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Giulio Nicola Nardo LA NUOVA FUNZIONE CONCILIATIVA DELL ...

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<strong>Giulio</strong> <strong>Nicola</strong> <strong>Nardo</strong><br />

<strong>LA</strong> <strong>NUOVA</strong> <strong>FUNZIONE</strong> <strong>CONCILIATIVA</strong> <strong>DELL</strong>’ACCERTAMENTO TECNICO PREVENTIVO AL<strong>LA</strong><br />

LUCE DEL<strong>LA</strong> RECENTE LEGGE N. 80/2005<br />

* * * * *<br />

Con la introduzione della recente l. 80/2005, che ha convertito in legge il d.l. n. 35 del 15.3.2005[1], può dirsi<br />

definitivamente compiuta la nuova disciplina di due istituti, che rientrano nel genus del procedimento di istruzione<br />

preventiva, quali l’accertamento tecnico preventivo e la ispezione giudiziale.<br />

Invero, alcune novità nella normativa in questione sono il, pressoché, fisiologico recepimento di orientamenti<br />

provenienti da più parti, ormai consolidati nella giurisprudenza della Cassazione, anche per effetto delle diverse<br />

pronunce della Corte Costituzionale.[2]<br />

Infatti, la previsione secondo cui:<br />

a) L’accertamento tecnico e l’ispezione giudiziale, se ne ricorre la urgenza, possono essere disposti anche sulla person<br />

b) "L'accertamento tecnico di cui al primo comma puo' comprendere<br />

anche valutazioni in ordine alle cause e ai danni relativi<br />

all'oggetto della verifica",<br />

non costituisce una assoluta novità, quanto la logica sistemazione di alcuni principi che, ha permesso di superare le seg<br />

Cosicché, per effetto della storica sentenza della Corte Costituzionale - davanti alla quale era stata sollevata la<br />

questione di legittimità dell’art. 696 c.p.c nella parte in cui non prevedeva che oggetto (rectius: soggetto)<br />

dell’accertamento tecnico e/o della ispezione giudiziale, potesse essere direttamente la persona umana - l’a.t.p. e la<br />

ispezione giudiziale sono stati riconosciuti quali strumenti preventivi di formazione della prova, che possono essere<br />

esperiti anche sulla persona dell’istante o, se consenziente, della controparte, sempre sul presupposto della ricorrenza<br />

delle condizioni .previste dall’art. 696 c.p.c., ossia fumus e periculum , che manterrebbero, in tal modo, il<br />

procedimento de quo nell’alveo dei procedimenti cautelari istruttori propri.<br />

Da qui la giusta esigenza di assicurare, in situazioni di urgenza e necessità, una tempestiva verifica dello stato di<br />

salute di una determinata persona nella prospettiva di un successivo giudizio di merito, finalizzato per ipotesi, al<br />

riconoscimento di invalidità, per esempio, da infortuno sul lavoro, o al risarcimento dei danni.<br />

In conclusione, per effetto della integrazione della norma dell’art. 696 cp.c, il legislatore ha voluto rendere<br />

definitivamente chiaro un principio, quello secondo cui l’a.t.p., non si riduce ad una mera percezione “acritica” del<br />

fatto o dello stato dei luoghi o della persona, ma va oltre, concretizzandosi in una valutazione ed analisi critica del<br />

fenomeno sotto l’aspetto patologico e diagnostico, volto alla ricerca ed individuazione delle cause e dei rimedi per<br />

ovviare a tanto[4].<br />

La assoluta novità che merita una convinta approvazione è, piuttosto, quella della nuova funzione “conciliativa”,<br />

conferita all’ a.t.p., che costituisce, questo sì, un quid novis nel nostro ordinamento processuale che mai, in un modo<br />

così espresso e definito, aveva attribuito tale natura all’istituto in questione.<br />

La novità in esame non è di secondario rilievo atteso, che al fondamentale aspetto pratico che si potrebbe conseguire<br />

con un intelligente utilizzo del suddetto istituto, va ad aggiungersi una originalissima dimensione funzionale dello<br />

stesso nel nostro sistema processuale.<br />

La genesi del nuovo articolo 696 bis c.p.c., recepisce sostanzialmente il contenuto dell’art. 49 del progetto di legge<br />

elaborato dalla commissione “Vaccarella” .[5]


Ciò nel senso che alla comune opinione secondo cui l’accertamento tecnico preventivo rappresenta un meccanismo di<br />

formazione della prova prima del processo - quindi di assicurazione della prova nella attesa del successivo processo,<br />

che, più in generale, consente una collocazione dell’istituto nel sistema del generale meccanismo di tutela cautelare<br />

della prova nel processo - va, per effetto della novità normativa di cui all’art. 696 bis c.p,.c., ad aggiungersi uno<br />

strumento di diretta tutela dei diritti delle parti, del tutto innovativo nel nostro sistema processuale.<br />

Invero, la opportunità di una nuova collocazione funzionale dell’istituto era stata in un certo senso auspicata[6],<br />

soprattutto con riferimento ai due importanti istituti dell’a.t.p. e della ispezione giudiziale, cosicché il generale<br />

auspicio di attribuire un nuovo e più incisivo ruolo agli stessi, ha trovato la positiva conclusione nel nuovo art. 696<br />

bis c.p.c.<br />

Ciò perché, probabilmente, era sembrato riduttivo sostenere che la funzione, soprattutto dell’a.t.p., fosse quella di<br />

fornire una “ tutela cautelare della prova” nel processo ordinario di cognizione,[7] anche se qualunque tentativo di<br />

fornire possibili nuove prospettazioni dell’istituto dell’ a.t.p. e dell’ispezione giudiziale, avrebbe dovuto trovare il<br />

conforto e la conferma in una nuova, e diversamente articolata, disciplina.<br />

