il circolo s. pietro

IL CIRCOLO S. PIETRO
IL CIRCOLO S. PIETRO
FRA I POVERI E GLI EMARGINATI
dal 1869 una lunga carità

IL CIRCOLO S. PIETRO
FRA I POVERI E GLI EMARGINATI
dal 1869 una lunga carità

PREFAZIONE
Su consiglio del nostro Assistente Ecclesiastico Mons. Franco Camaldo
ho ritenuto opportuno far conoscere le attività del nostro amato
Circolo S. Pietro perché col tempo si è perso l’effettivo valore di un
così antico Sodalizio.
Forse qualcuno guarderà al nostro Circolo come ad una istituzione
legata a tempi lontani, e ormai scomparsi. Ma io penso che oggi sia
più che mai necessario che uomini di una stessa fede e di uno stesso
sentire abbiano la possibilità di incontrarsi, di riunirsi, di ritrovarsi
in un ambiente in cui vengono tenuti in conto quei valori morali
che sono fondamenta della nostra maniera di vivere e di pensare. Sta
a noi conservare lo spirito dei nostri predecessori e trasmetterlo alle
future generazioni.
Chi avrà voglia e tempo di scorrere queste pagine potrà scoprire una
delle tante realtà poco note del mondo cattolico: un Sodalizio nato
quasi in sordina 136 anni fa che ha attraversato un’epoca sempre
mutando e sempre restando se stesso; sempre adattandosi alle circostanze
storiche e sempre mantenendo inalterata la sua identità.
Come capita alle cose spirituali per le quali è impossibile tracciare
un bilancio, così anche di questo nostro Circolo S. Pietro è difficile
fare il consuntivo: non parlo delle minestre distribuite e dei vestiti
regalati dei poveri accolti nei nostri dormitori. Questi sono consuntivi
materiali. Parlo dei bilanci spirituali, di tutte le opere di carità
che abbiamo profuso in più di un secolo, in pace e in guerra. Non
sapremo mai quanti cuori abbiamo toccato, e questo, agli occhi di
Dio, è il solo, vero bilancio che conta.
Nel 1869 il Circolo nacque dall’iniziativa di alcuni giovani. Ed è ai
giovani che oggi vogliamo ancora rivolgerci per attingere nuovo
vigore per il nostro Sodalizio, come un ritorno alle origini.
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L’esperienza ci dice che sono proprio i giovani che oggi sentono il
desiderio di un forte impegno, anche se questo non appare a prima
vista. Vogliamo aprire le porte a chi è sensibile alla solidarietà,
all’altruismo e alle esigenze dei fratelli più bisognosi.
Un secolo fa, quando il Circolo nacque, i poveri erano poveri della
nostra terra e direi del nostro sangue. Si trattava di vittime di situazioni
economiche sfavorevoli, di terremotati, di profughi. Oggi la
povertà ha assunto una diversa connotazione. Prima di tutto gli
immigrati (dall’Africa o dall’Asia) che fuggono dai loro paesi e che
giungono da noi con viaggi lunghi e pericolosi. Dobbiamo calarci
nel loro mondo, nella loro solitudine, nella tragedia delle loro famiglie
separate. Non tocca a noi trovare le soluzioni politiche, a noi
tocca farci carico di questi drammi e proseguire quell’opera di carità
che ci ha sempre distinto.
Ma al di là degli immigrati, questo è anche il tempo delle povertà
nascoste, gente che ha perso il lavoro, gente che non ha più casa,
pensionati che vivono con due soldi, anziani che non riescono ad
arrivare alla fine del mese ma che si vergognano della propria indigenza.
Credo sia anche questo uno dei compiti del Circolo.
Il nostro proposito è, come ieri, quello di una totale obbedienza e
devozione al Sommo Pontefice e quello di una carità più incisiva,
più discreta, più efficace, più profonda, per curare i mali del nostro
tempo.
Fu questo il nostro impegno allora. È questo il nostro obiettivo, oggi.
A tutti i Soci vada il mio saluto e l’augurio di un proficuo lavoro.
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Leopoldo Torlonia
XXVI Presidente Generale

PERCHÈ QUESTO LIBRO
Da quando sono stato chiamato al ministero di Assistente
Ecclesiastico del nostro amato Circolo S.Pietro, molte persone
facendomi gli auguri mi domandavano: ma cosa è questo Circolo,
chi ne fa parte e, soprattutto, cosa fa?
Per rispondere a questa domanda, parlando con il nostro Presidente
Generale, il Duca Don Leopoldo Torlonia, ho suggerito che si approntasse
una piccola, agile pubblicazione che potesse servire agli attuali
membri del Circolo per meglio conoscere la nostra variegata realtà, ed
a tutti coloro che volessero entrare a farne parte per sapere chi siamo
e quali siano le nostre attività, i nostri obiettivi, o nostri progetti.
Ecco come è nata questa pubblicazione!
Presentandola ora, mi pare che lo scopo sia stato ottimamente raggiunto:
c’è il racconto della storia del Circolo; gli avvenimenti più importanti
della sua vita con gli anni di lotte e di carità, della fame e della
solidarietà, della ricostruzione e dei nuovi poveri; i rapporti sempre
intimi e stretti tra i Romani Pontefici ed il Circolo; e, in appendice,
l’elenco dei Presidenti Generali e degli Assistenti Ecclesiastici che si
sono succeduti. Infine, una sobria e discreta descrizione delle opere del
Circolo con le sue varie Commissioni e attività.
Offriamo, pertanto, ai membri del Circolo ed a quanti vogliono
conoscere la storia e lo spirito che lo caratterizza, questo opuscolo
con semplicità e familiarità: il Signore, per intercessione di Maria
Santissima, “Salus Populi Romani”, e di S.Pietro, nostro celeste
Patrono, ci benedica e ci sproni a camminare sempre più e sempre
meglio sulle vie del bene e della santità, nella nostra Santa Chiesa,
strettamente e fedelmente uniti al Successore di Pietro, l’amatissimo
Papa Benedetto XVI.
Monsignor Franco Camaldo
XIV Assistente Ecclesiastico
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AL LETTORE
Quando il Presidente radunò la Commissione per discutere la fattura
del libro, il problema che subito si presentò fu quello delle fonti.
Di alcuni periodi si aveva un preciso ricordo, di altri le vicende
erano nebbiose e occorreva indagare. Si trattava di riandare indietro
di 136 anni e di dar vita a personaggi che avevano lasciato dietro di
sé una lunga scia di carità. Ma la carità non basta per fare una storia.
Indagando, leggendo, sfogliando si trovava solo una lunga lista di
opere buone: minestre, vestiti, profughi, prigionieri, feriti, sfollati.
Ma era un elenco che aveva bisogno di essere collocato nel tempo
per afferrarne il giusto valore; messo in una cornice che meglio
facesse emergere la solidarietà e l’altruismo.
È stato necessario un continuo e faticoso contrappunto fra storia
d’Italia, storia del movimento cattolico, storia della Chiesa per far
risaltare la lunga carità del Circolo S. Pietro. Non si può comprendere,
per esempio, la nascita del Circolo nel 1869 senza inquadrare
l’opposizione di gruppi, associazioni e giornali cattolici nell’acceso
anticlericalismo dominante, pressappoco gli anni che vanno dal
ritorno da Gaeta di Pio IX fino agli albori del Pontificato leoniano:
anni che vedono finalmente l’affermarsi di un laicato maturo, devoto,
fedelissimo al Pontefice.
E non si può comprendere il grande impegno caritativo del Circolo
nei due ultimi decenni dell’Ottocento, senza aver presente la crisi
agraria degli anni Ottanta, l’emorragia di emigranti che s’imbarcavano
per l’America, le economie fino all’osso di Quintino Sella che
colpirono soprattutto i ceti popolari. Solo in questo quadro globale
l’opera del Circolo assume tutta la sua valenza e si staglia netta e
chiara la sua azione sociale.
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Il nostro augurio è che in questa cavalcata lungo l’arco di 136 anni
assurga in tutta la sua importanza l’opera poliedrica del Circolo
S.Pietro.
All’opera che presentiamo ha collaborato la Commissione composta
da Saverio Petrillo, Alberto Bochicchio, Raniero Salvaggi,
Beniamino Mancuso, Carlo Napoli.
Grafica e iconografia: Raniero Salvaggi.
Testo di Carlo Napoli.
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LA STORIA

