<strong>Apostolo</strong> ci offre un criterio <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>scernimento ribaltato rispetto a quelli datici precedentemente (3,10.16.18-19).<br />

«Quando amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti (’entolé: 14 volte, 7 volte al<br />

plurale)»: qui non <strong>di</strong>ce più che è l'amore dei fratelli (o vicendevole) quello che garantisce e<br />

concretizza il nostro amore verso Dio (4,20-21; Gv 14,15; 15,10), la nostra nascita od origine da<br />

Dio ( 3,10; 4,8), la conoscenza <strong>di</strong> lui (4,8) e la sua permanenza in noi (4,12), facendoci passare<br />

d<strong>alla</strong> morte <strong>alla</strong> vita (3,14) e rimanere nella luce (2,10), ma che è l'amore verso Dio e<br />

l'osservanza dei suoi comandamenti quello che rivela se amiamo veramente i fratelli, visti come<br />

figli del Padre. Questa è un grande ed importantissimo passo in avanti: l'amore verso i fratelli<br />

<strong>di</strong>venta vero (soprannaturale, <strong>di</strong>vinizzato) quando essi vengono amati per amore <strong>di</strong> Dio, quando<br />

sono da noi amati con la volontà <strong>di</strong> amare Dio in loro e attraverso <strong>di</strong> loro, quando li amiamo con<br />

l'intenzione <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>re a Dio che ci ha donato i suoi comandamenti. Anzi vi è ancora un altro<br />

aspetto: se amo veramente Dio e <strong>di</strong> conseguenza mi comporto bene, dò una buona testimonianza<br />

pratica ed e<strong>di</strong>fico il mio prossimo. Non vi è infatti carità più grande che quella <strong>di</strong> collaborare al<br />

bene spirituale degli altri. In caso contrario il nostro amore resta pura filantropia, lodevole finché<br />

si vuole, ma sempre e solo benevolenza umana, cosa che all'Evangelista non basta, perché,<br />

ricor<strong>di</strong>amolo bene, solo Dio è Amore (4,8.16) e solo lui ha il primato nell'amare (4,19). L'amore<br />

<strong>di</strong> Dio infatti, <strong>di</strong>versamente da ogni altro amore terreno, è sempre <strong>di</strong>sinteressato, liberante,<br />

salvifico, eterno ed infinito. Agostino sottolinea, in base al v. 2 l'unità e la circolarità dell'amore:<br />

«Se ami le membra <strong>di</strong> Cristo, ami Cristo; e quando ami Cristo, ami il Figlio <strong>di</strong> Dio; ami perciò<br />

anche il Padre. L'amore non può essere <strong>di</strong>viso. Scegli pure ciò che vuoi amare: il resto seguirà da<br />

sé» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 239).<br />

«Questo infatti è l'amore <strong>di</strong> Dio: nell'osservare i suoi comandamenti»: questa verità <strong>Giovanni</strong><br />

l'aveva già espressa bene in 2,5: Chi osserva la sua parola, in lui l'amore <strong>di</strong> Dio è veramente<br />

perfetto. Il nostro amore verso Dio deve essere molto pratico. Sappiamo ormai, che i suoi<br />

comandamenti si riassumono nella fede e nell'amore (cfr. specialmente 2,7-8; 3,23; 4,21).<br />

78


«E i suoi comandamenti non sono pesanti (barýs)»: se osservare i comandamenti vuol <strong>di</strong>re<br />

amare, allora è bello e gioioso osservarli. I coman<strong>di</strong> del Signore non sono un peso, ma sono<br />

liberanti: Mt 11,28 Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. 29<br />

Prendete il mio giogo sopra <strong>di</strong> voi e imparate da me, che sono mite e umile <strong>di</strong> cuore, e troverete<br />

ristoro per le vostre anime. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero. La legge<br />

evangelica è davvero confortante. Mentre i falsi profeti legano pesi insopportabili (Mt 23,4), la<br />

verità <strong>di</strong> Gesù ci rende liberi (Gv 8,31 Gesù allora <strong>di</strong>sse a quei Giudei che avevano creduto in<br />

lui: «Se rimanete fedeli <strong>alla</strong> mia parola, sarete davvero miei <strong>di</strong>scepoli; 32 conoscerete la verità e<br />

la verità vi farà liberi»). Chi trova i comandamenti pesanti ha ancora l'animo dello schiavo e non<br />

il cuore del Figlio. Soprattutto ci sia dolce il comando della carità: «Amando Dio non si prova<br />

fatica... Dove c'è la carità non ci sono angustie... Chi ti può togliere ciò che ami?... Sempre siate<br />

accesi <strong>di</strong> amore fraterno, tanto verso il fratello già tale, quanto verso il nemico, affinché con<br />

l'amore <strong>di</strong>venti fratello... Se la carità ci riempie <strong>di</strong> <strong>di</strong>letto mentre siamo ancora pellegrini, quale<br />

sarà la nostra gioia in patria?» (Agostino, Me<strong>di</strong>tazioni... p. 241.245.248).<br />

3. LA NOSTRA FEDE VINCE IL MONDO (5,4-5)<br />

5.4 o(/ti pa=n to\ gegennhme/non e)k tou= qeou= nik#= to\n ko/smon:<br />

kai\ au(/th e)sti\n h( ni/kh h( nikh/sasa to\n ko/smon, h( pi/stij h(mw=n.<br />

5.5 ti/j [de/] e)stin o( nikw=n to\n ko/smon<br />

ei) mh\ o( pisteu/wn o(/ti )Ihsou=j e)stin o( ui(o\j tou= qeou=;<br />

5,4 Poiché tutto ciò che–è–nato da Dio vince il mondo;<br />

e questa è la vittoria che vinse il mondo: la nostra fede.<br />

5,5 Chi è [poi] colui che–vince il mondo<br />

se non chi crede che Gesù è il Figlio <strong>di</strong> Dio?<br />

«Poiché tutto ciò che è nato da Dio vince (nikáo) il mondo»: dopo averci parlato dell'amore,<br />

<strong>Giovanni</strong> non abbandona il concetto <strong>di</strong> generazione da Dio, ma lo riprende e lo approfon<strong>di</strong>sce.<br />

Secondo il suo stile usa il neutro (pân tó) per in<strong>di</strong>care gli uomini, ma insieme con loro tutto<br />

quello che li riguarda (cfr. Gv 6,37 Tutto ciò che il Padre mi dá, verrà a me; colui che viene a<br />

me, non lo respingerò). L'Evangelista, che tende sempre a vedere il lato positivo <strong>di</strong> ogni realtà,<br />

mette in risalto che i figli <strong>di</strong> Dio trionfano sul mondo del peccato (2,13 b ): Gv 16,33 Vi ho detto<br />

queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io<br />

ho vinto il mondo! Quel mondo (kósmos: 23 volte) pieno <strong>di</strong> concupiscenza, da non amare perché<br />

passa (2,15-17), che non conosce Dio e i suoi figli (3,1), anzi li o<strong>di</strong>a (3,13), che ascolta gli<br />

pseudoprofeti (4,5) e che giace nel potere del maligno (5,19) è già stato vinto. L'annuncio<br />

entusiasta della vittoria è tipico <strong>di</strong> questa lettera (2,13-14: sul maligno; 4,4: sui falsi profeti) e<br />

dell'Apocalisse (cfr. ad es.: 2,7; 3,5.21; 5,5; 17,14...). Questo messaggio ci infonde molta<br />

sicurezza e ci riempie <strong>di</strong> speranza.<br />

«Questa è la vittoria (níke) che vinse il mondo: la nostra fede (pístis)»: la forza, che secondo<br />

<strong>Giovanni</strong>, sconfigge (anzi le ha già sconfitte: all'aoristo = fatto compiuto) tutte le realtà avverse<br />

al credente è, nel suo nucleo centrale, la fede (e non altro; ad es., l'amore). Il mondo teme<br />

soprattutto la fede e non l'amore. Perché l'amore del cristiano (concretizzato nelle sue opere <strong>di</strong><br />

carità) <strong>di</strong> solito piace al mondo, anche se esso non è in grado <strong>di</strong> imitarlo o <strong>di</strong> capirne le<br />

motivazioni. Quello che al mondo <strong>di</strong>spiace è proprio la mentalità <strong>di</strong> fede cristiana, che condanna<br />

motivatamente le logiche e i comportamenti sbagliati del mondo e dei falsi profeti (4,4).<br />

«Chi è [poi] colui che vince il mondo?»: ora l'Autore fa una domanda ai suoi lettori, anche<br />

per coinvolgerli nella sua catechesi. Questa è la terza volta che egli usa l'espressione vincere il<br />

mondo.<br />

«Se non chi crede che Gesù è il Figlio <strong>di</strong> Dio?»: ecco subito la risposta: chi crede nell'origine<br />

<strong>di</strong>vina <strong>di</strong> Gesù dal Padre per via <strong>di</strong> generazione (e ne tira tutte le conseguenze, fino ad essere<br />

79


anche lui generato da Dio: 4). Il tema della fede punteggia costantemente questa lettera: [sotto il<br />

concetto <strong>di</strong> professione]: confessare il Figlio (2,23), proclamare Gesù venuto nella carne (4,2-3);<br />

professare che Gesù è il Figlio <strong>di</strong> Dio (4,15); [sotto il concetto <strong>di</strong> fede]: credere nel nome del<br />

