Cimarra-Petrosellii libro canepina - Comune di Canepina

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C’arevedemo, sor professó. Tandi saluti e ossequi, e speramo d’aritrovacce a Canipina. 175 dev.mo Elvio Cianetti P.S. Mannime e lettre tu ne: Balazzo Reale, Via Balbi - Genova. Caro sor professore, 3 Genova 29-I-32-X o M’avarai da scusane si aglio tardato bello poco a mannatte a lettra in ganipinese; ma a corpa è de quella boglia filosofia che me fa venì e gapo storno, e nun me lasse mmai sesighe tempo pe l’amichi. Hai da sapene che l’utimo dì dell’anno glierimo co mi mà a Canipina, quanno venette gliò tamanta neve (1), che te pareva de stà tu ne mundagne de la Russia tra là, tra là. Eddreno nun cammineva più, ebbostale l’istesso, e delegrafo ava tutti e vvili scinicati, e quello bello paesettello gli era allo buglio; figurite, sor professò, come stavimo! Io, ma però, manco pe quelle; rievo, magnevo e beevo; e quanno avo fatto tutte e robbe stì facevo e poesie ‘ncò, belle che levite. St’istate, quanno che venaraglio, te le faraglio vedè. To cchi eddembo gli è proprio bello, e te pare proprio e mese é maggio; gli è proprio ‘na bogliaria de dovè glì tu ‘na scola, a nfracià tu ne banghi; se staria bello poco bene ta ‘nà lavorà! Ma, se t’aglio proprio da dì a verità, e studio nun me fa sudà pe quelle: tu na classe mia, simo tutti pazzi e facemo e vaccate (2) tutt’e dì. Te pare più de stà drento a bbazzerelli, che ta ‘na scola! Cusì e dembo passe rienno e burlenno. Se tu sentissi che latini, sor professò! Annaìa nun aglio più quelle da ariccontatte. St’istate quanno ce arevedremo, faremo e studio su a lengua stì e vedarari che robba! Mì mà e mi pà te saluteno ‘nseme ta sto munello. (1) il primo e di “neve” è largo (2) chiasso e canzonature rumorose ECianetti

3. TESTI FOLCLORICI Si tratta di due fogli dattiloscritti, dei quali è stato utilizzato solo il recto: il primo contiene la diasilla, che differisce lievemente rispetto al testo che il Cianetti trasmise a Raffaele Giacomelli (vd. supra Lettere); il secondo nove brevi testi folclorici (6 stornelli, 2 blasoni popolari e una giaculatoria). Della diasilla in volgare già l’Ermini (1928:148- 155), in appendice al saggio nel quale attribuì la sequenza a Tommaso da Celano, pubblicò alcune versioni dell’Italia centrale: 2 laziali (Fumone e Boville Ernica), una campana (Rocca d’Evandro), una umbra (Foligno) e due marchigiane (Fermo ed Ascoli Piceno). Per quanto riguarda l’Alto Lazio, sono noti i testi di Tuscania (Cecilioni 1988:167-175) e di Ischia di Castro (Nanni 1979:152-153). Del 4.2, che è uno stornello d’amore, esistono varianti adattate ad altri paesi della stessa subarea: E prima Bassanello l’era ‘n fiore / adesso l’è ‘n castello rovinato, / prima ce passeggiava lo mio amore, / mo’ ‘n ce passsa più sta fà sordato (racc. Gualdo Anselmi). Lo completa un ritornello aggiuntivo (ne esistevano diversi), che si articola metricamente seguendo il modulo musicale eseguito dallo strumento che accompagnava il canto. Il 4.3 è uno stornello che si rivolge direttamento al cembalo, un tamburello che accompagnava le danze popolari e il canto nei giorni di festa. Del successivo, che veniva intonato con intento canzonatorio, si possono reperire varianti sia in Blas.Pop.I:2 e II:989, 1594, 1999 (parziale rispondenza in Blaspop II:1204, 1342, 1623, 1963) sia in altre raccolte: Pori carbugnanesi senz’ingegno, / nun sanno quanno è notte e quanno è giorno, / cianno l’orloggio e l’hanno dato im pegno, / nu llo sanno caricà a mezzoggiorno (Fabrica di Roma – racc. Gualdo Anselmi). Il 4.5 è uno stornello di lavoro: veniva intonato dalle squadre di mietitori che si recavano in Maremma durante la stagione delle messi. I numm. 4.6. e 4.9. rientrano nella categoria dei blasoni popolari. Il primo, con il pretesto di mettere in risalto l’abbondante produzione di castagne, in realtà sottolinea, con sottile intenzione dileggiativa, che la castagna costituisce una delle poche risorse alimentari, se non l’unica, di cui dispongono gli abitanti di Canepina; il secondo presenta struttura ternaria o quaternaria analoga ad altri dello stesso contenuto [Blaspop.II:1011,1239, 1416, 1645, 1721 1-3 , 1767; Capranica 1984:37; Cangani 1998:151]. I numm. 4.7 e 4.8 sono stornelli a distico. Il primo è costruito su un’immagine iperbolica; il secondo sull’artifizio nomen omen. Nonostante l’inversione sintattica, è annoverabile nella categoria di stornelli nella quale il primo verso presenta una struttura invariata e termina con il nome dell’innamorato/a, sul quale si regola l’assonanza 176