IL CIRCOLO E I TEMPI DI PIO IX
Quando il Circolo S. Pietro venne fondato - nel 1869 - Pio IX
regnava da 23 anni. Un Pontificato sofferto che avrebbe visto la
fine del potere temporale, il nascere di un acceso anticlericalismo e
i credenti divisi fra cattolici liberali e cattolici intransigenti. Anni in
cui si sarebbe consumato il dramma di molte coscienze, fra chi pensava
che potessero coesistere la fedeltà al giovane Stato italiano e
la fedeltà al Papa. Ma anche anni in cui da ogni parte del mondo,
specie in Italia, tanti credenti si schieravano per una forte testimonianza
in difesa del Pontefice che di lì a un anno si sarebbe rinchiuso
nei palazzi vaticani in segno di protesta per la breccia del ’70 di
Porta Pia.
In quel 1869, già si presagiva la fine imminente. Qualche anno
prima, nel 1861, al Parlamento subalpino era stato proclamato il
Regno d’Italia e Cavour aveva indicato Roma come meta per la giovane
nazione appena nata. Su Roma Capitale non esistevano dubbi,
la voleva Garibaldi, l’auspicava Mazzini, la inseguivano le Sinistre,
la chiedevano i moderati.
Per il potere temporale era l’inizio della fine.
Lo Stato pontificio, in appena un decennio, s’era mano mano ristretto,
tagliato a nord dalle truppe piemontesi e a sud da Garibaldi che
aveva risalito la Penisola da Marsala. Perduta l’Umbria, perduta la
Romagna, perdute le Marche, al Papa non restava che un piccolo
staterello, grande pressappoco come il Lazio. Senza Roma, contava
poco più di mezzo milione di abitanti addensati nei centri maggiori,
Viterbo, Civitavecchia, Velletri, Frosinone.
Quel 1869, vigilia del tramonto dello Stato pontificio, racchiudeva e
condensava il travaglio di un’epoca dove era difficile separare con
un taglio netto torti e ragioni.
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Da quando Pio IX era tornato dall’esilio di Gaeta nel 1850, si erano
succeduti atti che oggi definiremmo di terrorismo: bombe fatte
esplodere, uccisione di zuavi, caserme saltate in aria, attentati. Nel
1868 erano finiti davanti al tribunale nove giovani accusati di insurrezione
al quartiere Trastevere e per aver fatto esplodere una mina
che aveva ucciso alcuni soldati papalini.
L’ideologia liberale e l’ardore patriottico avevano fatto breccia in
alcuni sudditi dello Stato pontificio che avevano varcato i confini
per correre come soldati sotto le bandiere italiane. Più di cinquemila
volontari erano partiti per la seconda guerra di indipendenza, e
dopo Mentana altri giovani si erano dati alla macchia per formare
bande irregolari, pronte a militare nell’esercito regio appena ce ne
fosse stata l’occasione.
Di fronte a questi tumulti, Pio IX, asceso al Soglio nel 1846, aveva
scelto la via della moderazione e compiuto un gesto di clemenza
proprio all’inizio del suo Pontificato. Un bando affisso nelle strade
annunciava l’amnistia per i delitti politici: “Volgemmo uno sguardo
compassionevole a molta inesperta gioventù, la quale sebbene trascinata
da fallaci lusinghe in mezzo ai tumulti politici ci pareva piuttosto
sedotta che seduttrice. Perlocchè fin d’allora meditammo di
stendere la mano e di offrire la pace del cuore a quei traviati figlioli”.
E concludeva “Siano soppresse e troncate le procedure criminali
per delitti meramente politici”.
In superficie, la vita a Roma sembrava calma. Gli stranieri continuavano
a riempire gli alberghi e le centinaia di stanze in affitto.
Vivevano fra Piazza di Spagna e via dell’Orso scrittori e musicisti,
scultori e pittori come Liszt, il Gregorovius, Gounod, Tolstoi, il
novelliere Andersen e lo storico Mommsen. Ma sotto la quiete apparente,
già si avvertivano i segni di disagio e di incertezza. Scriveva
il Gregorovius nei suoi diari nei primi mesi del 1864: “I ripetuti
scoppi di bombe hanno sparso timor panico tra gli stranieri” E anco-
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a: “Il 12 aprile Roma era illuminata fantasmagoricamente per l’anniversario
del ritorno del Papa da Gaeta. Piazza Navona e il Foro
splendevano di bellezza indescrivibile, tutti gli obelischi erano
colonne di fuoco, su tutte le fontane si alzavano come dei templi
gotici folgoranti di luce. Però è stata gettata una bomba e 15 persone
sono rimaste ferite”. Annotava ancora nel marzo del ’67: ”Vi
sono qui a Roma due partiti, il comitato nazionale che, da parte del
governo italiano, riceve l’ordine di aspettare, e i mazziniani che
vogliono provocare un crollo con la violenza. A mezzanotte sono
stati lanciati dei petardi in molti luoghi della città. Stavo per addormentarmi
quando mi hanno riscosso queste detonazioni violente. Le
sparatorie si ripetettero. Ho chiesto poi alla sentinella la causa di
queste sparatorie: era la ricorrenza della Repubblica Romana che
avevano voluto celebrare”.
Nasceva la “Questione Romana”, il dissidio lacerante fra Chiesa e
Stato che avrebbe avvelenato il clima politico fino al 1929, l’anno
del Concordato. E si diffondeva nello stesso tempo un forte anticlericalismo
alimentato anche dalla massoneria; e per converso si affermava
un cattolicesimo tenace di assoluta fedeltà al Papa, di assoluta
obbedienza, di assoluta difesa delle sue prerogative.
Il Circolo S. Pietro, quando nacque nei primi mesi del 1869, trovò
un terreno già concimato e si incanalò nel solco delle tante iniziative
religiose che fiorivano non solo in Italia, un Circolo che andava
a confluire nel vasto filone del laicato cattolico che aveva avuto i
suoi inizi a Malines, in Belgio, quando un gruppo di professori dell’università
di Lovanio aveva pensato che sarebbe stato bene per la
Chiesa discutere i problemi dei credenti e la loro organizzazione.
Alla conferenza di Malines vennero dall’Italia sei soli partecipanti,
fra cui l’avvocato di Bologna, Casoni, che dinanzi all’assemblea
internazionale tracciò un quadro drammatico della Chiesa in Italia:
“Siamo in piena persecuzione - disse Casoni - quasi 200 conventi
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soppressi, più di duemila monache sul lastrico, cinquanta vescovi
esiliati, relegati o imprigionati. Prima di venire a questo congresso
ho voluto ricevere la benedizione della guida delle nostre coscienze
e capo spirituale della chiesa bolognese, monsignor Antonio Canzi.
Ebbene, signori, per avere questa benedizione ho dovuto inginocchiarmi
sui sassi di un’oscura prigione sotto gli occhi di un carceriere.
Ecco, signori, cos’è da noi libera Chiesa in libero Stato. Sono
dunque la Chiesa, il Papato, il Cattolicesimo ad essere assaliti e
combattuti. E allora mettiamo a servizio della casa di Pietro tutto ciò
che è in nostro possesso, intelligenze, ricchezze, mezzi, associazioni,
libri, propaganda, giornali, le nostre stesse vite…”.
Nello stesso anno in cui l’Italia trasferiva la capitale da Torino a
Firenze (1864), Pio IX emanava l’enciclica “Quanta cura” con
annesso il “Sillabo degli errori” in cui si condannava in pratica il
liberalismo e si suggellava l’intransigenza vaticana, intransigenza
che era frutto di necessità in quanto Pio IX temeva che lo Stato
potesse ridurre la religione a mero problema di coscienza e mettere
in atto un programma preciso per scristianizzare l’Italia, come se lo
Stato appena formato si fosse dato una “missione” da compiere per
emarginare la Chiesa.
Scriverà più tardi Benedetto Croce: ”Quale fosse quella missione
rimaneva di solito indeterminato, ma taluni la determinavano nel
dovere di promuovere e compiere la redenzione di tutti i popoli
oppressi della terra, o nell’altro di affrancare il mondo dal giogo spirituale
della Chiesa cattolica, ora ch’era stato infranto il potere temporale,
e creare una nuova e umana religione”.
Però, con lo stesso ritmo e forza con cui si sviluppava l’anticlericalismo,
con la stessa forza si affermavano gruppi, associazioni, iniziative
e giornali in tutta Italia: nel 1856 nascevano le Conferenze di
S.Vincenzo, nel 1860 l’Obolo di S.Pietro, a Genova nel 1863 usciva
la rivista mensile “Annali Cattolici” che durò breve tempo e venne
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subito sostituita da “La rivista universale” che proclamava solennemente:
”L’avvenire della religione e della patria sta nelle mani dei
cattolici”. A Torino venivano alla luce “Il Mediatore” e “L’armonia
della Religione con la Civiltà”, a Milano “Il Carroccio” e
“L’Osservatore Cattolico”, a Lucca “L’Araldo Cattolico”, a Firenze
“L’Esaminatore”, a Roma “Il Veridico”, a Napoli “La Settimana”, e
in Sicilia “Il Monitore Religioso”.
All’estero si guardava la situazione della Chiesa in Italia con qualche
preoccupazione. Sembrava a molti che ci si fosse rassegnati al
peggio e che ormai, come un condannato a morte, si aspettasse solo
il colpo della mannaia. Molti prelati invocavano “azione”. A Parigi,
nella sua lettera pastorale, il card. Dupanloup diceva: ”Debbo dirlo:
i nostri nemici posseggono l’arte di addormentarci, noi rimaniamo
in piedi, le braccia incrociate e la bocca chiusa; non osiamo neanche
alzare una protesta per il nostro onore. Naturalmente tale protesta
sarebbe impotente ma costituirebbe almeno un atto di vendetta.
Invece, no, come se tutto dovesse svolgersi silenziosamente si sta lì
ad osservare, tacendo, aspettando, come esterrefatti, l’inevitabile
catastrofe”.
L’enciclica “Quanta cura” ebbe il merito di scuotere le coscienze:
a distanza di dodici mesi dal Sillabo, veniva costituita
“L’Associazione cattolico-italiana per la difesa della libertà della
Chiesa in Italia” che stabiliva questo programma essenziale: “Noi
vogliamo in comune accordo e con uno scopo comune apertamente
sostenere quei principi cattolici che da altri sono oppugnati. È ormai
tempo di raccogliere e ordinare le forze e procedere concordi e uniti
nell’opera della comune salute”
Con “libertà della Chiesa” i cattolici del secolo scorso intendevano
ribadire la loro determinazione ad una esistenza autonoma e ad una
resistenza contro ogni tentativo dello Stato di invadere il loro terreno
e di imporre norme di etica laica.
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A partire dalla Conferenza di Malines e con l’enciclica di Pio IX si
innescò una frenetica attività nelle file cattoliche e, per converso,
un’occhiuto e ferreo controllo da parte delle autorità statali. Vennero
fatte perquisizioni nelle sedi delle associazioni, si spiarono gli aderenti,
si perseguitarono i capi.
Il 5 aprile 1866 la polizia compì a Bologna un’operazione setaccio
con la perquisizione di ben 47 abitazioni di noti cattolici tra cui la
palazzina dove l’avvocato Casoni teneva le sue riunioni. Ma le intimidazioni
non erano appannaggio esclusivo dell’Italia settentrionale.
Al Sud, precisamente a Reggio Calabria, un esponente cattolico
locale, il barone Mantica, venne aggredito da sconosciuti e lasciato
a terra tramortito; sempre a Bologna, nelle case degli iscritti
all’Associazione furono messi sotto la porta biglietti minacciosi. E
le questure compilavano fascicoli su fascicoli su tutti i membri delle
organizzazioni religiose.
Le intimidazioni si protrassero per molti anni. Perfino nell’ultimo
decennio dell’Ottocento - quando sembrava che la marea
anticattolica stesse rientrando - si registravano attentati e bombe.
Nel 1893 un ordigno esplodeva nel palazzo Sacchetti, una delle
famiglie romane più legate alla Santa Sede. E l’Osservatore
Romano commentava: ”Ormai, questo continuo ripetersi dello
scoppio delle bombe è diventato qualcosa di peggio di un gioco
e la questura fino ad ora è nell’assoluta impossibilità di rintracciare
i veri colpevoli”. Aggiungeva il giornale vaticano: ”Fino
ad ora le esplosioni sono state ventisei, solo ieri sera furono
quattro”.
Intanto questa “Associazione cattolico-italiana” si sviluppava in
diverse regioni. Quando i suoi dirigenti vennero ricevuti da Pio IX
in Vaticano, il Papa pronunciò quella frase rimasta celebre:
“Viviamo in tempi assai difficili, ma coraggio. Fate quello che potete:
Dio farà il resto”.
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“L’associazione cattolico-italiana” si estinse rapidamente e venne
presto rimpiazzata nel 1867 dalla “Società della Gioventù cattolica
italiana” fondata da Giovanni Acquaderni e Mario Fani, i due uomini
che saranno i precursori di quella che si chiamerà fra poco, tout
court, “Azione cattolica”. I fondatori si proponevano la raccolta di
fondi a favore del Pontefice, la stampa religiosa, la propagazione del
culto. Il programma della Società, pubblicato a gennaio del ’68 sottolineava
l’urgenza di svegliare dall’inerzia i cattolici e di combattere
coloro che aizzavano gli animi e cioè “stampa, università, licei,
magistrature, legislature”.
Scriverà Giovanni Spadolini: “L’Azione cattolica nasce da quello
sforzo di proselitismo e, oserei dire, di missionarismo in un mondo
estraneo ed ostile, da quello spirito di crociata per riconquistare i
valori certi della società italiana senza accettare nessun compromesso
e nessuna transazione con le autorità costituite”.
È in questo clima di rinnovato fervore religioso, di opposizione
allo Stato ateo, di difesa del Pontefice che nacque nel 1869 il
Circolo S. Pietro a opera di don Domenico Jacobini e di Paolo
Mencacci. In una sala del seminario romano, la sera del 22 febbraio
1869 alcuni giovani si riunirono con l’intento di compiere opere proficue
alla causa della fede e per testimoniare che anche i cattolici di
Roma erano presenti nel generale risveglio religioso. Non era ancora
il “Circolo” che nascerà ufficialmente due mesi dopo.
Era solo la prima, timida scintilla di un’iniziativa che sarebbe cresciuta
nel tempo e che avrebbe avuto sempre come filo conduttore,
come forte ideale, come impegno interiore la fedeltà totale al
Pontefice.
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COME NACQUE IL CIRCOLO
Il mese di aprile si aprì con una grande festa all’ambasciata tedesca,
cui fece seguito un ricevimento della contessa–archeologa Ersilia
Caetani Lovatelli, ”la donna più dotta di Roma” come la definì il
Gregorovius. Il corpo diplomatico, malgrado la vita proseguisse
tranquilla e indisturbata presagiva un radicale cambiamento dello
Stato pontificio, anche perché l’Italia premeva sulle cancellerie
europee facendo balenare il pericolo di una rivoluzione mazziniana
o garibaldina a cui solo l’esercito regio si sarebbe potuto opporre
salvando il Pontefice.
Il tempo era splendido e i pittori stranieri vagavano nelle campagne
e fra le rovine dipingendo una Roma che di lì a qualche anno sarebbe
scomparsa per sempre.
In una situazione incandescente, nessuno poteva restare neutrale.
Soprattutto i giovani avevano il desiderio di schierarsi, di scendere
in campo: chi si era convertito al patriottismo savoiardo e chi si era
schierato per il legittimismo pontificio. A Roma, però, la gioventù
cattolica avvertiva l’urgenza di un impegno, di una testimonianza
coraggiosa, il desiderio di essere attiva, protagonista e non comparsa
sulla scena della storia. Il conte Acquaderni, dopo ch’era stata
fondata la “Società della Gioventù Cattolica Italiana” era venuto
nella città eterna per prendere accordi e per allargare la cerchia
degli iscritti. Ma già l’idea di riunirsi, di fare qualcosa in difesa
della Chiesa serpeggiava in alcuni giovani che desideravano fare
gruppo, collaborare, lavorare assieme. A riunirli per la prima volta
fu un giovane sacerdote - che più tardi sarà cardinale - mons.
Jacobini che come luogo d’incontro scelse il seminario romano.
Nacque lì l’idea, ancora vaga, di dare una qualche forma stabile al
gruppo.
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Il 14 aprile don Jacobini e le persone attorno a lui si recarono da
Paolo Mencacci - figura esemplare di laico dalla fede incrollabile e
dalla larga generosità - per offrirgli la presidenza di questo circolo
“in nuce” che non si chiamava ancora Circolo S.Pietro. Quello stesso
giorno Paolo Mencacci tornava da un’udienza pontificia che Pio
IX aveva concesso alla Società della Gioventù Cattolica. Pio IX
dopo aver ricordato l’omaggio di tante nazioni alla sua persona si
era rivolto proprio ai giovani: ”Dunque, miei cari giovani, voi siete
con me ed io con voi. Dobbiamo combattere contro l’errore, presentarci
ai nemici e procurare di metter fuori dal loro cuore il veleno e
preservare quelli che sono illesi...Sì, io sono con voi, camminiamo
uniti e preghiamo Dio per il dono più importante che è quello della
santa perseveranza”.
Perché il Circolo venisse alla luce era necessario un presidente e una
sede. Ma Paolo Mencacci non voleva accettare la presidenza anche
perché aveva molti impegni fra cui quello di portare avanti un giornale
“Il Divin Salvatore” al quale dedicava tempo e soprattutto soldi.
Ma don Jacobini si accinse al compito di risolvere ambedue i problemi
anche se da molte persone, perfino dalla Curia, si avanzavano
perplessità per questa iniziativa. Dicevano: siamo a Roma, nel centro
del Cristianità, nello stato del Papa, che bisogno c’è di un circolo
qui? Non dobbiamo convertire nessuno. Ce ne sarebbe bisogno in
Francia, in altre regioni italiane, in Piemonte, ma a Roma, no.
I giovani però scalpitavano e non volevano perdere il treno del grande
associazionismo cattolico che stava nascendo in Europa. Sempre
don Jacobini si fece carico di superare le difficoltà e riuscì a trovare
per presidente il principe Pietro Aldobrandini. Ma Aldobrandini passava
molto tempo fuori Roma, non avrebbe potuto seguire il Circolo
proprio nel momento più critico del suo sviluppo. Si tornò allora a
Paolo Mencacci che venne convinto ad accettare, magari per un
tempo limitato.
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Gli ostacoli vennero alla fine superati, e si decise una riunione per il
28 aprile che avrebbe dovuto segnare la fondazione del Circolo.
Mancava una sede, e il principe Lancellotti offrì una sala del suo
palazzo ai Coronari.
Il 28 aprile 1869 nasceva ufficialmente il Circolo S.Pietro. Le cronache
riferiscono alcuni nomi dei primi soci: oltre a Pietro
Aldobrandini e a Paolo Mencacci, Attilio Ambrosiani, Giacomo
Bersani, Francesco Bersani, Camillo Boreani, don Bartolomeo
Grassi, don Giulio Lepri, don Jacobini, Tommaso Marola. Il numero
dei soci venne fissato in 33 e solamente qualche anno dopo, nel
1875, si passò a cinquanta.
All’inizio il Circolo non ebbe sede propria: si riunì dapprima dai
Minori Conventuali in piazza SS. Apostoli, poi a palazzo Wedekind,
in piazza Colonna. Ma la sede era scomoda e ancora una volta il
Circolo traslocò a palazzo Simonetti, vicino alla chiesa di S. Marcello
al Corso.
Il I° giugno si tenne la prima assemblea e don Jacobini commentò le
finalità della nuova istituzione: ”Formare i giovani alla franca professione
della cristiana religione ed alla coraggiosa difesa dei sacri
diritti della Chiesa”.
In attesa che il Circolo trovasse praticamente un terreno d’azione,
Mencacci propose ai giovani di collaborare al suo giornale “Il Divin
Salvatore” di cui era direttore e proprietario, collaborazione che si
estese anche al “Veridico”, altro periodico cattolico della Roma di
Pio IX.
Ma la prima manifestazione che consacrò ufficialmente il Circolo e
che lo fece conoscere alla città fu il giorno dell’apertura del Concilio
Vaticano quando i soci promossero l’illuminazione della città.
Il Concilio si aprì solennemente l’8 dicembre del 1869. ”Grandiosa,
indescrivibile” fu l’impressione che il vescovo di Birmingham,
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Ullathorne, riportò nel suo diario. La navata trasversale destra della
Basilica di S. Pietro era stata predisposta come aula conciliare.
Scaglionati in otto file sedevano 642 prelati con diritto di voto, i
vescovi portavano piviali intessuti d’argento e mitre bianche.
Nessun altro Concilio aveva mai visto tanti vescovi presenti. Dei
1050, quanti se ne contavano in tutto il mondo, ne erano venuti in
Vaticano 774, e dai cinque continenti.
Ma perché un Concilio mentre il destino di Roma pareva già deciso?
Le ondate della rivoluzione francese e delle successive secolarizzazioni
si erano abbattute sopra l’edificio apparentemente fatiscente
della Chiesa cattolica. Esse avevano spazzato via quanto aveva legato
la Chiesa allo Stato e alla società dell’epoca assolutista. Erano
spariti i principi vescovi tedeschi, i vescovi di corte francesi, millenari
monasteri come Reichenau o Cluny. Già prima di loro l’ordine
dei gesuiti era stato vittima dell’assolutismo illuministico delle corti
borboniche. Ma quando la fiumana passò oltre, ci si accorse che i
muri maestri dell’edificio restavano miracolosamente intatti.
L’inerme Papa Pio VII aveva resistito all’onnipotenza napoleonica.
De Maistre e Chateaubriand scoprivano la grandezza del Papato
come istituzione sopranazionale, Lamennais e Montalembert le
grandi possibilità che la parola “libertà” offriva alla Chiesa fino ad
allora inceppata dal cesaropapismo, dall’unione di trono e altare.
Toccava ora a Pio IX, al tramonto del suo Pontificato, fissare gli
argini filosofici e condannare gli errori dei tempi moderni. Ancora
una volta, la Chiesa si ritirava nel proprio compito originario, la preservazione
del bene e della fede, e frenava l’eccessiva credenza nel
progresso e l’ottimistica fiducia nella cultura di una generazione
tutta protesa in avanti.
Il punto che al Concilio sollevò un coro di adesioni - e qualche critica -
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fu la proclamazione dell’infallibilità pontificia. Non si era trattato di
una decisione avventata. Il Papa già due anni prima aveva interpellato
36 vescovi, italiani, francesi, spagnoli, austro-ungheresi, belgi e
inglesi. Tutti si erano trovati d’accordo nel ritenere che la confusione
mentale in cui si viveva esigesse una chiara enunciazione dei
grandi principi cristiani e dell’autorità della Chiesa. Otto pareri avevano
anche raccomandato la definizione dell’infallibilità pontificia.
Il Concilio non poté però terminare i suoi lavori perché il 20 settembre
del ’70 le truppe italiane entrarono a Porta Pia. Roma diventava
capitale di un piccolo regno - come annotava Gregorovius nel suo
diario - e perdeva la sua “tragica quiete”.
Il governo italiano fino all’ultimo aveva cercato un accordo che lo
esentasse dall’uso delle armi. Il primo ministro Lanza e il ministro
degli esteri Visconti-Venosta non volevano entrare con la forza,
temevano ripercussioni internazionali. Le istruzioni che accompagnavano
il piano militare dicevano: ”Massima prudenza”. ”Non
accettare provocazioni”. E sottolineavano: ”Le operazioni militari
saranno precedute da azioni diplomatiche”.
Anche Pio IX - malgrado i soldati fossero venuti da tutta Europa per
difenderlo - non voleva spargimento di sangue. Il giorno precedente
si era recato alla Scala Santa e giunto in cima aveva esclamato:
“Qualunque cosa avvenga, sia fatta, Signore, la tua volontà”.
Il generale Kanzler, Comandante dell’Esercito Pontificio, avrebbe
invece voluto combattere, gli sembrava vile arrendersi senza sparare
un solo colpo di fucile. Ma Pio IX aveva già deciso. Mentre il cannone
tuonava e si sentiva il rombo sulla città, il Papa congedò il
corpo diplomatico e ribadì l’ordine di resa al Generale Kanzler:
”Non è per me che piango - disse - ma per questi poveri figli che
sono venuti a difendermi. Sciolgo i miei soldati dal giuramento e li
lascio liberi”.
25

Tutti coloro che speravano di difendere il Pontefice restarono delusi.
Il prof. Tolli, futuro presidente del Circolo, scriverà: ”Era grande
la fede di questi giovani di Roma schierati a difesa del Papa. Si
comunicarono tutti quanti prima della battaglia, desiderosi di lasciare
la loro vita sugli spalti del Vaticano”.
Fra questi giovani, pronti al sacrificio, molti appartenevano al
Circolo S. Pietro.
26