Figlio suo Gesù Cristo è un preciso comandamento <strong>di</strong> Dio (3,23), chi crede nel nome del Figlio<br />

<strong>di</strong> Dio ha la vita eterna (5,13) e vince il mondo (5,5: il nome del Figlio è appunto Gesù = Dio<br />

salva). Esultiamo anche noi con Paolo: 1 Cor 15,57 Siano rese grazie a Dio che ci dá la vittoria<br />

per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo! (cfr. anche Rom 8,37).<br />

2 – L’IDENTITÀ MISTICA E SACRAMENTALE DEL CRISTO<br />

1. GESÙ È VENUTO CON ACQUA E CON SANGUE (5,6-8)<br />

5.6 Ou(=to/j e)stin o( e)lqw\n <strong>di</strong>' u(/datoj kai\ ai(/matoj, )Ihsou=j Xristo/j,<br />

ou)k e)n t%= u(/dati mo/non a)ll' e)n t%= u(/dati kai\ e)n t%= ai(/mati:<br />

kai\ to\ pneu=ma/ e)stin to\ marturou=n, o(/ti to\ pneu=ma/ e)stin h( a)lh/qeia.<br />

5.7 o(/ti trei=j ei)sin oi( marturou=ntej,<br />

5.8 to\ pneu=ma kai\ to\ u(/dwr kai\ to\ ai(=ma, kai\ oi( trei=j ei)j to\ e(/n ei)sin.<br />

5,6 Questi è colui che–è–venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo;<br />

non con l'acqua soltanto, ma con l'acqua e con il sangue.<br />

Ed è lo Spirito che rende–testimonianza, poiché lo Spirito è la verità.<br />

5,7 Poiché tre sono quelli che–rendono–testimonianza:<br />

5,8 lo Spirito e l'acqua e il sangue, e questi tre sono in uno.<br />

«Questi è colui che è venuto con acqua e sangue, Gesù Cristo»: adesso l'Evangelista precisa<br />

che cosa vuol <strong>di</strong>re il fatto che Gesù (il Cristo storico) è il Figlio <strong>di</strong> Dio. Chi è Gesù? È colui che è<br />

venuto con acqua e sangue (‘ýdor / ‘âima). Nel IV Vangelo c'è l'accenno al Battesimo <strong>di</strong> Gesù<br />

nelle acque del Giordano all'inizio della vita pubblica (Gv 1,33) e c'è, <strong>alla</strong> fine, la scena del<br />

Cristo trafitto, scena che <strong>Giovanni</strong> sottolinea come molto significativa in or<strong>di</strong>ne <strong>alla</strong> fede<br />

autentica: Gv 19,33 Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le<br />

gambe, 34 ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua. 35<br />

Chi ha visto ne dá testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che <strong>di</strong>ce il vero, perché<br />

anche voi cre<strong>di</strong>ate. Nella fuoriuscita dell'acqua e del sangue i mistici hanno sempre visto i segni<br />

simbolici dello Spirito <strong>San</strong>to e dall'amore ed i segni sacramentali del Battesimo e dell'Eucaristia,<br />

che generano i membri della Chiesa e li nutrono.<br />

«Non con l'acqua soltanto, ma con (’en) l'acqua e con il sangue»: il fatto che <strong>Giovanni</strong> senta<br />

la necessità <strong>di</strong> precisare che non venne solo con acqua, ci fa capire che c'erano cristiani che<br />

accettavano solo il momento del Battesimo al Giordano come tempo nel quale Gesù ebbe in sé la<br />

pienezza della <strong>di</strong>vinità. Parlando invece <strong>di</strong> acqua e <strong>di</strong> sangue, <strong>Giovanni</strong> evidenzia i due momenti<br />

(quello iniziale: il Battesimo, e quello finale: la croce) che includono tutta la vicenda storica del<br />

Cristo, Uomo e Figlio <strong>di</strong> Dio, il quale non è tale solo nel giorno del suo Battesimo, ma resta tale<br />

per sempre anche sulla croce (Uomo e Dio in modo inseparabile: contro l'eresia <strong>di</strong> Cerinto). Per<br />

<strong>di</strong>mostrare che venuto con (’en) l'acqua è un'espressione che in<strong>di</strong>ca il Battesimo ricevuto da<br />

Cristo, ricor<strong>di</strong>amo che il Battista afferma <strong>di</strong> sé che egli era venuto a battezzare con (’en) l'acqua<br />

(Gv 1,31). Il Battesimo <strong>di</strong> Gesù al Giordano (l'acqua) preludeva <strong>alla</strong> sua cruenta morte in croce<br />

(il sangue), chiamata quest’ultima calice e battesimo (Mc 10,39; Lc 12,50). Con il suo battesimo<br />

Gesù si immergeva già simbolicamente nelle sofferenze della sua passione e morte per emergere<br />

con la sua gloriosa risurrezione. Gesù a sua volta invita anche noi a ricevere il battesimo. È lui<br />

che ci battezza. Egli però non ripete semplicemente il gesto compiuto dal Battista (battezzare con<br />

sola acqua), ma realizza una novità assoluta donando nel segno dell’acqua lo Spirito <strong>San</strong>to, lo<br />

Spirito Pentecostale, che anima efficacemente la Chiesa e che la riempie dei suoi carismi.<br />

Teniamo presente però che lo Spirito <strong>San</strong>to non può venire se non dopo la morte in croce e il<br />

80


versamento del suo sangue da parte del Signore Gesù: Gv 16,7 Ora io vi <strong>di</strong>co la verità: è bene<br />

per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma<br />

quando me ne sarò andato, ve lo manderò. È il sangue, segno dell'amore crocifisso, che dona<br />

efficacia all'acqua, cosicché essa <strong>di</strong>venta sacramento dello Spirito: Gv 3,5 Gli rispose Gesù: «In<br />

verità, in verità ti <strong>di</strong>co, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno <strong>di</strong><br />

Dio. 6 Quel che è nato d<strong>alla</strong> carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. Gesù non è<br />

solo stato l'Uomo consacrato dallo Spirito del Padre nel giorno del suo battesimo al Giordano,<br />

ma è anche colui che, donando la sua vita e il suo sangue per amore sulla croce (e nell'Ultima<br />

Cena: Mt 26,28), continua a generare la Chiesa per mezzo del Battesimo nello Spirito e a nutrirla<br />

con la sua carne e con il suo sangue nell'Eucaristia (Gv 6,54). Ricor<strong>di</strong>amo che proprio a Efeso,<br />

sede dell'<strong>Apostolo</strong> <strong>Giovanni</strong>, Paolo incontrò 12 uomini che conoscevano solo il battesimo <strong>di</strong><br />

<strong>Giovanni</strong> Battista e che non avevamo mai sentito parlare dello Spirito <strong>San</strong>to: appena Paolo li<br />

battezzò ed impose le mani, fecero l'esperienza viva <strong>di</strong> questo Spirito parlando in lingue e<br />

profetizzando (Atti 19,1-7).<br />

«Ed è lo Spirito che rende testimonianza (martyréo), poiché lo Spirito è la verità (’alétheia)»:<br />

<strong>Giovanni</strong> afferma che del valore mistico e sacramentale <strong>di</strong> Cristo è lo Spirito che rende<br />

testimonianza (nel presente) e che questa testimonianza è vera, essendo lo Spirito la stessa verità<br />

(Gv 15,26; 16,13). Nella teologia giovannea il termine verità ha un senso straor<strong>di</strong>nariamente<br />

ricco: in<strong>di</strong>ca tutto quello che è autentico, in modo particolare la Parola <strong>di</strong> Dio (Gv 17,17) e,<br />

infine, Dio stesso (Gv 14,6; 15,26). Solo lo Spirito <strong>San</strong>to ci può far capire, gustare tutta la<br />

concretezza <strong>di</strong> Gesù e vivere efficacemente il dono dell'Acqua e del <strong>San</strong>gue che Gesù ci ha<br />

portato, come segni efficaci della sua opera e della sua presenza.<br />

«Poiché tre sono quelli che rendono testimonianza»: il concetto <strong>di</strong> testimonianza ritorna qui<br />

insistentemente (10 volte nei soli versetti 6-11: 4 volte è usato il verbo); questa volta però non si<br />

tratta <strong>di</strong> quella che gli apostoli rendono, annunciando la loro esperienza <strong>di</strong> fede, ma si tratta <strong>di</strong><br />

quella resa da tre misteriose entità, che però in fondo sono una sola realtà.<br />

«Lo Spirito e l'acqua e il sangue, e questi tre sono in uno»: cioè sono uniti, sono concor<strong>di</strong>. Lo<br />

Spirito, l’acqua e il sangue ricordano i tre doni effusi dal Cristo crocifisso (d<strong>alla</strong> sua bocca lo<br />

Spirito e dal suo cuore sangue e acqua: Gv 19,30.34). In realtà si tratta dello stesso ed unico<br />

Spirito <strong>di</strong> carità che nel segno dell’Alito <strong>di</strong> Gesù che spira, nel segno dell'Acqua (sgorgata dal<br />

costato del Signore) e in quello del <strong>San</strong>gue (versato dal Cristo crocifisso e donato come bevanda<br />

nella Cena eucaristica) rende consapevoli e convinti i fedeli che Gesù è venuto a salvarci e che lo<br />

si incontra ancora oggi nei segni sacramentali dell'Acqua battesimale e del <strong>San</strong>gue Eucaristico.<br />