Invero, la affrancazione dei suddetti istituti dal genus del procedimento “latu sensu” cautelare, avrebbe potuto<br />

realizzarsi soltanto a seguito di una previsione normativa in tal senso, che desse un nuovo e diverso significato ai<br />

presupposti che legittimano il suddetto procedimento, quindi collocando il fumus ed il periculum sotto un diverso<br />

angolo visuale.<br />

E così, per effetto del nuovo art. 696 bis c.p.c., è stato.<br />

L’auspicato intervento legislativo sarebbe stata, quindi, la migliore risposta ad una generale esigenza di fornire una<br />

più stabile e organica disciplina dell’istituto dell’a.t.p., che potesse, in altri termini, recepire alcuni importanti<br />

suggerimenti offerti dalla dottrina, nonché i diversi e positivi risultati cui è giunta, nel tempo, la giurisprudenza.<br />

La opportunità di ciò è stata, con tutta evidenza, confermata proprio da quel modello di più diffusa applicazione<br />

della istruzione preventiva, ossia l’accertamento tecnico preventivo.<br />

Infatti, non c’è dubbio che tra tutti i mezzi istruttori preventivi, l’accertamento tecnico preventivo, è stato, da sempre,<br />

lo strumento probatorio che, più di tutti, ha consentito alle parti di poter tempestivamente instaurare un meccanismo di<br />

immediata verifica ed accertamento dei fatti - dai quali ne deriverebbe una lesione del proprio diritto - ma,<br />

soprattutto, delle cause, nonché dei rimedi necessari e della, più o meno, esatta quantificazione dei relativi danni.<br />

Comune era l’esigenza di fare in modo che, attraverso il suddetto mezzo istruttorio preventivo, un soggetto - titolare<br />

di una situazione sostanziale in un certo senso pregiudicata da comportamenti comunque riconducibili a terzi –<br />

potesse legittimamente, nella prospettiva di dover richiedere la tutela giurisdizionale dei propri interessi, attraverso il<br />

giudizio di merito, sollecitare la attivazione di un procedimento di accertamento tecnico, preventivo rispetto al<br />

giudizio di merito, al fine di ottenere immediatamente, una diretta verifica (tecnica) delle cause di vizi e difetti emersi<br />

riguardo, per esempio, a determinati lavori eseguiti, (lavori di costruzione di immobili) o per valutare la consistenza<br />

dei danni arrecati a beni di sua proprietà (immobili) derivanti da beni di terzi (proprietari di immobili confinanti).<br />

Già la giurisprudenza della Cassazione aveva recepito questa comune esigenza, ma non c’è dubbio che, per effetto<br />

della nuova normativa, la certezza della futura funzione (anche) conciliativa dell’istituto, che si aggiunge a quella<br />

“classica” dell’a.t.p., quale strumento di formazione preventiva della prova prima del processo di merito, è stata<br />

raggiunta con la nuova norma in commento.<br />

Cosicché, quella che in precedenza avrebbe potuto rappresentare una ipotesi di soluzione stragiudiziale della<br />

controversia, se ed in quanto favorita dalla iniziativa delle parti e dei propri difensori e tecnici, è diventata ora, una<br />

regola generale di metodo, pur rimettendo alla valutazione di merito delle parti.<br />

La vera novità del disposto di cui all’art. 696 bis c.p.c, come si evince, è quella di prevedere una precisa funzione<br />

dell’istituto, e soprattutto uno “sganciamento” del relativo mezzo istruttorio dai presupposti della urgenza<br />

(periculum) e del fumus, desumibili dall’art. 696 c.p.c.<br />

In altri termini, il legislatore ha individuato alcune circostanze in cui la esigenza della parte non è tanto quella di<br />

precostituirsi una prova prima del processo, quanto, piuttosto, quella di poter disporre di uno strumento che -<br />

partendo dal presupposto della esistenza ed individuazione delle cause di determinati danni, che comportano una<br />

responsabilità di tipo contrattuale e/o extracontrattuale a carico dell’autore della condotta - possa diventare un<br />

effettivo e diretto strumento di tutela del diritto sostanziale leso.<br />

La formazione della prova, in questo caso, non è vista come “strumentale” al successivo esercizio della azione di<br />

merito, ed allo scopo di garantire la effettività della tutela giurisdizionale attraverso il processo di merito, ma,<br />

piuttosto, quale “strumento base” dal quale poter partire per giungere ad una soluzione conciliativa della controversia


tra le parti, proprio evitando il successivo giudizio di merito.<br />

In tal modo, nella misura in cui sarà possibile pervenire ad una composizione della controversia, non ancora sfociata<br />

in una lite giudiziaria, il positivo raggiungimento di un accordo delle parti sarà servito, in primis, a tutelare<br />

direttamente il diritto delle parti, e in via più generale a rappresentare un modo per evitare la instaurazione di un lungo<br />

ed incerto giudizio di merito.<br />

L’intervento normativo che ha eliminato la necessaria ricorribilità del presupposto del periculum ha portato, dunque, a<br />

ritenere come possibile una diversa e non meno importante funzione dell’a.t.p. all’interno del nostro sistema<br />

processuale: quello di rappresentare finanche un meccanismo di tutela giurisdizionale del diritto, inteso nel senso che<br />

attivando comunque l’intervento del giudice e di un suo ausiliario (il c.t.u.) si possa realizzare quello scopo di tutela<br />

comunque giurisdizionale del diritto, senza passare necessariamente attraverso il processo.<br />