3. TESTI FOLCLORICI<br />

Si tratta <strong>di</strong> due fogli dattiloscritti, dei quali è stato utilizzato solo il<br />

recto: il primo contiene la <strong>di</strong>asilla, che <strong>di</strong>fferisce lievemente rispetto al<br />

testo che il Cianetti trasmise a Raffaele Giacomelli (vd. supra Lettere);<br />

il secondo nove brevi testi folclorici (6 stornelli, 2 blasoni popolari e<br />

una giaculatoria). Della <strong>di</strong>asilla in volgare già l’Ermini (1928:148-<br />

155), in appen<strong>di</strong>ce al saggio nel quale attribuì la sequenza a Tommaso<br />

da Celano, pubblicò alcune versioni dell’Italia centrale: 2 laziali<br />

(Fumone e Boville Ernica), una campana (Rocca d’Evandro), una<br />

umbra (Foligno) e due marchigiane (Fermo ed Ascoli Piceno). Per<br />

quanto riguarda l’Alto Lazio, sono noti i testi <strong>di</strong> Tuscania (Cecilioni<br />

1988:167-175) e <strong>di</strong> Ischia <strong>di</strong> Castro (Nanni 1979:152-153).<br />

Del 4.2, che è uno stornello d’amore, esistono varianti adattate ad<br />

altri paesi della stessa subarea: E prima Bassanello l’era ‘n fiore /<br />

adesso l’è ‘n castello rovinato, / prima ce passeggiava lo mio amore, /<br />

mo’ ‘n ce passsa più sta fà sordato (racc. Gualdo Anselmi). Lo<br />

completa un ritornello aggiuntivo (ne esistevano <strong>di</strong>versi), che si articola<br />

metricamente seguendo il modulo musicale eseguito dallo strumento<br />

che accompagnava il canto. Il 4.3 è uno stornello che si rivolge<br />

<strong>di</strong>rettamento al cembalo, un tamburello che accompagnava le danze<br />

popolari e il canto nei giorni <strong>di</strong> festa. Del successivo, che veniva<br />

intonato con intento canzonatorio, si possono reperire varianti sia in<br />

Blas.Pop.I:2 e II:989, 1594, 1999 (parziale rispondenza in Blaspop<br />

II:1204, 1342, 1623, 1963) sia in altre raccolte: Pori carbugnanesi<br />

senz’ingegno, / nun sanno quanno è notte e quanno è giorno, / cianno<br />

l’orloggio e l’hanno dato im pegno, / nu llo sanno caricà a<br />

mezzoggiorno (Fabrica <strong>di</strong> Roma – racc. Gualdo Anselmi). Il 4.5 è uno<br />

stornello <strong>di</strong> lavoro: veniva intonato dalle squadre <strong>di</strong> mietitori che si<br />

recavano in Maremma durante la stagione delle messi.<br />

I numm. 4.6. e 4.9. rientrano nella categoria dei blasoni popolari. Il<br />

primo, con il pretesto <strong>di</strong> mettere in risalto l’abbondante produzione <strong>di</strong><br />

castagne, in realtà sottolinea, con sottile intenzione <strong>di</strong>leggiativa, che la<br />

castagna costituisce una delle poche risorse alimentari, se non l’unica,<br />

<strong>di</strong> cui <strong>di</strong>spongono gli abitanti <strong>di</strong> <strong>Canepina</strong>; il secondo presenta struttura<br />

ternaria o quaternaria analoga ad altri dello stesso contenuto<br />

[Blaspop.II:1011,1239, 1416, 1645, 1721 1-3 , 1767; Capranica 1984:37;<br />

Cangani 1998:151]. I numm. 4.7 e 4.8 sono stornelli a <strong>di</strong>stico. Il primo<br />

è costruito su un’immagine iperbolica; il secondo sull’artifizio nomen<br />

omen. Nonostante l’inversione sintattica, è annoverabile nella categoria<br />

<strong>di</strong> stornelli nella quale il primo verso presenta una struttura invariata e<br />

termina con il nome dell’innamorato/a, sul quale si regola l’assonanza<br />

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