Non vi è contrad<strong>di</strong>zione e opposizione tra l’Alito, l'Acqua e il <strong>San</strong>gue (queste realtà sono<br />

presentate come se fossero una persona viva, perché sono i vari segni in cui opera l'unico Spirito,<br />

segni in<strong>di</strong>canti vita nuova e morte al peccato). Battesimo ed Eucaristia sono davvero il<br />

prolungamento, per opera dello Spirito, dell'azione salvifica dell'umanità e della corporeità<br />

<strong>di</strong>vinizzata del Cristo Salvatore.<br />

2. ACCETTIAMO LA TESTIMONIANZA DI DIO (5,9-11)<br />

5.9 ei) th\n marturi/an tw=n a)nqrw/pwn lamba/nomen,<br />

h( marturi/a tou= qeou= mei/zwn e)sti/n:<br />

o(/ti au(/th e)sti\n h( marturi/a tou= qeou=<br />

o(/ti memartu/rhken peri\ tou= ui(ou= au)tou=.<br />

5.10 o( pisteu/wn ei)j to\n ui(o\n tou= qeou= e)/xei th\n marturi/an e)n e(aut%=,<br />

o( mh\ pisteu/wn t%= qe%= yeu/sthn pepoi/hken au)to/n,<br />

o(/ti ou) pepi/steuken ei)j th\n marturi/an<br />

h(\n memartu/rhken o( qeo\j peri\ tou= ui(ou= au)tou=.<br />

5.11 kai\ au(/th e)sti\n h( marturi/a,<br />

o(/ti zwh\n ai)w/nion e)/dwken h(mi=n o( qeo/j, kai\ au(/th h( zwh\ e)n t%= ui(%= au)tou= e)stin.<br />

5,9 Se accettiamo la testimonianza degli uomini,<br />

81


la testimonianza <strong>di</strong> Dio è maggiore;<br />

poiché questa è la testimonianza <strong>di</strong> Dio,<br />

perché ha–reso–testimonianza riguardo–al Figlio suo.<br />

5,10 Chi crede nel Figlio <strong>di</strong> Dio, ha questa testimonianza in sé.<br />

Chi non crede a Dio, ha–fatto <strong>di</strong>–lui (un) bugiardo,<br />

poiché non ha–creduto <strong>alla</strong> testimonianza,<br />

che Dio ha–testimoniato circa il Figlio suo.<br />

5,11 E questa è la testimonianza:<br />

Dio ci <strong>di</strong>ede (la) vita eterna e questa vita è nel suo Figlio.<br />

«Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza <strong>di</strong> Dio è maggiore»: già solo a<br />

livello umano una testimonianza resa in tribunale ha un valore vincolante. Se questi uomini, poi<br />

sono gli apostoli, incaricati e autorizzati a pre<strong>di</strong>care autorevolmente il Vangelo, la loro<br />

testimonianza (anche solo a livello umano) è ancora più cre<strong>di</strong>bile. La testimonianza <strong>di</strong>vina <strong>di</strong>retta<br />

però è ben superiore e ben più profonda. La testimonianza dello Spirito coincide poi con quella<br />

che il Padre ha reso al Figlio suo.<br />

«Poiché questa è la testimonianza <strong>di</strong> Dio, perché ha reso testimonianza riguardo al Figlio<br />

suo»: dal Vangelo <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> sappiamo che il Padre ha reso (nel passato) più volte<br />

testimonianza al Figlio. Abbiamo già citato Gv 1,33; citiamo ora: Gv 5,32 C'è un altro (il Padre)<br />

che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza che egli mi rende è verace... 37 E anche il<br />

Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza <strong>di</strong> me. Ma voi non avete mai u<strong>di</strong>to la sua voce,<br />

né avete visto il suo volto, 38 e non avete la sua parola che <strong>di</strong>mora in voi, perché non credete a<br />

colui che egli ha mandato.(cfr. anche Gv 8,18; 12,28). Chi ha sentito la voce del Padre (nel<br />

giorno del suo Battesimo e della sua Trasfigurazione) è stato interiormente istruito in un modo<br />

straor<strong>di</strong>nario (cfr. 2 Pt 1,17-18).<br />

«Chi crede nel Figlio <strong>di</strong> Dio, ha questa testimonianza in sé»: questa affermazione non fa che<br />

riba<strong>di</strong>re quanto Gesù aveva già detto ai Giudei (affermazione che abbiamo appena citato),<br />

facendo <strong>di</strong>pendere l'accoglienza e il possesso <strong>di</strong> questa intima testimonianza d<strong>alla</strong> fede in lui,<br />

Figlio <strong>di</strong> Dio. Tale fede è suscitata dallo Spirito <strong>San</strong>to, che rende attuale e operante nella Chiesa<br />

e nel cuore del credente quella testimonianza che il Padre che reso in passato al Figlio. Gli<br />

uomini (gli apostoli ) pre<strong>di</strong>cano il Vangelo e testimoniano quello che hanno visto e u<strong>di</strong>to<br />

(soprattutto quello che il Padre ha proclamato) e lo Spirito fa sì che tale messaggio sia<br />

interiormente assimilato e conservato (in sé) da parte del fedele (Apc 12,17).<br />

«Chi non crede a Dio, ha fatto <strong>di</strong> lui un bugiardo (1,10), poiché non ha creduto <strong>alla</strong><br />

testimonianza, che Dio ha testimoniato circa il Figlio suo»: per <strong>Giovanni</strong> chi manca <strong>di</strong> fede nel<br />

Padre che ha parlato compie un peccato gravissimo, perché tratta Dio come va trattato il <strong>di</strong>avolo,<br />

il menzognero per eccellenza (sulla testimonianza resa al Figlio cfr. anche Mt 3,17 e 17,5:<br />

«Questi è il Figlio mio pre<strong>di</strong>letto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo»). Dicendo che ha<br />

fatto <strong>di</strong> lui un bugiardo, <strong>Giovanni</strong> parla <strong>di</strong> qualcosa che è avvento in passato e quin<strong>di</strong> egli si<br />

vuole riferire a un episo<strong>di</strong>o storico: l'abbandono della comunità da parte dei cristiani ribelli (2,19.<br />

Cfr. Gv 3,33: Chi accetta la sua [<strong>di</strong> Gesù] testimonianza, attesta che Dio è verace).<br />

«E questa è la testimonianza: Dio ci <strong>di</strong>ede la vita eterna e questa vita è nel suo Figlio»:<br />

quale è il contenuto fondamentale della testimonianza del Padre resa nei confronti del Figlio e<br />

donata a noi? Eccola: il Figlio ha in sé, anzi, è egli stesso la Vita eterna e il Padre, donandoci il<br />

Figlio, ci ha donato (nel passato: aoristo) la Vita eterna. Che cosa bella! Tale vita è un dono <strong>di</strong><br />

Dio in Cristo (non <strong>di</strong>mentichiamolo mai: un dono passato e presente [5,13], reale e non solo<br />

promesso [2,25]). Dobbiamo essere davvero riconoscenti!<br />

82


3. CHI HA IL FIGLIO HA LA VITA (5,12-13)<br />

5.12 o( e)/xwn to\n ui(o\n e)/xei th\n zwh/n: o( mh\ e)/xwn to\n ui(o\n tou= qeou= th\n zwh\n ou)k e)/xei.<br />

5.13 Tau=ta e)/graya u(mi=n i(/na ei)dh=te o(/ti zwh\n e)/xete ai)w/nion,<br />

toi=j pisteu/ousin ei)j to\ o)/noma tou= ui(ou= tou= qeou=.<br />

5,12 Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio <strong>di</strong> Dio, non ha la vita.<br />

5,13 Questo vi ho–scritto affinché sappiate che possedete la vita eterna,<br />

voi che–credete nel nome del Figlio <strong>di</strong> Dio.<br />

«Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio <strong>di</strong> Dio, non ha la vita»: con il suo solito stile<br />

ripetitivo, <strong>Giovanni</strong> afferma prima in forma positiva e poi antitetica che chi possiede il Figlio,<br />

possiede la vita in se stesso dal momento che Gesù è la nostra Vita (cfr. Gv 3,36 Chi crede nel<br />

Figlio ha la vita eterna; chi non obbe<strong>di</strong>sce al Figlio non vedrà la vita. Ve<strong>di</strong> anche Gv 1,4; 5,26;<br />

11,25).<br />

«Questo vi ho scritto affinché sappiate che possedete la vita eterna, voi che credete nel nome<br />

del Figlio <strong>di</strong> Dio»: ancora una volta l'<strong>Apostolo</strong> assicura i suoi lettori che essi hanno la vita, dal<br />

momento che credono nella <strong>di</strong>vinità (nome) <strong>di</strong> Gesù, Figlio del Padre. Una certezza così bella,<br />

riempie il cuore <strong>di</strong> entusiasmo e dona il coraggio <strong>di</strong> combattere la buona battaglia della fede,<br />

sapendo <strong>di</strong> aver già vinto e <strong>di</strong> possedere la Vita vera. Lo scritto dell'<strong>Apostolo</strong> <strong>di</strong>venta veramente<br />