Infatti, se e nella misura in cui, all’esito della c.t.u., le parti, con l’intervento del perito, saranno giunte ad un accordo,<br />

avranno composto una possibile lite e la prova di ciò è data dalla natura e dalla forma dello strumento attraverso il<br />

quale il suddetto accordo viene formalizzato: quello della conciliazione giudiziale favorita[8], ossia di un meccanismo<br />

generale di composizione della lite davanti al giudice, che ha in sé il crisma della officiosità, atteso che al relativo<br />

verbale di conciliazione viene attribuita la natura di titolo esecutivo idoneo a consentire finanche la esecuzione in<br />

forma specifica di cui all’art. 2932 cod.civ. o la possibile iscrizione di ipoteca giudiziale, idonea a precostituire una<br />

chiara garanzia a tutela di un certo diritto.<br />

Da ciò consegue che, per effetto dell’art.696 bis c.p.c., si può sostenere che il legislatore abbia individuato un nuovo<br />

strumento processuale dalla “doppia anima”: la prima è quella che permette di utilizzare l’a.t.p. quale strumento di<br />

conciliazione della controversia tra le parti; la seconda è quella che riconosce alle parti il diritto di precostituire una<br />

prova prima e al di fuori del processo di merito, “ a prescindere” dalla ricorrenza dei presupposti del fumus e del<br />

periculum , in tal modo confortando, in un certo senso, quella impostazione [9] secondo cui il procedimento de quo , e<br />

più in generale la istruzione preventiva, sono riconducibili ai principi costituzionali di cui all’art.24 Cost.,<br />

riconducibili a quel “diritto a difendersi provando” [10] che lega il procedimento più al diritto di azione e difesa che<br />

alla cautela della prova, finalizzata quest’ultima ad evitare qualunque dispersione della stessa.<br />

Accertato che il nuovo a.t.p. prescinde dai presupposti (fumus e peiculum) propri dei procedimenti latu sensu<br />

cautelari, ai quale viene ricondotto l’.a.t.p. e, più in generale, la istruzione preventiva, potrebbe superarsi anche la<br />

soluzione di una annosa questione, in un modo completamente diverso, rispetto alle attuali conclusioni sul punto.<br />

Si tratta della questione della riconducibilità o no del potere del Giudice di pace di autorizzare l’a.t.p., ma più in<br />

generale i diversi procedimenti di istruzione preventiva, relativamente a materie di sua competenza.<br />

Fino ad ora la soluzione, come noto, è sempre stata negativa, e ciò perché – sulla premessa secondo cui il Giudice di<br />

pace non potesse concedere provvedimenti cautelari, rientrando l.’a.t.p. nell’alveo dei procedimenti cautelari, al<br />

suddetto Giudice non veniva riconosciuta alcuna competenza “cautelare”.<br />

Venendo, però, meno, conseguentemente, ogni natura e funzione cautelare dell’art. 696 bis c.p.c., da ciò consegue<br />

che, per effetto della nuova norma, la parte potrà richiedere al Giudice di pace l’autorizzazione alla esecuzione di un<br />

a.t.p. che riguardi materie di competenza del medesimo, allargandosi, positivamente, in tal modo, la portata<br />

conciliativa della controversia, a seguito dell’a.t.p., tra le parti, anche alle ipotesi che rientrano nella sfera di<br />

competenza, per materia e valore, del Giudice di pace.<br />

La funzione conciliativa dell’a.t.p., rende poi ancora più attuale quella necessità, già prospettata[11], di far sì che al<br />

procedimento di formazione della prova dell’a.t.p., partecipino tutte le parti con eguali poteri e con la previsione che<br />

le stesse di fatto svolgano nel modo più pieno possibile, i propri poteri e le proprie difese.<br />

Infatti, sulla premessa, ribadita in sede di valutazione del fumus, che per “convincere” il giudice del relativo<br />

procedimento, circa la ammissibilità, necessità e rilevanza della prova, le parti debbano prospettare, già in questo<br />

procedimento, le rispettive domande ed eccezioni, seppur non dovendo anticipare in toto la difesa nel merito, occorre<br />

precisare la opportunità, se non la necessità, che nella fase del suddetto procedimento, debba essere affrontata ogni<br />

questione di rito destinata, in tutta evidenza, ad incidere sulla regolarità del procedimento.<br />

E’ necessario, dunque che la parte ricorrente instauri correttamente il relativo procedimento nei confronti di quelle<br />

che, sulla base del rapporto sostanziale, sono destinate a diventare le parti del processo del successivo giudizio di<br />

merito.<br />

Per effetto di ciò occorrerà, pertanto, ribadire la necessità che il giudice verifichi la instaurazione del relativo<br />

procedimento nel rispetto del principio del contraddittorio, nonché di ogni questione relativa alla legittimazione attiva<br />

e passiva delle parti stesse, avendo riguardo, altresì, alla verifica dell’interesse ad agire, di cui all’ art.100 c.p.c., che<br />

costituisce un valido strumento di controllo della serietà della richiesta della parte e della sua relazione con quella


specifica prova richiesta, la cui assunzione non è fine a se stessa, essendo, invero, strumentale e fisiologica al<br />

processo e tesa a supportare nel merito le successive domande delle parti.[12]<br />

E’ pacifico infatti in questo procedimento, così come nella fase istruttoria del processo di merito, la assoluta necessità<br />

del rispetto del contraddittorio delle parti, che può essere assicurato soltanto accertando che tutte le parti siano<br />

presenti, o comunque siano state messe in grado di esserlo, nel delicato procedimento di formazione della prova.<br />

Cosicché, sin dalla fase di avvio del procedimento il giudice sarà chiamato a verificare la regolare citazione e notifica<br />

di tutte le parti, valutando altresì, sulla base delle rispettive difese, la necessità di disporre la chiamata di un terzo, a<br />

garanzia, o perché litisconsorte necessario, ma anche sul presupposto di un interesse che potrebbe giustificare la<br />

opportunità di ordinare il suo intervento.<br />

In questo modo, allargando la (potenziale) partecipazione al procedimento di formazione della prova preventiva a<br />

tutte le parti interessate, si renderà concretamente percorribile la eventuale conciliazione della controversia tra le parti,<br />

alle quali, in tal modo viene “assicurato” il contraddittorio, ai fini della formazione della prova, ma, ancora di più,<br />

nella prospettiva di un accordo conciliativo favorito dal legislatore, che ponga fine ad ogni contrasto in modo anche<br />

soddisfacente per le parti interessate.<br />

Nell’ accertamento tecnico preventivo - il cui procedimento potrebbe suggerire la opportunità che a presenziare e a<br />

partecipare alla formazione di questo fondamentale mezzo probatorio, siano anche quelle parti che, anche se<br />

direttamente, non sembrano coinvolte in responsabilità per comportamenti, anche colposi, che abbiano potuto<br />

cagionare danni a terzi – una parte ha senza dubbio tutto l’interesse a partecipare alla formazione della relazione<br />

peritale, anche allo scopo di evitare qualunque distorsione nel procedimento di formazione della stessa, che possa<br />

portare anche il perito incaricato a confondere il ruolo delle diverse parti, con il rischio di far cadere sulla parte<br />

assente - che, al contrario, magari non ha alcuna responsabilità - ogni responsabilità per i danni cagionati.<br />