IL PRIMO PRESIDENTE
Negli ultimi decenni dell’Ottocento essere cattolico - e dirlo pubblicamente
- rappresentava un rischio e un azzardo. Tutta l’amministrazione
statale era diretta da appartenenti alla Massoneria, massoni
confessi erano alcuni presidenti del consiglio, come Crispi, massoni
erano alcuni ministri e massoni i capi militari. L’alta dirigenza come
l’alta finanza erano anch’esse nelle mani di persone cresciute nel
clima dell’anticlericalismo che vedevano la Chiesa come un impaccio
al progresso scientifico e politico.
Era raro che qualche cattolico arrivasse agli alti gradi della magistratura
o che fosse direttore generale di qualche ministero. Fare professione
di cattolico significava chiudersi molte porte e accettare l’isolamento.
Paolo Mencacci - il primo presidente del Circolo, anche se facente
funzione - apparteneva a quelle famiglie che da generazioni danno
gente di totale fedeltà alla Chiesa. Era stato suo zio, Lorenzo
Mencacci, che all’epoca dell’invasione francese e della prigionia di
Pio VII aveva affisso, a rischio della propria vita, la bolla di scomunica
contro Napoleone sulla porta della Basilica Vaticana, di fronte
alle sentinelle francesi.
Lui, Paolo, si era dato in tempi oscuri e tempestosi, un programma:
difendere il Pontefice e la Chiesa. Da uomo colto qual era, lo aveva
fatto con la parola ma soprattutto con gli scritti. In una Roma un po’
sonnacchiosa e che aspettava inerte il proprio destino, Mencacci
aveva fondato un giornale “Il Divin Salvatore” ch’era stato la sua
arma di battaglia: fioretto e spada a seconda delle circostanze. Per
trent’anni aveva scritto per questo periodico, lo aveva diretto, lo
aveva mantenuto a sue spese senza speranza di premi o di prebende
o di promozioni o di successo. Non amava il protagonismo, e quan-
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do gli offrirono la presidenza del Circolo rifiutò perché era allergico
per temperamento ai galloni, fossero pure di caporale. Dovettero
pregarlo, dovettero insistere perché accettasse.
Apparteneva a una tipologia di fedeli ormai in estinzione che alla
Chiesa davano tutto senza chiedere niente in cambio. La mattina,
mentre Roma era silenziosa, usciva da casa e si recava in chiesa per
sentir Messa e fare la comunione. Qualcuno ha scritto che, di temperamento
un po’ nostalgico, sognava tempi andati e che era un sorpassato.
Altri invece hanno visto in lui la perfetta figura del laico,
quale si delineava a Roma dopo il 1850, quando Pio IX era tornato
dall’esilio di Gaeta, e si chiudeva un’epoca.
Che un’epoca si chiudesse, Mencacci lo aveva compreso, solo che
era preoccupato per la strada che la società stava imboccando. Chi
legge i suoi articoli trova un polemista elegante, mai volgare, mai
sarcastico che sapeva riconoscere i meriti anche ai nemici. Quello
che lo preoccupava era quest’ondata gigantesca che stava travolgendo
il costume, la Chiesa, il clero, i fedeli e da ultimo il Regno pontificio.
Occorreva resistere in attesa di altri tempi.
Tutta la sua attività, da giornalista e da presidente del Circolo, fu
spesa per affermare il diritto della Chiesa all’esistenza. Negli anni in
cui diresse il Sodalizio (si ritirò nel 1874 ma solo per limiti di età, in
quanto lo statuto non permetteva ai quarantenni di essere membri
dell’associazione) prese numerose iniziative: l’obolo per il Santo
Padre, la stampa di un giornale “La Stella”, decine di opuscoli a
difesa del Papa, la raccolta di soccorsi per i danneggiati della guerra
franco-prussiana, tantissimi articoli e iniziative per protestare
contro la confisca dei beni degli ordini religiosi e lo scioglimento di
molti conventi.
Anche in campo politico ebbe fiuto, perché nel clima del “non expedit”,
col divieto di Pio IX per i fedeli di partecipare alla vita politica
(”né eletti né elettori”), comprese che bisognava lentamente avviare
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i cattolici ad essere protagonisti nella vita pubblica. Fu proprio il
“suo” Circolo che prese l’iniziativa per la partecipazione dei cattolici
romani alle elezioni amministrative del 1872.
Il suo nome resta legato indissolubilmente non solo alla nascita del
Circolo S. Pietro ma alle figure più eminenti del laicato cattolico,
rimaste per modestia, per stile, per signorilità borghese, in penombra.
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I PAPI E IL CIRCOLO S. PIETRO
PIO IX – Giovanni Maria Mastai Ferretti (1846-1878)
Nella sala del Circolo S. Pietro, nel palazzo
di piazza San Calisto, campeggiano sulle
pareti tutti i ritratti dei papi a partire da Pio
IX. È una sala che simboleggia il lungo,
intenso rapporto che ha legato per più di
130 anni il Circolo ai Pontefici. Un rapporto
privilegiato fatto di totale disponibilità,
di devozione e di servizio da parte del
Sodalizio; e di paterna, affettuosa benevolenza
da parte dei Papi.
Un Circolo “sui generis” che ha avuto come soci ben quattro pontefici
che, anche assunti al Soglio, hanno ricordato con gratitudine
gli anni della loro appartenenza e della loro militanza:
Benedetto XV, Pio XI, Pio XII e Paolo VI.
Il primo incontro che le cronache registrano avvenne dopo pochi
giorni dalla fondazione del Circolo S. Pietro.
Pio IX ricevette i soci fondatori che chiesero la sua benedizione.
Il Santo Padre domandò: “Tutto qui?”.
Il presidente Mencacci rispose: “Santità, questi giovani non
volevano tediare Vostra Santità con un lungo indirizzo”. “Ma io
non so l’oggetto, non so lo scopo”. “Padre Santo - disse
Mencacci - lo scopo è di fare del bene e di interessarsi a vicenda
nel combattere il male. Del resto io sono un intruso perché
ho superato l’età richiesta dallo statuto”. “Eh - fece il Papa di
rimando - che volete che fra tante cose mi ricordi anche questo?”.
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Prese allora la parola don Jacobini che precisò meglio lo scopo del
Circolo. “Benissimo, bravi figlioli - concluse il Papa - siate superiori
al rispetto umano e siate franchi nelle opere di religione,
come dobbiamo esserlo noi tutti cristiani. Preghiamo il Signore
perché voglia aiutarci, perché a guardare le cose dalla parte degli
uomini non vi è raggio alcuno di luce. Lasciamo fare a Dio, Egli
sa come consolarci. Addio, figlioli cari, addio”.
Fu questo il primo incontro fra Papa e Circolo che inaugurò, per
dir così, quel clima di comunione fra Sodalizio e Pontefici che
sarà poi il tratto distintivo, lungo tutto un secolo, del Circolo, il
suggello della sua identità.
E a riprova di quanto stretti si fossero fatti, fin dal primo
momento, i rapporti con Pio IX c’è il primo discorso pubblico
che il Papa pronunciò dopo la breccia di Porta Pia. Un discorso
rivolto solo ai membri del Circolo: ”Se la rivoluzione non avesse
arrecato tanti danni alla Religione, sarebbe quasi da benedirne
Iddio, come di un beneficio (perché) ha dato occasione a
tante migliaia di italiani e anche di forestieri di mostrare il loro
affetto filiale verso la S. Sede…così Dio vi mantenga tutti nei
vostri santi propositi e nell’attaccamento alla Santa Sede che mi
avete manifestato”.
Nel 1871, a Roma già capitale d’Italia, Pio IX ricevette ancora
una volta i Soci del Circolo. Il presidente Mencacci offrì al pontefice
i flabelli per la sedia gestatoria. E il Papa disse: “Io scorgo
in questi simboli i vostri cuori i quali si accompagneranno nel
combattere gli attacchi dei nostri comuni nemici: i vostri cuori
saranno come scudo contro il quale si romperanno tutti gli strali
delle ingiurie, delle bestemmie, delle eresie, onde gli empi vorrebbero
avviliti, derisi, schiacciati, anzi se fosse possibile, distrutti, i
principi della religione di Cristo”.
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LEONE XIII – Gioacchino Pecci (1878-1903)
Fra gli eventi significativi dei primi anni del
Pontificato di Leone XIII vanno ricordati gli
aiuti personali dati al Circolo, sia per le cucine
economiche, sia per i dormitori. Leone XIII
apprezzò poi enormemente il coraggio dei
Soci del Circolo che, fatto quadrato attorno al
carro funebre che portava i resti di Pio IX,
affrontarono con pugni e bastoni un gruppo
di anticlericali che volevano gettare la salma
nel Tevere. Un gesto per il quale il Santo Padre fu enormemente
riconoscente, e difatti nell’udienza concessa al Circolo si espresse
così: “La vostra Società, benedetta dal nostro glorioso predecessore
e da Noi, recò i frutti preziosi che se ne speravano... È nostra intenzione
di rendere pubblicamente al vostro Circolo i meritati encomi,
ma nel tempo stesso intendiamo animarvi a perseverare costanti
nelle opere intraprese”.
S. PIO X – Giuseppe Sarto (1903-1914)
Di questo Pontefice, più che discorsi
ufficiali, troviamo tutta una serie di citazioni
durante il suo Pontificato.
Dell’attenzione con cui seguiva le vicende
del Sodalizio è testimonianza la preoccupazione
che il Circolo avesse una
sede stabile e che non peregrinasse per
Roma pagando affitti esosi. Difatti il
Circolo si era spostato da palazzo
Simonetti dove pagava 660 lire a palazzo Sinibaldi dove il
fitto era salito a 3000 lire, e poi a palazzo Cini e di lì a palaz-
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zo Spinola. Pio X dette finalmente una sede stabile al Circolo
in via della Scrofa.
Nella ricorrenza del terzo anniversario della sua elevazione al Soglio
di Pietro raccomandava ai soci del Circolo di adoperarsi “con progressivo
zelo a rendere in mezzo al popolo sempre più fruttuose le
opere di carità”.
In altra occasione, ricevendo i soci per il suo giorno onomastico, Pio X
si “congratulò per lo stato fiorente delle opere di cui aveva avuto più
volte ammirata notizia e per la qual cosa desiderava dimostrare la sua
compiacenza sovrana”.
BENEDETTO XV – Giacomo Della Chiesa (1914-1922)
Nel bollettino che celebrava il cinquantenario
del Circolo, veniva messa in evidenza l’iscrizione
del giovane sacerdote all’Associazione.
La scheda personale diceva che
mons. Della Chiesa, con domicilio in piazza
S. Eustachio, era stato accolto fra i soci del
Circolo. Il primo Papa che ne aveva preso la
tessera.
I Soci, poco dopo l’elezione del Pontefice,
vennero ricevuti in udienza durante la quale ebbero il privilegio di
ascoltare “come il Vicario di Gesù Cristo ricordava con soddisfazione
di essere stato iscritto fra i cattolici della Gioventù Romana del
Circolo S. Pietro”.
Benedetto XV, il cui Pontificato coincide con la prima guerra mondiale,
esortò più volte i soci del Sodalizio ad aprire nuove cucine, a occuparsi
dei terremotati della Marsica e ad adoprarsi per lenire le sofferenze di
tanta gente colpita dai lutti, dalla miseria, dalla mancanza di una casa.
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“Ora che si é usciti dall’incubo opprimente della più terribile guerra
di cui segni memoria la storia dell’umanità- disse Benedetto XV -
bisogna ritornare con forze rinnovellate e ravvivate a corrispondere
ai nuovi disegni dei tempi, adoperandosi affinché, come nel passato
glorioso, così per l’avvenire possa essere abbondantemente fecondo
il seme che il Circolo spargerà nel suo nuovo cammino”.
PIO XI – Achille Ratti (1922-1939)
Secondo Pontefice socio del Circolo S.Pietro.
Poche ore dopo la sua elevazione alla
Cattedra di Pietro, Pio XI ricevette il presidente
del circolo, Giuseppe Casini. Nel congedarlo,
il Papa disse: ”Sì, vi benedico tutti di
cuore, ma voglio essere considerato sempre
come socio, non sono socio scaduto”.
In tutti i giorni onomastici del suo
Pontificato, il Santo Padre era solito concedere
udienza al Circolo e si interessava a tutte le iniziative e ai bisogni
dell’Associazione. Pochi giorni prima di morire definì il Circolo
“benemerita istituzione romana”.
PIO XII – Eugenio Pacelli (1939-1958)
Il terzo Pontefice socio del Circolo S.Pietro.
Nella solenne udienza del 23 luglio 1944 per
il settantacinquesimo anniversario della fondazione,
Papa Pacelli tracciò un ritratto storico
del Circolo, enumerando le sue benemerenze:
”Il Circolo S. Pietro può andare santamente
altero di un glorioso passato, nel cui
libro d’oro, alla prima pagina, è scritta con
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caratteri indelebili, quasi compendio e delle sue benemerenze verso la
Chiesa e il Papato, la virile e costante sua azione per la causa cattolica…Settantacinque
anni di vita, quante nobili imprese suscitate dalla
più ardente fede! Quante prove di misericordia corporale e spirituale
nate dal fervore dell’Apostolato! Quante prove di devozione e di
attaccamento alla Santa Sede la storia della vostra istituzione ha in
questi anni registrato!…Noi vediamo che il vostro triplice ideale la cui
manifestazione è la carità…..è stato veramente il vostro titolo di nobiltà
ed il vostro programma….la mano di Dio si fa visibile in voi, diletti
figli e figlie, mediante il vostro ministero caritatevole esso assicura
agli sventurati la tavola delle Cucine Economiche, e a buon numero
anche la Mensa di famiglia, il letto dei vostri dormitori, i vestiti del
vostro guardaroba…..similmente il popolo romano vede le opere esteriori
del vostro Sodalizio, il cui nome è una benedizione presso gli
infelici che ne ricevono sostegno e conforto”.
GIOVANNI XXIII – Angelo Giuseppe Roncalli (1958-1963)
Giovanni XXIII, pur non socio, conosceva bene
il Circolo avendolo frequentato a più riprese
quando tornava a Roma dal suo servizio in
Nunziatura. Nell’Udienza dell’otto febbraio
1959, in occasione del novantesimo anniversario
della Fondazione disse: “E come poi non
ricordare quanto lo stesso Pio IX ebbe a dire nei
duri anni della segregazione ad un gruppo di
giovani del Circolo recatisi a visitarlo? Fin qui
il Papa teneva i suoi piedi sopra un pugno di terra. Ora anche questa gli
viene sottratta. Non temete, il Papa ha un sostegno anche più valido: il
cuore dei suoi figli! Gli eventi hanno provato che la fiducia del grande
Papa fu ben riposta e per quanto è avvenuto in questi novant’ anni c’è
motivo di ringraziare Iddio. Superando infatti ostilità, preconcetti ed
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insidie di ogni specie, s’è potuto sempre servire nel Signore, la Santa
Sua Chiesa; servire il Vescovo di Roma e continuare in quella magnifica
vostra tradizione..”.
E ancora: ”Pur rimanendo per anni fuori Roma è stato un piacere
l’aver potuto seguire la vita del Circolo e non si può che compiacersi
per quanto sono riusciti a fare distinti personaggi che vi appartennero
e che per anni lo guidarono. Basti ricordare uno solo ma profondamente
caro nome, Paolo Pericoli”
PAOLO VI – Giovanni Battista Montini (1963-1978)
Papa Montini è stato senza dubbio uno dei
sommi pontefici che ha riservato al Circolo
S. Pietro, di cui in gioventù era stato socio,
maggiori attenzioni. È stato il Papa del centenario
del Sodalizio e nella solenne udienza
del 3 maggio 1969, nella sala Clementina,
rivolse ai Soci questo discorso: “Noi dobbiamo
innanzitutto esprimere la nostra compiacenza
per la visita che oggi ci fate. Non è soltanto
per le vostre persone che avviciniamo sempre volentieri,
appartenendo voi ad un Sodalizio tanto distinto e tanto legato a questa
Sede Apostolica…grazie per tutto quello che fate per
Noi…Grazie per quello che fate per Roma con le molteplici e fiorenti
iniziative di carattere sociale, caritativo, apostolico che noi
seguiamo con tanto interesse ed edificazione. Ebbene, la soddisfazione
del Papa ed il conforto che voi procurate al suo animo siano il
pegno e la garanzia del premio che vi riserva il Signore….Roma,
Roma stessa ha bisogno di cattolici pari a questa concezione integra
e virile della Professione Religiosa e Cristiana….il vostro Circolo
non è un club chiuso o una Associazione di svago e di passatempo.
È invece una scuola d’attività religiosa, benefica, sociale, civile.
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È una palestra. È una milizia. È una presenza nel mondo….V’è qualche
cosa di nobile e generoso nel vostro modo di dirvi
cattolici…..Siete Cattolici, vicini al Papa, e ne assumete le conseguenze
spesso esigenti e gravose….Se voi perseverate a rendere
viva, moderna ed operante la vostra formula, voi compite una missione
di grande utilità e di grande attualità”. Paolo VI così continuò:
”Del resto, basta considerare il vostro motto: Preghiera, Azione,
Sacrificio. Nella misura con cui voi sarete fedeli a questo programma,
dipenderà il grado di vitalità per l’avvenire del vostro
Sodalizio”.
GIOVANNI PAOLO I – Albino Luciani (1978-1978)
Il Pontificato di Giovanni Paolo I è stato
troppo breve, appena 33 giorni per poter dare
udienza al Sodalizio.
GIOVANNI PAOLO II – Karol Wojtyla (1978-2005)
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Il 24 dicembre 1979, in occasione del 110°
anniversario del Circolo, il Papa, subito dopo
la sua elezione, disse: ”È per me motivo di
gioia e di soddisfazione ricevere oggi, alla
vigilia del Santo Natale, una schiera così
numerosa e qualificata di laici romani i quali
portano nel loro cuore la ricca e molteplice
esperienza di una Associazione che ha ormai