Sacra Scrittura, maestra <strong>di</strong> fede e sacramento <strong>di</strong> salvezza: Gv 20,31 Questi (fatti) sono stati<br />

scritti, perché cre<strong>di</strong>ate che Gesù è il Cristo, il Figlio <strong>di</strong> Dio e perché, credendo, abbiate la vita<br />

nel suo nome.<br />

83


IV - CONCLUSIONE<br />

PREGHIAMO SECONDO IL VOLERE DI DIO (UNITÀ 11)<br />

Preghiamo per il fratello che pecca e cre<strong>di</strong>amo nel vero Dio<br />

Lettura e interpretazione <strong>di</strong> 1 Gv 5,14-21<br />

Quest'ultima Unità si <strong>di</strong>vide con naturalezza in due parti:<br />

la 1 a contiene un invito <strong>alla</strong> preghiera fiduciosa e all'intercessione in favore del fratello che<br />

pecca;<br />

la 2 a parte la proclamazione riassuntiva <strong>di</strong> quattro verità certe e fondamentali, seguite da un<br />

deciso invito a fuggire l'idolatria.<br />

1 - LA PREGHIERA FIDUCIOSA E L'INTERCESSIONE PER I PECCATORI<br />

1. DIO CI ASCOLTA, SE PREGHIAMO SECONDO IL SUO VOLERE (5,14-15)<br />

5.14 kai\ au(/th e)sti\n h( parrhsi/a h(\n e)/xomen pro\j au)to/n<br />

o(/ti e)a/n ti ai)tw/meqa kata\ to\ qe/lhma au)tou= a)kou/ei h(mw=n.<br />

5.15 kai\ e)a\n oi)/damen o(/ti a)kou/ei h(mw=n o(\ e)a\n ai)tw/meqa,<br />

oi)/damen o(/ti e)/xomen ta\ ai)th/mata a(\ v)th/kamen a)p' au)tou=.<br />

5,14 E questa è la fiducia che abbiamo davanti–a lui:<br />

che se qualcosa (gli) chie<strong>di</strong>amo secondo la sua volontà, (egli) ci ascolta.<br />

5,15 E se sappiamo che ci ascolta, se qualcosa (gli) chie<strong>di</strong>amo,<br />

sappiamo <strong>di</strong> avere le cose–chieste che abbiamo–chiesto a lui.<br />

«Questa è la fiducia (parresía) che abbiamo davanti a lui»: questa lettera <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> è molto<br />

incoraggiante. L'<strong>Apostolo</strong> ci parla, in modo abbastanza insistente, della fiducia che dobbiamo<br />

avere fin da ora davanti a Dio, che scruta il nostro cuore (3,21) e che ascolta le nostre preghiere.<br />

Tale fiducia manifesterà la sua utilità soprattutto nel giorno della venuta finale del Signore Gesù<br />

(2,28), nel giorno in cui saremo giu<strong>di</strong>cati sull'amore (4,17). Per Luca negli Atti la parresía è<br />

soprattutto la franchezza e il coraggio con cui gli apostoli pre<strong>di</strong>cano il Vangelo <strong>di</strong> fronte a tutti<br />

senza timore <strong>di</strong> nessuno (Atti 4,13.31; 9,28; 13,46...). In <strong>Giovanni</strong> è la serenità con la quale il<br />

credente vive il suo rapporto con Dio, pur sapendo che verrà il momento della verità nel quale<br />

non si potrà scherzare. Ma chi è interiormente convinto dallo Spirito <strong>San</strong>to, senza alcuna<br />

incertezza, che è un figlio, amato dal Padre e purificato dal sangue <strong>di</strong> Cristo, vive in un clima <strong>di</strong><br />

sicurezza e possiede quella santa audacia, quella piena confidenza, che solo i figli possono<br />

permettersi nei confronti dei loro genitori.<br />

«Che se qualcosa gli chie<strong>di</strong>amo secondo la sua volontà, egli ci ascolta (3,22)»: il figlio ha la<br />

certezza che qualunque cosa chiede al Padre, in sintonia con la sua <strong>di</strong>vina volontà, la ottiene<br />

sempre. Abbiamo nel Vangelo <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong> un episo<strong>di</strong>o che <strong>di</strong>mostra bene questa verità: Gv<br />

11,41 ... Gesù allora alzò gli occhi e <strong>di</strong>sse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. 42 Io<br />

sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano<br />

che tu mi hai mandato». Nel Vangelo <strong>di</strong> Luca troviamo un passo che invita <strong>alla</strong> piena confidenza,<br />

fino ad essere importuni: Lc 11,5 Poi aggiunse: «Se uno <strong>di</strong> voi ha un amico e va da lui a<br />

mezzanotte a <strong>di</strong>rgli: Amico, prestami tre pani, 6 perché è giunto da me un amico da un viaggio e<br />

non ho nulla da mettergli davanti; 7 e se quegli dall'interno gli risponde: Non m'importunare, la<br />

porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli; 8 vi <strong>di</strong>co<br />

che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene<br />

84


occorrono almeno per la sua impudenza. 9 Ebbene io vi <strong>di</strong>co: Chiedete e vi sarà dato, cercate e<br />

troverete, bussate e vi sarà aperto. 10 Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa<br />

sarà aperto. 11 Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli<br />

chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? 12 O se gli chiede un uovo, gli darà uno<br />

scorpione? 13 Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il<br />

Padre vostro celeste darà lo Spirito <strong>San</strong>to a coloro che glielo chiedono!». Siamo dunque certi<br />

che, se chie<strong>di</strong>amo una cosa che è secondo la volontà <strong>di</strong>vina, la otteniamo. Tale cosa poi<br />

dev'essere, in ultima analisi, il dono dello Spirito <strong>San</strong>to. Anche il ‘Padre nostro’ ci insegna a<br />

pregare secondo la volontà <strong>di</strong>vina (Mt 6,10). L'espressione chiedere secondo la sua volontà<br />

(usata nel v. 14) corrisponde nel IV Vangelo a chiedere nel nome <strong>di</strong> Gesù: Se chiederete<br />

qualcosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà (Gv 16,23; cfr. anche Gv 14,13). A questo punto<br />

nascono tre problemi: 1° Pregare secondo la volontà <strong>di</strong>vina non vuol <strong>di</strong>re rinunciare del tutto <strong>alla</strong><br />

nostra autonomia perdendo così la nostra libertà? Rispon<strong>di</strong>amo <strong>di</strong>cendo che la volontà <strong>di</strong> Dio<br />

non annulla mai la nostra libertà, ma la libera ulteriormente.<br />

2° Non è forse inutile chiedere una cosa che sappiamo che Dio vuole, dal momento che la<br />

volontà <strong>di</strong>vina realizza sempre quello che desidera? Dio è colui che tutto opera efficacemente<br />

conforme <strong>alla</strong> sua volontà (Ef 1,11). Tuttavia per noi è necessario pregare perché la preghiera<br />

fatta secondo il <strong>di</strong>vino volere <strong>di</strong>lata il nostro cuore, educa il nostro spirito, ci conforma a Dio che<br />

è <strong>di</strong>alogo ed è preghiera.<br />

3° Il terzo problema sta nel sapere quale sia in concreto la volontà <strong>di</strong> Dio, anche nelle piccole<br />

occasioni. Nelle sue linee generali la conosciamo, ma in particolare non sempre le cose sono<br />

chiare. Siamo sicuri che se chie<strong>di</strong>amo lo Spirito <strong>San</strong>to egli ce lo dona, però non è facile sapere se<br />

una certa ispirazione particolare viene dallo Spirito buono (ad es.: una guarigione fisica<br />

corrisponde sì o no <strong>alla</strong> volontà <strong>di</strong> Dio?). Che cosa fare? Noi chie<strong>di</strong>amo con vera insistenza lo<br />

Spirito <strong>San</strong>to, ben sapendo che senza <strong>di</strong> lui non possiamo fare nulla, assolutamente nulla. Poi,<br />

sarà lo Spirito <strong>San</strong>to a farci capire se una determinata intenzione sia buona o meno, corrisponda e<br />

no <strong>alla</strong> volontà del Padre. Ci sono esegeti che pensano che il testo <strong>di</strong> 5,13-21 sia un'aggiunta<br />

posteriore <strong>di</strong> un redattore sconosciuto. A noi pare tipicamente giovanneo il collegamento tra il<br />

tema della comunione con Dio (ovvero la fede in lui) e quello della preghiera: cfr. Gv 15,7 Se<br />

rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato (cfr.<br />

anche 14,12-13; 15,16). Nella teologia giovannea la fede è vista come premessa al <strong>di</strong>alogo orante<br />

con Dio, anzi, come qualcosa che <strong>di</strong>venta necessariamente <strong>di</strong>alogo e quin<strong>di</strong> preghiera.<br />