Solo in tal modo, ed ancora di più a seguito del nuovo ruolo dell’a.t.p. secondo l’art. 696 bis c.p.c., quello che viene<br />

presentato come un istituto volto ad assicurare lo svolgimento di una giustizia efficace ed effettiva per le parti, non si<br />

trasformerà mai in un metodo di denegata giustizia.<br />

In altre parole, solo garantendo a tutte le parti il diritto di intervenire nel procedimento di formazione dell’a.t.p., e di<br />

svolgervi ogni difesa, si favorisce al meglio la possibile realizzazione della funzione conciliativa del nuovo<br />

accertamento di cui all’art. 696 bis c.p.c.: infatti, così come in un determinato processo devono essere presenti tutte le<br />

parti dello stesso (litisconsorzio necessario) o possono intervenire tutte quelle che ne hanno titolo o interesse,<br />

(litisconsorzio facoltativo ed interventi) anche nel procedimento di formazione preventiva dell’a.t.p. è opportuno e<br />

necessario che tutte le parti interessate siano presenti e ciò perché il potenziale traguardo della conciliazione è di<br />

comune interesse.<br />

Con il nuovo intervento legislativo, sotto diversi aspetti l’a.t.p. è stato affrancato in modo definitivo dalla categoria<br />

dei procedimenti speciali con finalità cautelari, senza che ciò possa determinare una deminutio dell’istituto e della sua<br />

funzione, ma, al contrario, giungendo a riconoscere al medesimo, in virtù del combinato disposto degli artt. 696 e 696<br />

bis c.p.c, la funzione di:<br />

a) istituto generale di formazione della prova che, anche svincolato da qualunque finalità di cautela del<br />

processo, assicura, al contempo, una prova giudiziale al processo stesso e concorre a rendere effettiva la tutela<br />

giurisdizionale del diritto soggettivo, con ciò meglio evidenziando la doppia finalità dell’oggetto del diritto cautelato,<br />

che è, in via diretta, la prova, ed in via indiretta, il diritto soggettivo.<br />

b) strumento di conciliazione favorita della specifica controversia tra tutte le parti;<br />

c) meccanismo di tutela latu sensu giurisdizionale del diritto soggettivo delle parti;<br />

d) strumento di generale deflazione del contenzioso.<br />

Cosicché, superando le seppur interessanti interpretazioni della dottrina - però sempre costretta ad individuare anche<br />

solo una indole cautelare del suddetto istituto - si potrebbe prospettare una “doppia finalità” dell’istituto medesimo,<br />

che è quella di qualificarlo quale procedimento istruttorio anticipato rispetto al processo ordinario di cognizione - la<br />

cui collocazione generale dovrebbe trovare la sua saedes naturale nella parte del codice di procedura civile che<br />

disciplina la fase istruttoria del processo di cognizione[13] e dall’altro quale mezzo di tutela del diritto sostanziale<br />

delle parti, attraverso la positiva utilizzazione dell’a.t.p., quale strumento di conciliazione della controversia.<br />

La suddetta scelta normativa, come detto, è inevitabilmente destinata a superare i requisiti del fumus e del periculum,<br />

già prospettati in precedenza, nel senso che:<br />

a) premessa la esistenza di un potenzialmente generale diritto alla prova, che trova il proprio supporto normativo


negli art. 24, relativo al diritto di difesa, e 111 Cost., riguardo alla ragionevole durata del processo,<br />

b) verificata la non manifesta infondatezza della azione in fatto e soprattutto in diritto,<br />

c) rilevata la ammissibilità e rilevanza, nonché la necessità ed utilità pratica, e dunque la accoglibilità della<br />

relativa istanza istruttoria, quindi valutando come sussistente il fumus,<br />

d) esaminata la necessità di formazione della prova richiesta, utile anche ai fini della garanzia di effettività della<br />

tutela giurisdizionale del diritto, attraverso il possibile traguardo della conciliazione,<br />

le parti del procedimento di a.t.p., attraverso la formulazione delle rispettive domande ed eccezioni, esercitano, anche<br />

anticipandola, ogni e più ampia difesa nel rispetto del contraddittorio tra tutte le parti del procedimento in corso.<br />

La formazione anticipata della prova attraverso l’a.t.p., riprodurrebbe, in ogni caso, la più comune fase istruttoria<br />

del processo di cognizione che vede coinvolte e partecipi tutte le parti del processo, permettendo in tal modo, di poter<br />

definitivamente collocare il relativo<br />

procedimento nella fase istruttoria del processo di cognizione, del<br />

quale rappresenta una appendice, resa opportuna e necessaria, dalla ricorrenza delle circostanze del caso concreto che<br />

giustificano la formazione preventiva della prova, prima del processo di merito.<br />

