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Julius Evola: l'altra faccia della modernità - FedOA - Università degli ...

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Germania hitleriana, dopo i primi studi sull’eugenetica avviati dalla<br />

democratica Svezia e dallo stato <strong>della</strong> Virginia, avessero scienziati ed<br />

intellettuali che da tempo si occupavano del tema in maniera<br />

approfondita. Dunque, nulla di straordinariamente nuovo; un interesse<br />

condiviso da intere nazioni, se pure approfondito su piani diversi. Non<br />

nuoce ricordare inoltre, che <strong>Evola</strong>, nel 1963, non esita a riconoscere il<br />

fenomeno “razzismo” come qualcosa di datato, soprattutto nei suoi<br />

aspetti esteriori, biologici e sociali, additando l’assoluta mancanza di<br />

senso che praticamente avrebbe, oggi, il riprendere simili problemi.<br />

Se, però, ai giorni nostri, ad oltre mezzo secolo dalla fine <strong>della</strong><br />

Seconda Guerra mondiale, e a più di trent’anni dalla sua scomparsa,<br />

<strong>Julius</strong> <strong>Evola</strong> viene ricordato da ambienti giornalistici ed accademici<br />

come un razzista intransigente, anzi, come il razzista per antonomasia<br />

dell’intero panorama culturale italiano, ciò è da rintracciare nel nucleo<br />

che l’antropologia razzista racchiude come Weltanschauung, lontano<br />

dalle contingenze legate all’urgenza dei tempi. Certamente <strong>Evola</strong> non<br />

fu il primo, né l’unico razzista nell’Italia <strong>degli</strong> anni Venti.<br />

Già prima <strong>della</strong> presa del potere da parte di Mussolini nel 1922<br />

l’Italia, come l’Europa intera, era alle prese con rilevanti problemi<br />

d’igiene pubblica, legati ad epidemie tubercolari e malariche e, con<br />

l’espansione coloniale, alla contrazione di malattie veneree e, per<br />

finire, alla lebbra. Tempestiva doveva essere la risposta di un governo<br />

forte, come voleva essere quello mussoliniano, all’urgenza delle<br />

questioni da affrontare. La campagna, come spesso accadeva durante<br />

il Ventennio, portata avanti dal Duce in persona per la cura del corpo<br />

attraverso le discipline sportive, racchiusa nella formula “mens sana in<br />

corpore sano”, alimentava la spinta mobilitativa per il rafforzamento<br />

di una popolazione debilitata da anni di guerra e carenze alimentari.<br />

Con l’esplodere dell’espansionismo coloniale, ad essere arginati<br />

dovevano essere, inoltre, i pericoli di un certo malcostume di<br />

promiscuità, sfocianti in meticciato e “madamismo”. Così, al fianco di<br />

problemi legati alla salute pubblica, se ne ponevano di ordine morale<br />

e, non ultimo, avanzava la preoccupazione per la nascita di complesse<br />

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