«Se sappiamo che ci ascolta, se qualcosa gli chie<strong>di</strong>amo»: l'esau<strong>di</strong>mento è assicurato, perché<br />

tutto concorre al bene <strong>di</strong> coloro che amano Dio (Rom 8,28). Il modo materiale dell’esau<strong>di</strong>mento<br />

a volte non è esattamente quello che noi uomini, limitati nelle nostre vedute, desideravamo. In<br />

ogni caso esso va al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> quello che ci aspettavamo. Gesù stesso ha pregato che passasse il<br />

calice della croce e l'autore della lettera agli Ebrei <strong>di</strong>ce che fu esau<strong>di</strong>to (non nel modo richiesto,<br />

ma in uno molto superiore): Ebr 5,7 Proprio per questo nei giorni della sua vita terrena egli<br />

offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu<br />

esau<strong>di</strong>to per la sua pietà; 8 pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbe<strong>di</strong>enza dalle cose che patì 9<br />

e, reso perfetto, <strong>di</strong>venne causa <strong>di</strong> salvezza eterna per tutti coloro che gli obbe<strong>di</strong>scono. Anche<br />

Paolo pregò il Signore e venne esau<strong>di</strong>to in un modo del tutto impreve<strong>di</strong>bile: 2 Cor 12,7 Perché<br />

non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella<br />

carne, un inviato <strong>di</strong> satana incaricato <strong>di</strong> schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. 8 A<br />

causa <strong>di</strong> questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l'allontanasse da me. 9 Ed egli mi ha<br />

detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».<br />

Mi vanterò quin<strong>di</strong> ben volentieri delle mie debolezze, perché <strong>di</strong>mori in me la potenza <strong>di</strong> Cristo. 10<br />

Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni,<br />

nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte. Non è forse un<br />

esau<strong>di</strong>mento vedere il Cristo e sapere da lui <strong>di</strong> essere nella sua grazia in modo da <strong>di</strong>ventare forti<br />

85


della sua forza senza più temere le avversità, ma sentendole come un motivo <strong>di</strong> vanto e <strong>di</strong><br />

compiacenza? Lo stesso Paolo perciò ci informa che in genere non sappiamo quale sia il nostro<br />

vero bene. Bisogna allora lasciar agire lo Spirito <strong>San</strong>to: Rom 8,26 Lo Spirito viene in aiuto <strong>alla</strong><br />

nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito<br />

stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; 27 e colui che scruta i cuori sa<br />

quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> Dio.<br />

28 Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene <strong>di</strong> coloro che amano Dio, che sono stati<br />

chiamati secondo il suo <strong>di</strong>segno. Lasciamo fare all'azione misteriosa dello Spirito che è in noi:<br />

questo Spirito rende testimonianza ai nostri cuori facendoci conoscere la nostra grandezza <strong>di</strong><br />

figli, rendendoci consapevoli dei doni <strong>di</strong> luce e <strong>di</strong> verità che abbiamo ricevuto, dandoci coscienza<br />

della comunione <strong>di</strong> fede e <strong>di</strong> amore che abbiamo con il Padre e con il Figlio (3,24). Questo stesso<br />

Spirito, se saremo docili ai suoi impulsi, ci metterà in sintonia con il pensiero del Padre e <strong>di</strong><br />

Cristo e noi, sempre più, saremo in grado <strong>di</strong> chiedere quello che corrisponde <strong>alla</strong> volontà <strong>di</strong> Dio,<br />

che è Amore.<br />

«Sappiamo <strong>di</strong> avere le cose chieste che abbiamo chiesto a lui»: la nostra certezza dev’essere<br />

talmente grande che, appena iniziamo la preghiera, dobbiamo essere persuasi che il Padre ci<br />

ascolta e ci dona quello che gli stiamo chiedendo: Mc 11,23 In verità vi <strong>di</strong>co: chi <strong>di</strong>cesse a<br />

questo monte: Lèvati e gettati nel mare, senza dubitare in cuor suo ma credendo che quanto <strong>di</strong>ce<br />

avverrà, ciò gli sarà accordato. 24 Per questo vi <strong>di</strong>co: tutto quello che domandate nella<br />

preghiera, abbiate fede <strong>di</strong> averlo ottenuto e vi sarà accordato. Ogni altro atteggiamento, che non<br />

sia quello <strong>di</strong> una totale parresía, rende la nostra preghiera più una manifestazione <strong>di</strong> paura e <strong>di</strong><br />

dubbio, che una testimonianza <strong>di</strong> amore e <strong>di</strong> fede. In conclusione, tre sono le cose che dobbiamo<br />

sapere sulla preghiera: 1° essa dev'essere fatta con totale fiducia, 2° possiamo chiedere tutto,<br />

purché conforme <strong>alla</strong> volontà <strong>di</strong>vina, 3° siamo sempre esau<strong>di</strong>ti subito.<br />

2. PREGHIAMO PER IL FRATELLO CHE PECCA (5,16-17)<br />

5.16 )Ea/n tij i)/dv to\n a)delfo\n au)tou= a(marta/nonta a(marti/an mh\ pro\j qa/naton,<br />

ai)th/sei kai\ dw/sei au)t%= zwh/n,<br />

toi=j a(marta/nousin mh\ pro\j qa/naton.<br />

e)/stin a(marti/a pro\j qa/naton: ou) peri\ e)kei/nhj le/gw i(/na e)rwth/sv.<br />

5.17 pa=sa a)<strong>di</strong>ki/a a(marti/a e)sti/n, kai\ e)/stin a(marti/a ou) pro\j qa/naton.<br />

5,16 Se uno vede il proprio fratello peccare con un peccato (che) non (porta) a morte,<br />

preghi, e (Dio) gli darà (la) vita:<br />

a–coloro che–peccano non a morte;<br />

c'è (un) peccato (che porta) a morte: per questo <strong>di</strong>co <strong>di</strong> non pregare.<br />

5,17 Ogni ingiustizia è peccato, ma c'è (un) peccato (che) non (porta) a morte.<br />

«Se uno vede il proprio fratello peccare con un peccato che non porta a morte, preghi»: dopo<br />

l'utile istruzione sulla preghiera, che noi abbiamo semplicemente sviluppato svelandone, con<br />

l'aiuto <strong>di</strong> altri testi del N.T., il contenuto nascosto, <strong>Giovanni</strong> invita il fedele a pregare per il<br />

fratello peccatore. Ogni cristiano, che non vuole ingannarsi, si deve riconoscere peccatore<br />

davanti al Dio fedele e giusto (1,8). Deve però pregare non solo per i propri peccati, ma anche<br />

per quelli dei suoi fratelli. Quello che Gesù fa presso il Padre, intercedendo come avvocato a<br />

nostro favore (2,2), lo deve fare anche il cristiano, che in questo imita il suo Maestro e Signore.<br />

La stessa cosa insegna l'apostolo Giacomo: Giac 5,16 Confessate perciò i vostri peccati gli uni<br />

agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta<br />

con insistenza. 17 Elia era un uomo della nostra stessa natura: pregò intensamente che non<br />

piovesse e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. 18 Poi pregò <strong>di</strong> nuovo e il cielo <strong>di</strong>ede la<br />

pioggia e la terra produsse il suo frutto. 19 Fratelli miei, se uno <strong>di</strong> voi si allontana d<strong>alla</strong> verità e<br />

un altro ve lo riconduce, 20 costui sappia che chi riconduce un peccatore d<strong>alla</strong> sua via <strong>di</strong> errore,<br />

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salverà la sua anima d<strong>alla</strong> morte e coprirà una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> peccati. La carità sulla quale<br />

<strong>Giovanni</strong> in questa lettera ha insistito tanto si traduce in pratica anche nella preghiera per la<br />

conversione dei peccatori.<br />

«E Dio gli darà la vita»: questa affermazione suppone che il peccato fatto dal fratello sia stato<br />

così grave da indebolirlo fortemente nella vita spirituale, al punto che quasi egli l'ha persa e<br />

quin<strong>di</strong> ha bisogno che gli venga ridata. Tale colpa però ma non è tale da farlo perire del tutto e in<br />

modo pressoché irreparabile (possiamo introdurre una <strong>di</strong>stinzione tra peccato grave e peccato<br />

mortale in senso assoluto).<br />

«A coloro che peccano non a morte»: per morte in questo caso bisogna intendere quella<br />

situazione <strong>di</strong> peccato così grave che non vi è speranza <strong>di</strong> recupero. Appartiene a questo tipo <strong>di</strong><br />

peccato la ‘bestemmia’ contro lo Spirito <strong>San</strong>to, che consiste sostanzialmente in una ‘finta<br />

sincerità’ che cerca in tutti i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> spacciarsi come vera, mentre in realtà è una ‘ipocrisia<br />

segreta’ <strong>di</strong>ventata sistema <strong>di</strong> vita. Quando tale atteggiamento è continuamente coltivato e<br />

potenziato assorbe tutte le energie mentali e fisiche e rende incapaci <strong>di</strong> sintonizzarsi sulle onde <strong>di</strong><br />

Dio. Il nostro Io prende il posto <strong>di</strong> Dio e allora non ci sono limiti alle storture morali: ci si ritiene<br />

giusti e in <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> criticare Dio, si cerca solo e sempre il proprio successo (illudendosi <strong>di</strong><br />

ottenerlo anche nel campo spirituale), si pretende la salvezza usando le scorciatoie <strong>di</strong> una<br />

religiosità magica, si resta sempre <strong>di</strong> più accecati circa la propria <strong>di</strong>sastrosa situazione morale. Si<br />

teme come il fuoco ogni umiliazione. Si evita accuratamente la vera conoscenza della propria<br />

miseria: si preferisce l’inferno, piuttosto che riconoscersi salvati d<strong>alla</strong> misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Dio e degli<br />

uomini. Non si ha nel cuore l’amore <strong>di</strong> Dio (Gv 5,42), ma la ricerca idolatrica della propria<br />

gloriuzza (Gv 5,44).<br />

«C'è un peccato (che porta) a morte»: ecco ancora quale può essere uno dei peccati a morte:<br />

quello ad esempio <strong>di</strong> vedere in Gesù l'opera del demonio invece <strong>di</strong> quella dello Spirito <strong>San</strong>to: Mc<br />