Di poi, individuata la definitiva sede di ogni valutazione e di successiva formazione della prova richiesta solo nel<br />

procedimento istruttorio anticipato, verrebbe meno ogni non più necessario giudizio di valutazione, di ammissibilità e<br />

rilevanza della prova, da parte del giudice di merito, con la prospettiva di un automatico ingresso della prova<br />

preventiva nel relativo processo di cognizione, nelle forme del deposito di una comune prova documentale, che sarà<br />

valutata dal giudice solo nella fase della decisione.<br />

Ciò è confermato anche dalla previsione di cui all’art. 696 bis c.p.c., nella parte in cui si legge che, nel caso di<br />

mancata conciliazione ciascuna parte possa chiedere che la relazione depositata dal perito venga acquisita agli atti del<br />

successivo giudizio di merito, senza alcun necessario filtro da parte del giudice di merito, ma solo attraverso un<br />

meccanismo di introduzione della prova documentale nel processo di merito.<br />

In conclusione, con la nuova regolamentazione dell’a.t.p., l’istituto in questione non è più soltanto uno strumento di<br />

formazione preventiva della prova del (successivo) processo di merito - comunque condizionato dalla esistenza dei<br />

due presupposti del fumus e del periculum, uno non meno importante ed imprescindibile dell’altro - ma diventa un<br />

nuovo strumento di tutela latu sensu giurisdizionale del diritto soggettivo delle parti.<br />

Tale funzione va positivamente apprezzata soprattutto da chi, in precedenza, aveva evidenziato la opportunità<br />

di una tale scelta nell’ambito di una migliore valorizzazione dell’istituto, nel senso di ritenere che l’a.t.p. non è più<br />

soltanto, uno strumento di formazione della prova prima del processo, ma è, allo stesso tempo, uno strumento di<br />

tutela giurisdizionale del diritto, e ciò perché, esattamente, dall’a.t.p. si può, verosimilmente giungere alla soluzione<br />

di una controversia tra le parti, e più in generale alla tutela del diritto delle stesse, senza la necessità di instaurare un<br />

processo di merito e giungere ad una decisione del giudice.<br />

Cosicché potrebbe dirsi che con questa scelta il legislatore ha completato un progetto che, in diverse ipotesi, giunge<br />

a superare la funzione istruttoria e cautelare del medesimo istituto, ponendo, probabilmente, le solide basi, per una<br />

generalizzazione dell’istituto dell’accertamento tecnico preventivo, ma, più in generale, della istruzione preventiva,<br />

anche quale meccanismo di tutela giurisdizionale del diritto.<br />

Per arrivare a tale risultato, occorre, però, essere d’accordo sul fatto che:<br />

a) l’a.t.p., sicuramente quello disciplinato dall’art. 696 bis c.p.c., è definitivamente affrancato dal genus del<br />

procedimento cautelare;<br />

b) fumus, ma soprattutto, periculum non sono più i presupposti di fatto e di diritto, necessari per la instaurazione<br />

del suddetto procedimento;<br />

c) la disciplina normativa del rito cautelare uniforme va, ancora di più, a limitarsi alle sole ipotesi espressamente<br />

previste e la disciplina della stessa non può essere generalizzata;<br />

d) l’a.t.p. rimane, sì, uno strumento di formazione della prova, ma ancora di più tale funzione è assorbita da<br />

quella, più importante, di raggiungere, se ed in quanto possibile, una tutela immediata del diritto, proprio attraverso lo<br />

strumento della conciliazione di cui all’art. 696 bis c.p.c;


e) l’a.t.p. ha in sé una rilevante e precisa funzione di strumento deflativo dl contenzioso;<br />

Partendo da queste premesse, sarà quindi possibile precisare meglio e definitivamente, con la certezza del dato<br />

positivo, ora acquisita con il nuovo art. 696 bis c.p.c., la vera ed autentica funzione attribuita al suddetto istituto nel<br />

nostro sistema processuale.<br />

Occorre, pertanto, procedere ad una breve analisi dei diversi commi del nuovo articolo.<br />

La assoluta novità, che senza dubbio colloca la figura dell’a.t.p. in esame, in una prospettiva del tutto diversa da<br />

quella fino ad oggi conosciuta nel nostro sistema processuale, è quella che attribuisce ad esso una funzione<br />

conciliativa della controversia tra due o più parti.<br />

In tale prospettiva, il favor verso il nuovo strumento di conciliazione è quello di affrancarlo dalla rigida ricorrenza dei<br />

presupposti del fumus e del periculum e conseguentemente dall’alveo dei procedimenti latu sensu cautelari, cui la<br />

istruzione preventiva, anche se con forti connotazioni e peculiarità, viene collocata.<br />

La scelta in tal senso, senza dubbio da favorire, è stata dunque quella di riconoscere all’a.t.p., una funzione di<br />

conciliazione della controversia e ciò nel significato che, esperita la relazione peritale, nel contraddittorio di tutte le<br />

parti interessate, la stessa relazione cui è pervenuto il c.t.u. può, esattamente, costituire la base per una conciliazione<br />

della controversia fra le parti e ciò non più partendo dalle proprie valutazioni tecniche, eseguite dai propri periti di<br />

fiducia, ma per effetto di un accertamento tecnico svolto da un perito, terzo, nominato dal giudice, il quale, verificati<br />

lo stato dei luoghi, l’origine dei danni e le cause che le hanno determinate, individua finanche le possibili soluzioni e i<br />

rimedi per ovviare a tanto, offrendo quindi anche alle parti alcune ipotesi di soluzione della loro controversia.<br />

Posta in questi termini la vicenda, ne deriva che proprio a seguito della relazione peritale le parti, avendo potuto:<br />

a) accertare la esistenza o meno di determinati crediti in favore di una parte;<br />

b) quantificare esattamente le somme eventualmente dovute e legittimamente spettanti ad una o più parti;<br />

c) verificare in che misura andrebbero suddivise le responsabilità dirette e/o indirette delle parti e le specifiche<br />

obbligazioni a carico delle stesse;<br />

d) individuare le possibili soluzioni per superare i diversi contrasti tra le parti;<br />

e) accertare i costi e la loro suddivisione tra le pari eventualmente responsabili,<br />

si rendono conto della opportunità pratica di conciliare la loro controversia.<br />

