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opposizione alle ordinanze-ingiunzione di pagamento di somme a ...

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Peraltro, a ragione, all’indomani dell’entrata in vigore della l. n. 689/81 era stato notato che<br />

l’esenzione dall’onere <strong>di</strong> capitolazione non può significare che il giu<strong>di</strong>ce si limiti a <strong>di</strong>sporre<br />

l’au<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> testimoni d’ufficio senza nemmeno in<strong>di</strong>care i fatti su cui debbono essere sentiti, posto<br />

che, se così fosse, sarebbe stato leso il <strong>di</strong>ritto delle parti <strong>di</strong> eventualmente dedurre controprove (34).<br />

A mio avviso, tale convincimento è fondato, non solo perché lo stesso significato della <strong>di</strong>sposizione<br />

della prova testimoniale d’ufficio implica, per il fatto che la testimonianza non è altro che la<br />

rappresentanza <strong>di</strong> certi fatti da parte <strong>di</strong> un terzo estraneo al giu<strong>di</strong>zio, l’in<strong>di</strong>cazione dei fatti che si<br />

vogliono far rappresentare dai testi, ma anche e soprattutto perché questo principio, oltre ad essere<br />

un precipitato logico, è co<strong>di</strong>ficato dalla legge all’art. 244 primo comma c.p.c. e non è derogato<br />

dall’art. 23 comma sesto, che esenta il giu<strong>di</strong>ce soltanto dall’onere <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care i fatti per articoli<br />

separati. L’art. 244 primo comma, infatti, esige che la prova per testimoni sia dedotta su fatti<br />

specifici, oltre che formulati per “articoli separati’’. E tale prescrizione non può reputarsi derogata<br />

dall’art. 23 sesto comma, che, laddove si riferisce alla capitolazione usa un termine assolutamente<br />

analogo a quello “articolazione’’. Non a caso l’espressione “capitoli’’ si rinveniva nel vecchio art.<br />

317 c.p.c. ed ora è stata mantenuta nel nuovo art. 312 c.p.c. (applicabile anche ai giu<strong>di</strong>zi or<strong>di</strong>nari<br />

avanti al giu<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> pace), nel quale l’art. 317 è stato trasfuso.<br />

Pertanto, se essenziale alla deduzione della prova è l’in<strong>di</strong>cazione dei fatti specifici su cui i testi si<br />

debbono assumere, che è cosa <strong>di</strong>versa e (solo eventualmente) prodromica alla loro in<strong>di</strong>cazione per<br />

articoli o capitoli separati, non può dubitarsi che l’esercizio del potere dell’art. 23 comma sesto<br />

postuli l’in<strong>di</strong>cazione dei fatti oggetto della prova ed anzi un’in<strong>di</strong>cazione specifica.<br />

Dell’applicabilità dei principi <strong>di</strong> cui all’art. 184 terzo comma nel caso <strong>di</strong> esercizio del potere <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> mezzi <strong>di</strong> prova d’ufficio ho già detto in precedenza nel paragrafo n. 3.<br />

Va avvertito che a ragione il legislatore ha omesso <strong>di</strong> eccettuare dall’ambito del potere <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> mezzi <strong>di</strong> prova d’ufficio il giuramento decisorio (a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quello che ha fatto<br />

nella norma dell’art. 421 c.p.c. per il rito del lavoro), poiché nelle controversie ex art. 22 non mi<br />

pare ammissibile nemmeno su istanza <strong>di</strong> parte, non solo il giuramento decisorio, ma anche quello<br />

suppletorio.<br />

La ragione per cui il giuramento non può essere <strong>di</strong>sposto è duplice: l’oggetto del processo riguarda<br />

<strong>di</strong>ritti in<strong>di</strong>sponibili e concerne un illecito (appunto un illecito amministrativo). L’art. 2739 c.c.<br />

esclude l’ammissibilità del giuramento sia decisorio che suppletorio in caso <strong>di</strong> controversia su <strong>di</strong>ritti<br />

in<strong>di</strong>spensabili e relativi ad un fatto illecito.<br />

È appena il caso <strong>di</strong> notare che, secondo dottrina e giurisprudenza (35) il concetto <strong>di</strong> illecito, <strong>di</strong> cui<br />

all’art. 2739 c.c. riguarda anche l’illecito amministrativo ed in generale i fatti contrari e norme<br />

imperative, al buon costume o all’or<strong>di</strong>ne pubblico.<br />

II. L’art. 23 comma do<strong>di</strong>cesimo, come notò unanimamente la dottrina dopo l’entrata in vigore della<br />

l. n. 689/81, pone una regola specifica in tema <strong>di</strong> ripartizione dell’onere della prova nelle<br />

controversie ex art. 22. Laddove, infatti, precisa che l’<strong>opposizione</strong> deve essere accolta e, quin<strong>di</strong>,<br />

l’or<strong>di</strong>nanza-<strong>ingiunzione</strong> caducata nel caso in cui “non vi sono prove sufficienti della responsabilità<br />

dell’opponente’’. La regola <strong>di</strong> ripartizione suggerita da questa previsione è chiaramente nel senso<br />

che l’onere della prova della sussistenza della violazione in relazione alla quale venne comminata la<br />

sanzione <strong>di</strong> cui all’opposta or<strong>di</strong>naza è a carico della P.A., che, perciò, deve provare i suoi fatti<br />

costitutivi, competendo all’opponente soltanto <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare eventuali fatti impe<strong>di</strong>tivi, mo<strong>di</strong>ficativi<br />

od estintivi dell’efficacia <strong>di</strong> quei fatti.<br />

L’espressa co<strong>di</strong>ficazione <strong>di</strong> tale regola non è stata suggerita da esigenze <strong>di</strong> scelta fra <strong>di</strong>fferenti<br />

soluzioni logicamente possibili, posto che, essendo l’or<strong>di</strong>nanza un atto <strong>di</strong> esercizio <strong>di</strong> un potere tali<br />

regole comportano sul piano logico senza dubbio che spetti alla P.A. l’onere <strong>di</strong> provare le<br />

con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> legge per l’esercizio valido <strong>di</strong> tale potere, in quanto essa, che assume <strong>di</strong> esserne<br />

titolare è nelle migliori con<strong>di</strong>zioni per dare la prova. La previsione espressa obbedì all’esigenza <strong>di</strong><br />

sconfessare l’orientamento giurisprudenziale formatosi sulle precedenti leggi <strong>di</strong> depenalizzazione,

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