3,28 In verità vi <strong>di</strong>co: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le<br />

bestemmie che <strong>di</strong>ranno; 29 ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in<br />

eterno: sarà reo <strong>di</strong> colpa eterna». 30 Poiché <strong>di</strong>cevano: «È posseduto da uno spirito immondo».<br />

Quando l'uomo arriva ad una cecità così grave, non solo ha l'occhio della coscienza annebbiato,<br />

ma il suo occhio è perduto in modo irreversibile. Solo un vero miracolo lo può salvare. Questo<br />

peccato a morte può anche essere il peccato dell'uomo del mondo, che corre freneticamente<br />

<strong>di</strong>etro alle sue concupiscenze, fino a conformarsi in pieno allo spirito del male (e <strong>di</strong>ventare figlio<br />

del <strong>di</strong>avolo). Si tratta <strong>di</strong> quel peccato che <strong>Giovanni</strong> chiama ’anomía (3,4) e ’a<strong>di</strong>kía (5,17), in<br />

senso pieno (cfr. Ebr 6,4-6); peccato che il cristiano, che sta sotto l'influsso della grazia filiale,<br />

non commette e non può commettere (l'incredulità arrogante, l'apostasia ostinata, l'o<strong>di</strong>o satanico<br />

verso Dio e verso i fratelli...; cfr. Gv 8,24).<br />

«Per questo <strong>di</strong>co <strong>di</strong> non pregare»: Gesù stesso si era rifiutato <strong>di</strong> pregare per il mondo del<br />

peccato: Gv 17,9 Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato,<br />

perché sono tuoi. Dobbiamo temere con santo timore <strong>di</strong> cadere inavvertitamente in questo<br />

peccato: tale caduta avviene quando induriamo il cuore <strong>alla</strong> grazia, quando resistiamo sempre più<br />

fortemente allo Spirito <strong>San</strong>to, fino al punto da renderci refrattari, in modo inconsapevole e non<br />

per questo meno colpevole, <strong>alla</strong> volontà <strong>di</strong>vina. Eppure Dio ci può purificare da ogni ingiustizia<br />

se chie<strong>di</strong>amo perdono (’a<strong>di</strong>kía:1,9): ma questi ingiusti <strong>di</strong>cono con orgoglio smisurato: Siamo<br />

senza peccato (1,8).<br />

«Ogni ingiustizia (’a<strong>di</strong>kía) è peccato, ma c'è un peccato (che) non (porta) a morte»: <strong>Giovanni</strong><br />

ci ricorda che non ogni peccato è mortale. Se ogni peccato è ’anomía (trasgressione della legge:<br />

3,4), non ogni peccato è ’a<strong>di</strong>kía in modo totale, cioè peccato che conduce irreversibilmente <strong>alla</strong><br />

per<strong>di</strong>zione. Sino <strong>alla</strong> fine della lettera noi abbiamo accolto, senza fiatare, lo stile dell'Evangelista<br />

che tende ad esasperare i contrasti: per lui o si è ra<strong>di</strong>calmente buoni oppure totalmente cattivi,<br />

con l'introduzione, come unico correttivo, della possibilità <strong>di</strong> un peccato non mortale. Lo stile <strong>di</strong><br />

<strong>Giovanni</strong>, se male assimilato, potrebbe portarci ad un estremismo: quello <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>care con troppa<br />

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durezza chi non la pensa come noi e <strong>di</strong> demonizzarlo (trattandolo come figlio del <strong>di</strong>avolo). In<br />

questa lettera vi è, ad esempio, la dura condanna degli pseudoprofeti, che, in qualche passo, sono<br />

chiamati perfino anticristi: una tale presa <strong>di</strong> posizione va adottata solo da chi ha l'autorità<br />

apostolica <strong>di</strong> farlo e l'autorevolezza derivante da un vero carisma profetico. Può pronunciare una<br />

tale sentenza solo chi ha ragioni molto valide e se, da parte sua, vi è davvero la massima carità,<br />

perché, non <strong>di</strong>mentichiamolo, Gesù è stato condannato a morte proprio come falso profeta da una<br />

comunità religiosa praticante, che credeva con questa uccisione <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere l'onore <strong>di</strong> Dio.<br />

Quante volte responsabili della nostra Chiesa hanno commesso lo stesso orrendo sbaglio in nome<br />

<strong>di</strong> Dio! Ritornando <strong>alla</strong> dottrina giovannea sul peccato espressa in questi versetti, conclu<strong>di</strong>amo<br />

augurandoci che essa faccia capire meglio, per contrasto, tutta la bellezza della giustizia, della<br />

santità che è vita e armonia interiore.<br />

2 - QUATTRO CERTEZZE STUPENDE E UN FORTE AVVERTIMENTO<br />

1. PRIMA CERTEZZA: CHI È NATO DA DIO PRESERVA SE STESSO (5,18)<br />

5.18 Oi)/damen o(/ti pa=j o( gegennhme/noj e)k tou= qeou= ou)x a(marta/nei,<br />

a)ll' o( gennhqei\j e)k tou= qeou= threi= au)to/n<br />

kai\ o( ponhro\j ou)x a(/ptetai au)tou=.<br />

5,18 Sappiamo che chiunque è–stato–generato da Dio non pecca:<br />

ma [il Generato da Dio lo preserva] chi è–generato da Dio preserva se–stesso<br />

e il maligno non lo tocca.<br />

«Sappiamo che chiunque è stato generato da Dio non pecca»: adesso <strong>Giovanni</strong> riassume tutta<br />

la sua lettera cercando <strong>di</strong> imprimere nella mente e nel cuore del suo lettori quattro gran<strong>di</strong> verità,<br />

che riempiono il cristiano <strong>di</strong> ottimismo e <strong>di</strong> fiducia. La prima verità riguarda il cristiano in<br />

genere: chi è nato da Dio non corre il rischio <strong>di</strong> fare quel peccato mortale che <strong>di</strong> cui si è appena<br />

parlato (3,6). L'Evangelista non perde l'occasione <strong>di</strong> sottolineare le conseguenze pratiche<br />

derivanti d<strong>alla</strong> nostra filiazione <strong>di</strong>vina, cioè dal fatto che è stato Dio a generarci come suoi veri<br />

figli.<br />

«Ma il Generato da Dio lo preserva oppure Ma chi è generato da Dio preserva se stesso»: qui<br />

infatti la traduzione può essere duplice. O il Cristo, il Generato per eccellenza, lo <strong>di</strong>fende (Gv<br />

17,15), oppure il cristiano stesso, in quanto nato da Dio, in quanto cioè possiede un misterioso<br />

germe <strong>di</strong> vita eterna (3,9), resta immunizzato.<br />

«E il maligno (ponerós) non lo tocca»: chi conserva la sua unione filiale con il Padre non può<br />

essere preda del maligno fino a <strong>di</strong>ventargli figlio. Dunque lo Spirito, che guiderà il figlio <strong>di</strong> Dio,<br />

sarà sicuramente solo quello buono, quello santo. La stessa cosa la afferma Gesù, usando<br />

l'immagine delle pecore: Gv 10,27 Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse<br />

mi seguono. 28 Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà d<strong>alla</strong><br />

mia mano. 29 Il Padre mio che me le ha date è più grande <strong>di</strong> tutti e nessuno può rapirle d<strong>alla</strong><br />

mano del Padre mio (cfr. 2,13 b ). Questa certezza non deve generare presunzione (che porta a<br />

<strong>di</strong>sprezzare e a condannare gli altri), ma solo quella parresía <strong>di</strong> cui è bello essere ripieni.<br />

2. SECONDA CERTEZZA: SIAMO DA DIO (5,19)<br />

5.19 oi)/damen o(/ti e)k tou= qeou= e)smen<br />

kai\ o( ko/smoj o(/loj e)n t%= ponhr%= kei=tai.<br />

5,19 Sappiamo che siamo da Dio,<br />

mentre tutto il mondo giace nel maligno.<br />

88


«Sappiamo che siamo da Dio»: la seconda verità riguarda in particolare i lettori a cui la lettera<br />

si rivolge. <strong>Giovanni</strong> l'aveva già affermato (4,6), mettendo gli amici <strong>di</strong> Dio in contrapposizione<br />

con quelli del mondo.<br />

«Mentre tutto il mondo giace nel maligno»: ai figli <strong>di</strong> Dio <strong>Giovanni</strong> contrappone nettamente il<br />

mondo del peccato. Questo mondo è come morto (giace) sotto il potere del <strong>di</strong>avolo. Il lettore<br />

deve capire che non ci possono essere vie <strong>di</strong> mezzo o compromessi. Anche in questo caso solo<br />

l'umiltà vera e la carità autentica, eviteranno che una certezza così consolante si trasformi in un<br />

motivo <strong>di</strong> conflitto che, con la scusa <strong>di</strong> fermare il maligno, uccide l'uomo che maligno non è.<br />