centodieci anni di vita e si fregia del nome del primo Vescovo di
Roma e Pastore della Chiesa universale”. Il Papa ricordò che
“Preghiera, azione, sacrificio sono stati fin dall’inizio i tre motti programmatici,
simili a direttrici di marcia, che vi hanno animato e guidato
in questi centodieci anni”.
BENEDETTO XVI – Joseph Ratzinger - felicemente regnante
Nella Sala dei Papi del Palazzo Apostolico
Vaticano, Benedetto XVI ha ricevuto il 7
luglio 2005 in Udienza i Soci del Circolo
S. Pietro ed ha loro rivolto il discorso di
cui riportiamo l’ultima parte
“Cari fratelli e sorelle, è la prima volta che
vi incontro da quando Iddio mi ha chiamato
a svolgere nella Chiesa il Ministero Petrino,
ma conosco bene e da tempo il vostro servizio
animato da convinta fedeltà e docile adesione al Successore di
Pietro. Vi domando di accompagnarmi anzitutto con la preghiera.
Fate della preghiera il quotidiano alimento della vostra vita con
abituali soste di meditazione e di ascolto della parola di Dio e con
l’attiva partecipazione alla Santa Messa. È importante che l’esistenza
del Cristiano sia centrata sull’Eucaristia. A questo ci invita
l’Anno dell’Eucaristia che, per volontà del mio amato predecessore,
il Servo di Dio Giovanni Paolo II, si sta celebrando in ogni
comunità ecclesiale. Non dobbiamo mai dimenticare che il segreto
dell’efficacia di ogni nostro progetto è Cristo e la nostra vita
deve essere penetrata dalla sua azione rinnovatrice. Dobbiamo
porre sotto i suoi occhi tutte le attese e le necessità del mondo; in
particolare a Gesù che adoriamo nell’Eucaristia vanno presentate,
cari amici, le sofferenze degli ammalati che andate a visitare, la
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solitudine dei giovani e degli anziani che incontrate, le paure, le
speranze e le prospettive di tutta l’esistenza. E così, con questo
interiore atteggiamento, sarà più facile per voi realizzare la vostra
vocazione cristiana e andare incontro a quanti vivono in condizioni
di disagio o di abbandono, testimoniando loro la presenza consolatrice
di Cristo”.
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ANNI DI LOTTE E DI CARITÀ
1869-1920
Il 20 settembre 1870 fu un trauma per il mondo cattolico. Le truppe
italiane entrarono a Porta Pia e il Papa scomunicò gli invasori che
avevano privato la Santa Sede della sua libertà.
Se tutte le Sinistre gioirono dell’evento, se le logge massoniche
inneggiarono a una nuova era sorta sulle ceneri dello Stato pontificio,
i politici più moderati si mostrarono titubanti, anche perché
avrebbero preferito venire a Roma senza colpo ferire e addirittura
col permesso del Santo Padre. Il conte Ponza di Sanmartino dieci
giorni prima della “Breccia” aveva portato in Vaticano una lettera
del Re per il Papa: ”Con affetto di figlio, con fede di cattolico, con
lealtà di Re, con animo di italiano mi indirizzo ancora come ebbi a
fare più volte al cuore di Vostra Santità. Io sento il dovere di prendere
in faccia all’Europa e alla Cattolicità il mantenimento dell’ordine
della Penisola e della sicurezza della Santa Sede”. In poche
parole il Re diceva: se vengo a Roma è solo per precedere Garibaldi
e Mazzini e per tenere lontana la rivoluzione.
Vittorio Emanuele II- che aveva una sua primitiva religiosità - non
avrebbe voluto far torto a Pio IX se non vi fosse stato costretto dal
voto parlamentare. E difatti, entrate le truppe a Porta Pia, il Re non
venne. Fu solo lo straripamento del Tevere a dicembre che costrinse
Vittorio Emanuele a rompere gli indugi, anche dietro consiglio del
primo ministro Lanza, e a venire in quella che avrebbe dovuto essere
la nuova capitale del Regno.
L’opinione pubblica più accorta comprendeva che si era spezzato un
equilibrio già precario, ma la politica anticlericale e antireligiosa
aveva preso il sopravvento. A partire dalle leggi Siccardi del 1850, e
poi con le cosiddette “leggi eversive” del 1867 era cominciata la
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spoliazione di chiese e conventi, requisiti i beni degli Ordini religiosi,
confiscate le rendite delle diocesi, chiusi molti monasteri, imprigionati
vescovi e sacerdoti che non si allineavano alla politica
governativa e che professavano totale fedeltà al Pontefice privato
del suo regno. Perfino il vescovo di Torino, mons. Fransoni, era stato
arrestato e fatto morire lontano dalla sua diocesi, settanta vescovi
erano stati rimossi dalle loro sedi in Italia e dodicimila religiosi buttati
fuori dai conventi nel Meridione.
È proprio in questa temperie di persecuzioni e difficoltà che il movimento
cattolico dà il meglio di sé. Nascono in Italia nell’ultimo
decennio di Pio IX circoli e associazioni, la Chiesa perseguitata e
impoverita sviluppa un’intensa attività caritativa e assistenziale a
tutti i livelli.
Il Circolo S.Pietro, che per ora raccoglie solamente giovani romani
(gli adulti verranno ammessi nel 1912), è al primo posto nella
Capitale a dispiegare un ampio raggio di interventi. Appena terminate
le formalità della sua costituzione e del riconoscimento da parte
dell’”Associazione Cattolica Italiana” si preoccupa della formazione
scolastica della popolazione, e inaugura “Le scuole serali cattoliche”
seguite dall’apertura di una sala di cultura e dalla fondazione di
un periodico che si chiama “La Stella”.
Le due direttive lungo le quali si sviluppa l’attività del Circolo
riguardano l’istruzione popolare e l’aiuto ai poveri. Sono appena
passati pochi anni dalla fondazione che il Circolo apre una scuola
di catechismo seguita a ruota da un oratorio festivo dove i ragazzi
giocano, vanno a messa la domenica, imparano la dottrina, e vengono
seguiti dai sacerdoti.
Malgrado nella cattolicità europea lo sfregio al Papa abbia ferito
tanti credenti, non cessa l’afflusso di pellegrini nella Città eterna, o
forse è proprio per questo che arrivano tanti fedeli per esternare al
Pontefice la loro fedeltà. E il Circolo si preoccupa anche di essi,
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dando vita a un organismo di assistenza ai pellegrini. È il primo
nucleo di quella che diverrà poi l’Opera Romana Pellegrinaggi.
Nel 1872 parte dal Circolo S. Pietro la prima iniziativa per l’intervento
dei cattolici romani alle elezioni amministrative. E subito
dopo viene costituita l’opera eucaristica delle Prime Comunioni e la
scuola teologica per laici.
Quando muore Pio IX nel 1878, gli anticlericali tentano di gettarne
la bara nel Tevere, e saranno proprio i membri del Circolo che difenderanno
a spada tratta la salma impedendo questo oltraggio. Ma
intanto il Circolo è già un organismo che ha imboccato con decisione
la sua strada e trovato la sua identità.
Nel 1887 si apre la prima Cucina Economica in Vicolo Orbetelli
dove vengono utilizzati i grandi marmittoni da campo degli zuavi
pontifici regalate per l’occasione al Circolo dal Papa.
A Pio IX è intanto succeduto Leone XIII, Papa Gioacchino Pecci
che, anche nell’ aspro contrasto Chiesa - Stato, avvierà una silenziosa
conciliazione perchè le due rive del Tevere - quella laica e quella
vaticana - non possono a lungo restare distanti e perché, costrette
dalla vicinanza, dovranno trovare dei compromessi pratici.
Nella prima udienza concessa al Circolo nel 1881 dirà Leone XIII: ”La
vostra Società, benedetta dal nostro glorioso Predecessore e da Noi,
recò i frutti preziosi che se ne speravano. È nostra intenzione di rendere
pubblicamente al vostro Circolo i meritati encomi, ma nel tempo stesso
intendiamo animarvi a perseverare costanti nelle opere intraprese”.
È durante il Pontificato leoniano che in vari quartieri sorgono le
cucine economiche che saranno sempre negli anni a venire il fiore
all’occhiello del Sodalizio. Cucine economiche di via delle
Zoccolette, di via delle Vaschette, di via della Lungaretta, assistite
dalle figlie della Carità, dalle suore della Divina Provvidenza e dalle
Pallottine.
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Nel 1888 il Circolo riceve l’incarico ufficiale di effettuare il Servizio
d’Onore nelle funzioni Papali e l’anno successivo viene costituita la
“Commissione Guardaroba” per i poveri, seguita a ruota dalla
“Commissione Studenti” e dalla “Commissione Circolo”. Nel 1884
si aprono due nuovi centri, in via Milazzo, in Via San Giovanni in
Laterano, e poi a Piazza S. Apollinare.
Poco a poco, ogni quartiere di Roma viene ad avere il suo punto di
riferimento per sfamare i poveri, ma è nel 1895 che l’opera comincia
ad estendersi fuori dei confini cittadini, ad Albano per esempio,
dove il sindaco vede di buon occhio l’assistenza prestata agli indigenti
del paese.
L’unificazione dell’Italia non è stata indolore sul piano economico.
Se le regioni settentrionali vanno verso una rapida industrializzazione,
il Sud accresce i suoi mali secolari. Al Nord in pochi anni si moltiplicano
le imprese, dalla Edison alla Falck, dalla Tosi di Legnano
alla Galileo di Firenze, dalla Breda alla Donegani.
Quintino Sella, industriale biellese e ministro del tesoro, riesce a
riportare i conti dello stato in pareggio. Nel 1906 la lira arriva al
punto di valere più della quotazione dell’oro. Ma il Paese ha stretto
la cinghia, è diminuita la qualità della vita in una nazione che ha già
un reddito quattro volte minore di quello dell’Inghilterra, al Sud si
fa la fame, la disoccupazione dilaga. Gli ultimi decenni del secolo
registrano la grande emigrazione verso le Americhe che raggiungerà
la sua punta massima nel 1913 con quasi un milione di emigranti
che lasciano la patria.
Il risanamento economico della nazione è stato fatto con risparmi
fino all’osso, con l’aumento delle tasse, specie con la tassa sul macinato,
cioè sul pane, che graverà sui ceti popolari. A Roma, diventata
tutta un cantiere per trasformarla in capitale, l’impresa delle
costruzioni si arresta per una di quelle “bolle” immobiliari che gettano
sul lastrico migliaia di persone. La crisi edilizia del 1887 crea
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molti disoccupati, specie fra coloro che erano venuti a Roma, attratti
dalla prospettiva di facili guadagni.
A tutto ciò si aggiunge la crisi agraria: le massicce importazioni di
grano dall’America provocano una drastica riduzione dei prezzi al
punto da rendere la coltura non più remunerativa. Ancora una volta
sono penalizzati i ceti più poveri. È in questi anni che l’onorevole
Stefano Jacini conduce l’inchiesta parlamentare - ben diciotto volumi
- sulle condizioni di vita nelle campagne che getta una luce sinistra
sullo stato in cui versa la maggior parte della popolazione: denutrizione,
malaria, pellagra, lavoro minorile, analfabetismo.
Il Circolo, in una situazione economica così precaria per il Paese,
cerca di venire incontro ai bisogni della gente e svolge una funzione
di supplenza dinanzi al disinteresse dello stato e del comune.
Soprattutto a partire dal 1880, gli anni dell’emigrazione, il Circolo
adempie alla sua funzione sociale, e anzi rafforza le sue strutture
assistenziali anche per far fronte all’epidemia di colera che si è
abbattuta sull’Italia centrale. È proprio in questa circostanza che il
Circolo si distingue per abnegazione e generosità. Non appena si
viene a conoscere che Leone XIII ha fatto adibire a lazzaretto l’ospizio
di Santa Marta, pronto ad aprirlo in caso di necessità, il Circolo,
con quello spirito di servizio che lo distingue, fa sapere che tutti i
soci sono a disposizione del Papa per prestare assistenza ai colerosi.
Non solo: mobilita tutti gli addetti alle cucine economiche che ogni
giorno distribuiscono non meno di duemila pasti.
Come successe a don Bosco che nel Piemonte laicista le autorità statali
erano state costrette a riconoscere la sua opera di carità, così
nella Roma non più papalina il Comune non esita a ricorrere al
Circolo nei momenti critici per la popolazione. Nel 1896 il sindaco
si avvale di questa istituzione per distribuire sessantamila buoni
pasto per i poveri, ed esprime la sua soddisfazione per l’inappuntabile
servizio.
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Accanto alle vecchie opere - in grande sviluppo- e ai vecchi impegni
si vengono ad aggiungere quelli nuovi. Il Circolo aveva dato da
mangiare agli affamati, aveva alloggiato i pellegrini di tutto il
mondo venuti a rendere omaggio al Papa, ma aveva trascurato gli
anziani, molti dei quali non avevano più famiglia.
Due iniziative si concretizzano sotto il Pontificato di Leone XIII. La
prima, rappresentata dalla venuta a Roma delle piccole suore dei
poveri che lavoreranno fianco a fianco col Circolo; la seconda, la fondazione
dei primi asili notturni, cioè i dormitori economici. Scriveva
il bollettino dell’Associazione: ”Occorre un tetto, un tetto a riparo dal
freddo e dalle intemperie notturne; occorre un giaciglio su cui riposare
le membra stanche dal lavoro; occorre un asilo per tutti quegli infelici
che non hanno né padre, né madre, né figli, per tutti quei raminghi
nel cammino del mondo i quali non posseggono un palmo di terra su
cui adagiarsi e poter dire con sicurezza: qui è la mia casa”.
Il primo Asilo notturno cominciò a funzionare annesso all’ospizio di
Santa Maria in Cappella. L’opera pia era stata fondata qualche
decennio prima, nel 1854, dal Principe Filippo Andrea V Doria
Pamphilj dalla moglie Mary Talbot degli Earls of Shrewsbury eseguendo
il lascito fidecommissario dello zio Giorgio con la collaborazione
delle suore della Carità di S. Vincenzo de Paoli e l’approvazione
del Papa Pio IX. In quattro anni i letti quintuplicarono fino a
diventare cento, ma anche quelli non furono sufficienti, così che fu
necessario aprire un altro dormitorio in via delle Mantellate.
Un altro problema che in quegli anni si dovette affrontare-completamente
diverso dai precedenti- fu quello dell’Agro romano, dove non
solo esistevano pessime condizioni economiche ma dove l’indigenza
aveva cancellato l’antica religiosità popolare.
Il Circolo si fece carico anche di questi bisogni e cominciò la redenzione
degli abitanti dell’Agro.
C’erano molte difficoltà da superare: l’immensa distanza fra tenuta e
tenuta, e fra tenuta e un centro dove potesse abitare un sacerdote. E
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inoltre la presenza accanto alla popolazione permanente (fattori, butteri,
vaccari, guardiani) di quella temporanea ed avventizia (pastori,
lavoratori della terra, spurgatori di fossi). Ma più di tutto preoccupava
la totale mancanza di un insegnamento religioso, l’assenza dei più piccoli
rudimenti di catechismo, una sorta di passivo agnosticismo che si
era sedimentato nei decenni precedenti. C’erano state, per la verità, in
passato diverse istituzioni che nell’Agro avevano lavorato ma erano
scomparse più o meno ingloriosamente.
Il Circolo era consapevole della complessità dei problemi. Eppure
malgrado ciò, si gettò nell’avventura con una certa dose di entusiasmo
e di santa incoscienza. Venne istituita l’opera per l’Agro romano
e a dirigerla fu chiamato il principe Luigi Barberini.
L’opera ebbe inizio durante la mietitura. Si legge nel rendiconto del
1898-1900: “Si cominciò a far pressione presso i principali proprietari
e mercanti di campagna perché durante la mietitura facessero
celebrare messa -come da antica costumanza- in mezzo al campo di
grano e sulla barrozza. Ci procurammo degli Altari portatili e a
Romavecchia e alla Selcia avemmo la consolazione di vedere inginocchiati
un migliaio di mietitori”. Dopo questo promettente inizio,
furono riaperte numerose cappelle nella campagna romana e sorsero
nuove parrocchie rurali. L’opera di “rievangelizzazione” dell’Agro
romano resta forse una delle più belle pagine che il Circolo abbia
scritto nella sua storia. Non si trattò soltanto di riaprire al culto una
sessantina di chiese e di istituire nuove parrocchie e scuole, ma di
riportare la fede nelle campagne spiritualmente abbandonate.
Il 3 settembre 1914, poche settimane dopo lo scoppio della prima
guerra mondiale, saliva alla cattedra di Pietro col nome di Benedetto
XV, il cardinale Giacomo Della Chiesa che, a 28 anni, si era iscritto
al Circolo, il primo Papa membro dell’associazione. Benedetto XV,
grande Pontefice anche se regnò per pochi anni, si trovò a dirigere
la Chiesa in un momento tempestoso, durante la prima guerra mondiale.
Fin dall’inizio, concentrò il suo Pontificato sui grandi proble-
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mi del conflitto, che poi erano problemi di assistenza alle popolazioni,
ai feriti, ai rifugiati, ai prigionieri.
Il compito a cui il Circolo fu chiamato in questi anni fu quello di fiancheggiare
l’opera del Pontefice e occuparsi dei profughi non solo del
conflitto ma anche dei terremoti, come quello della Marsica, di Reggio
Calabria e di Messina, terremoti che riversarono a Roma migliaia e
migliaia di senzatetto. Di fronte ai bisogni della popolazione, vennero
potenziate le cucine economiche, ripristinato il guardaroba dei poveri,
rafforzata tutta l’organizzazione per far fronte a situazioni di emergenza.
Oltre quattromila profughi beneficiarono di questa carità che alleviò
sofferenze fisiche e anche morali. Le cifre di quel tempo danno un’idea
- sia pure approssimativa - del grande sforzo di cui il Circolo si fece
carico: nel 1914 vennero distribuiti circa 600 mila pasti; nel 1915, a
guerra iniziata, due milioni e centomila pasti; nel 1916 tre milioni e
mezzo; e nel 1917, nel periodo più critico per il conflitto, più di quattro
milioni di razioni. In quegli anni, il Circolo si occupò anche dei militari
rimpatriati, delle famiglie dei soldati richiamati e si premurò di assistere
i tanti orfani che l’immane tragedia s’era lasciata dietro.
Con la guerra del ’15-’18 - la più sanguinosa e inutile di tutte le
guerre- anche la situazione interna italiana era mutata, o aveva
cominciato a mutare. L’anticlericalismo ottocentesco- così violento
e sprezzante- si era attenuato. I cattolici, anche se mantenevano le
loro riserve sul modo in cui s’era formato il nuovo Stato, erano andati
a combattere al fronte ed avevano lasciato la vita nelle trincee sul
Carso o sul Piave per difendere la patria. La vera conciliazione -
prima di quella che nel ’29 troverà una formulazione giuridicaavvenne
sui campi di battaglia dove cattolici e liberali, anticlericali
e credenti, contadini calabresi e lombardi, patrioti e papalini condivisero
assieme rancio e solitudine, e assieme versarono il loro sangue
sotto una comune bandiera. Fu lì che si cimentò, per la prima
volta, il sentimento di unità nazionale e che i cattolici si ritrovarono
maturi- senza più vergogne e ostilità- per dare al Paese il contributo
delle loro lotte e della loro storia.
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LA CONCILIAZIONE TRADITA
1919-1940
La fine della prima guerra mondiale fu accolta con grandi manifestazioni
popolari. I soldati tornavano a casa, le famiglie si ricongiungevano,
l’inutile massacro era finito. L’Italia aveva lasciato sui
campi di battaglia più di seicentomila morti, ma i mutilati erano
quasi mezzo milione, gente che tornava dal fronte senza braccia o
senza gambe. Gli entusiasmi nazionalistici che avevano accompagnato
quella che D’Annunzio aveva chiamato “la rinnovata primavera
della Patria” si erano spenti di fronte alla cruda realtà di un conflitto
che solo ora rivelava la sua atrocità e la sua insensatezza.
La popolazione avvertiva o intuiva che un’epoca era finita. La guerra
che si era combattuta non somigliava a nessun’altra del passato,
si erano confrontati milioni di uomini con nuove armi, masse di soldati
che erano stati chiamati al fronte senza sapere perché. In Italia
il fenomeno assurse proporzioni più grandi. I fanti che si erano inutilmente
battuti a Caporetto venivano dalla Sicilia, dalla Campania,
dalla Calabria, dalle profonde campagne del Sud e non capivano le
ragioni del conflitto che li aveva sradicati da casa. Tutti avevano
negli occhi i mesi passati nel fango delle trincee, gli attacchi suicidi
sulle montagne innevate delle dolomiti, i sentieri ghiacciati dove i
muli trasportavano i cannoni, i cecchini appostati nel buio pronti a
sparare sul primo bersaglio. Parecchi soldati erano fuggiti, più di trecentomila
disertori che - appena scoperti e rintracciati - venivano
fucilati sul posto.
Le lunghe file di croci nei cimiteri di guerra erano la testimonianza
visibile di quante vite umane fosse costata la guerra.