Non c’è dubbio che nella misura in cui, a conclusione di un a.t.p., riguardante, ad esempio, un contratto di appalto,<br />

relativo a vizi di costruzione, le parti avranno potuto avere sufficientemente chiari i vizi e difetti nella esecuzione dei<br />

lavori, nonché le cause che li hanno determinati, oltre alle specifiche responsabilità, ed ai costi per la loro<br />

eliminazione, le stesse, verosimilmente, dovrebbero, proprio con l’ausilio del c.t.u., poter giungere ad una<br />

conciliazione della loro controversia, per accertare la esistenza di crediti in favore di qualcuno, la sua esatta<br />

quantificazione, in questo modo evitando, in primis, una lite giudiziaria, con tempi ed esiti incerti, e con maggiori<br />

costi, ma soprattutto trovando un rimedio diretto ed immediato alla soluzione dei loro problemi.<br />

Cosicché in un momento, ormai troppo lungo, in cui la risposta della giustizia civile alle esigenze della collettività è<br />

sempre in colpevole ritardo, aver individuato uno strumento che, da un lato, assicura una tutela comunque<br />

giurisdizionale del diritto sostanziale delle parti, e dall’altro, contribuisce a ridurre l’eccessivo carico delle cause in<br />

Tribunale, producendo dunque un effetto deflativo sul contenzioso in generale, costituisce un importante traguardo,<br />

che non può che essere positivamente valutato da tutti.<br />

Le ipotesi concrete in cui il nuovo a.t.p. potrà avere applicazione sono state individuate con riferimento alla<br />

“determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni derivanti da contratto o fatto<br />

illecito.”<br />

Come si vede, la previsione in tal senso formulata dal legislatore permette di evidenziare come le ipotesi di concreta<br />

applicazione del nuovo a.t.p., sganciato dai presupposti del periculum e del fumus, sono le più ampie possibili e<br />

spaziano dalla ipotesi di una comune contestazione in ordine agli esatti conteggi relativi alla esecuzione di lavori, alla<br />

quantificazione di danni, materiali e non, cagionati da fatto illecito di terzi, riconducibile al generico art. 2043<br />

cod.civ. o a specifiche ipotesi di responsabilità di tipo extracontrattuale (es. danno da rovina di edificio, danno<br />

cagionato da animali, etc.)


Cosicché, la prospettiva della più ampia utilizzazione del suddetto istituto evidenzia l’intento del legislatore di<br />

favorire al massimo l’uso di questo strumento, soprattutto ai suddetti fini conciliativi e di deflazione del contenzioso.<br />

Pertanto, la previsione di una possibile conciliazione, su iniziativa del c.t.u. incaricato, prima del deposito della stessa,<br />

e soprattutto la formalizzazione della eventuale conciliazione raggiunta, per mezzo di apposito processo verbale cui il<br />

giudice, con decreto, attribuisce efficacia di titolo esecutivo, senza entrare nel merito degli accordi raggiunti,<br />

rappresenta il fondamentale traguardo ed in un certo senso il successo di un positivo esito dell’a.t.p.<br />

Il rinvio alla disciplina di cui all’agli artt. 191-197 c.pc. conferma che il procedimento in commento segue quello<br />

generalmente disciplinato nel codice di rito, conferendo allo strumento dell’a.t.p. uguale identità, per struttura e<br />

funzione, rispetto al processo verbale di conciliazione tra le parti in pendenza del giudizio.<br />

Certo, la finalità conciliativa non è l’unica, anche se la più importante, e di ciò il legislatore si è fatto carico nel<br />

momento in cui ha previsto la ipotesi in cui, nonostante una relazione del c.t.u dell’a.t.p., le parti non abbiano trovato<br />

una soluzione conciliativa della loro controversia.<br />

Infatti, in tali casi, il c.t.u. provvederà a depositare la relazione peritale e la parte interessata avrà il potere di chiedere<br />

che la stessa relazione venga acquisita agli atti del processo ordinario, come prova.<br />

La suddetta ipotesi, non certo da incoraggiare, pur non raggiungendo il suo principale fine “conciliativo”, consente<br />

comunque una utilizzazione per così dire “classica” dell’istituto e ciò nella misura in cui, l’’a.t.p. da strumento di<br />

possibile conciliazione di una controversia “degrada” e ritorna alle origini di strumento di formazione preventiva della<br />

prova prima del processo ordinario.<br />

Se così è, andrebbe segnalata una certa distorsione che si concretizza esaminando la diversa disciplina dell’a.t.p.,<br />

prevista dall’art. 696 rispetto a quella di cui all’art. 696 bis c.p.c - con riferimento alla previsione dei presupposti del<br />

fumus e del periculum che, nel caso disciplinato dall’art. 696 c.p.c., devono sempre ricorrere, mentre nel nuovo 696<br />

bis c.p.c. ne prescindono – allorché, fallito il tentativo di conciliazione, l’a.t.p. rimane “soltanto” una prova preventiva<br />

formata prima del processo.<br />

In altri termini, mentre ai fini della formazione preventiva della prova, ex art. 696 c.p.c., sono sempre necessari due<br />

presupposti, nella ipotesi dell’art. 696 bis c.p.c. , fumus e periculum non sono affatto previsti come tali.<br />