3. TERZA CERTEZZA: IL FIGLIO CI HA DATO L'INTELLIGENZA (5,20 a )<br />

5.20 oi)/damen de\ o(/ti o( ui(o\j tou= qeou= h(/kei<br />

kai\ de/dwken h(mi=n <strong>di</strong>a/noian i(/na ginw/skwmen to\n a)lhqino/n,<br />

5,20 Sappiamo anche che il Figlio <strong>di</strong> Dio è–venuto<br />

e ci ha dato (l')intelligenza per conoscere il Vero (Dio).<br />

«Sappiamo anche che il Figlio <strong>di</strong> Dio è venuto»: la terza verità consiste innanzi tutto nel<br />

riba<strong>di</strong>re l'annuncio che il Figlio del Padre è venuto nel mondo (4,2; 5,6). Qui non è più precisato<br />

in che modo è venuto (nella carne... con acqua e sangue...), ma viene messo in risalto quello che<br />

<strong>di</strong> speciale egli ci dona con la sua venuta.<br />

«Ci ha dato l'intelligenza (<strong>di</strong>á-noia) per conoscere il Vero (’alethinós) Dio»: <strong>Giovanni</strong> in<strong>di</strong>ca<br />

Dio con un semplice aggettivo sostantivato: il Vero, il Veritiero (noi abbiamo aggiunto il termine<br />

sottinteso: Dio). In tal modo l’autenticità e la sincerità appaiono come qualità costituive <strong>di</strong> Dio<br />

stesso. Ora, il Cristo ha dato a noi suoi fedeli l'intelligenza spirituale, non solo per capire<br />

qualcosa delle misteriose opere del Dio vero, ma per conoscere <strong>di</strong>rettamente in modo vivo<br />

proprio Lui, nella sua verità piena (Mt 11,27 Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno<br />

conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il<br />

Figlio lo voglia rivelare). Non come gli illusi che credono <strong>di</strong> conoscere Dio e si ingannano,<br />

perché la loro vita è in contrad<strong>di</strong>zione con quello che <strong>di</strong>cono (2,4), dal momento che non<br />

osservano i suoi comandamenti. Il principale comandamento <strong>di</strong>ce appunto: Amerai il Signore...<br />

con tutta la tua mente (<strong>di</strong>ánoia. Mc 12,30). Solo se metteremo tutto l'impegno mentale che ci è<br />

possibile per conoscere il vero Dio e per scoprirne la sua santa volontà, ci sarà data<br />

quell'intelligenza superiore necessaria per capire i segreti <strong>di</strong> Dio (Ebr 8,10). Purtroppo alle volte<br />

impieghiamo la nostra intelligenza solo per cercare quello che ci fa comodo: utilizziamola invece<br />

appieno nel sintonizzarla con quella <strong>di</strong>vina! Cfr. Gv 17,3 Questa è la vita eterna: che conoscano<br />

te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.<br />

4. QUARTA CERTEZZA: SIAMO IN GESÙ CHE È IL VERO DIO (5,20 b )<br />

kai\ e)sme\n e)n t%= a)lhqin%=, e)n t%= ui(%= au)tou= )Ihsou= Xrist%=.<br />

ou(=to/j e)stin o( a)lhqino\j qeo\j kai\ zwh\ ai)w/nioj.<br />

E (noi) siamo nel vero (Dio), nel Figlio suo Gesù Cristo:<br />

egli è il vero Dio e (la) vita eterna.<br />

«Noi siamo nel vero (’alethinós) Dio, nel Figlio suo Gesù Cristo»: per l'ultima volta <strong>Giovanni</strong><br />

invita i suoi lettori a ritenere, senza presunzione, <strong>di</strong> essere nel vero Dio. I veri cristiani possono<br />

stare tranquilli; hanno la conferma dell'<strong>Apostolo</strong> che li rassicura nuovamente (lo ha appena fatto<br />

nel v. 19; cfr. anche 1,3; 3,1; 4,6). Tutti insieme (apostoli e fedeli), sono sicuri, non solo <strong>di</strong><br />

conoscere veramente Dio, ma <strong>di</strong> essere in Dio e in Gesù, in Dio perché in Gesù Cristo. Il vero<br />

Dio si rivela infatti in Gesù, Figlio suo. Questi, vero Uomo e vero Dio, è la via che conduce al<br />

Padre, la verità che ci libera e la vita che dona speranza (Gv 14,6). Il tema giovanneo della verità,<br />

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molto sviluppato nel IV Vangelo, è ben presente anche nelle tre lettere <strong>di</strong> <strong>Giovanni</strong>: questi si<br />

preoccupa molto affinché i lettori pratichino la verità (1,6), la possiedano (1,8; 2,4), non la<br />

ignorino (2,21), ma, provenendo d<strong>alla</strong> verità (3,19), si facciano illuminare d<strong>alla</strong> vera Luce (2,8)<br />

ed istruire dal Crisma verace (2,27), perché lo Spirito è la verità (5,6). Come culmine <strong>di</strong> tutto il<br />

cammino egli pone il dovere <strong>di</strong> amare nella verità (3,18; 2 Gv 1; 3 Gv 1).<br />

«Egli è il vero (’alethinós) Dio e la vita eterna»: ecco una della più belle e più chiare<br />

affermazioni della <strong>di</strong>vinità del Cristo, presentato con entusiasmo come il vero Dio (’alethinós: 3<br />

volte), e, in sintonia con il Prologo (1,1-2), come Vita eterna. Abbiamo una testimonianza<br />

equivalente a questa solo nell'entusiastico atto <strong>di</strong> fede <strong>di</strong> Tommaso: Gv 20,28 Rispose Tommaso:<br />

Mio Signore e mio Dio! Anche noi facciamo la nostra professione <strong>di</strong> fede convinta e gioiosa!<br />

5. L'AVVERTIMENTO FINALE: ATTENTI ALL'IDOLATRIA (5,21)<br />

5.21 Tekni/a, fula/cate e(auta\ a)po\ tw=n ei)dw/lwn.<br />

5,21 Figlioli, custo<strong>di</strong>te voi–stessi dagli idoli!<br />

«Figlioli, custo<strong>di</strong>te voi stessi dagli idoli!»: infine, ecco l'avvertimento più che mai opportuno<br />

rivolto ai figlioli: chi crede nel vero Dio, stia attento a non scivolare nell'adorazione degli idoli<br />

(’éidolon: simulacro, immagine, fantasma, da ’éidomai: apparisco, fingo). Dopo un così alto<br />

<strong>di</strong>scorso mistico, ci può sembrare non opportuno questo avvertimento. Invece è più che mai<br />

necessario: il credente può facilmente <strong>di</strong>ventare un idolatra. Ogni volta che mettiamo qualcosa al<br />

posto <strong>di</strong> Dio, noi adoriamo un idolo. L'Evangelista ha il coraggio <strong>di</strong> <strong>di</strong>rlo chiaramente, così come<br />

fa Paolo affermando che l'avi<strong>di</strong>tà (<strong>di</strong> piaceri illeciti, <strong>di</strong> denaro...) è una forma <strong>di</strong> idolatria (Col<br />

3,5; Ef 5,5). <strong>Giovanni</strong> finisce la sua lettera delineando a tratti magnifici, da una parte, Gesù<br />

Cristo, il vero Dio, e dall'altra, gli idoli, i simulacri falsi e ingannevoli, esaltati dai pagani e dai<br />

falsi profeti. Idolo, per noi oggi, continua ad essere tutto quello che è contrario a Colui che dà<br />

senso e valore <strong>alla</strong> nostra vita, cioè a Gesù Cristo, nostro Dio e nostro Signore (1 Cor 10,14).<br />

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RIFLESSIONI CONCLUSIVE<br />

La lettera che abbiamo appena terminato <strong>di</strong> leggere in clima <strong>di</strong> preghiera è costituita da passi<br />

che appartengono a tre generi <strong>di</strong> insegnamento:<br />

1° l'annuncio delle gran<strong>di</strong> verità della fede (<strong>Giovanni</strong> in quanto apostolo ed evangelista),<br />

2° la valutazione <strong>di</strong> fatti e <strong>di</strong> eventi comunitari (<strong>Giovanni</strong> in quanto pastore e guida),<br />

3° l'esortazione dei fedeli (<strong>Giovanni</strong> in quanto maestro ed educatore).<br />

L'annuncio è costituito d<strong>alla</strong> testimonianza degli avvenimenti salvifici <strong>di</strong>rettamente vissuti<br />

riguardanti il Gesù terreno (interpretati <strong>alla</strong> luce della fede, la quale fa capire che Cristo è il<br />

Figlio <strong>di</strong> Dio, è il vero Dio e la Vita eterna) e riguardanti la dottrina che Cristo ha insegnato (Dio<br />

è Luce e Amore; bisogna amarsi a vicenda...).<br />

Le valutazioni riguardano i comportamenti dei cristiani: alcuni sono fedeli (Siamo o siete da<br />

Dio...), altri sono ribelli (Dicono... ma sono bugiar<strong>di</strong>... Sono figli del <strong>di</strong>avolo, anticristi...).<br />