No. Non era facile tornare alla normalità né per i reduci né per la
popolazione.
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Anche molti membri del Circolo erano partiti per il fronte, qualcuno
non era tornato, e quelli che avevano ripreso il loro lavoro capivano
che occorreva intensificare l’opera di assistenza. Non si trattava solo
di aumentare le cucine, o di dare un vestito ai poveri. C’era una carità
ancora più grande ch’era quella di ridare fiducia a chi l’aveva
persa e di lenire le sofferenze di tanti lutti e di tante mutilazioni.
Nasceva la “Commissione Opere di Pietà e Religione”, la mensa per
gli universitari e l’opera S. Francesco Regis per la legittimazione dei
matrimoni e dei figli.
Il Paese, anche politicamente, viveva un tempo di rapide e travagliate
trasformazioni. Nel 1919 venivano fondati i Fasci di combattimento
di Benito Mussolini e nello stesso anno, dall’albergo
S. Chiara a Roma, don Sturzo lanciava un appello “ai liberi e ai
forti” e dava vita al Partito Popolare.
I cattolici, tenuti da Pio IX ai margini delle istituzioni, abbandonavano
ogni atteggiamento di protesta e irrompevano sulla scena politica
del Paese. L’Italia liberale, l’Italia post-unitaria tramontava e si affacciavano
alla storia le masse che il Risorgimento non aveva coinvolto
e toccato: gli artigiani, gli impiegati, i commercianti, i piccoli proprietari,
i contadini, i braccianti, la piccola borghesia cittadina.
La rivoluzione bolscevica che a Pietroburgo aveva spazzato via lo
Zar soffiava anche in Italia dove nel ’21 era nato il Partito
Comunista: gli scioperi divampavano, gli operai bloccavano le fabbriche
e chiedevano più soldi, alla crisi politica s’aggiungeva la crisi
economica mentre l’inflazione galoppava e polverizzava i risparmi
e gli stipendi dei ceti a reddito fisso. Mille lire del 1914 erano diventate
seicento nel 1919, con una perdita del 40 per cento.
Se l’industria, convertita a produrre materiale bellico, si era enormemente
arricchita, popolo e borghesia avevano visto ridotta la loro
qualità di vita.
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In questa mutata situazione sociale, anche il Circolo era stato
costretto a cambiare strategia. Molti dei soci che fino a quel momento
si erano dedicati solo ad un’attività caritativa, scelsero di militare
anche nel partito di don Sturzo per incidere più efficacemente nella
società. C’era chi ricordava ancora i tempi in cui i credenti erano
emarginati e costretti nelle sagrestie, impediti di professare pubblicamente
la loro fede o di dare un volto cristiano a molte istituzioni,
come la scuola, l’università, gli asili infantili, gli ospedali che erano
stati appaltati dai partiti massonici.
Ma la marcia su Roma del ’22 segnò una svolta e bloccò l’evoluzione
del Partito Popolare il cui fondatore lasciò l’Italia per gli Stati Uniti. Vi
fu allora nel Circolo un considerevole riflusso: tutti quei cattolici che
avevano scelto una militanza politica - di fronte alla fine del Partito
Popolare bandito e sciolto, e di fronte alla vittoria di Mussolini - confluirono
nel Circolo S. Pietro dove, sotto le ali protettrici della Santa
Sede, potevano ancora svolgere un’attività di cristiana solidarietà.
La Conciliazione del ’29 chiuse la “Questione Romana” che si era
trascinata per quasi sessant’anni e che era stata la spina nel fianco
per la Chiesa e per i cattolici, e che aveva fatto del Circolo un’isola
di resistenza all’anticlericalismo galoppante negli ultimi decenni
dell’Ottocento.
Il Circolo, proprio dopo la Conciliazione, venne ancora chiamato ad
una testimonianza sociale perché la crisi economica del ’29 si riverberava
anche in Italia, e urgeva provvedere come per il passato.
Gli anni Trenta imposero al Circolo un maggiore aiuto ai ceti più
poveri che non si identificavano col proletariato: si trattava anche di
famiglie piccolo borghesi che erano state toccate dalla crisi e che
non sapevano come provvedere alle loro necessità.
La Chiesa era preoccupata, i parroci mandavano notizie allarmanti, e
il Pontefice si faceva eco di queste ansie sociali:”Un nuovo flagello-
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scriveva nell’enciclica “Nova Impendet”- minaccia, anzi già in gran
parte colpisce il gregge a Noi affidato, e più duramente la porzione
più tenera e più teneramente amata, l’infanzia, gli umili e meno
abbienti dei lavoratori e i proletari. Diciamo la grave angustia e crisi
finanziaria che incombe sui popoli e porta in tutti i paesi ad un continuo
e pauroso incremento della disoccupazione…Si avvicina l’inverno,
e con esso tutto il seguito delle sofferenze e privazioni che la
gelida stagione porta ai poverelli”.
Il Sodalizio, in una crisi così drammatica, raccoglieva l’appello del
Pontefice e chiamava a raccolta tutti i soci perché si impegnassero
in questa nuova battaglia.
Ecco allora riaprirsi nuove cucine economiche - 5 per l’esattezzache
già in tempo di guerra si erano moltiplicate nei quartieri romani,
ecco le cronache registrare in pochi mesi 70 mila pasti, ecco il
nascere di due nuovi dormitori dove vengono assistiti e alloggiati
più di 400 poveri.
Un’assistenza particolare il Circolo S. Pietro la dedicò alle donne
lavoratrici, molte delle quali venivano dalla provincia e dai paesi
attorno alla Capitale. La maggioranza non sapeva dove alloggiare, e
il Circolo si assunse il compito di questa necessità: nasceva la Casa-
Famiglia che, come dice il nome, era una casa dove ci si trovava, si
parlava, si mangiava assieme come fosse una famiglia; e accanto a
questa istituzione sorgeva anche un pensionato che assumerà il
nome di “Principessa Maria di Savoia”.
Fra i tanti settori assistenziali che il Circolo copre in questi anni, uno
si segnala in modo particolare e rimanda alla Mosca anni 1920-
1930.
La Rivoluzione del ‘17 aveva creato migliaia di profughi a cui
altri s’erano aggiunti. Non fuggivano solo i nobili privati delle
loro ricchezze e dei loro palazzi, fuggivano anche borghesi, scrittori,
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intellettuali, gente comune che non aveva più una casa dove alloggiare
né uno stipendio o una rendita su cui contare. Nasceva la
“Commissione Pro-Russi” che cercherà di venire incontro ai molti
rifugiati che avevano scelto Roma come ultimo approdo.
Le cronache registrano in questi anni alcune iniziative che fiancheggeranno
la normale attività caritativa. La prima è “l’Opera dei
Vangeli” che avrà molto successo e permetterà, anche in provincia, di
seguire su appositi foglietti la liturgia domenicale della Santa Messa.
Ben cento milioni di “foglietti” saranno distribuiti nelle chiese con
un bilancio spirituale che non è possibile tracciare. La seconda iniziativa
è la Croce che verrà apposta all’interno del Colosseo, un
gesto che sarebbe sembrato bestemmia cinquant’anni prima. E infine
l’assistenza ai pellegrini per l’Anno Santo e per l’Anno Santo
straordinario.
Ma intanto si sfilacciavano i rapporti fra la Chiesa e lo Stato fascista.
Il clima di accordo che si era instaurato con la Conciliazione si
stemperava poco a poco in una larvata polemica che si faceva da larvata
sempre più palese. Le associazioni cattoliche erano state sciolte,
all’ideologia massonica si era sostituito un acceso nazionalismo
dagli sbocchi pericolosi, e un concetto di Stato che non riconosceva
i diritti della persona e che voleva monopolizzare, assorbire, marcare
ogni attività della vita sociale.
A queste concezioni la Chiesa reagisce e Pio XI sigla l’enciclica
“Non abbiamo bisogno” che sottolinea che lo scioglimento delle
associazioni cattoliche è stato fatto “con procedimenti che dettero
l’impressione che si procedesse contro una vasta e pericolosa associazione
a delinquere”.
Il Circolo diventa, sul finire degli anni Trenta, un club di opposizione
al regime. È del 1935 una conferenza di Mario Cingolani che
desta grande scalpore anche nell’ambiente politico. Cingolani - che
proviene dalle file del Partito Popolare - parla su “Razzismo e
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Cattolicesimo”. È tutto un atto d’accusa contro l’ideologia nazista.
Cingolani, dopo un excursus storico, prende netta posizione, in
nome della fede cattolica, contro le teorie propagandate da
Rosenberg nel suo libro- diffuso in due milioni di copie- e dalla circolare
della pubblica istruzione del Reich con la quale le direttive
razziste vengono imposte nell’insegnamento scolastico. La conferenza
fu ripetuta, a richiesta, due volte e l’Osservatore Romano ne
dette ampia notizia.
Ma già una nuova tragedia incombeva sull’Europa e il Circolo
S.Pietro si preparava ad un’altra stagione di carità.
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GLI ANNI DELLA FAME
E DELLA SOLIDARIETÀ
1939-1950
In una Roma accaldata, dinanzi a una folla sterminata, con gli altoparlanti
che anche nei più piccoli paesi portavano la sua voce, il 10
giugno del 1940 Benito Mussolini pronunciava le fatidiche parole:
”Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra Patria: l’ora
delle decisioni irrevocabili”. Era la guerra.
La gente applaudì per dovere e per paura. Ma sentiva che tempi
oscuri e difficili si avvicinavano.
Già da un anno era cominciato il razionamento del pane, dello zucchero
e del caffè. Nelle drogherie si trovava con difficoltà il sapone
e ai negozi di legna non giungevano i rifornimenti di carbone. Tutte
le cancellate di ferro delle città erano state tagliate e mandate negli
altiforni per essere fuse in cannoni.
La radio dava notizia ogni giorno dell’avanzata fulminea dei carri
armati tedeschi. Le truppe del Reich avevano invaso la Polonia,
erano penetrate in Olanda, in Belgio e in Lussemburgo. In Francia
avevano aggirato la linea Maginot e dilagavano verso Parigi.
I giornali del Regime si erano messi al passo e parlavano ormai di
“guerra totale”, espressione che gettava angoscia nell’inerme popolazione.
Pio XII, eletto Papa nel maggio del ‘39 presagiva già la tragedia e
nella sua prima enciclica “Summi Pontificatus” aveva energicamente
condannato quelle dottrine, di superiorità razziale, di pangermanesimo
e di statolatria che erano alla base del Nazionalsocialismo. E
aveva invocato la pace, mentre già tuonavano i cannoni e gli aerei
con la croce uncinata solcavano i cieli d‘Europa: ”Nel momento in
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cui -Venerabili Fratelli - scriviamo queste linee, ci giunge la spaventosa
notizia che il terribile uragano della guerra, nonostante tutti i
nostri tentativi di deprecarlo, si è già scatenato”. A nulla era valso il
grido accorato di Papa Pacelli:“Nulla è perduto con la pace, tutto
può essere perduto con la guerra”.
In Vaticano si mise subito in moto quella macchina umanitaria che
era stata già collaudata sotto Benedetto XV. Se non si poteva arrestare
il conflitto, almeno curarne le piaghe e alleviarne i dolori.
Il Circolo S. Pietro non era stato colto impreparato. Vivendo fianco
a fianco con la Curia, i soci avevano potuto seguire sui giornali stranieri
e specie sull’Osservatore Romano (l’unico giornale veramente
libero a Roma) le vicende politiche, non filtrate dalla censura. E si
erano resi conto che la guerra era vicina e che occorreva organizzarsi,
com’era ormai tradizione, a sfamare gli affamati, ad alloggiare i
profughi, a ricercare i prigionieri.
Era presidente del Circolo Paolo Pericoli, una delle figure più illuminate
che il Sodalizio abbia dato alla Chiesa: uomo di fervida fede,
di cristallina onestà, di rara cultura, di sapiente realismo, e fu proprio
per queste sue doti che venne eletto più volte plebiscitariamente
a presidente.
“Il Circolo - disse alla vigilia della guerra - che da tanti anni cura le
opere di carità e di assistenza sociale, ha più che mai in questo
momento il dovere di raddoppiare di attività e di zelo a vantaggio dei
poveri. La Presidenza, quindi, si rivolge con fiducia a tutti i soci, ai
cooperatori, alle cooperatrici perché non manchi la loro valida opera
nei momenti difficili che attraversiamo”.
Paolo Pericoli si mosse in due direzioni: innanzitutto una spiritualità
più intensa da parte del Circolo e una preghiera continua per
invocare la pace; e poi un’azione concreta per soccorrere i bisognosi.
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Per prima cosa, Pericoli organizzò i “Ritiri Minimi”. “L’azione
- disse il Presidente ai Soci - dev’essere sostenuta, avvalorata e
diretta dalla meditazione e dalla preghiera, ed è per questa indiscutibile
necessità dello spirito che la Presidenza ha quest’anno disposto
che in tutti i primi venerdì del mese siano predicati dei Ritiri
Minimi”.
Mentre le bombe piovevano per la prima volta su due città italiane,
Genova e Torino, il Presidente intensificava l’impegno religioso.
“Voglio che durante il mese di maggio, ogni sera alle 19,30, si reciti
il rosario”.
L’Italia - dopo gli applausi di piazza - si era resa conto della gravità
della situazione: scattava la precettazione, arrivavano agli italiani in
età le cartoline gialle che li richiamavano al servizio militare.
Bastimenti carichi di soldati partivano per l’Africa, per la Grecia,
per l’Albania. Partivano anche i Soci del Circolo e la sera si ritrovavano
nelle sale o ragazzi imberbi o pensionati. “Preghiamo sempre
- disse una sera Paolo Pericoli - per i nostri Soci in guerra e per le
loro famiglie”. E organizzò una corrispondenza epistolare fra il
Sodalizio e gli iscritti che combattevano sui vari fronti per dare loro
coraggio e per comunicare una parola di conforto.
Ogni sera, prima di recitare “l’oremus pro Pontifice” Paolo Pericoli
pregava, con i Soci presenti, per tutti i soldati sparsi sui vari fronti e
lontani dalla Patria, tanti dei quali non avrebbero più fatto ritorno.
I tedeschi avanzavano su tutti i fronti. Un’avanzata così fulminea
che aveva sorpreso il mondo intero e aveva convinto Mussolini a
entrare in guerra, sicuro di sedersi al tavolo dei vincitori. Ma già nel
‘42 le truppe dell’Asse incontravano resistenza, la campagna
d’Africa segnava il passo, i carri armati di Rommel si insabbiavano
nel deserto. In Russia, malgrado i mezzi corazzati dei tedeschi di
ultima generazione, i generali di Hitler non riuscivano a sfondare e
Leningrado aveva opposto una disperata resistenza: un assedio che
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si prolungherà per novecento giorni, fra sofferenze indicibili della
popolazione. I Tigre germanici affondavano nel fango, i massicci
rifornimenti americani all’Unione Sovietica permettevano a Stalin
di sferrare la controffensiva, mentre gli americani -sgominate le
truppe italo-tedesche in Africa-, sbarcavano in Sicilia.
Giungevano al Circolo pressanti richieste per una sua più forte presenza.
Il governo aveva diminuito le razioni, mancava tutto, pane,
pasta, farina, caffè, olio, sale e quello che si trovava lo si comprava
a prezzi altissimi e sottobanco. Nasceva la “borsa nera” che accompagnerà
gli italiani fin quasi agli anni Cinquanta.
Di fronte ad una situazione alimentare quasi disperata, il Circolo
veniva invitato a dispiegare tutte le sue energie e le sue possibilità.
Si impiantarono le Cucine in quasi ogni quartiere, e i clienti non
erano più i poveri e i diseredati, ma cittadini romani alla fame, famiglie
di militari al fronte, o gente fuggita dalle campagne incolte in
cerca di una sistemazione nella capitale. Non c’era vergogna a frequentare
le Cucine che erano diventate ben 32, la guerra aveva eliminato
le classi sociali e livellato la popolazione.
Non mancavano solo i generi alimentari, mancavano le stoffe, le
scarpe, i cappotti, e anche i bambini che facevano la prima comunione
andavano all’altare con vestitini racimolati. Il Circolo dovette triplicare
i mezzi della Commissione Guardaroba che forniva vestiti
- quelli almeno che riusciva a raccogliere - a ogni categoria di cittadini
che non avevano più soggezione a chiedere aiuto e sostegno.
Ma dove la carità del Sodalizio si sviluppò di più fu nella ricerca dei
dispersi e dei prigionieri. Nel caos che la guerra aveva determinato,
nell’assenza spesso di comunicazioni fra fronte e comandi, di tanti
soldati non si sapeva più niente. Si ignorava la loro sorte, se erano
morti o se erano stati fatti prigionieri o se si trovavano in qualche
ospedale. Il Circolo approntò un ”Ufficio Ricerche”che portò a ottimi
risultati, e lavorando in collaborazione con la Segreteria di Stato
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poté mettersi in contatto con le autorità della Croce Rossa o con i
governi di paesi non belligeranti e neutrali come la Svizzera e dare
informazioni a tante famiglie che erano in angoscia per la scomparsa
dei loro cari. Giungevano ogni giorno centinaia e centinaia di lettere
da ogni parte d’Italia, padri che chiedevano notizie del figlio,
mogli in cerca del marito, figli alla ricerca di un padre. Malgrado
non ci fossero ancora i mezzi tecnologici di oggi - computer, e-mail
e cellulari - si riuscì a raggiungere ugualmente lo scopo, scrivendo a
mano o a macchina e consultando lunghi elenchi per mandare una
risposta certa a tanti italiani in ansia.
La guerra all’inizio del ’43 si fece più dura per la popolazione. Il
corpo di spedizione che Mussolini aveva mandato a combattere in
Russia senza mezzi e senza equipaggiamenti adeguati, era stato
messo in rotta, inseguito dall’armata sovietica ormai al contrattacco
su tutto il fronte orientale. Novantamila soldati lasciarono la vita
nelle steppe ghiacciate o finirono assiderati dai grandi freddi
dell’Ucraina e del bacino del Don.
Gli Stati Uniti erano frattanto entrati in guerra con tutta la potenza
del loro apparato industriale. Proprio nel ’43 gettarono nel conflitto
migliaia di aerei che determinarono l’esito della partita.
Vennero bombardate Torino, Milano, Genova, Napoli, Bologna.
Nel luglio del 43 le bombe - per la prima volta - caddero su Roma che
conterà centinaia di morti. L’eco di questo bombardamento fu immensa.
Pio XII, mentre ancora le sirene non avevano suonato il cessateallarme,
uscì dal Vaticano e si recò al quartiere di S.Lorenzo fra i
palazzi sventrati dalle bombe. La sua immagine - esile, bianca, con le
braccia spalancate sulle macerie fumanti - resterà come emblema dell’opera
della Chiesa in questi mesi tormentati.
Il Circolo, sia pure dimezzato per la chiamata alle armi di molti Soci,
decise di rafforzare la sua assistenza: molti bambini avevano perdu-
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to i genitori sotto i bombardamenti, non avevano parenti e il Sodalizio
si dedicò in modo particolare ad essi, vestendoli, nutrendoli, in attesa
di una sistemazione definitiva a fine guerra. Incrementò anche le
Case-Famiglia per accogliere operaie e studentesse.
Gli americani sbarcarono in Sicilia nel luglio ’43. E nel luglio ’43
cadde il Fascismo. La sera del 25, alle ore 22,45 la radio annunciava
che Mussolini era stato destituito e che il Re aveva nominato capo
del governo il generale Badoglio. L’8 settembre l’Italia firmava l’armistizio
con gli anglo-americani.
Per comprendere appieno la mole di lavoro che gravò sul Circolo,
occorre ripensare a quelli che furono gli otto mesi della dominazione
tedesca. Il Re si salvò fuggendo da Roma, lasciando la capitale
senza comandi, senza disposizioni, senza nessuna presenza militare.
Badoglio fuggì col Re e si mise in salvo. Anzi fu il primo a salire
sulla nave che avrebbe dovuto portare la famiglia reale a Brindisi. I
generali buttarono via la divisa e si eclissarono, negli uffici del
Comando generale i telefoni quella notte squillarono invano: erano
ufficiali che dai vari fronti chiedevano disperatamente cosa fare, un
ordine, una direttiva. Ma non c’era nessuno. L’Italia si era sfasciata,
dissolta, mentre i tedeschi facevano scendere dal Brennero le loro
divisioni per occupare il Paese. Di lì a poco sarebbe cominciata la
caccia agli ebrei nel Ghetto e le SS avrebbero trucidato più di trecento
italiani alle Fosse Ardeatine.
In questo dissolvimento di ogni struttura burocratica, a Roma - come
già dopo la caduta dell’Impero romano - restò solo la Chiesa. La
Chiesa con i parroci, con i conventi, con le suore, con le associazioni,
con i seminari, col Vaticano.
E anche con il Circolo.
Ciascuno per la sua parte - chi nascondendo gli ebrei, chi i ricercati,
chi sfamando la città, chi accogliendo quelli che non avevano più
60