In ogni caso, va subito detto che la segnalata distorsione non riguarda mai lo stesso oggetto di verifica da parte del<br />

c.t.u. incaricato e dunque della prova preventiva di cui viene richiesta la formazione prima del processo, atteso che<br />

l’art. 696 c.p.c., prevede, quale oggetto dell’a.t.p. “ lo stato di luoghi o la qualità o la condizione di cose”, mentre il<br />

nuovo art. 696 bis c.p.c. individua e limita l’oggetto della verifica nella “determinazione dei crediti derivanti dalla<br />

mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito”.<br />

Pertanto, prendendo atto che diverso è l’oggetto della verifica dell’a.t.p., potrà ritenersi che la segnalata distorsione<br />

dei presupposti necessari per disporre un a.t.p. secondo gli artt. 696 e 696 bis c.p.c., si affievolisce, non correndosi,<br />

comunque, il rischio della esistenza di due diversi procedimenti di formazione della prova che abbiano il medesimo<br />

oggetto.<br />

Più in generale, va detto che, dal combinato disposto degli artt. 696 e 696 bis, emergono due figure di a.t.p.:<br />

a) il primo, ex art. 696 c.p.c., mantiene per struttura e funzione il ruolo “classico” dell’a.t.p.;<br />

b) il secondo, ex art. 696 bis c.p.c., del tutto originale è completamente sganciato dai presupposti del fumus e<br />

del periculum prevalendo il fine conciliativo su qualunque finalità istruttoria-cautelare che prescinde dal motivo della<br />

urgenza, e legittima l’interessato a richiedere il suddetto accertamento senza neanche dover prospettare alcun<br />

pericolo di dispersione della prova , ma solo per la esigenza di tutelare un proprio diritto alla formazione della prova,<br />

che potrebbe comunque diventare lo strumento per una conciliazione della controversia tra le parti e dunque un<br />

meccanismo di tutela diretta del diritto soggettivo.<br />

Certo una cosa va precisata: ad una prima, ma probabilmente veloce lettura, la previsione dell’oggetto di cui all’art.<br />

696 bis - che si riferisce alla determinazione dei crediti, che hanno comunque origine da una mancata o non esatta<br />

attuazione di obbligazioni contrattuali o derivanti da fatto illecito - non sembrerebbe poter precludere che il c.t.u.<br />

incaricato possa (e debba) anche accertare le cause della mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o<br />

del fatto illecito che ha cagionato i lamentati danni da quantificare.<br />

Per essere più chiari, occorre fare qualche esempio: con riferimento alla ipotesi della determinazione dei crediti (es.:<br />

diritto di credito al risarcimento del danno, rimborso spese, etc.) per obbligazioni derivanti da fatto illecito, si può<br />

prospettare la ipotesi di responsabilità verso terzi per danni cagionati da cose o animali, ossia da situazioni che,<br />

cagionando un danno ingiusto a terzi, determinano la responsabilità dell’autore del fatto illecito.


In questo caso l’oggetto della verifica, anche con il nuovo art. 696 bis, non può però partire dalla mera<br />

determinazione dei crediti, se non è supportato dalla positiva indagine delle cause, a meno che la prova della<br />

responsabilità non sia già documentata ed in possesso del c.t.u., e dunque il fatto non sia contestato.<br />

In altri termini, si vuole dire che richiedere al c.t.u. una perizia che abbia ad oggetto la quantificazione di determinate<br />

somme, significa comunque che lo stesso c.t.u. deve poter o disporre delle prove della esistenza di una certa pacifica<br />

responsabilità, o deve essere messo nelle condizioni, (rectius: nel potere) di poter accertare e verificare direttamente<br />

attraverso la sua indagine peritale anche le cause che hanno determinato il danno.<br />

Diversa è la ipotesi della determinazione di (presunti) crediti derivanti da obbligazioni contrattuali, e ciò perchè qui il<br />

c.t.u. non deve, né ha alcun potere o interesse, indagare sulla validità della obbligazione contrattuale che genera il<br />

diritto di credito, ma deve limitarsi ad una quantificazione e quindi ad un calcolo della somma asseritamente<br />

rivendicata da una delle parti sulla base della esistenza di determinati presupposti di fatto e diritto.<br />

Anche qui però emergono alcune questioni: attesa la finalità conciliativa dell’a.t.p. di cui all’art 696 bis c.p.c., ed il<br />

ruolo di “conciliatore” che il legislatore attribuisce al c.t.u. incaricato, non v’è dubbio che la perizia che dovrà essere<br />

redatta dovrà basarsi su un solido accertamento che non può sempre partire dalla determinazione del quantum<br />

debeatur, ma può, talora, richiedere anche una indagine ulteriore e allo stesso tempo necessaria, perché preliminare e<br />

propedeutica alla più esatta quantificazione del credito.<br />

Cosicchè l’apparente limitazione dell’incarico che potrà essere espletato dal c.t.u in applicazione dell’art. 696 bis<br />

c.p.c., va inteso nel senso che, se il c.t.u. è nelle condizioni di poter soltanto quantificare il credito – perché esistono<br />

documenti e comunque la prova del credito non è contestata dalle altre parti – egli procederà in tal senso.<br />

Diversamente, se per poter quantificare una somma, per esempio a titolo di credito per risarcimento danni da fatto<br />

illecito, allorché la determinazione del quantum sia impossibile o di non facile soluzione, il compito del c.t.u. - al pari<br />

dell’incarico che egli è chiamato a svolgere sia con riferimento all’art. 696 c.p.c., che quale c.t.u. in un processo<br />

ordinario - è quello di ricercare anche le cause del fatto, le responsabilità dei soggetti e, infine, di determinare il<br />

quantum debeatur da parte del responsabile.<br />

Intendendo in tal senso lo spirito della norma si superano agevolmente alcune difficoltà interpretative che,<br />

diversamente, farebbero prospettare come eccessivamente riduttivo il quid novi dell’a.t.p. con funzione conciliativa<br />

della controversia tra le parti.<br />

La differenza consiste, dunque, nel fatto che mentre per la norma di cui all’art. 696 c.p.c. la positiva instaurazione del<br />

procedimento di a.t.p. deve prevedere la ricorrenza dei due presupposti, nella ipotesi dell’art. 696 bis c.p.c. seppur<br />

prevista dal legislatore e limitata ai casi di “determinazione dei crediti derivanti dalla mancata o inesatta esecuzione<br />

di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito”, la necessità dei suddetti presupposti non è affatto rappresentata.<br />