Le esortazioni sono molte e sono in<strong>di</strong>rizzate ai buoni (Rimanga in voi quel che avete u<strong>di</strong>to dal<br />

principio... Nessuno vi seduca... Amiamoci gli uni gli altri...).<br />

Siamo chiamati a credere all'annuncio (fede), a fare nostro il suo modo <strong>di</strong> valutare le<br />

situazioni e i tempi (<strong>di</strong>scernimento) e a seguire concretamente le esortazioni (pratica).<br />

Approfon<strong>di</strong>amo ora solo tre temi importanti presenti nella lettera (la comunione, la carità e lo<br />

Spirito <strong>San</strong>to):<br />

1° La comunione (koinonía) è un concetto fondamentale. La comunione si realizza in tre<br />

momenti: si passa innanzi tutto dall'isolamento <strong>alla</strong> relazione (con i fratelli: apertura all'altro;<br />

con Dio: accoglienza del suo progetto e della sua parola); contemporaneamente si acquisisce un<br />

linguaggio comune (a livello umano: per comunicare esperienze, convinzioni...; a livello<br />

religioso: obbe<strong>di</strong>enza della fede, preghiera...); ed infine si crea tra le persone una solidarietà ed<br />

una con<strong>di</strong>visione (fino al punto <strong>di</strong> partecipare <strong>alla</strong> stessa gioia e <strong>alla</strong> stessa vita <strong>di</strong>vina in qualità<br />

<strong>di</strong> figli).<br />

2° Amore (’agápe) è realtà importantissima nella nostra lettera: l'amore è qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>vino, è<br />

una virtù perfetta, è il dono che il Padre ci fa, chiamandoci ad essere suoi figli (3,1), è Dio stesso<br />

(4,8). L'amore del Padre si manifesta nel dono fattoci del Figlio suo, affinché questi, per amore<br />

desse la sua vita per noi (3,16) e noi vivessimo per lui (4,9). Se noi riconosciamo e cre<strong>di</strong>amo<br />

all'amore <strong>di</strong> Dio (4,16), sentiamo il dovere <strong>di</strong> amare Dio e il prossimo (4,11). L'amore del<br />

prossimo <strong>di</strong>venta il segno in<strong>di</strong>catore che rivela se amiamo Dio (4,20-21) e l'amore <strong>di</strong> Dio segnala<br />

la qualità del nostro amore per i fratelli (5,2). Chi ama il fratello rimane nella luce (2,10), è da<br />

Dio (3,10), è passato d<strong>alla</strong> morte <strong>alla</strong> vita (3,14), è nato da Dio e conosce Dio (4,7), Dio rimane<br />

in lui (4,12). L'amore verso Dio si concretizza nell'osservanza dei comandamenti (5,3) e quello<br />

del prossimo nei fatti (3,18). L'amore è il comandamento antico e nuovo (4,7-8), è il suo<br />

comandamento (3,23), il comandamento per antonomasia (4,21). Contrapposto a chi ama, vi è<br />

chi <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> amare, ma lo fa solo a parole (3,18) oppure ad<strong>di</strong>rittura o<strong>di</strong>a; <strong>di</strong> lui <strong>Giovanni</strong> descrive<br />

la tremenda situazione (2,9.11: è nelle tenebre; 3,10: non è da Dio; 3,14: rimane nella morte;<br />

3,15: è omicida; 4,8: non conosce Dio; 4,20: è bugiardo). Quanto insistente è in questa lettera<br />

l'invito ad osservare il comando non gravoso e liberante dell'amore! (3,11.18.23; 4,7.11.21).<br />

3° Lo Spirito (pnêuma) <strong>San</strong>to: all'inizio è presentato come khrísma che proviene dal <strong>San</strong>to e<br />

che ci dona la scienza (2,20) e ci istruisce su tutto (2,27); in seguito viene chiamato Spirito, dato<br />

da Dio (3,24; 4,13). Lo Spirito rende testimonianza a Cristo (5,6) facendoci capire il mistero<br />

dell'Incarnazione e dei Sacramenti e facendoci professare Gesù venuto nella carne (4,2). Inoltre,<br />

ci rende consapevoli che Dio <strong>di</strong>mora in noi (3,24). L'opera interiore dello Spirito è raffinatissima<br />

e delicatissima: per riconoscerla bisogna saper <strong>di</strong>scernere il vero spirito da quello falso (4,6)<br />

mettendo <strong>alla</strong> prova le varie ispirazioni (4,1): lo Spirito <strong>di</strong> Dio è quello della verità (4,6), perché<br />

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lo Spirito è la Verità (5,6). Segni della presenza dello Spirito sono la vera fede nell'Incarnazione<br />

(4,2) e l'ascolto dell'annuncio apostolico genuino (4,6).<br />

Non ripetiamo qui le molte cose già dette su altre tematiche come Dio, Cristo, la filiazione<br />

<strong>di</strong>vina, la giustizia, la testimonianza, la fede, l'ascolto, la preghiera, il <strong>di</strong>scernimento, la<br />

conoscenza, la verità, la luce, la vita eterna, la vittoria, la parusia... (e poi, in netto contrasto: il<br />

mondo, la concupiscenza, il <strong>di</strong>avolo, la menzogna, gli anticristi...). Diciamo solo che la nostra<br />

lettera tratta tutte queste tematiche ad un livello non solo teologico, ma mistico, cioè vitale,<br />

esperienziale, estremamente profondo e alto nello stesso tempo.<br />

Ora, come conclusione, preghiamo il Padre con le parole <strong>di</strong> Paolo, sicuri <strong>di</strong> essere esau<strong>di</strong>ti:<br />

Ef 3,14 Io piego le ginocchia davanti al Padre, 15 dal quale ogni paternità nei cieli e sulla<br />

terra prende nome, 16 perché ci conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, <strong>di</strong> essere<br />

potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore. 17 Che il Cristo abiti per la fede nei<br />

nostri cuori e così, ra<strong>di</strong>cati e fondati nella carità, 18 siamo in grado <strong>di</strong> comprendere con tutti i<br />

santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profon<strong>di</strong>tà, 19 e conoscere l'amore <strong>di</strong><br />

Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siamo ricolmi <strong>di</strong> tutta la pienezza <strong>di</strong> Dio.<br />

20 A colui che in tutto ha potere <strong>di</strong> fare<br />

molto più <strong>di</strong> quanto possiamo domandare o pensare,<br />

secondo la potenza che già opera in noi,<br />

21 a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù<br />

per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen.<br />

Proprio al termine <strong>di</strong> tutto devo dare una mia testimonianza: non mi fa onore, ma sento il<br />

dovere <strong>di</strong> comunicarla. Questo commento, a parte qualche ritocco secondario fatto in seguito,<br />

l’ho scritto nel 1999. Rileggendolo ora dopo 7 anni per una revisione, con mia grande meraviglia<br />

ho notato che già a quell’epoca avevo scritto delle cose verissime circa il pericolo<br />

dell’autoillusione. Ebbene devo confessare che su molte cose essenziali in quel periodo mi stavo<br />

proprio illudendo. Attualmente, grazie ad una prova che mi ha costretto ad aggrapparmi <strong>alla</strong> fede<br />

e ad interiorizzarla come non avevo mai fatto prima, lo Spirito del Signore mi ha un poco<br />

illuminato gli occhi del cuore: ho cominciato a capire che quanto più scrivevo cose vere<br />

riempiendo la mente <strong>di</strong> verità sublimi, tanto più mi ingannavo nella vita pratica. Il Signore ha<br />

iniziato a correggermi con una pena bruciante: l’ho accolta come una purificazione, come un<br />

dono della sua misericor<strong>di</strong>a. Pertanto devo avvisare tutti: non siate presuntuosi! La presunzione<br />

acceca in modo incre<strong>di</strong>bile. Ci sono cose (e sono le più importanti) che Dio nasconde ai sapienti.<br />

Non è che in seguito non mi siano servite le cose scritte e anche gustate in passato. Anzi, Dio si<br />

può servire perfino dei nostri sbagli e delle nostre brutture. Però, non basta assolutamente solo<br />

sapere o credere <strong>di</strong> sapere: bisogna proprio avere da Dio il dono <strong>di</strong> vivere la carità e <strong>di</strong> fare il<br />

bene. Non basta leggere o scrivere un libro o cento libri <strong>di</strong> spiritualità per essere davvero<br />

spirituali o anche solo per poter pensare <strong>di</strong> aver capito qualcosa circa lo spirito. È sufficiente<br />

anche un sottilissimo filo che ci tiene prigionieri e il nostro volo verso Dio, che è Spirito, <strong>di</strong>venta<br />

impossibile o (il che è peggio perché illude) solo virtuale. Chi ha occhi per guardare, veda! Chi<br />

ha orecchi per ascoltare, intenda! E chi crede <strong>di</strong> vedere e <strong>di</strong> intendere e in qualche modo (anche<br />

segreto) se ne inorgoglisce, non ha ancora imparato a vedere e ad intendere. Chi è troppo<br />

intelligente viene preso nel laccio della sua stessa intelligenza, chi invece non confida in se<br />

stesso, ma pone la sua speranza unicamente nella misericor<strong>di</strong>a <strong>di</strong>vina ottiene misericor<strong>di</strong>a. È<br />

pericoloso far leva sulla propria giustizia, perché la nostra vera giustizia sta nel perdono che Dio<br />

desidera concederci. Questa sia la nostra unica grande certezza!<br />

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INDICE<br />

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