né casa né un letto - fu un profluvio di carità, di collaborazione, di
sacrifici, di solidarietà. Il Circolo fece la sua parte, come sempre, e
si deve ad esso se intere famiglie, in una drammatica situazione,
poterono trovare un pasto caldo a mezzogiorno. Il Presidente Paolo
Pericoli non dimenticò mai l’aspetto spirituale, e proprio nel ’43
nella cappella Borghesiana di Santa Maria Maggiore volle consacrare
il Circolo al Sacro Cuore di Maria.
La guerra finì a Roma nel 1944, quando le truppe anglo-americane,
spezzata la resistenza di Cassino, entrarono nella Capitale. Ma il
conflitto aveva troppo sconvolto il Paese - moralmente e materialmente
- perché potesse ritrovare subito il suo antico equilibrio.
Furono anni di faticosa risalita dal baratro, anni di una politica estera
saggia per ridare dignità internazionale all’Italia, anni di “piano
Marshall” per decollare economicamente.
Con il 1950 l’Italia cominciava a cambiare e cambiava anche il
Circolo S. Pietro.
Venivano gli anni del boom e della rinascita.
61

GLI ANNI DELLA RICOSTRUZIONE
E I NUOVI POVERI
1950-2006
L’Anno Santo 1950 segnò lo spartiacque fra l’Italia della fame e
l’Italia della ripresa. La popolazione usciva da anni di stenti e di privazioni,
la guerra era ufficialmente finita nel 1945 ma il Paese era
ancora a pezzi. Nel 1948 la Democrazia Cristiana aveva vinto le elezioni
con una schiacciante maggioranza e ora cercava di ricostruire
l’Italia. Era Presidente del Consiglio un trentino che era stato già
deputato al parlamento di Vienna: Alcide De Gasperi, un politico
che non somigliava a nessun altro politico italiano: austero, quasi
schivo, con un’oratoria asciutta e scarna in un Paese che amava i
discorsi pomposi e magniloquenti.
L’Anno Santo fu il primo, grande evento religioso dopo il conflitto.
I fedeli vennero da ogni parte d’Italia, anche dai più sperduti villaggi,
e dall’estero si mossero colonne e colonne di pellegrini per varcare
la Porta Santa.
Per un avvenimento così grandioso che richiedeva una grande organizzazione
il Circolo dette la sua totale disponibilità. E difatti la
Santa Sede fece forte assegnamento sul Sodalizio - come del resto
su altre associazioni - per regolare l’afflusso dei pellegrini nella
Basilica Vaticana e per disciplinare le cerimonie.
Roma non aveva mai visto tante folle devote, così che l’Anno Santo
diventava anche un corale ringraziamento per la fine del conflitto e
per la salvezza della Città eterna che era stata risparmiata dai tedeschi
nella loro ritirata.
Il Circolo stesso si andava ristrutturando dopo gli anni bui della
guerra. Alcuni soci non erano più tornati dal fronte, altri erano tor-
63

nati ma con un’amara esperienza sulle spalle. Bisognava ricominciare,
e soprattutto capire i nuovi tempi e i bisogni della popolazione
che stava uscendo dalle ristrettezze belliche.
I tempi felici, si diceva una volta, non hanno storia. E difatti il
Circolo, finito il periodo storico segnato dall’eccezionalità, doveva
ritrovare i ritmi normali di sempre.
Se le cerimonie dell’Anno Santo furono per il Sodalizio il segnale
della ripresa, furono anche la ricerca di ciò che il Circolo doveva
essere in tempi radicalmente mutati. Le Cucine - seppure ormai
ridotte di numero - continuavano a sfamare i poveri. Non erano più
le famiglie della borghesia, come negli anni drammatici ’43-’44,
erano i poveri che aveva creato la guerra che ancora stentavano a
reinserirsi nell’alveo della normalità.
Sempre nel 1950 venivano aperte, ad opera del Circolo, le Case del
Pellegrino e intraprese varie iniziative a favore delle popolazioni del
Polesine. Nel 1952 veniva costituita la “Commissione Giovani”,
segno di una ferma fiducia nel futuro.
Cominciava la ricostruzione del Paese, ricostruzione materiale e
morale. Nel ’57 la Fiat gettava sul mercato la Cinquecento che
motorizzava l’Italia, le industrie cominciavano a lavorare a pieno
regime, anche il Circolo riprendeva i ritmi di sempre.
Nel 1959, il Sodalizio festeggiò il suo novantesimo anno di vita, e
Giovanni XXIII ricevette i soci in udienza ai quali rivolse un discorso
nel quale ricordava il legame particolare che sempre aveva unito
il Sodalizio alla Santa Sede fin dal 1869.
Quando Giovanni XXIII aprì il Concilio e vennero a Roma 2500
Padri, i Soci furono chiamati ad un duro lavoro. Non si trattava solamente
di prestare servizio nella Basilica Vaticana quotidianamente,
ma di essere presenti alle tante cerimonie che il Concilio comportava,
fianco a fianco con il Santo Padre.
64

I poveri intanto avevano cambiato volto. Nelle Cucine si facevano
vedere adesso parecchi barboni, alcuni dei quali erano anche colti
e avevano studiato, ma c’era in essi come una sorta di ribellione
verso la società, e difatti molti non approfittavano nemmeno dei
dormitori che il Circolo aveva allestito ma preferivano dormire
all’addiaccio, sotto qualche colonnato o qualche anfratto dei palazzi
romani.
Anno Santo e Concilio Ecumenico furono dunque i due avvenimenti
che videro il Circolo protagonista. Negli anni Sessanta non vennero
costituite altre commissioni ma si preferì riorganizzare quelle esistenti,
anche perché in tempi radicalmente mutati mutavano pure i
bisogni della gente.
Le Cucine continuavano a funzionare, si distribuivano vestiti ai
bisognosi, si dava una nuova gestione alle Case-Famiglia, si raccoglieva
l’Obolo da versare al Santo Padre.
Un segno dei tempi cambiati e delle “nuove povertà” fu lo scoppio
della centrale atomica di Chernobyl, in Ucraina. Migliaia di russi
subirono le radiazioni, i campi di grano in Europa furono toccati
dalla nube radioattiva ma soprattutto furono tanti i bambini di
Chernobyl ad essere colpiti da vari tumori. E il Circolo si adoperò
per alleviare queste sofferenze, trovando ospedali per i bambini,
facendoli operare, accogliendo quelli che non avevano più famiglia.
Il Sodalizio si apriva a nuove esigenze, manteneva il carattere romano
ma si internazionalizzava e difatti approntò, appena si seppe della
tragedia nucleare, un meccanismo di aiuti per portare sollievo ai
bambini malati.
Nel 1978 cominciava il Pontificato di Giovanni Paolo II, il Papa
“venuto dall’Est” che avrebbe retto la Chiesa per 26 anni durante i
quali il Circolo S. Pietro fu chiamato ad una presenza costante in
tutte le cerimonie, mentre l’attività caritativa si rivolse anche fuori
di Roma e fuori d’Italia. La Commissione “Aiuti internazionali”
65

sanciva questo ampliamento dell’orizzonte di un Sodalizio rimasto
per più di un secolo essenzialmente romano.
Nasceva l’ “Associazione Volontari del Circolo S. Pietro” il cui fiore
all’occhiello era l’ ”Hospice Sacro Cuore” per le cure palliative e per
lenire il dolore.
Gli ultimi due decenni del secolo scorso hanno visto il fenomeno
- del tutto nuovo per l’Italia - di una fortissima immigrazione da tutti
i continenti, soprattutto dall’Africa e dall’Europa dell’Est. Due grandi
aventi hanno favorito l’ondata di arrivi di extracomunitari: il crollo
dell’impero sovietico, e lo sbriciolamento della ex Jugoslavia.
Nel 1989 - soprattutto per opera del sindacato polacco Solidarnosc -
veniva scardinato l’impero sovietico al quale molti assegnavano una
vita lunghissima. “Se ne vedrà la fine - scrivevano molti politologifra
due o tre generazioni”. E invece il crollo fu repentino, il Muro di
Berlino venne abbattuto e nel 1991 anche l’Unione Sovietica si frantumava
dilaniata dai nazionalismi che soffiavano dall’Uzbekistan
alla Georgia, dalla Bielorussia al Kazakstan.
Nello stesso anno finiva di esistere anche la Jugoslavia, questo paese
artificioso, nato a tavolino alla conferenza di Parigi, che solo la
mano pesante di Tito era riuscita, in parte, a tenere incollato. Morto
Tito era cominciata la diaspora degli stati, e Croazia e Slovenia,
Macedonia e Bosnia si erano date l’indipendenza. Ma proprio
dall’Europa ex comunista e dall’ex Jugoslavia cominciarono a venire
migliaia e migliaia di immigrati in cerca di un lavoro e di una vita
più dignitosa. Di fronte al fenomeno dell’immigrazione, il Circolo si
preoccupò di queste nuove esigenze sociali. Oggi le mense del
Sodalizio sono frequentate soprattutto dagli extracomunitari ai quali
il Circolo dà con generosità e con grande spirito di servizio, con
quella carità che da più di un secolo dura ininterrotta.
I poveri esisteranno sempre, ma il tempo trasforma anche i poveri e
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presenta incessantemente nuovi bisogni, nuove responsabilità, nuovi
metodi, nuova organizzazione, nuovi impegni.
È a questo che è chiamato il Circolo negli anni a venire dove resta
immutato l’impegno di carità ma adattato a diverse situazioni in
linea con una storia che cominciò più di un secolo fa. In un lontano
aprile del 1869.
Ci piace concludere con quanto scrisse uno storico e un intellettuale
come mons. Giuseppe De Luca: ”Il Circolo S. Pietro ha compiuto
tale somma di bene che sarebbe arduo voler semplicemente elencare.
È stato fra le iniziative romane più feconde del nostro secolo”.
67