Ma se ciò può essere di secondaria importanza avendo presente che il traguardo primario del nuovo a.t.p. è quello<br />

della auspicata conciliazione della controversia tra le parti, nel caso di mancata conciliazione, ritornando l’a.t.p. ad<br />

essere una prova preventiva rispetto al processo di merito, consegue che la stessa è stata evidentemente formata in<br />

assenza dei comuni presupposti del fumus e del periculum.<br />

Con il rischio futuro che, per determinate ipotesi la utilizzazione dello strumento dell’a.t.p. nelle forme dell’art. 696<br />

bis c,.p.c. permette sì di affrancarlo da qualunque requisito di fumus e periculum, e ciò per la finalità conciliativa dello<br />

stesso, ma se questa non viene raggiunta, l’a.t.p., depositato dal c.t.u., è stato realizzato ponendo in essere un<br />

procedimento di formazione preventiva della prova del tutto “sganciato” dai requisiti che normalmente devono<br />

ricorrere, secondo la previsione di cui all’art. 696 c.p.c..<br />

Tale segnalazione però, non deve allarmare oltremodo, suggerendo comunque di avvicinarsi a quella impostazione<br />

[14] secondo cui l’a.t.p., ma più in generale la istruzione preventiva, sono forme di anticipazione parziale della<br />

istruzione probatoria del processo ordinario, che rispondendo alla primaria esigenza di tutelare il diritto alla prova, in<br />

via diretta, e il diritto soggettivo sostanziale, in via indiretta – attraverso la garanzia che proprio per mezzo della prova<br />

acquisita, verrà resa possibile la effettività della tutela giurisdizionale del diritto sostanziale[15] - sono strettamente<br />

correlate al diritto di azione e di difesa di cui all’art. 24 Cost.<br />

L’a.t.p., “a fini conciliativi”, quale species del genus della istruzione preventiva, continua dunque ad assicurare, il<br />

diritto alla formazione della prova – in caso di mancata conciliazione - a prescindere in ogni caso dai requisiti del<br />

fumus e del periculum, propri del procedimento cautelare, rispetto al quale, con il nuovo art. 696 bis c.p.c., si può<br />

ragionevolmente sostenere che si sia definitivamente affrancato.<br />

Ma, soprattutto, diventa strumento di tutela, comunque giurisdizionale, del diritto soggettivo sostanziale delle parti,<br />

con evidente vantaggio per l’interesse dei singoli alla effettiva tutela giurisdizionale dei propri diritti e, più in<br />

generale, per l’interesse della collettività che domanda giustizia, in un momento storico, ormai troppo lungo e non più


giustificabile, in cui il “servizio giustizia”, sotto tanti spetti dimostra la sua inefficienza, in termini di tempi e<br />

risultati, in spregio alla norme fondamentali della nostra Carta Costituzionale, quale l’art. 111 Cost., che sancisce il<br />

principio della ragionevole durata del processo (rectius: il diritto delle parti alla ragionevole durata del processo),<br />

nonché alla disciplina comunitaria che afferma la importanza di tali principi per ogni ordinamento moderno ed<br />

efficiente, quale dovrebbe essere, ma non è, quello italiano.<br />

[1] Come noto, la entrata in vigore della riforma del processo civile prevista nella suddetta legge di conversione è<br />

stata posticipata a centoventi giorni dalla entrata in vigore della stessa e dunque salvo errori il prossimo 12 settembre<br />

2005, perchè l’11 settembre, che sarebbe l’ultimo giorno è domenica.<br />

[2] Per una panoramica sull’ordinamento della giurisprudenza della Cassazione e della Consulta ci si permette di<br />

rinviare a G.N. NARDO, Contributo allo studio della istruzione preventiva, Napoli, 2005, p. 221 ss, con i diversi<br />

rinvii alle note. Importanti sono i recenti contribuiti di C. BESSO, La prova prima del processo, Torino, 2004 e di<br />

A.A: ROMANO, La tutela cautelare della prova nel processo, Napoli, 2004. 220Sull’argomento si veda I. PAGNI, I<br />

limiti dell’accertamento tecnico preventivo ancora al vaglio della Corte costituzionale, in Foro it. 2000, c .1074 ;<br />

[3] Ancora, si veda NARDO, op.cit., pp. 221-228<br />

[4] G.N.NARDO, op.cit., pp. 218 ss<br />

[5] Per ogni riferimento, cfr., G.N. NARDO, op. cit., 401 pp. ss<br />

[6] G.N. NARDO, op. cit., pp. 391 ss<br />

[7] Così A.A. ROMANO, La tutela cautelare della prova nel processo civile, Napoli, 2004, pag. 259 ss, anche se,<br />

correttamente, l’A. va oltre questa prospettiva immaginando che la formazione preventiva della prova serve, sì a<br />

fornire allo stesso una cautela della prova, ma, più in generale, ad assicurare la effettiva tutela giurisdizionale del<br />

diritto nel (successivo) processo di merito, il che va pienamente condiviso.<br />

[8] R.VACCAREL<strong>LA</strong>, Conclusioni al convegno “Il giudizio di legittimità:.molte prospettive di riforma del codice di<br />

procedure civile, Roma, 29.11.2002, in www.judicium.it<br />

[9] G.N.NARDO, op.cit., pp. 73 ss<br />

[10] L’espressione è di G. VASSALLI, Il diritto alla prova nel processo penale, in Riv.it.dir.proc.pen., 1968, pag.12.<br />

[11] G.N. NARDO, op. cit., pp. 234 ss<br />

[12] Sul punto si rinvia a G.N.NARDO, op.cit., pp. 116 ss e 300 ss<br />

[13] Per ulteriori approfondimenti, cfr. G.N. NARDO, op. cit., p. 411<br />

[14] G.N. NARDO.op.cit., 411<br />

[15] Insiste sulla fondamentale importanza della effettività della tutela giurisdizionale del diritto, garantita dalla<br />

“cautela della prova” nel processo A.A. ROMANO, op.cit., 52 ss

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