APPENDICE

I PRESIDENTI GENERALI
PAOLO MENCACCI
1° Presidente Generale dal 1869 al 1873
Giornalista e Scrittore. Fondatore e Direttore del
periodico “Divin Salvatore”. Scrisse vari libri storici
tra cui “Memorie Documentate per la Storia
della Rivoluzione Italiana” e “L’Italia senza il
Papa”. Cameriere d’Onore di Spada e Cappa di
Numero. Presidente della Federazione Piana e della Società promotrice
delle buone opere, fondatore dell’Arciconfraternita delle Catene di
S. Pietro. Morto il 29 marzo 1897 a 70 anni.
FILIPPO TOLLI
2° Presidente Generale dal 1874 al 1877
4° Presidente Generale nel 1880
7° Presidente Generale dal 1885 al 1887
Giornalista. Insegnante di Lettere all’Apollinare.
Officiale della Sezione Latina della Biblioteca
Apostolica Vaticana. Consigliere Comunale e
Provinciale. Vice Presidente Generale dell’Opera
Antischiavista promossa da Leone XIII. Presidente del Consiglio Superiore
della Gioventù Cattolica Italiana. Morto il 17 maggio 1919 a 81 anni.
ADOLFO SILENZI
3° Presidente Generale dal 1878 al 1879
5° Presidente Generale nel 1881
Parente di Leone XIII. Socio del Circolo sin
dal 1877 si dedicò interamente alla
Commissione Cucine Economiche di cui fu
71

l’ideatore ed il fondatore insieme alla madre che era solita distribuire
ai poveri in una piazza di Roma ciò che non veniva utilizzato
negli alberghi che la famiglia gestiva nella capitale. Si trasferì in
America e poi a Londra dove morì nel 1920 o 1921 a 64-65 anni.
Durante la sua presidenza i soci del Circolo difesero le spoglie di Pio IX
mentre venivano traslate dal Vaticano al Verano.
LUIGI ROSSI DE GASPERIS
6° Presidente Generale dal 1882 al 1884
8° Presidente Generale nel 1888
58° socio iscritto al Circolo prima della presa di
Roma, era presente alla storica 51ª seduta ordinaria
del Circolo del 28 settembre 1870.
Spedizioniere Apostolico. Segretario del
Cardinale Oreglia di Santo Stefano Camerlengo
di Santa Romana Chiesa. Cameriere d’Onore di Cappa e Spada di
Numero. Morto l’11 giugno 1919. È sepolto nel sepolcro
dell’Arciconfraternita dell’Orazione e Morte nella Chiesa di Via
Giulia.
GIOVANNI LADELCI
9° Presidente Generale dal 1889 al 1894
Spedizioniere Apostolico e, dopo la soppressione
della carica, Notaio della Sacra Romana Rota.
Cameriere d’Onore di Spada e Cappa. Era nato il
7 febbraio 1857, figlio del primo medico omeopatico
romano. Socio dal 1879. Entrò nel Terzo
Ordine Francescano nel 1896. Socio del Circolo
Canottieri Tevere Remo e di altre associazioni sportive romane.
Membro del Consiglio Superiore della Società della Gioventù
Cattolica Italiana. Morì il 12 novembre 1937 ed è sepolto al Verano
nella tomba dell’Arciconfraternita dei Sacconi Bianchi.
72

PAOLO PERICOLI
10° Presidente Generale dal 1895 al 1898
20° Presidente Generale al 1928 al 1942
Dottore in Legge entrò nel Circolo nel 1882, nipote
del primo Presidente. Presidente del Tribunale di
Prima Istanza dello Stato della Città del Vaticano.
Cameriere d’Onore di Spada e Cappa di Numero.
Consigliere Comunale dal 1902 al 1907. Per 22
anni Presidente della Società della Gioventù Cattolica Italiana. Le sue
presidenze hanno lasciato una traccia fuori dal comune tanto da essere
ancora ricordato e chiamato nel Circolo come “Papà Pericoli”. Pio XII
alla sua morte, avvenuta il 19 gennaio 1943, l’ha definito un fedele
figlio della Chiesa, un uomo di cui aveva seguito a lungo l’opera indefessa
e del quale era stato testimone delle grandi virtù cristiane.
GIACOMO SALVATORI
11° Presidente Generale dal 1899 al 1901
Avvocato. Terziario Francescano. Nato ad Arnara,
provincia di Frosinone, il 3 luglio 1861. Si trasferì
a Roma nel 1875. Si laureò nel 1885. Entrò nel
Circolo nel 1891 e si dedicò in modo particolare a
due Commissioni: la Commissione Catechismo e
Prime Comunioni e la Commissione Segretariato del Popolo. Morì nel
paese natale il 23 novembre 1952.
CAMILLO SERAFINI
12° Presidente Generale dal 1902 al 1903
Il Marchese Serafini, nato il 21 aprile 1864, fu il
primo Governatore della Città del Vaticano dopo la
Conciliazione. Professore di Archeologia, Membro
della Commissione Pontificia di Archeologia
Sacra, Conservatore del Gabinetto Numismatico
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del Vaticano e di quello capitolino. Uomo di fede e di scienza assai stimato
ed apprezzato per la sua vasta competenza. Socio dal 1887 fu tra
i fondatori della Commissione Agro Romano. Morto il 21 marzo 1952.
GIUSEPPE FORNARI
13° Presidente Generale dal 1904 al 1906
Nato nel 1868. Studente universitario, costituì il
Circolo S.Sebastiano ed aderì alla Fondazione
dell’Ospizio di S.Filippo. Laureato in Legge ed in
Lettere. Fu insegnante presso il Collegio Santa Maria.
Socio del Circolo dal 1897. Archivista e poi
Cancelliere del Tribunale Supremo della Segnatura Apostolica. Cameriere
d’Onore di Spada e Cappa. Tesoriere del Patronato Scolastico dell’Urbe.
Visitatore della Congregazione di Carità. Morto il 18 settembre 1942.
LIVIO CARIMINI
14° Presidente Generale dal 1907 al 1908
Nato a Roma il 18 gennaio 1869. Studiò al
Nazzareno. Laureato in Legge nel 1891. Da
avvocato si dedicò alla libera professione e difese
gratuitamente tanti poveri. Latinista di valore,
Officiale della Dataria Apostolica ed Avvocato
Emerito Vaticano. Cameriere d’Onore di Spada e Cappa. Socio dal
1893. Morto a Roma il 13 marzo 1944.
74
ADRIANO ALOISI MASELLA
15° Presidente Generale dal 1909 al 1910
Il Conte Aloisi Masella era nato a Pontecorvo,
provincia di Frosinone. Fratello maggiore del
Cardinale Benedetto Aloisi Masella. Avvocato
della Sacra Rota. Cameriere Segreto di Spada e

Cappa. Uomo dallo stampo antico e molto rigido. Era entrato nel
Circolo nel 1898. Terziario Francescano. Nella storia del Circolo è
ricordato per aver sollecitato la partecipazione delle mogli dei soci
alle iniziative del Circolo. Morto a Roma il 18 gennaio 1932.
PASQUALE BALDI
16° Presidente Generale dal 1911 al 1914
Nato a Roma il 23 maggio 1873. Da universitario
frequenta il Circolo di cui divenne socio nel 1896.
Avvocato. Sotto la sua presidenza si dette corso
alla revisione dello Statuto sopprimendo tra l’altro
il limite massimo di età. Il suo nome è legato ai
suoi studi di storico della Terra Santa. Si dimise il
17 giugno 1914 a causa delle sue precarie condizioni di salute.
Continuò la sua attività al Circolo come Presidente della
Commissione Vangeli della Domenica. Morì nei primi mesi del 1924.
PAOLO CROCI
17° Presidente Generale dal 1915 al 1921
Nato a Roma il 3 gennaio 1861. Venne ammesso
al Circolo nel 1878 a 17 anni. La sua presidenza
si è svolta negli anni della prima Guerra
Mondiale. La vita del Circolo ne risentì non
poco, con molti soci chiamati sotto le armi.
Tutte le Opere del Circolo furono finalizzate al
sostegno dei profughi di guerra, dei sinistrati, degli orfani e delle
famiglie rimaste senza mezzi. Le stesse opere vennero utilizzate
anche per il terremoto della Marsica. Nel 1917 venne costituita
una Commissione Pro-Russi per l’assistenza dei profughi della
Rivoluzione. Cameriere d’Onore di Spada e Cappa di Numero. È
morto a Roma il 7 gennaio 1951.
75

GIUSEPPE CASINI
18° Presidente Generale dal 1922 al 1923
Nato a Roma nel 1854. Frequentò il Massimo ed
entrò nel Circolo nel 1919. Avvocato, divenne capo
dell’Ufficio legale del Banco di Sicilia dove lavorò
per 54 anni. Particolarmente provato da una serie di
disgrazie familiari, è passato alla storia del Circolo
per la sua religiosità, per la sua fede e per il suo
abbandono alla Provvidenza. Servì 6 Pontefici. Cameriere d’Onore di
Spada e Cappa. Membro delle Arciconfraternite dell’Orazione e Morte e
dei Sacconi Bianchi e dell’Oratorio di S.Filippo Neri. Morto nel 1942.
ODOARDO GIOVE
19° Presidente Generale dal 1924 al 1927
Nato a Roma il 22 novembre 1875. Entrò nel
Circolo nel 1909. Avvocato. Cameriere di Spada e
Cappa di Numero. Sotto di lui si ebbe la revisione
dello Statuto e del Regolamento del Circolo.
Amministratore del suo ingente patrimonio di
famiglia, profuse mezzi consistenti per le opere
del Circolo e per la sistemazione delle vecchie chiese di Roma. Al
Circolo seguì sempre con particolare zelo le Commissioni Agro
Romano e Case Famiglia. Morto ad 80 anni il 25 dicembre 1955.
76
GIOVANNI BATTISTA SACCHETTI
21° Presidente Generale dal 1943 al 1965
Il Marchese Sacchetti è nato a Roma il 18 luglio
1893. Entrato nel Circolo subito dopo la fine della
prima guerra mondiale fu il successore di Papà
Pericoli e tenne ininterrottamente la Presidenza
generale per 22 anni. Foriere Maggiore dei Sacri

Palazzi. Governatore dell’Arciconfraternita di S.Giovanni Decollato
detta della Misericordia e della Confraternita ed Opera Pia di S. Giovanni
dei Fiorentini. Dirigente e benefattore dell’Associazione Sacro Cuore
in Borgo. Presidente della Confraternita di Santo Spirito in Sassia e di
Sant’Angelo dei Corridori in Borgo. Socio sostenitore del Circolo di
Roma e Vice Presidente dell’Unione Cristiana degli Imprenditori
Cattolici. Consultore per lo Stato della Città del Vaticano. Presidente e
poi Presidente Emerito della Commissione permanente per la tutela dei
Monumenti storici ed artistici della Santa Sede. Presidente del Banco
di Santo Spirito per decenni. Dette un impulso notevole a tutte le attività
sociali del Circolo specialmente durante gli anni della Seconda
Guerra Mondiale che videro il proliferare delle Cucine Economiche e
le iniziative in favore dei prigionieri di guerra e degli orfani. Presidente
Generale Onorario nel 1967. Morto a Roma il 19 gennaio 1974, sepolto
nella Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini.
URBANO CIOCCETTI
22° Presidente Generale dal 1965 al 1978
Nato a Roma il 26 novembre 1905. Avvocato.
Socio dal maggio del 1934. Presidente
Diocesano degli Uomini di Azione Cattolica
Italiana dal 1937 al 1946 e Vice Presidente
Generale della stessa Associazione dal 1946 al
1957. Dal 1947 al 1956 Assessore al Comune di
Roma (Provveditorato, alle Borgate, al Personale ed al Bilancio),
Vice Sindaco nel 1956 e Sindaco di Roma dal gennaio 1958 al luglio
1961. È stato Commissario dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù,
Presidente dell’Opera Nazionale Maternità ed Infanzia dal 1950 al
1959. Presidente dell’Ente Nazionale di Previdenza per i dipendenti
degli Enti di Diritto Pubblico sino alla sua scomparsa. Consultore
dello Stato della Città del Vaticano e Gentiluomo di Sua Santità. Dal
1962 alla sua morte, Luogotenente per l’Italia Centrale dell’Ordine
77

Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme. Presidente della
“Peregrinatio Romana ad Petri Sedem”. Medaglia d’Oro della
Sanità e della Redenzione Sociale. Morto in carica il 9 maggio 1978.
GIULIO SACCHETTI
23° Presidente Generale dal 1978 al 1987
Il Marchese Sacchetti è nato a Roma il 21
gennaio 1926. Figlio del Presidente Generale
Onorario Giovanni Battista che ha retto il Circolo
dal 1943 al 1965. Laureato in Agraria presso
l’Università di Firenze. Cultore di Arte e Storia,
ha scritto varie opere. Socio del Circolo dal 16
settembre 1942. Vice Presidente dal 1967 e Presidente Generale dal
giugno del 1978. Coadiutore del Foriere Maggiore dei Sacri Palazzi.
Il 1° aprile del 1968 è stato insediato come Delegato Speciale della
Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano. Dal
2001 al 2005, Consigliere Generale dello Stato Città del Vaticano. È
stato Presidente del Circolo della Caccia e membro del Consiglio di
Reggenza della Banca d’Italia. Fa parte del Circolo di Roma ed è
membro dell’Arciconfraternita di S.Giovanni Decollato.
GIOVANNI SERLUPI CRESCENZI
24° Presidente Generale dal 1987 al 1996
Il Marchese Serlupi Crescenzi è nato a Roma il
14 febbraio 1925. Nel 1951 si laurea in Chimica
presso l’Università di Roma. Dal 1958 libero
docente in Biochimica applicata presso la Facoltà
di Scienze. Già ricercatore del Consiglio
Nazionale delle Ricerche e Dirigente di Ricerca
presso l’Istituto Superiore della Sanità. In seguito Amministratore
presso la direzione scientifica della Nato e Direttore delle Ricerche
78

Scientifiche presso la Piorree S.p.A. Nominato quindi Direttore del
Laboratorio di Metabolismo e Biochimica Patologica dell’Istituto
Superiore della Sanità. Ha pubblicato centinaia di memorie scientifiche
ed è membro di numerose società scientifiche nazionali ed
internazionali. Guardia Nobile e dal 1970 Gentiluomo di Sua
Santità. Fondatore e primo Presidente dell’Approdo Romano.
Presidente del Pio Istituto di Dotazione del S. Rosario. Membro
della Congregazione degli Operai della Divina Pietà e della Società
dei SS. XII Apostoli.
MARCELLO SACCHETTI
25° Presidente Generale dal 1996 al 2005
Marcello Sacchetti è figlio del Presidente
Generale Don Giovanni Battista che resse il
Circolo dal 1943 al 1965 e fratello di Don Giulio
Sacchetti, 23° Presidente Generale dal 1978 al
1987. Guardia Nobile e, successivamente,
Gentiluomo di Sua Santità. Medaglia d’Oro della
Sanità. È attualmente Ospedaliere dell’ACISMOM.
È stato Assessore comunale di Roma, e per quindici anni Presidente
dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù.
Durante il suo mandato di Presidente Generale è stato richiesto dalla
Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, di cui è autorevole Socio,
di collaborare alla creazione di un Hospice per i malati terminali e
per la terapia del dolore, un’esperienza che si è rivelata pilota in
Italia.
79

GLI ASSISTENTI ECCLESIASTICI
MONSIGNOR DOMENICO JACOBINI
(1869-1880)
Nato a Roma nel 1837. Oltre che Primo
Assistente Ecclesiastico va considerato come
il Promotore, se non proprio il Fondatore, del
Circolo. Subito dopo la sottoscrizione dello
Statuto partecipò al Santo Padre le motivazioni del
Sodalizio appena costituito.
Ecclesiastico di profonda e vasta dottrina filosofica e teologica ha il
merito di aver organizzato, in un periodo non facile per la Sede
Apostolica, oltre al Circolo S. Pietro, altri gruppi di cattolici militanti
romani, fedeli alla Cattedra di Pietro, infondendo a tutti la certezza
sulla validità delle varie missioni prescelte.
Nel 1880 venne nominato da Leone XIII Nunzio Apostolico in
Portogallo. Cardinale Prete del Titolo dei SS. Marcellino e Pietro,
venne nominato Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di
Roma. Morì nel 1900.
MONSIGNOR GIOVANNI CARNEVALINI
(1880-1884)
Nell’Aprile del 1880 viene nominato Vice
Assistente e qualche tempo dopo, a seguito
della nomina a Nunzio di Mons. Jacobini,
Assistente Ecclesiastico del Circolo.
In tale funzione rimase sino al 23 Agosto del 1884
quando si dimise per l’impossibilità di svolgere il suo compito di
Assistente, essendo stato nominato Parroco di S. Maria in Via Lata.
Nel 1889 fu eletto Vescovo di Civita Castellana, Orte e Gallese.
81

Venne consacrato nella sua chiesa parrocchiale dal Cardinal
Parrochi, Vicario Generale di Sua Santità per la Diocesi di Roma.
Morì a Roma il 9 Giugno 1895.
MONSIGNOR GAETANO DE LAI
(1884-1891)
Nato nel Veneto, nell’anno 1853, viene ricordato
tra gli Ecclesiastici della Curia di allora
come uno tra i più rigorosi difensori della dottrina
cristiana e della Santa Sede.
Vescovo Suburbicario di Sabina. Segretario della
Sacra Congregazione Concistoriale. Creato Cardinale nel 1907.
Morto a Roma nel 1928.
MONSIGNOR FILIPPO GIUSTINI
(1892-1893)
Nato a Cinto Romano nel 1852.
Ricoprì varie cariche nella Curia Romana.
Creato Cardinale Diacono di Sant’Angelo in
Pescheria nel 1914. Morì a Roma nel 1920.
MONSIGNOR BASILIO POMPILJ
(1894-1900)
Nato a Spoleto nel 1858, si trasferì da giovane
a Roma. Sacerdote con una non comune preparazione
teologica.
Fu creato Cardinale Vescovo di Velletri nel 1911
e nello stesso anno Vicario Generale di Sua Santità
per la Diocesi di Roma. Ha lasciato di sé un profondo ricordo per la
sua umanità e saggezza. Morì a Roma nel maggio 1931
82

MONSIGNOR RAFFAELE CELLI
(1901-1902)
Nativo di Cagli, in Umbria, Diocesi di Narni.
Famiglia numerosa, la sua, nella quale altri due
fratelli erano ecclesiastici.
Appartenne alla Curia Romana, meritandosi, nel
1901, il titolo onorifico di Monsignore, allora piuttosto
raro. Assistente Ecclesiastico per un solo anno dal giugno 1901 al
giugno 1902. Morì a Roma nell’agosto del 1903
MONSIGNOR ALESSANDRO AVOLI
(1903-1907)
Nato nel 1845. Professore di Lettere
all’Istituto Massimo, tenuto dai Padri
Gesuiti. È ricordato come un eccellente educatore
di giovani con i quali sapeva creare un
particolare clima di fecondo apostolato. Unico
Assistente Ecclesiastico, nella storia del Circolo, morto in carica.
Morì a Roma il 22 giugno del 1907.
MONSIGNOR FRANCESCO CHERUBINI
(1907-1912)
Nato a Roma nel 1865. Prelato di Curia. Eletto
Arcivescovo Titolare di Nicosia nel 1915.
Diplomatico, venne inviato come Internunzio
ad Haiti.
Rientrato a Roma fu Nominato Canonico della
Basilica di S. Pietro. Morì nel 1934.
83

MONSIGNOR CAMILLO CACCIA
DOMINIONI
(1913-1935)
Nato a Milano nel 1877.
Ricoprì alte cariche nella Corte Pontificia.
Cameriere Segreto Partecipante. Maestro di
Camera e Maggiordomo di Sua Santità.
Quando aveva già sulle spalle 22 anni di Assistentato, venne creato
Cardinale Diacono di Santa Maria in Domnica nel 1935 e successivamente
Proto Diacono. Morì a Roma nel novembre del 1946.
MONSIGNOR MARIO NASALLI ROCCA
DI CORNELIANO
(1936-1959)
Nato a Piacenza nel 1903 da una famiglia che ha
dato altri due Cardinali alla Chiesa.
Socio Partecipante nel gennaio del 1934. Assistente
Ecclesiastico del Circolo per ben 23 anni.
Studiò al Seminario Romano. Da Sacerdote iniziò a prestare la sua attività
nell’Ufficio del Maestro di Camera, come Cameriere Segreto Partecipante.
Nominato Maestro di Camera, al momento della creazione della
Prefettura dei Palazzi Apostolici, assunse il Titolo e le mansioni di
Prefetto.
Nominato nel 1963 Assistente Ecclesiastico Onorario del Circolo è sempre
rimasto, sino alla sua morte, particolarmente legato al Circolo.
Elevato alla dignità cardinalizia nel Concistoro del 28 Aprile 1969, giorno
in cui si celebrava il Centenario del nostro Circolo. Otto giorni prima
aveva ricevuto la consacrazione episcopale, essendo stato elevato alla
Chiesa titolare “pro hac vice” di Anzio.
Per decenni svolse un’attività particolarmente apprezzata come
Cappellano del Carcere di Regina Coeli. Morì il 9 novembre 1988.
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MONSIGNOR ODDONE TACOLI
DI S. POSSIDONIO
(1959-1966)
Nato il 25 marzo 1920 a Modena dove frequentò
gli studi classici e la facoltà di giurisprudenza.
Entrò quindi nel seminario diocesano
ed in seguito all’Almo Collegio Capranica dove
perfezionò gli studi filosofici e teologici.
Consacrato Sacerdote nel 1945, divenne Vice assistente Centrale
degli Esploratori cattolici. Fu tra i fondatori dell’Approdo Romano.
Cappellano delle Guardie Nobili pontificie.
Chiamato in Segreteria di Stato venne inviato all’estero in varie nunziature
tra cui Bolivia e Cile.
Cameriere Segreto Partecipante venne nominato Assistente
Ecclesiastico del Circolo il 4 gennaio 1959. Prelato di Anticamera e
Canonico Vaticano.
Alla fine della sua missione di Assistente continuò comunque a
dedicarsi all’assistenza religiosa delle Case Famiglia del Circolo.
Morì a Roma il 2 settembre 1976.
MONSIGNOR FERRUCCIO REPANAI
(1966-1973)
Nato a Voghera nel 1901, si laureò
all’Università di Bologna prima in lettere e poi
in filosofia. Professore di tali discipline per oltre
dieci anni. Entrò in seguito al Collegio Capranica.
Divenuto Sacerdote fu Cappellano Militare ed insegnante
di Religione nell’Istituto Alessandro Volta. Studioso di scienze
sacre, di letteratura e giurisprudenza.
Consultore della Segreteria di Stato dove era apprezzato per la sua fede
limpida, la sua dedizione completa e la sua preparazione accurata.
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Nominato Vice Assistente del Circolo il 30 marzo del 1965 e, l’anno
dopo, Assistente Ecclesiastico.
Chiese più volte, con dispiacere, di essere sollevato dall’incarico
perché la sua salute non gli consentiva di seguire il Circolo come
avrebbe desiderato.
Canonico Liberiano. Morì a Roma il 18 Ottobre 1977.
S.E.R. MONSIGNOR ETTORE CUNIAL
(1973 - 2005)
Nato a Possagno il 16 novembre 1905, venne
consacrato sacerdote il 7 luglio 1929. Si trasferisce
a Roma dove per 17 anni svolge il suo
ministero come Parroco di Santa Lucia, dove
lascia uno splendido ricordo in quanto particolarmente
amato dai suoi parrocchiani. Pio XII lo eleva
alla dignità episcopale il 17 maggio del 1953 con il Titolo
Arcivescovile di Soteropoli.
Viene nominato nel contempo Vice Gerente del Vicariato di Roma.
Socio del Circolo sin dal 5 febbraio 1958.
Nell’ottobre del 1973 lascia gli incarichi in Vicariato, dopo 19 anni
di attività. Gli viene conferito contestualmente l’incarico di
Coordinatore dell’Assistenza Pastorale degli Emigrati Italiani
all’estero e di Assistente Ecclesiastico del Circolo S.Pietro. Viene
nominato altresì Canonico della Basilica Vaticana. È stato Rettore
della Cappella di S. Maria della Pietà al Colosseo. Dal 24 dicembre
del 1975 Vice Camerlengo di Santa Romana Chiesa.
Ancora a 90 anni di età, dopo 65 di Sacerdozio, 40 di Episcopato, 36
di Socio e 20 da Vice Camerlengo ha continuato a svolgere magistralmente
la sua missione. Si è spento quasi centenario il 6 ottobre
2005.
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Oremus pro Pontifice Nostro
Benedicto,
Dominus conservet Eum
et vivificet Eum
et beatum faciat Eum in terra
et non tradat Eum
in animam inimicorum Eius.
Preghiera che viene recitata dal 1869
nella sede del Circolo S. Pietro alle ore 19,00
per il Pontefice regnante

LE OPERE DEL CIRCOLO
Commissione Cucine Economiche
Istituita nel 1877, per espresso desiderio di Pio IX. Il Papa affidò ai
Soci del Circolo le pentole dell’esercito degli Zuavi perché “l’esercito
dei poveri, che non sarebbe mai mancato alla Chiesa, avesse
sempre una minestra calda”.
Da quel momento i pasti distribuiti dalle Cucine del Circolo sono
conosciuti come “la minestra del Papa”.
Le Cucine si sono particolarmente distinte in occasione di pubbliche
calamità, come guerre, epidemie, terremoti, inondazioni.
Un grande servizio hanno reso le Cucine alla popolazione durante l’ultima
guerra quando vennero distribuiti oltre quattro milioni di pasti.
Oggi vengono distribuiti ai poveri e agli immigrati circa mezzo
milione di pasti all’anno.
Commissione per la Carità del Papa
Nella Diocesi di Roma da più di un secolo i Soci del Circolo, per
singolare privilegio, raccolgono l’Obolo di S.Pietro nelle Parrocchie
romane, un Obolo che è segno dell’amore dei fedeli per la carità personale
del Papa.
Il Presidente Generale, ogni anno, insieme al Presidente della
“Commissione Obolo” e ad alcuni Soci, presenta in una speciale
Udienza la raccolta della Giornata della Carità del Papa.
Commissione Asili Notturni
Istituita nel 1880, ospita persone senza fissa dimora. Nell’Asilo notturno di
via S. Maria in Cappella vengono accolti ogni anno circa 16 mila poveri ai
quali viene prestata assistenza materiale ma anche morale e religiosa.
I locali degli asili sono accoglienti, familiari e confortevoli.
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Commissione Guardaroba
È dal 1890 che questa Commissione si preoccupa di offrire ai bisognosi
pacchi di indumenti, coperte e biancheria, completamente
nuovi. Negli anni Trenta, per espresso desiderio di Pio XI si ebbe
particolare incremento dell’attività del Guardaroba.
Su segnalazione di parrocchie, istituti, comunità religiose sono oggi
distribuiti centinaia di pacchi ai poveri di Roma.
Commissione Circolo
Dal 1893 la Commissione anima la vita sociale del Circolo promuovendo
iniziative culturali e sociali, e coordinando le attività che si
svolgono all’interno della sede sociale.
Commissione Case Famiglia
La prima “Casa” fu aperta nel 1911. Oggi vengono ospitate ragazze
non abbienti alle quali viene fornita anche assistenza morale e spirituale;
nella seconda Casa, intitolata a Giovanni Paolo II, sono accolti
i genitori dei bambini ricoverati presso l’Ospedale pediatrico
Bambino Gesù.
Commissione Culto e Attività Religiose
La Cappella di Santa Maria della Pietà al Colosseo è affidata dal
1936 al Circolo ed in essa si celebra ogni sabato alle ore 16.00 ed
ogni domenica alle ore 10,30 la S. Messa.
La Cappella è stata visitata da Giovanni Paolo II nell’Anno Santo
della Redenzione 1983.
La Commissione Culto cura tutte le attività religiose del Circolo ed
il venerdì che precede il Venerdì Santo di ogni anno organizza una
suggestiva rappresentazione della Via Crucis all’interno del
Colosseo.
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Commissione per gli Aiuti Internazionali
Il Circolo San Pietro, a partire dal Pontificato di Giovanni Paolo II
che ha ampliato le frontiere della Chiesa, promuove iniziative per
l’adozione a distanza ed il mantenimento di seminaristi in paesi
lontani.
Commissione AVC S. Pietro
Dal 1998 un gruppo di Soci del Circolo è impegnato nell’assistenza
sanitaria. Essi collaborano da quella data presso la Clinica Sacro
Cuore, dove, grazie all’intuizione ed all’impegno profuso dalla
Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, è sorto un reparto per l’assistenza
ai malati terminali. Questa struttura è progressivamente cresciuta
fino a diventare un Hospice per le cure palliative, la terapia del
dolore e l’assistenza agli anziani fragili, struttura che è divenuta un
esempio per analoghe iniziative in tutta Italia. Attualmente è accreditata
presso la Regione Lazio, e svolge inoltre attività di terapia e di
ricerca applicate al dolore. A questa importante iniziativa i Soci del
Circolo assicurano, in base ad una apposita convenzione con la
Fondazione Cassa di Risparmio di Roma, il controllo qualitativo e
quantitativo del rispetto degli standard di eccellenza nell’assistenza.
Centro Polifunzionale
Dal febbraio 1999 è attivo il Centro di Ascolto che fornisce consulenze
di carattere psicologico, giuridico ed amministrativo, oltre ad
aiuti materiali.
Dalle iniziali 50 prestazioni si è passati nel 2002 a 1200 interventi.
Già nel 1896 il Circolo S.Pietro aveva dato vita alla “Commissione
Segretariato del Popolo” per venire incontro alle esigenze dei meno
fortunati nello svolgimento delle pratiche amministrative e burocratiche
e per le necessità medico - assistenziali.
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Sezione Servizi d’Onore
Confermando visibilmente la sua filiale devozione al Papa il
Circolo, dal 1888, ha l’onore di partecipare alle Celebrazioni presiedute
dal Santo Padre, accogliendo i fedeli per incarico della
Prefettura della Casa Pontificia.
Giovanni Paolo II ebbe a definire questo “un servizio liturgico”.
Sezione Stampa e Bollettino
Il Circolo S. Pietro diffonde un suo bollettino semestrale che reca
non solo l’attività del Circolo, ma anche articoli di cultura religiosa
oltre, naturalmente, ai documenti del Santo Padre e agli avvenimenti
della Diocesi di Roma e della Chiesa universale.
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IL CONSIGLIO DIRETTIVO
Presidente Generale Don Leopoldo dei Duchi Torlonia
Assistente Ecclesiastico Mons. Francesco Camaldo
Vice Presidenti Generali Cav. Gr. Croce Dott. Saverio Petrillo
Comm. Prof. Augusto Pellegrini
Segretario Generale Comm. Stefano Catania
Tesoriere Generale Comm. Pier Luigi Cencelli
Economo Generale Cav. Piero Fusco
Consiglieri Comm. Ing. Alessandro Cutini
Gr. Uff. Prof. Alberto Bochicchio
Col. Comm. Giovanni Stefanelli
Gr.Uff. Arch. Antonio Giulio Ciocci
Comm. Dott. Gian Paolo Sansoni
Comm. Dott. Aldo Serio
Comm. Dott. Santo Autelitano
Dama Alessandra Di Lella Rocchi
Comm. Raniero M. Salvaggi
Comm. Dott. Paolo Merenda
Cav. Dott. Beniamino Mancuso
Dott.ssa Francesca Manna
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Cav. Riccardo Rosci
Cav. Giuseppe Vitelli
Sig.ra Maria Grazia Pacelli Cimatti
Sig.ra Francesca Maria Scalera Ciocci
Cav. Giancarlo Di Corato
Dama Donatella Elser di Campello
Cav. Gr. Cr. Dott. Luigi Giulianelli
Cav. Gr. Cr. Avv. Gianluigi Marrone
Comm. Giuseppe Montalbotti
Comm. Com.te Alessandro Pini
Cav. Avv. Giuseppe Puglisi Alibrandi
Dama Comm. Giulia Orlandi Rosati
Cav. Alfredo Ruggi
Revisori dei Conti Cav. Umberto Danizi
Gen. Sergio Manganaro
Comm. Dott. Fabio Romanini
Cav. Geom. Fausto Volponi
Comm. Giulio Cesare Zampini
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Presidenti Generali Onorari S.E. M.se Don Giulio Sacchetti
M.se Don Giovanni Serlupi Crescenzi
Don Marcello dei M.si Sacchetti
Presid. Commissione Onorario Cav. Gr. Cr. Avv. Giuseppe Paciotti
Consiglieri d’Onore Cav. Gr. Cr. Eugenio Antilici
Comm. Dott. Camillo Bentivoglio
Comm. M.tro Lionello Cammarota
Cav. Gr. Cr. Avv. Franco Carolei
Comm. Dott. Enzo Colaiacomo
Cav. Gr. Cr. Dott. Antonio D’Ambrosio
Gr. Uff. Dott. Adalberto Leschiutta
Comm. Dott. Filippo Lucibelli
Comm. Rag. Luciano Morandini
Comm. Dott. Aldo Murri
Cav. Gr. Cr. Ing. Odoardo Quojani
M.se Enrico Serafini
Comm. Antonio Zamprotta
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Presidenza
Roma – Piazza S. Calisto, 16
Tel. 06.6988.7264 – 06.5899.543 – Fax 06.6988.7168
Commissione Cucine Economiche
Via della Lungaretta, 91/b – Tel. 06.5800.984
Via Mastro Giorgio, 37 – Tel. 06.5780.878
Via Adige, 11 – Tel. 06.8543.098
Commissione Asili Notturni
Via Santa Maria in Cappella, 6 – Tel. 06.5818.992
Commissione Case Famiglia
Via S.Giovanni in Laterano, 79 – Tel. 06.7045.0454 – 06.7000.916
Via della Lungaretta, 92 – Tel. 06.5806.005
Commissione Guardaroba
Commissione per la Carità del Papa
Commissione Culto e Attività Religiose
Commissione per gli Aiuti Internazionali
Commissione Circolo
Sezione Servizi d’Onore
Sezione Stampa e Bollettino
AVC S. Pietro
Piazza S.Calisto, 16 – Tel. 06.6988.7264
Centro Polifunzionale
Via Fidene, 30 – Tel. 06.7092.370

INDICE

INDICE
Prefazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Perchè questo libro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
Al lettore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Storia
Il Circolo e i tempi di Pio IX . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13
Come nacque il Circolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
Il primo Presidente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
I Papi e il Circolo S.Pietro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
Anni di lotte e di carità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
La Conciliazione tradita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
Gli anni della fame e della solidarietà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
Gli anni della ricostruzione e i nuovi poveri . . . . . . . . . . . . . . . . 63
Appendice
I Presidenti Generali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71
Gli Assistenti Ecclesiastici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 81
Oremus Pro Pontifice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87
Le Opere del Circolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
Il Consiglio Direttivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93

Le Opere del Circolo S.Pietro
sono sostenute con le quote dei Soci
e le offerte dei benefattori
Circolo S.Pietro
Conto Corrente Postale:
CC 35064005 – ABI 07601 – CAB 03200
Conto Corrente Bancario:
Banca Carige: ABI 6175 – CAB 03259 – CC 758.80
Commissione per la Carità del Papa
Conto Corrente Postale:
CC 49796006 – intestato a: Circolo S.Pietro - Obolo

Foto di proprietà del Circolo S.Pietro
e di A. Mari per “L’Osservatore Romano”
Seconda edizione
29 giugno 2006
Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo
Tipografia Cardoni
Via degli Scipioni, 35/b - 00192 Roma
Tel. 06 39725516 (Fax)
E-mail: tip.cardoni@mclink.it - www.tipografiacardoni.it